L'altra faccia del mito: Diario del Gruppo Valanga. Garfagnana 1944
By Pietro Petrocchi and Silvano Valensi
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L'altra faccia del mito - Pietro Petrocchi
Pietro Petrocchi Silvano Valiensi
L’altra faccia del mito
Memorie di due partigiani del Gruppo Valanga
Garfagnana 1944-1945
Argot edizioni
© Argot edizioni
Andrea Giannasi editore
Proprietà letteraria riservata
© 2017 Tra le righe libri
ISBN 9788899735302
Indice
Introduzione e saluto dei familiari
Saluti del sindaco di Fabbriche di Vergemoli Michele Giannini
Nota introduttiva
Prefazione
Come divenni partigiano
Le vacche grasse
Campia
La prima lezione
Vita in Pianiza, l’infermiere e Bartolozzi, i fuochi, gli ostaggi e i prelevamenti
La battaglia dell’Omo Morto
L’Omo Morto
Trescala
Una nuova vita
Il lancio
Al Monte Forato: un altro paradosso
Le postazioni. Silvano. Gli Emiliani
Dall’Emilia una boccata d’aria
La postazione del Gesù
In postazione
Il maresciallo Hotzman
Il Professore impartisce lezioni di tattica e strategia
Il 29 agosto: battaglia all’Alpe di Sant’Antonio
Il Rastrellamento
I nostri morti
Leandro ci lascia
I Russi
Al Boscaccio
Fornovolasco
La morte di Fedele
Il ritorno
La separazione
Non più ribelle ma soldato
Estate 1944
Cosa rimane della Resistenza in Garfagnana?
Appendice documentaria
Ad Eletta
di nuovo insieme,
per sempre,
sulle strade dell'eternità.
Il più onesto, il più idealista, il più dolce dei repubblichini
si batteva per la causa sbagliata: la dittatura.
Il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato
si batteva per la causa giusta: la democrazia.
Italo Calvino
Introduzione e saluto dei familiari
La scelta di consentire la stampa di questo libro non è stata facile e non tutti i familiari inizialmente erano favorevoli.
Alcuni di noi volevano conservarne il carattere intimo e riservato e c'era poi il timore di rinfocolare discussioni, contrasti e diatribe di parte. Poi lentamente tutti siamo stati concordi, anche al fine di ribadire a noi stessi gli ideali e i punti fermi della nostra formazione, compreso l'amore per la montagna.
Abbiamo allora realizzato che le parole dei due amici Partigiani non erano scritte sulla carta ma nel marmo; incise profondamente nella verità storica e nella nostra corteccia cerebrale profonda.
Abbiamo cercato, con questa pubblicazione, di rimediare ad una nostra distrazione per cercare di confortare e aiutare il Nostro nello sforzo immane di portare addosso quel peso di ricordi e spesso tristi memorie che mai ha voluto condividere con alcuno e nemmeno con i familiari. Ora... un pezzettino del chicco di grano da portare nel formicaio tocca anche a noi.
Dal libro e dai commenti emergono riflessioni amare: la scarsa considerazione che dimostravano le popolazioni di alcuni paesi, la lotta titanica sostenuta per mantenere vive e valide le idee tue e dei tuoi compagni e per rintuzzare i continui attacchi contro le decisioni tattiche e operative dei Partigiani. Addirittura storici e analisti improvvisati hanno inventato e travisato
fatti e situazioni ai quali, voi due, avete assistito in prima persona.
Oggi però, il clima ci sembra cambiato e anche se continuano qua e là attacchi revisionistici, una parte considerevole dell'opinione pubblica ha riconosciuto il valore del vostro sacrificio.
Il ponte che collega le due sponde del Serchio è stato intitolato a Leandro e al Gruppo Valanga. Tu, Silvano eri molto malato, nel tuo letto di morte, e non hai potuto vederlo. Cosi come il nuovo Sentiero della Libertà
, da poco aperto e ben segnato, che conduce numerose persone proprio nei luoghi della battaglia del Rovaio.
Questo libro è, più che un libro, un diario incrociato fra due grandi amici Partigiani, l'uno, Pietro, che scrive una vivida memoria della lontana estate del'44, l'altro, Silvano, che intreccia con lui, già morto, un carteggio ideale, mescolando e amalgamando ricordi.
"Continuare con un caro amico un affettuoso colloquio, interrotto ormai da vent'anni, con la sua prematura scomparsa. Lo vidi per l'ultima volta la vigilia di Natale del 1969" scrive Silvano.
Questo libro è per noi il ricordo del passato, una meraviglia per la profondità e i sentimenti forti che ne emergono e che il Nostro aveva a noi appena accennato.
Silvano era cosi, schivo, gelosissimo dei suoi ricordi e dei suoi sentimenti, capace, comunque, ormai anziano e da solo, di ripercorrere la strada sulla via del Piglionico, giù fino a Colle a Panestra, fino a Trescala a rivedere le sembianze dei compagni caduti. Poi piangere finalmente, di un pianto caldo e riparatore, mirando la Costellazione di Orione e ritrovando ogni volta il carissimo amico Pietro.
Questo libro è per la storia un completo, chiaro e puntuale documento di cosa accadde e quanto volle dire per i compagni Partigiani.
Quei Partigiani, soli, giovani, idealisti, ricchi di quel coraggio che spesso, purtroppo scema col tempo, affrontarono la battaglia impari, pur sapendo che mettevano in gioco la loro esistenza e l'incolumità delle loro famiglie.
Dice Leandro: "Sicuramente avremo un attacco, siamo ancora in tempo a sganciarci ma ormai abbiamo compromesso la popolazione e la rappresaglia si scatenerà sicuramente su delle persone inermi se noi le abbandoniamo".
Decisero allora tutti insieme di non abbandonare la zona.
EROI.
Per la memoria storica è fondamentale ed importante l'amicizia tra i due che nasce e si consolida nel pericolo, nel presagio della prossima battaglia. Si aiutarono e si difesero a vicenda, dormirono sulle bombe a mano, guardarono le stelle e parlarono di montagna, di letteratura e di Dante.
Ecco, il libro riunisce tutto questo, e quindi è bello, interessante e carico di emozioni.
Vogliamo tornare anche noi sulla postazione A
...
rivedere le stelle.
Saluti del sindaco di Fabbriche di Vergemoli
Michele Giannini
Accogliere la pubblicazione de L'altra faccia del mito
non rappresenta solamente un gesto editoriale, ma il giusto riconoscimento di una comunità nei confronti dei propri padri e figli.
Silvano Valiensi era originario di Vergemoli e per la scelta di salire in montagna e combattere per la libertà diventa esempio per tutti gli altri cittadini.
Le comunità di montagna, che da anni soffrono lo spopolamento, più di altre rischiano di smarrire le proprie radici, con le tradizioni, le storie.
Per questo la difesa della memoria, che passa anche attraverso la pubblicazione di un libro come questo, diventa soggetto che non è solamente culturale.
Fabbriche e Vergemoli così come tutte le altre località, rispetto ai tragici anni della Seconda guerra mondiale, oggi sono molto cambiate, ma rimane fermo il ricordo a tante sofferenze patite.
Nell’augurare buona lettura invito a riflettere proprio sull’orrore delle guerre scongiurando nuovi conflitti.
Michele Giannini
A noi non rimane che il ricordo buono o amaro,
che ritorna come un flutto a lambire e a rodere
la roccia che ormai si scrosta, cede, rovina.
Nota introduttiva
di Silvano Valiensi
Queste non sono pagine di storia e niente qui sopra troverete per la valorizzazione di tutto ciò che è garfagnino
, niente per dare un contributo alla conoscenza di quel doloroso periodo storico della Garfagnana, che riguarda gli ultimi due anni di guerra
.
Non abbiamo bisogno di riconoscimenti, e nessuno dobbiamo ringraziare di averci fornito notizie, chiarimenti, testimonianze
sui tragici fatti di quelle giornate tristi
che abbiamo vissuto in prima persona.
Queste sono dolorose reminiscenze dei sacrifici e delle rinunce di piccoli uomini, che scelsero una strada diversa da quella dei più. I ricordi di un gruppo di idealisti, come qualcuno ci ha definiti, che credettero invano in qualche cosa di nuovo e di più giusto.
Perdonateci.
L’idealismo, che è la fede dei giovani, alimenta le illusioni. Oggi, ormai vecchi, invece, abbiamo imparato che il realismo, dono della maturità, le toglie, istillando certezze. Esso ci ha insegnato a vivere, privandoci del piacere di sognare.
Ci siamo illusi sognando, ma oggi soltanto sappiamo di esserci illusi e di aver sognato invano. Ecco perché L’altra faccia del mito
, non per inquinare la storia, ma per evitare coi fatti che, almeno in Garfagnana, la Resistenza non fu certamente guerra patriottica di un intero popolo contro la tirannia fascista e l’invasore nazista, in una parola perché ad una certa età, se non abbiamo imparato a mentire, dobbiamo rassegnarci a dire la verità.
I ricordi di quella lunga estate del ‘44 non mi hanno mai oppresso, anzi, molto spesso hanno reso i giorni scuri della mia vita meno opachi e più graditi. Sono sempre stato geloso delle mie memorie e, sebbene spesse volte e da più parti pressato, non ho mai voluto depositare quei pesi sopra fogli di carta.
Amo portarli sulle mie spalle e non desidero dividere questa fatica con altri. Quel passato mi appartiene e nessuno ha il diritto di esaminarlo; dai posteri non voglio nè approvazioni nè censure. Quale dunque l’intento di questa mia decisione?
Continuare con un caro amico un affettuoso colloquio, interrotto ormai da vent’anni, con la sua prematura scomparsa.
Lo vidi per l’ultima volta la vigilia di Natale del 1969.
Aveva subito un’operazione alle vertebre cervicali da alcuni giorni, e la sua malattia, come si dice, aveva un decorso normale, quando lo colpì, inattesa, una brutta influenza.
La febbre altissima e l’ingessatura al collo, lo costringevano a respirare a fatica, ma niente faceva prevedere una fine imminente. Parlammo e ricordammo insieme, come tante altre volte avevamo fatto. Lo salutai come al solito: A presto!
Mai avrei immaginato che quello sarebbe stato il nostro ultimo addio.
Lo rividi sul letto di morte. Sfiorai con la mano la cicatrice ancora visibile sulla fronte. Un groppo alla gola, un turbinio di pensieri... e la fine di un colloquio.
Non sapevo che Pietro avesse affidato ad un diario il ricordo delle terribili giornate trascorse insieme, non me ne aveva mai parlato, finché, dopo vent’anni il caso ha portato nelle mie mani quello scritto, che mi ha, prima incuriosito, poi avvinto e finalmente soggiogato... Allora ho sentito in me l’ardente desiderio di continuare un colloquio con lui, amalgamando ai suoi i miei ricordi: gioie ed angosce, spavalderie e paure, sicurezze e timori di quella lontana estate della nostra vita. Questo il mio impegno. Unire alle sue impressioni le mie perché quel suo diario divenga il nostro diario, per sempre, il diario degli inseparabili, come lui soleva dire.
Ci separammo ai primi di ottobre di quell’anno indimenticabile con la certezza che la nostra amicizia non si sarebbe mai consumata. Lui raggiunse la madre a Lucca, la sua città, ormai liberata, io continuai la guerra al fianco degli alleati fino alla fine.
Penso che la sua mente, nonostante il ritorno alla vita, fosse ancora affollata dagli spettri dei recentissimi trascorsi. Lo immagino sveglio, agitarsi in un letto troppo confortevole, sconvolto da mille clamori, soverchiato da mille silenzi non ancora sopiti, obbligato a rivivere un passato che non voleva dissolversi... lo vedo alzarsi, afferrare una penna, un pezzo di carta per affidar loro le memorie che simultaneamente lo affliggevano e lo rendevano felice.
Solo così riuscì a mitigare i suoi entusiasmi, raddolcì i suoi furori e iniziò a riconciliarsi con la vita
umana... e scrisse:
MEMORIE DI UN PARTIGIANO LUCCHESE di Pietro Petrocchi. Lucca, 1 novembre 1944
Avvertenza per il lettore.
Il libro contiene integralmente il diario di Pietro Petrocchi al quale Silvano Valiensi ha aggiunto integrazioni dei fatti, note e commenti.
La parte di Valiensi si presenta ai lettori in corsivo per rendere più chiara la separazione delle due narrazioni. Al termine del diario di Petrocchi prosegue Valiensi fino alla fine della guerra.
Prefazione
Ho scritto le mie Memorie
, sperando che un giorno vedano la luce, perché tutti sappiano come si svolgeva la vita nelle bande
dei partigiani, perché si sappia quanti sacrifici e quanto sangue è costata ai giovani d’Italia la cacciata dal nostro bel suolo dell’oppressore tedesco; perché si sappia, infine, cosa vuol dire essere un PARTIGIANO
. È ben diversa la vita del partigiano da quella del soldato al fronte. Il partigiano sa che può contare soltanto sulle armi che la banda possiede, che non può aspettarsi rinforzi in caso di attacco, che, se sopraffatto non può darsi prigioniero, perché gli aspetterebbero le più atroci torture, per fargli confessare quello che sa, e, infine, una morte crudele.
Il partigiano sa che sulla sua famiglia pende una perenne spada di Damocle, che basta un sospetto perché i suoi cari vengano imprigionati, la sua casa incendiata e se questo sospetto si tramuta in certezza, sa che per i suoi c’è la morte, tra le più efferate torture.
Ho scritto queste mie Memorie
, perché voglio riabilitare la nostra bella razza. Dopo le infauste giornate dell’8 settembre 1943 in cui i tedeschi ci disarmarono, si è diffusa la convinzione che siamo una razza imbelle, opportunistica, una razza servile. No, non è vero! Siamo stati traditi e la maggioranza del popolo ha perduto la concezione del buono e del vero, ma il nostro sangue, che ha bagnato le rocce di tante belle montagne, è là a testimoniare il valore e lo spirito di sacrificio