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Il dragone sul treno
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Il dragone sul treno

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About this ebook

Non è semplice essere Nami: una ragazza la cui vita sembra dover essere stravolta, soprattutto dopo aver conosciuto Luca, un misterioso uomo che sembra seguirla nell’ombra e che la inquieta pur di ogni altro, sebbene dica di aiutarla. Lei è speranza e dolcezza, lui rabbia e rassegnazione. Quando il mondo sembra essere sull’orlo del baratro, e la giustizia va perduta, quando morte e disperazione toccano anche il più lieto degli uomini, c’è bisogno di ognuno dei pregi di Nami e di ognuno dei difetti di Luca per poter resettare la bilancia ed evitare che il terrore conquisti le strade, le case ed i cuori delle loro città.

Un romanzo che si circonda di fantascienza, per parlare di realtà. Due persone che solo trovando un equilibrio nelle loro diversità possono essere la perfetta forza per lottare contro un universo che sta privando troppe persone della giustizia.
 
LanguageItaliano
PublisherLisa Dal Prà
Release dateMay 15, 2017
ISBN9788826437064
Il dragone sul treno

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    Il dragone sul treno - Lisa Dal Prà

    ora...

    PROLOGO

    Basta una scintilla per accendere un fuoco

    L’uomo dai capelli corvini sembrò apparire in mezzo alla folla per puro caso. Nessuno aveva fatto caso ai suoi abiti poveri ma ben tenuti, né al suo taglio di capelli così anonimo; nessuno si era accorto che aveva una spighetta mollata o che sorrideva nervosamente, mentre una goccia di sudore gli bagnava la tempia, nonostante stesse camminando ad una normale andatura. Era solo un uomo in mezzo a tanti uomini come lui… almeno finché non decise di salire sopra un logoro sgabello di legno scuro.

    Qualche passante lo guardò con strana curiosità, qualcuno sogghignò, domandandosi che cosa stesse facendo lì sopra, ma senza accorgersi di quell’aura nervosa che lo avvolgeva.

    L’uomo dai capelli corvini allora prese un bel respiro e trovò il coraggio di fare quello che chiaramente aveva pianificato di svolgere quando era uscito di casa con uno sgabello. Estrasse un libro da sotto la giacca, un libro che tutti conoscevano molto bene.

    «La storia delle città sotterranee.» Disse, leggendo il titolo dell’opera che teneva tra le mani.

    Nessuno sembrò troppo colpito da ciò, ma qualcuno tra i più giovani, amanti delle grandi storie e qualcuno tra i più anziani, amanti dei grandi eventi passati, si fermò ad ascoltare.

    «Distese verdi, accanto a città libere, circondate solo dal cielo e dalla libertà. Questo era il mondo dell’uomo. La grandezza dell’umanità si rifletteva in ogni meraviglia da lui creata ed in ogni meraviglia da lui preservata.»

    Alcuni sorrisero, ripensando a quel mondo che non avevano mai visto e che mai avrebbero potuto conoscere, mentre l’uomo dai capelli corvini si era lanciato nella lettura che descriveva la vita della sua specie di circa due secoli prima. Città, tecnologia, medicina, arte, cultura, natura… tutto ciò che poteva far sembrare l’uomo qualcosa di perfetto, quasi divino.

    «Ma se l’uomo controllava il suo mondo e la sua vita, non poteva controllare quella del Sole.»

    Alcuni bambini trattennero il fiato, mentre gli anziani li guardavano per assicurarsi che comprendessero ogni parola e mentre sempre più persone si soffermavano ad ascoltare la storia con la quale erano cresciuti giorno dopo giorno.

    «La nostra stella si è scagliata sul nostro mondo, più grande, più calda e da amica, è diventata il nostro nemico più pericoloso. I raccolti morivano, le acque si asciugavano, l’aria si densificava, i boschi bruciavano… Non c’era scampo a quei raggi mortali, che mangiavano la pelle e la carne dei vivi, che uccidevano tutto ciò che ci poteva mantenere in vita, che rendevano piccola la grandezza dell’uomo.»

    «E allora che cosa accadde?» Chiese una bambina sorridendo e conoscendo chiaramente il capitolo successivo di quella storia.

    L’uomo sorrise di nuovo prima di continuare, non era quasi più nervoso sebbene la parte più importante della sua missione non fosse ancora arrivata.

    «L’uomo era grande e nemmeno il Sole poteva sconfiggere ciò.» Le rispose prima di proseguire. «Con il timore della morte nel cuore, l’uomo decise di affidarsi ancora una volta al grembo materno, non per trovare cibo o acqua, ma per ottenere un nuovo e sicuro rifugio. Come molti degli animali che aveva imparato a conoscere, l’uomo iniziò a scavare. Sempre più in profondità arrivarono i suoi picconi, le sue macchine e la sua mente, ma scavare non bastava, perché l’uomo più di ogni altra cosa, sapeva costruire. Nuovi palazzi e nuove strade si ersero nel grembo del suo pianeta, un pianeta che appariva morto sulla superficie bruciata, ma che pullulava di vita nelle protette profondità. La Capitale è stata la prima città ad essere popolata e da essa ci siamo evoluti ancora, dimostrando la nostra grandezza, scavando e costruendo, creando un mondo invisibile dove salvare la specie, dove far si che la vita trionfasse. Come una fenice, l’uomo è risorto dalle ceneri, imponendo la sua grandezza anche sul Sole.»

    Tutti iniziarono a battere le mani, sorridendo, sentendosi fieri di ciò che erano, della specie alla quale appartenevano, ma non era certamente questo l’intento dell’uomo dai capelli corvini. Il suo nervosismo e la sua paura erano spariti, ma non i suoi intenti.

    «Si… si: l’uomo è grande, ma la sua grandezza dov’è finita?»

    Alcuni applausi cessarono, facendo smorzare anche tutti gli altri… qualcuno si guardò intorno.

    «Abbiamo fondato queste città per sopravvivere e per ridare vita, futuro e libertà alla specie umana. Abbiamo fondato il Magistero ed eletto tre Magistri… ma dove sono questi Magistri? Quando avete votato i loro successori? Quando avete potuto mettere la vostra voce in mezzo alla loro? Quando avete potuto dire la vostra sulle leggi che intimoriscono questa comunità?»

    Qualcuno tra il pubblico s’innervosì, alcune madri tirarono via i propri figli, ma qualcun altro, anche se con timore, fece un piccolo cenno di assenso e l’uomo dai capelli corvini ebbe la conferma di non essere solo, la conferma che altri in quel mondo avevano capito che l’uomo non era grande quanto dicevano i libri.

    «Bambini che spariscono nel nulla, portati via a genitori che non possono nemmeno parlare della loro scomparsa! Persone condannate a morte per mano dell’esilio in superficie solo perché provano a contraddire il Magistero! La paura di non avere un lavoro, di perderlo o che lo possa perdere qualcuno dei nostri cari… quanti di voi conoscono qualcuno che si rannicchia disperato la sera, perché sta per perdere tutto?»

    Solo una piccola folla era sopravvissuta, meno della metà delle persone che inizialmente si erano soffermate ad ascoltare la lettura erano rimaste anche per ascoltare lo sfogo di un cittadino qualunque, che parlava di cose tanto pericolose, ma all’uomo dai capelli corvini questo bastava. La sua missione non era scatenare una rivolta, non era marciare per la strada per cambiare il mondo; la sua missione era fare in modo che qualcuno accettasse, che qualcuno ammettesse, anche e soprattutto a se stesso, che l’uomo, che ora viveva in quella città non era grande, era piccolo, infimo e debole e che si stava facendo schiacciare da altri uomini.

    «Molti di noi nascono e vivono poveri e non hanno speranza di cambiare nulla! Ci sono madri costrette a vendere i propri figli! E uomini che sono disposti a comprarli! È grandezza questa?»

    «No!» Rispose una voce indistinta ed inaspettata tra il pubblico, contornata da qualche assenso.

    «No, non lo è infatti. Ci hanno insegnato che l’uomo sa sollevarsi ed evolversi ed è giunto il momento che lo faccia di nuovo!»

    Qualcuno osò persino applaudire, anche se piano, nascosto.

    L’uomo dai capelli corvini stava facendo ciò che si era prefissato e, come sapeva, sarebbe accaduto, attirò anche l’attenzione di alcune Guardie del Magistero, ma ciò non lo avrebbe rallentato, non in quel momento: se gli uomini non trovavano il coraggio da soli, magari glielo avrebbe dato lui.

    «Persone picchiate dalle Guardie! Detenuti che nessuno può visitare! Sanità solo per i ricchi!»

    «Basta!» Urlò qualcun altro.

    «A mia cugina hanno portato via i figli perché erano gemelli!» Disse una voce spezzata tra la piccola folla.

    Le parole stavano tuttavia diventando troppo aspre per le Guardie. Nessuno poteva parlare così liberamente nelle città sotterranee, non se linciava le leggi che le mantenevano attive da così tanti anni.

    Una Guardia, con la sua divisa bianca si avvicinò, intimando l’uomo dai capelli corvini di scendere dallo sgabello e di smettere di parlare, mentre l’altra cercava di disperdere la folla.

    Molti seguirono le istruzioni e se ne andarono in silenzio, fingendo di non aver mai pensato di essere d’accordo con quello strano interlocutore, ma pochissimi altri restarono e si scagliarono a parole contro i due funzionari.

    «Non avete niente da dire?»

    «Nascondete le crudeltà del Magistero?»

    «Perché nessuno conosce l’identità o la dimora dei Magistri?»

    Dall’alto del suo sgabello, l’uomo sorrise e decise di non arrendersi.

    «Dove finiscono i bambini scomparsi? Smettiamola di inneggiare a questi falsi salvatori dell’uomo, che lo imprigionano in timori e repressione!»

    La guardia più vicina lo strattonò tirandolo giù dallo sgabello e colpendolo con un manganello per farlo tacere in modo definitivo, innescando però la reazione di alcuni membri del ristretto circolo rimasto, che si avventarono su di essa per allontanarla.

    «Violenza contro semplici parole! Questa è la risposta di chi è colpevole!»

    L’uomo dai capelli corvini sorrise un’ultima volta, erano forse in sei contro le due Guardie, ma esse erano armate, addestrate e protette e non ci volle molto perché fermassero quei poveri uomini e li arrestassero.

    Mentre veniva portato via, una delle Guardie si avvicinò all’uomo con lo sgabello, ricordandogli con un sussurro che sarebbe morto per ciò che aveva cercato di fare.

    «Lo sai, ciò che vuoi è impossibile.»

    «Dicevano che era impossibile sopravvivere al Sole… un giorno vedrai una cosa impossibile e quando accadrà, saprai per certo che anche tutte le altre cose impossibili si possono avverare.»

    «Hai perso ancor prima di cominciare.»

    «No, io ho vinto.» Rispose. «Io ho acceso una scintilla, e basta una scintilla per accendere un fuoco.»

    Non era più nervoso, non era nemmeno impaurito. Sorrideva quasi. Sapeva a cosa sarebbe andato incontro, ma aveva comunque deciso di agire quella mattina ed aveva appena avuto la prova che le sue azioni non erano state vane.

    Mentre le Guardie lo portavano via, vide arrivare un treno alla fermata della metropolitana che collegava la Capitale alle altre città sotterranee. La prima persona a scendere era una giovane ragazza dai capelli color miele e gli occhi che sembravano scolpiti da una lastra di ghiaccio. Nessuno dei due poteva sapere che quella cosa impossibile, era appena arrivata nella Capitale.

    CAP 1

    Il dragone vi salverà

    Clary urlò. Le avevano detto di non farlo, di stare zitta, di restare in silenzio, ma il dolore era davvero troppo forte e le sembrava che il corpo le si spaccasse a metà.

    Robb le stringeva la mano, ma a differenza della moglie, lui era completamente lucido e ciò lo faceva stare anche peggio. Sfiorò i capelli color miele della donna che aveva accanto, la sua fronte era imperlata di sudore, il respiro affannato, i muscoli contratti e i nervi tesi, mentre grosse lacrime che raccontavano un momento di terrore mentale e dolore fisico, le rigavano le gote.

    Un altro urlo divampò nella sala, facendo rabbrividire Robb, che continuava a tenerle la mano, ringraziando mentalmente quella città che aveva sempre detestato, che tutti detestavano.

    Non era un segreto che Buia fosse la città sotterranea più malvista. Era la più profonda e la più piccola, scavata nella roccia dura, spigolosa e creata solo per far funzionare i polmoni artificiali di quella società nascosta nel grembo del pianeta, rintanata. Definirla città era già un elogio date le pochissime case che ospitava, poco meno di duecento abitanti incastrati in un angolo di quel buco freddo illuminato a malapena da lampioni a fiamma sparsi per le ripide e strette stradine che si diramavano tra poco forniti negozi e appartamenti troppo piccoli.

    Due terzi di quel buco nel pianeta erano riservati ai depuratori: decine e decine di camini creati per risucchiare l’aria dalla superficie, la portavano giù, nelle profondità della terra, fino a Buia, dove veniva raffreddata, depurata e divisa dal vapore acqueo che la rendeva così densa ed irrespirabile fuori dal mondo sotterraneo. Da lì passava ai polmoni artificiali che la rispedivano nelle altre città, mentre l’acqua veniva raccolta e mandata al bacino idrico che si trovava nella Capitale, dove poi era divisa. Accanto a tutto ciò c’era un altro depuratore: quello per i liquidi: qualsiasi cosa non fosse solida, in ogni città, finiva lì dentro, veniva filtrata e vi si ricavava altra acqua; nulla poteva essere buttato in un mondo in cui la natura aveva smesso di offrire sostegno alla vita e le fonti d’acqua sotterranee e naturali, sarebbero potute finire da un momento all’altro.

    Macchinari che rombavano notte e giorno erano la compagnia costante degli abitanti di Buia e Robb aveva sempre odiato ogni angolo di quella città proprio per questo motivo: macchine che hanno più valore della vita degli uomini.

    Non quella notte però. Quella notte il brusio era un incredibile alleato perché nascondeva le strazianti grida di Clary.

    «Dov’è Moreau?» Chiese la donna respirando a fatica.

    Robb si guardò intorno, ma non c’era traccia del loro vecchio amico e, nonostante si fidasse ciecamente di lui, non riuscì ad evitare di pensare che forse non si sarebbe fatto vivo, e nessuno avrebbe potuto biasimarlo.

    «Arriverà.» Cercò di consolarla.

    La mano di Clary strinse ancor più forte quella del marito, ma solo per pochi istanti; stava finendo le forze e lui non sapeva come aiutarla.

    «Qualcosa non va Robb. Me lo sento… fa troppo male…»

    Robb le guardò il pancione e lo sfiorò appena con la mano libera, come se quella carezza potesse davvero placare i gemelli che vi dimoravano all’interno. Ricordò la felicità che aveva provato quando Clary gli aveva detto che sarebbe diventato padre, una gioia incontenibile che si era tramutata in completa disperazione ed in terrore cieco nel momento in cui avevano scoperto che i bambini erano due.

    Nessuno sapeva che cosa accadeva ai bambini che venivano portati via dal Magistero, ma la cosa più raccapricciante era la sorte dei gemelli, che non potevano restare nelle famiglie d’origine, ma venivano portati via ai genitori nel momento stesso della nascita, senza che nessuno assegnasse loro un nome.

    Avevano nascosto bene la gravidanza, avevano avuto mesi per trovare il modo di salvare quelle creature, ma tutto era andato in pezzi quando avevano deciso di nascere in anticipo e Clary aveva iniziato ad avere dolori lancinanti.

    Robb cercò di consolarla, di dirle che tutto sarebbe andato bene, ma era terrorizzato quanto lei e non sapeva come aiutarla.

    Solo qualche minuto dopo comparve un uomo dai ricci castani e gli occhi chiari, impaurito quanto la coppia, ma certamente più lucido e disposto quanto loro a fare ciò che aveva promesso.

    «Che cosa succede?» Chiese avvicinandosi.

    Clary continuava a soffrire e Robb lo guardò con disperazione, senza lasciarle mai la mano e permettendo che l’amico si avvicinasse per vedere che cosa stava creando tanti problemi.

    «Riesco a vedere la testa di uno di loro Clary, sei bravissima!» Disse mentre si rimboccava le maniche e s’infilava dei guanti, senza però proferir parola sulle piccole stranezze che aveva notato.

    Robb prese un respiro, confortato dalle parole dell’amico e, soprattutto, dalla sua presenza. Moreau non era un medico, era un veterinario, ma in una città come quella, non era la prima volta che si occupava anche di esseri umani.

    Il dottore accese una seconda candela e l’appoggiò ai piedi della donna, che continuava, stremata, a soffrire, poi iniziò la sua analisi.

    Per lunghi minuti mosse le sue abili mani, osservò e fece domande, dicendo a Clary quando spingere e quando trattenere, aiutandola a respirare ed incoraggiandola a lottare, ma aveva ben compreso che qualcosa non andava bene e che il parto sarebbe stato molto più complicato del previsto.

    «Non funzionerà. Non nasceranno mai in questo modo, moriranno loro e morirà anche Clary.» Disse infine, in modo rozzo, diretto, crudele, ma anche nell’unico modo che non facesse perdere loro tempo prezioso da usare per provare a salvare quella frenetica situazione.

    Clary non udì nemmeno le sue parole, le si era alzata la febbre, aveva il desiderio di spingere ma le mancavano le forze ed il dolore la continuava a invadere, Robb invece sembrò risvegliarsi da un incubo di colpo, solo per scoprire di essere entrato in qualcosa di peggio. Guardò l’amico in tacita supplica, quasi non avesse davvero compreso l’entità delle sue parole.

    «Robb! Riprenditi! Moriranno tutti e tre. Concedimi il permesso di tagliare.»

    «Se fai un cesareo qui, non sopravvivrà!»

    «Probabile.» Ammise, senza dare a vedere il peso che gli opprimeva il cuore e che gli chiudeva lo stomaco e la gola nell’ammettere tal esito. «Ma se non lo facciamo morirà di sicuro e di sicuro moriranno anche i gemelli!»

    «Ma che cosa c’è che non va?»

    Moreau non lo sapeva, non ne aveva idea. Non avevano mai fatto un’ecografia dopo la terribile scoperta, non avevano mai fatto analisi mediche, controlli, nulla… c’erano diverse ipotesi che gli frullavano per la testa in quel momento, ma non aveva idea di quale fosse quella più vicina alla realtà.

    «Robb, fammi tagliare e avremmo l’occasione di salvarli. O resta in silenzio e li lasciamo morire.»

    «Taglia.» Fu la risposta, ma la voce non era quella di Robb, ma quella della sua rassegnata moglie. Voleva di certo avere l’occasione di salvare i suoi figli e, probabilmente, preferiva l’incombenza della morte che quel continuo dolore che l’accompagnava da quando aveva iniziato a dilatarsi.

    Moreau non se lo fece ripetere. Ordinò a Robb di tenere la moglie il più ferma possibile, le diede un calmante e tagliò la carne viva della donna, facendola esplodere di nuovo in un grido disperato.

    Clary svenne poco dopo e Moreau ebbe più libertà di movimento.

    «Non è possibile…» Furono le uniche parole che riuscì a dire quando finalmente fu in grado di tenere tra le braccia i due gemelli.

    Robb alzò lo sguardo e li vide per la prima volta, piccoli, fragili, aveva la sensazione che sarebbe bastato il dannato rumore dei depuratori per poterli spezzare, ma non si accorse minimamente dell’assurdità di ciò che stava guardando, non come se ne accorse il dottore.

    «Cazzo… cazzo! Come facciamo adesso? Come…»

    Si bloccò guardando i due bambini e solo allora Robb capì la gravità della situazione: erano siamesi.

    Il piano era di dividerli; per quanto terrificante, uno dei due sarebbe cresciuto altrove e nessuno avrebbe mai dovuto sapere che esisteva un gemello, così avrebbero avuto la possibilità di una vita… ma come avrebbero potuto dividere due neonati siamesi, tra caldaie e depuratori? Eppure, per Moreau non sembrava questa la cosa più scioccante.

    «Fammeli tenere, potrò farlo una volta sola in tutta la mia vita. Fammeli tenere.» Chiese il padre, rassegnato al fatto che non sarebbero mai riusciti a nascondere due siamesi per tutta la vita.

    Moreau gli passò i bambini e ciò che finalmente lo sconcertava, fu evidente a tutti: non solo i due bambini erano siamesi, ma erano un maschio ed una femmina.

    «Com’è possibile?»

    «Non lo è.» Rispose Moreau.

    Robb sfiorò la testa dei due bambini mentre sorrideva e piangeva nello stesso tempo.

    «Un nome a testa.» Disse rivolgendo appena lo sguardo a Clary, che giaceva svenuta a terra, mentre Moreau cercava di ricucirla. Avevano preparato quattro nomi e ora toccava a lui scegliere quali usare, prima che gli portassero via quelle bellissime ed indifese creature. «Lei si chiamerà Nami: è sempre stato il mio nome preferito. E tu sei Alex, come tuo nonno materno. La tua mamma lo amava con tutto il cuore.»

    Li cullò per qualche istante prima di accorgersi che Moreau aveva smesso di occuparsi di Clary. Sedeva immobile con le mani tra i ricci, singhiozzando.

    Non aveva bisogno di fare domande per sapere che cos’era accaduto, ma non poteva nemmeno accettarlo senza sentirselo dire.

    «Mi dispiace Robb. Mi dispiace tanto. Le volevo bene… così bene…»

    Tornando a stringere la mano della moglie ormai deceduta, Robb prese un respiro profondo. Non voleva entrare nel panico, non poteva. Sapeva che era impossibile salvare quei due bambini, ma non si sarebbe arreso senza almeno provarci. Non li conosceva e li amava con tutto il cuore e Clary era morta per salvarli, doveva fare lo stesso se occorreva.

    «Dobbiamo nascondere il corpo.»

    «Che cosa?»

    «Moreau, dobbiamo farlo: se la trovano capiranno che era incinta, capiranno che è stata operata e tutti sanno che sei l’unico in questa minuscola città a poterlo fare… verranno da te e sai bene che quando vogliono sapere qualcosa, trovano il modo di scoprirlo!»

    Aveva ragione, Moreau non poteva che essere d’accordo, ma dove potevano nascondere un cadavere? E come avrebbero spiegato la scomparsa della donna?

    «Robb, lei non deve sparire… non può.»

    L’amico sembrava aver formulato gli stessi pensieri. Strinse a sé i due bambini pensando che presto avrebbero avuto fame e capì quale sarebbe stata la scelta più rapida e la più crudele…

    «Le diamo fuoco.»

    «Sei impazzito?»

    «Non possono capire nulla da un cadavere carbonizzato e a nessuno al Magistero importa dei poveracci che vivono qui, non finché queste macchine continuano a funzionare. Quindi non ci saranno grandi indagini.»

    Moreau si strinse le braccia al petto. Apriva la bocca, ma nessun suono usciva dalle sue labbra tremanti. Stava vivendo l’incubo peggiore della sua vita e sapeva di non potersi svegliare.

    «Moreau! Devi essere forte ora! Prendi i bambini.» Gli ordinò, mettendogli tra le braccia i due corpicini avvolti dalla stessa coperta. «Devi andare al tuo studio e nasconderli. Quando il fuoco sarà alto, attirerà l’attenzione molto più di un po’ d’urla mascherate dai rumori di sottofondo e loro non devono essere qui quando arrivano le Guardie!»

    «Nemmeno noi! Dovresti portarli via tu!»

    «No! Se qualcuno mi vede entrare nel tuo studio appena prima che mia moglie venga ritrovata morta, desteremo sospetti… invece un veterinario che entra nel proprio studio è di certo meno ambiguo.»

    Sembrava che la situazione si fosse capovolta: pochi minuti di differenza e loro due si erano invertiti, non era più Robb ad essere immobile accanto alla moglie sofferente, mentre un lucido Moreau si occupava della situazione; ora era il dottore ad essere nel panico ed il neo padre ad avere la lucidità necessaria per proteggere i propri figli.

    Tra un tremore e una lacrima, Moreau raccolse i suoi strumenti e, con i bambini tra le braccia, pregando che non iniziassero a piangere per la strada, si avviò verso il suo studio, lasciando Robb accanto al corpo esanime della donna che amava.

    Sfiorò i suoi capelli chiari un’ultima volta e le appoggiò con delicatezza le labbra alla fronte, ricordando che era un gesto che Clary aveva sempre amato, per dolcezza e conforto.

    «Mi dispiace tanto.»

    Aveva almeno un milione di cose che desiderava farle sapere, ma non riuscì a dire più di quelle tre parole.

    Si passò una mano sul viso, cercando di trovare il coraggio di fare quel che doveva, ma quando prese la candela in mano, non fu capace ad inchinarsi per avvicinare la fiamma alle vesti di quella donna ridotta in quel modo così pietoso.

    Alla fine allargò solo le dita, piano, impercettibilmente, quel tanto che consentì alla cera umida di scivolare sulla pelle e cadere tra i capelli ed il vestito alzato.

    Le fiamme si allargarono quasi con eleganza, danzando febbrilmente. Robb sapeva bene che doveva fuggire, ma non riusciva a staccare gli occhi di dosso a Clary, ai capelli che sparivano nella luce vermiglia, alle vesti che si rimpicciolivano, lasciando scoperta la pelle ora addobbata da lingue incandescenti.

    Quando il danno fisico iniziò a farsi notare si voltò, non voleva guardare e sapeva che non lo avrebbe voluto nemmeno lei, era come guardare un momento privato, uno di quelli che si vogliono tenere solo per sé, ma anche se aveva deciso di allontanarsi definitivamente, era troppo tardi.

    Due Guardie erano state attirate dalla luce, come previsto e lo avevano appena colto sul fatto.

    Sarebbe dovuto scappare, correre come il vento, ma in quel caso bruciare Clary sarebbe stato inutile, avrebbero spento il fuoco, scoperto del parto e tutto quel lavoro sarebbe stato vano perché avrebbero trovato i bambini. No, doveva fare in modo che sua moglie fosse irriconoscibile e per questo non poteva scappare, ma doveva restare e trattenere i due uomini.

    Ne colpì uno al volto e schivò il manganello del secondo mentre le fiamme si facevano sempre più alte.

    Urlò qualche insulto, attirò l’attenzione, prese qualche botta, poi una delle due Guardie, stanca di quel fervido balletto, estrasse la pistola e sparò un colpo.

    Robb cadde a terra, ma era stato colpito solamente alla spalla e non gli ci volle molto per rialzarsi. Sapeva che quella era la fine, che qualunque altra mossa avesse tentato, sarebbe stata stroncata da un colpo ben assestato, così si lanciò direttamente verso la Guardia armata, che lo colpì in pieno petto.

    Il cadavere di Robb cadde addosso all’uomo in divisa bianca che richiamò il collega per farsi aiutare a spostare la carcassa e, una volta in piedi, si avvicinarono a ciò che una volta era stata Clary.

    «Spegnila.» Disse uno dei due.

    Ci sarebbe voluta un’accurata autopsia, a quel punto, per confermare che la persona ai loro piedi fosse stata gravida ed avesse partorito da poco, ma come aveva affermato Robb solo poco prima: a nessuno importava della povera gente che viveva a Buia, non finché i macchinari continuavano a funzionare.

    «C’è qualcosa qui in mezzo!» Disse l’uomo in uniforme, accucciandosi sul cadavere bruciato e prendendo tra le mani un anello.

    «Clary e Robb. Amore per sempre.»

    «Scommetto che quello lì e Robb.» Rispose il secondo uomo, avvicinandosi a colui che aveva appena ucciso e sfilandogli la fede nuziale.

    «Che ti dicevo? Clary e Robb. Amore per sempre… certo. Un fuoco questo matrimonio!»

    Entrambi risero, senza sapere che una terza persona si trovava lì, nascosta, invisibile e terrorizzata: Moreau.

    Il caso venne presto archiviato: un uomo aveva deciso di uccidere la moglie, il movente poteva essere gelosia, rabbia, pazzia… non importava a nessuno al Magistero. L’unica cosa che interessava all’organo governativo era dire che aveva fermato un altro assassino pericoloso.

    Robb aveva fatto bene i suoi calcoli, tranne sui due piccoletti, che ora se ne stavano in un retrobottega, circondati da gabbie di animali.

    L’unica cosa che avevano era Moreau e lui aveva giurato a loro, alla memoria dei suoi amici appena morti ed a se stesso, che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per tenerli in vita.

    Per tre anni li sfamò, li nascose, li aiutò a crescere, insieme, uniti, osservandoli con orgoglio mentre si coordinavano nel muovere i primi passi e sentendo una fitta al cuore ogni volta che pensava al fatto che mai sarebbero potuti uscire da quel magazzino. Li vedeva fare amicizia con gli animali e al contempo sentirsi soli e un giorno decise di cambiare la situazione una volta per tutte: avrebbe trovato il modo di separarli.

    Per mesi si esercitò su carcasse di animali, studiò l’anatomia più complessa e provò varie teorie. L’operazione sarebbe stata un grosso azzardo, ma era convinto che fosse anche l’unica opzione che avessero quei due per poter vivere.

    Non si sentiva pronto quando venne il fatidico giorno, ma non ebbe altra scelta.

    Quella mattina entrò in negozio un ragazzino della città; Moreau lo conosceva da quando era nato ed ora aveva già 12 anni. I suoi genitori avevano serie difficoltà economiche e lui era entrato, come diverse altre volte, a chiedere di qualche animale deceduto: il dottore era infatti solito tenerne da parte per consegnarli alla famiglia, in modo che avessero qualcosa da mangiare.

    «Te lo vado subito a prendere.»

    In seguito, per tutta la durata della sua vita, si maledisse per non aver detto a quel bambino di aspettarlo nell’altra stanza… perché il giovane lo seguì fin nel magazzino e la prima cosa che notò, fu un vestitino largo, che copriva due bambini attaccati tra loro.

    «Fuori di qui!» Urlò immediatamente, rendendosi conto nemmeno un istante dopo, che spaventare quel poveretto era forse anche peggio che aver lasciato che vedesse quel segreto che per tre anni aveva protetto.

    Nami iniziò a piangere, spaventata dalle urla e Moreau si chiuse nel magazzino per calmarla, sapendo che era arrivato il momento. Non poteva più aspettare, non poteva più rischiare.

    Chiuse lo studio e si rintanò nella piccola sala operatoria. Normalmente era utilizzata per gli animali di grossa taglia come cavalli e asini, creature che servivano per il trasporto di materiali e per il funzionamento di alcuni dei macchinari per i quali quella città esisteva. Ora invece sarebbe stato il luogo in cui Moreau avrebbe determinato la sopravvivenza o la dipartita di Alex e Nami.

    Sedò i due bambini ed iniziò il lavoro.

    Il momento che non avrebbe mai dimenticato era stato quando aveva scoperto che i due piccoli non avevano nessun organo comune. Nervi, muscolo, carne e pelle erano già un alto muro per lui, ma l’idea che non avrebbe dovuto preoccuparsi anche di organi vitali era stato un tale sollievo, che per tutta la sua vita aveva ricordato quel momento con estrema calma, anche se viverlo era stato ben diverso.

    Alla fine dell’operazione, era sicuro di averli salvati: sarebbero sopravvissuti entrambi e tutto ciò che doveva fare ora, era dividerli.

    Per una settimana intera gli sembrò che tutto andasse bene e si consolò nella speranza che quel bambino non avesse detto nulla a nessuno, che forse nemmeno aveva davvero visto i gemelli o che non poteva aver capito di che cosa si trattasse, ma i guai sembravano perseguitare quelle due creature ed anche quel momento di serenità finì in fretta.

    «Cinquemila.» Disse una mattina un uomo entrando nello studio.

    Moreau conosceva bene quella testa stempiata, quegli occhi stanchi e quegli abiti logori. Era per lui, per sua moglie e per suo figlio che teneva da parte i piccoli animali che morivano e ora quell’uomo era entrato chiedendo del denaro, ben più di quello che Moreau possedesse.

    «Come scusa?»

    «Sai cosa significherebbero per la mia famiglia cinquemila pezzi? Potrei dar loro una vita vera.»

    «Mi stai ricattando per cosa?»

    «Lo sai per cosa.»

    Moreau non credeva alle sue orecchie, avrebbe voluto superare il bancone e prendere a pugni quell’uomo che aveva aiutato così tante volte prima. Si domandava per quale motivo non avesse un minimo di lealtà nei suoi confronti ma, in fin dei conti, che avrebbe fatto lui per Alex e Nami? Non erano morte due persone per salvarli? Non stava infrangendo la legge ed obbligando due bambini a vivere rinchiusi in un retrobottega pur di dare loro una possibilità? Cinquemila pezzi avrebbero dato al suo di figlio un’opportunità, quella di non restare a Buia, quella di trovare un lavoro che non gli lasciasse fare la fame, che gli permettesse di avere una vita che potesse essere definita tale.

    «Non ce li ho, dove potrei mai trovarli?»

    «Sono quelli che mi offrirebbe il Magistero per aver trovato dei gemelli Moreau. L’unico motivo per il quale non ti ho ancora denunciato alle Guardie è dovuto all’aiuto che hai dato alla mia famiglia, ma ora devo pensare prima a loro che a violare la legge.»

    Il dottore si passò due dita sulle labbra, sentendo i polpastrelli sfiorare ogni singolo pelo dei suoi folti baffi. Doveva pensare in fretta e trovare una soluzione. Aveva giurato.

    «Dammi una settimana, te ne prego.»

    L’uomo lo fissò per qualche istante prima di fare un cenno di assenso e scomparire nuovamente dietro la porta di legno chiaro, lasciando Moreau da solo con una moltitudine di pessimi pensieri e limitate prospettive.

    Rimase sveglio tutta la notte prima di prendere la sua decisione e la mattina seguente non aprì lo studio.

    Avvolse i due bambini in due coperte ed uscì prima che il resto del paese si svegliasse, sgattaiolando per le viette umide fino ad un piccolo appartamento e bussando piano la porta.

    Ad aprire fu una signora più vicina ai sessanta che ai cinquanta, con i suoi stessi ricci.

    «Fammi entrare Mamma.»

    La donna lo fece accomodare e solo quando Moreau fu seduto gli chiese che cosa nascondesse in quelle coperte, scoprendo per la prima volta l’esistenza di quei due bambini, che per il mondo, non erano reali.

    Il respiro le si spezzò e non trovò nemmeno il coraggio di toccarli, nonostante fossero incredibilmente belli e, addormentati com’erano, fossero la cosa più dolce che avesse visto da tanto tempo.

    «Robb e Clary?» Chiese con timore.

    Suo figlio annuì.

    «Ora si spiega il tutto. Gemelli… che cosa credi di fare? Li hai nascosti per tutti questi anni?»

    «Ho dovuto. Erano siamesi, mamma. Dovevo provare a salvarli e devo provare ancora. So che tu hai ancora l’attrezzatura da tatuaggi.»

    La donna parve non capire, era visibilmente sotto shock e sicuramente stava pensando al dafarsi: Moreau considerava quei bambini come fossero i suoi figli, li amava con tutto il cuore e loro non potevano proteggersi da soli ma davanti a lei c’era il suo di figlio e stava rischiando la vita.

    «Mamma!» La richiamò, alzando un po’ la voce. «L’attrezzatura! Ho un piano e li salverò!»

    La donna superò il tavolo barcollante e si avvicinò ad un logoro mobile che un tempo era stato bianco, ma la cui vernice si era quasi tutta sfogliata. Estrasse da un’antina, una scatola con l’occorrente.

    «Come pensi di fare?» Chiese.

    «Coprirò la cicatrice di uno di loro. Nessuno deve capire che sono siamesi e, senza la cicatrice non potranno saperlo, perché non possono esistere dei siamesi di sesso opposto.»

    «Ma esistono.»

    «Questo non cambia il fatto che sia impossibile. Non oso immaginare cosa possa capitargli se lo scoprono…»

    Moreau tolse la coperta ai due bambini e Alex si svegliò, sorridendo appena. Dei due era sicuramente il più pacato. Aveva degli occhi incredibili, identici a quelli della sorella, di un colore indeciso tra il grigio e l’azzurro. Anche Clary aveva gli occhi chiari e lo stesso colore di capelli dei due bambini, ma mai guardarla negli occhi aveva dato un brivido gelido a qualcuno, non come accadeva con i due piccoli.

    «Quello tatuato lo darò via. Farò un viaggio, prenderò la metro e troverò una famiglia che se ne voglia occupare. Non possono restare insieme: sono troppo uguali. L’altro lo terrò con me.»

    «E chi vuoi tenere?»

    Quella era la domanda che più lo affliggeva. Nami e Alex erano i suoi figli, quelli che non aveva voluto ma che amava più di quanto amasse se stesso… non poteva sceglierne uno sull’altro.

    «Quello la cui ferita sta meglio, sopporterà meglio l’ago e l’inchiostro.»

    Esaminò a lungo i due bambini, ma la verità era chiara: Nami era già quasi completamente guarita, mentre la ferita di Alex aveva qualche difficoltà in più.

    Serviva un disegno importante, colorato, che coprisse bene, con colori caldi che nascondessero perfettamente la cicatrice ancora rossastra e che avrebbero continuato a mimetizzarla anche una volta schiarita e Moreau optò per un dragone dalle fauci spalancate, un dragone che significasse potenza, avvolto da quel fuoco che da tre anni non riusciva a dimenticare.

    Nemmeno mezzo centimetro di colore e Nami iniziò a piangere, spaventando anche il fratello.

    «Falla stare zitta! Ci scopriranno, uccideranno entrambi!» Strillò sua madre, mentre teneva tra le braccia Alex, nella speranza che non piangesse anche lui.

    Moreau guardò la bambina, sapendo che avrebbe sentito dolore, sapendo che non poteva capire e che tutto il suo mondo, formato da quattro piccole pareti, era diventato improvvisamente confuso ed impossibile, ma doveva andare avanti.

    «Non avere paura Nami: il dragone vi salverà!»

    Si rivolse anche al fratello, sorridendogli.

    «Il dragone vi salverà! Dovete amare il dragone! Vi salverà la vita.»

    Con un nodo alla gola, tappò la bocca alla bambina e continuò il suo dipinto.

    Non si era accorto che due grosse lacrime gli avevano rigato il viso mentre lavorava. L’unica cosa che lo fece stare meglio era sapere d’aver terminato e per non peggiorare il suo umore, non provò nemmeno a guardare il volto di Nami, immaginando soltanto quanto potesse essere terrorizzata e stravolta.

    Coprì il tatuaggio e la prese in braccio.

    «Resta con Alex. Io tornerò a breve.» Ordinò alla madre, sapendo che prima avrebbe separato i gemelli, più possibilità avrebbe avuto.

    Accarezzò la bambina mentre la avvolgeva nella coperta, senza nemmeno salutare il fratello che presto avrebbe cresciuto come suo, pubblicamente.

    Pochi passi sulla strada furono tutto ciò che ebbe prima di sentire dei rumori provenire dalla casa di sua madre.

    Quando si voltò, vide due Guardie che entravano e, senza pensare, tornò indietro.

    Sua madre lottava per non fargli prendere Alex, ma non ci volle molto prima che prendessero il sopravvento e s’impossessassero del corpicino.

    «Avevano detto siamesi… questo è solo.»

    «Ora è solo! Guarda lì!» Disse il secondo, indicando la benda sul ventre di Alex e strappandola via, facendolo piangere. «Scommetto che è una ferita recente.»

    «Li hanno separati… davvero furbi. Ma l’altro bimbo non può essere lontano: questa è una piccola città ed è piena di morti di fame, difficile andarsene con la metropolitana.»

    Il secondo uomo si avvicinò nuovamente alla madre di Moreau e le chiese dove fosse il secondo gemello.

    «Me ne hanno portato solo uno! Solo uno!»

    «Inutile vecchia! Dobbiamo cercare!»

    Moreau si fece da parte, ma venne fermato da una terza Guardia, rimasta fuori.

    «Hai un bambino lì?»

    Nami si era riaddormentata per la fatica e lo stress che il tatuaggio le avevano dato, probabilmente aveva la febbre e Moreau le aveva coperto anche la testa. Aveva un’unica opportunità di salvarla.

    «Una bambina.» Disse solo, alzando coperta e vestitino e lasciando scoperte solamente le gambe e le parti intime, anziché mostrarne il volto.

    «Qui c’è una bambina!» Strillò la Guardia alle altre due.

    «Non ci serve! Cerchiamo un maschio: i due gemelli erano siamesi.»

    «Va bene. Intanto prendete quello. Presto troveremo il fratellino.»

    Moreau rimase immobile finché le Guardie furono oltre l’angolo, lontane dalla casa, da lui, da sua madre, da Nami, in cerca di un bambino che non esisteva, poi crollò.

    Si accasciò a terra tra le lacrime, chiedendo scusa a tutti ed a nessuno, sapendo che non era riuscito a salvare nemmeno Alex e che di quella che doveva essere una splendida famiglia era rimasta solamente una piccola bambina di tre anni.

    Nessuno parlò più di Alex, del fatto che Nami avesse un fratello da qualche parte, di nulla. Lei crebbe credendo, come tutti in città, di essere la figlia di una sorella di Moreau che era deceduta e di essere stata allevata dallo zio.

    Per diciannove anni visse a Buia, accanto a Moreau, amandolo come un padre, finché lui non si ammalò.

    Il dottore era troppo onesto per portarsi tali segreti nella tomba e la fece chiamare poco prima della sua dipartita.

    «Nessuno deve sapere che ti ho mentito Nami.»

    La ragazza lo guardò con curiosità e pietà.

    «Non sei figlia di mia sorella. Io non ho mai avuto una sorella. Robb e Clary sono i tuoi genitori e sono morti il giorno della tua nascita, per salvare te e tuo fratello.»

    «Io non ho un fratello, ricordi zio?»

    «Ricordo bene… ogni cosa.» Rispose con un sorriso amaro. «Si chiamava Alex ed eravate siamesi. Non sono riuscito a salvarlo dal Magistero, ma almeno ho potuto salvare te. Questa città ti ha portato via tutto e tu ancora non lo sai.»

    Raccontò a tratti tutto ciò che era successo, fino alla scomparsa di Alex; non serviva specificare che nessuno lo avrebbe mai più ritrovato, che probabilmente era già morto da tempo.

    «Non parlare a nessuno di quella cicatrice… non possiamo sapere cosa accadrà se qualcuno oserà anche solo sospettare che tu abbia un gemello. Come ti dissi quel giorno: il dragone ti salverà.»

    Solo due giorni dopo, Nami aveva lasciato quella città così detestabile, sperando di poter dimenticare quella storia nel caos della Capitale.

    CAP 2

    Lasciare il buio per un altro buio

    Nami guardò dritta nello specchio; ciò che vide fu il riflesso di una giovane donna di ventun anni dal fisico asciutto, scattante. I capelli biondo miele le scivolavano sui seni piccolini ma tondi e sodi ed i fianchi risultavano sensuali tanto quanto le sue gambe. Occhi color del ghiaccio, in contrasto con la sua pelle ambrata, la fissavano, correndo sulle sue

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