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Attivismo, orgoglio e tradizione ambrosiana: I cattolici nelle fabbriche milanesi dal secondo dopoguerra al Concilio Vaticano II
Attivismo, orgoglio e tradizione ambrosiana: I cattolici nelle fabbriche milanesi dal secondo dopoguerra al Concilio Vaticano II
Attivismo, orgoglio e tradizione ambrosiana: I cattolici nelle fabbriche milanesi dal secondo dopoguerra al Concilio Vaticano II
Ebook554 pages7 hours

Attivismo, orgoglio e tradizione ambrosiana: I cattolici nelle fabbriche milanesi dal secondo dopoguerra al Concilio Vaticano II

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Tra l’inizio degli anni Cinquanta e la metà del decennio successivo la società milanese fu intensamente condizionata e modificata dalla rapida intensificazione del processo di sviluppo economico connesso con l’espansione industriale. All’interno di tale contesto storico, il volume, introdotto dalla prefazione di Giovanni Filoramo, approfondisce le modalità attraverso le quali la Chiesa ambrosiana, guidata da un vescovo sensibile a queste trasformazioni come Giovanni Battista Montini che a Milano ebbe l’unica possibilità di sperimentare sul campo le sue idee pastorali prima di diventare papa assumendo il nome di Paolo VI, reagì agli stimoli al cambiamento innescati dal boom dell’economia italiana e dallo svolgimento del Concilio Vaticano II. Attraverso l’analisi di una documentazione in larga misura inedita integrata dalla lettura di periodici e altri studi, la ricerca descrive una città e una Chiesa che si inseriscono come poche altre in Occidente in un turbolento periodo della storia italiana ed europea in cui la tensione al cambiamento e la volontà di conservare il passato si confrontarono e si scontrarono creando dei fenomeni socio-culturali ed ecclesiali i cui effetti sono in buona parte visibili ancora oggi.
LanguageItaliano
Release dateMay 19, 2017
ISBN9788838245619
Attivismo, orgoglio e tradizione ambrosiana: I cattolici nelle fabbriche milanesi dal secondo dopoguerra al Concilio Vaticano II

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    Attivismo, orgoglio e tradizione ambrosiana - Francesco Ferrari

    Francesco Ferrari

    Attivismo, orgoglio e tradizione ambrosiana

    I cattolici nelle fabbriche milanesi dal secondo dopoguerra al Concilio Vaticano II

    S.T.D

    La collana è peer reviewed

    Copyright © 2017 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 978-88-382-4561-9

    www.edizionistudium.it

    UUID: d1e90b8c-3c9b-11e7-877f-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione di Giovanni Filoramo

    Tavola delle abbreviazioni

    Introduzione

    «Milano è una città seria, che lavora, che vive di una propria riservatezza e religiosità» . La Chiesa ambrosiana tra novità politiche e aggiornamento pastorale

    1. «A Milano si lavora molto ma si prega poco» . Schuster, la diocesi-abbazia e la ricostruzione di Milano

    2. «L’ambiente di Milano attende dai Cristiani degli anni Sessanta una efficace rivelazione della loro fede». Strategie spirituali nella capitale del lavoro

    3. «La sensibilità di Milano su l’ingerenza della Chiesa nella politica è molto viva e a noi sfavorevole». La Chiesa ambrosiana e l’avvio del centro-sinistra nel capoluogo lombardo

    4. «Come aprirsi ai socialisti e revisionare i loro principi marxisti?». Il cattolicesimo ambrosiano e i governi di centro-sinistra di Fanfani e Moro

    «La forza della Chiesa cattolica sta nella sua unità». Il cattolicesimo ambrosiano alla prova del centro sinistra

    1. Il «comune denominatore decisamente cristiano». La Mater et Magistra e la fondazione dell'Ufficio di pastorale sociale

    2. «Non è facile oggi operare la sintesi tra Vangelo e società moderna!». Dissidi e contrasti fuori e dentro il movimento cattolico milanese

    3. «È unanimemente constatata una scarsa presenza cristiana nell'ambiente dei giovani lavoratori». L'azione di apostolato nelle fabbriche della Giac ambrosiana

    «Se mettiamo un sacerdote in fabbrica rischiamo di trasformarlo in un assistente sociale». Cappellani del lavoro a Milano

    1. «La mentalità lombarda è diversa da quella di altre regioni». L’Onarmo di Schuster

    2. «Sacerdoti secondo il Cuore di Cristo». I missionari del lavoro

    3. «Noi abbiamo qui l’impossibilità di svolgere attività d’indole religiosa o assistenziale all’interno degli Stabilimenti». L’Onarmo di Montini

    4. La tradizione ambrosiana nel campo dell’assistenza religiosa e morale agli operai. L’Onarmo di Giovanni Colombo

    Conclusioni

    Fonti

    Bibliografia

    Prefazione di Giovanni Filoramo

    L’Arcidiocesi di Milano, detta ambrosiana dal nome del suo patrono Sant’Ambrogio (340-397), per storia, estensione e struttura ecclesiale è tra le più importanti del mondo ed è la prima diocesi in Europa per numero di cattolici. Essa si estende attualmente su un territorio di 4.234 kmq che comprende le province di Milano, Varese e Lecco, Monza-Brianza, parte di quella di Como e alcuni comuni delle province di Bergamo e Pavia. Ha una popolazione di oltre 5,4 milioni di abitanti ed è composta da 1107 parrocchie, distribuite in 73 decanati, organizzati a loro volta in 7 Zone pastorali.

    La posizione geografica della regione lombarda, la sua importanza politica di prim’ordine, il sovrapporsi, durante i secoli, di diverse stirpi e culture, la partecipazione stessa, continua e attiva, della Chiesa alla vita pubblica, per cui essa poté intrecciare la propria storia con quella del popolo milanese, hanno dato alla Chiesa ambrosiana tale sviluppo da farla assurgere ad un posto preminente fra le chiese e province ecclesiastiche in Italia.

    Anche se la storia di questa diocesi ha avuto, a partire dalla sua figura più prestigiosa, Ambrogio, una serie rilevante di grandi personaggi tra cui spicca san Carlo Borromeo, non si può sfuggire all’impressione che durante il XX secolo essa abbia conosciuto una trasformazione profonda grazie all’azione di alcune grandi figure di vescovi, come il beato Andrea Carlo Ferrari (1893-1921) e il beato Alfredo Ildefonso Schuster (1929-1954), mentre altri due suoi arcivescovi, Achille Ratti (vescovo per sei mesi tra il 1921 e il 1922, poi Pio XI) e il beato Giovanni Battista Montini (1955-1963, poi Paolo VI), sono in seguito diventati papi.

    Quando, alla fine del XIX secolo, il card. Ferrari giunse a Milano, la diocesi contava circa un milione e mezzo di abitanti di cui 406.000 in città; quando nel 1954 vi arrivò Montini, la popolazione della diocesi era salita a più di 3 milioni mentre Milano ormai aveva c. 1.700.000 abitanti. Parallelamente, dalle 703 parrocchie del tempo di Ferrari si era passati alle 896 all’arrivo di Montini.

    La crescita della popolazione era certo stata favorita dal più generale sviluppo economico che caratterizzò l’immediato dopoguerra. Oggi, abituati da lunghi anni di crescita zero, pare impossibile che il prodotto nazionale lordo, a prezzi costanti, dalla fine della seconda guerra mondiale, sia cresciuto in Italia ogni anno a un tasso variabile dal 2,8% del 1952 all’8,4 % del 1961, con una media, per il periodo 1948-1961, del 6,7% annuo e per il 1958/1961 del 7,5: e indubbiamente Milano, con le sue capacità imprenditoriali e commerciali, contribuì in modo decisivo a questo sviluppo. Nel contempo, la crescita della popolazione era dovuta in buona parte al gigantesco processo di migrazione interna che caratterizzò gli anni Cinquanta e in parte anche il decennio successivo. Si trattava di un fenomeno complesso, la cui nota dominante era tuttavia costituita dal riversarsi, spinta dalla sua eccedenza demografica, della popolazione contadina verso i maggiori centri urbani e in modo ancora più accentuato verso le città del triangolo industriale, in particolare Torino, sede della FIAT, e appunto Milano con il suo vasto hinterland. Si assisteva, così, alla definitiva rottura del vecchio mondo rurale, che il fascismo aveva inteso consolidare, facendone un pilastro sociale e ideologico del regime, e le forze politiche della Repubblica, in particolare cattolici e comunisti, si erano preoccupati di conservare il più a lungo possibile.

    La Chiesa ambrosiana, che Montini si trovò ad amministrare, era dunque una grande chiesa, dalle forti strutture, con una tradizione viva, con una spiccata coscienza della propria individualità, che nella prima metà degli anni Cinquanta, mentre viveva, come le altre diocesi italiane, gli ultimi plumbei anni del pontificato di Pio XII, nel contempo stava conoscendo al proprio interno profonde e drammatiche trasformazioni, favorite dai mutamenti economici, sociali e politici che stavano cambiando profondamente il volto dell’Italia repubblicana. Milano, forse più di Torino, grazie alla grande ramificazione della sua rete economica e dei suoi interessi commerciali, era un vero e proprio laboratorio di esperimenti politici, culturali e religiosi, l’epitome di quel Moderno che era al centro degli interessi del nuovo Arcivescovo.

    Forse non si è lontani dal vero affermando che la venuta a Milano rappresentò per Montini il primo contatto pastorale con una realtà urbana e industriale al passo con i ritmi sempre più frenetici dell’innovazione tecnologica. La Chiesa milanese era cresciuta assieme a quelle realtà, le aveva assorbite lungo la sua storia, ne aveva assunto, almeno in parte, la mentalità, si era comunque abituata a confrontarsi con esse, non fosse altro che per criticarne e respingerne gli aspetti alienanti e gli effetti anche sul piano etico più pericolosi per il mondo cattolico e la sua morale tradizionale. Per Montini, invece, fu l’impatto con una realtà nuova ed estranea, il mondo industriale e dunque il mondo concreto del lavoro e delle fabbriche. Di qui una certa esaltazione del problema, come di fronte a una scoperta, avvertibile nei suoi discorsi: Milano gli appariva come la capitale laica del paese, che gli poneva una grande sfida conciliatrice. Di qui, però, anche una certa rigidità nel modo di superare le difficoltà concrete e di gestirle, che si rivelò, effettivamente, un limite e talvolta non si tradusse in efficacia pastorale.

    La ricerca di Francesco Ferrari si colloca su questo sfondo sommariamente evocato con lo scopo precipuo di indagare le iniziative che esponenti e organismi del cattolicesimo milanese promossero verso i lavoratori dell’industria negli anni del miracolo economico italiano e della conclusione del Concilio Vaticano II, sullo sfondo di analoghi tentativi che nel contempo venivano compiuti o erano stati tentati in altre città italiane come Torino o in Francia. E questo, grazie a una ricerca archivistica approfondita e rigorosa basata in particolare sulla documentazione rintracciata nei fondi conservati nell’Archivio storico diocesano di Milano e nell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia Mario Romani dell’Università cattolica. In effetti, furono proprio quelle parti del cattolicesimo milanese impegnate nelle fabbriche ad essere maggiormente esposte ai fermenti di cambiamento: quelle parti che dovevano poi contribuire in modi diversi a costituire il profilo della diocesi ambrosiana nei decenni successivi.

    Dopo aver ricostruito, nel primo capitolo, la controversa e contestata, a cominciare dallo stesso Montini, formazione del centro-sinistra nel capoluogo lombardo, col secondo capitolo si entra nel vivo della ricerca, che ricostruisce gli aspetti principali della pastorale del lavoro di Montini, e in particolare il ruolo svolto dall’Ufficio di pastorale sociale creato dall’Arcivescovo nel 1961 allo scopo di rafforzare il coordinamento delle associazioni diocesane attive in questo ambito. Ferrari riesce a guidare il lettore con mano sicura in questa intricata vicenda, esemplare dei conflitti che laceravano dall’interno la Chiesa milanese, esemplificati al meglio dai contrasti, a un certo punto insanabili, tra le Acli e l’Ucid e dal progressivo deteriorarsi dei rapporti delle prime anche con l’Arcivescovo, portatore di una visione ecclesiologica che, pur possibilista nei confronti di una certa autonomia del laicato e del mondo del lavoro, questa autonomia relativa riconduceva sempre nei confini invalicabili di una ecclesiologia gerarchica.

    Ad uscire particolarmente malconcio da questi dibattiti interni era in fondo il pilastro, anche per Montini irrinunciabile, della dottrina sociale della Chiesa, il cui ruolo centrale le aperture verso l’umanesimo integrale di Maritain e le simpatie verso le correnti più avanzate del cattolicesimo francese certo non scalfivano. Il cap. terzo, dedicato in particolare ad analizzare l’esperienza dei cappellani del lavoro milanesi, costituisce indubbiamente un contributo originale per comprendere meglio questo significativo esperimento di apostolato operaio, ma anche i suoi limiti e le sue interne contraddizioni. Anche nel caso milanese, come per altro nel caso parallelo e più drammatico torinese che si era spinto fino a tentare la via francese dei preti operai, la realtà industriale e secolarizzata si dimostrava molto più avanzata e meno incline a sottomettersi al giogo della dottrina sociale del Magistero. Come per altro doveva dimostrare il sostanziale fallimento della gigantesca missione promossa da Montini, il progresso economico aveva aperto contraddizioni sociali laceranti che esigevano nuove risposte politiche e pastorali. Da questo punto di vista, la particolare vivacità del dibattito e la pluralità di posizioni tipiche della Chiesa milanese durante l’episcopato montiniano, anche se non portarono a una soluzione adeguata alla complessità dei problemi, ci rivelano un mondo ricco e in fermento. L’esame puntuale e approfondito condotto da Ferrari sulla Chiesa ambrosiana nel secondo dopoguerra nel suo rapporto con i lavoratori delle fabbriche e con la struttura industriale della società milanese permette così di scandagliare meglio e più in profondità alcuni tra i più significativi cambiamenti che avrebbero interessato largamente anche in seguito il cattolicesimo e la società italiana a partire dal Concilio.

    Giovanni Filoramo

    Tavola delle abbreviazioni

    Enti e Organizzazioni

    Ac Azione cattolica

    Acli Associazioni cristiane dei lavoratori italiani

    Cedim Centro diocesano immigrati

    Cisl Confederazione italiana sindacati lavoratori

    Dc Democrazia cristiana

    Fuci Federazione universitari cattolici italiani

    Gf Gioventù femminile di Azione cattolica

    Giac Gioventù italiana di Azione cattolica

    Gioc Gioventù operaia cristiana

    Gl Gioventù lavoratrice

    Gs Gioventù studentesca

    Joc Jeunesse ouvrière chrétienne

    Oda Opera diocesana assistenza

    Onarmo Opera nazionale assistenza religiosa e morale agli operai

    Pca Pontificia commissione assistenza

    Pci Partito comunista italiano

    Pli Partito liberale italiano

    Poa Pontificia opera assistenza

    Pri Partito repubblicano italiano

    Psdi Partito socialdemocratico italiano

    Psi Partito socialista italiano

    Ucid Unione cristiana imprenditori e dirigenti

    Ups Ufficio di pastorale sociale

    Archivi

    ASACA Archivio storico dell’Azione cattolica ambrosiana

    ASDM Archivio storico diocesano di Milano

    FS Fondo Schuster

    C Corrispondenza

    UTR Ultimi tempi di un Regime

    FM Fondo Montini

    SE Serie Enti

    SEeI Serie Enti e Istituzioni

    SMEeI Serie Miscellanea Enti e Istituzioni

    SP Serie Prima

    SS Serie Sacerdoti

    FC Fondo Colombo

    ASMSCI Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia

    FA Fondo Acli

    FU Fondo Ucid

    Cart. Cartella

    Fald. Faldone

    Fasc. Fascicolo

    Introduzione

    Nel 1944, in uno dei periodi più difficili della storia di Milano, il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster individuava i pilastri del passato e del presente della città «nella sua fede ambrosiana e nell’industria dei suoi grandi e fiorenti stabilimenti» [1] . Come ha sottolineato Giorgio Rumi, questo non fu semplicemente un accenno determinato dalla complessità del momento, dato che, già a partire dal 1937-1938, il cardinale « individuò nel mondo del lavoro il proprio terreno d’azione» [2] . Schuster, seguendo le prime tendenze favorite dal cardinal Andrea Ferrari, fece in modo che la Chiesa ambrosiana concentrasse una parte notevole della sua attenzione sulle questioni sollevate dalla trasformazione industriale dell’area milanese. Il tumultuoso sviluppo economico che interessò il capoluogo lombardo a partire dall’inizio degli anni Cinquanta orientò le preoccupazioni pastorali anche dei successori di Schuster sulla cattedra di Sant’Ambrogio. L’attenzione per l’impatto dell’industrializzazione sul tessuto sociale e religioso milanese si fuse con le grandi sfide proposte dal concilio Vaticano II e questi due grandi eventi furono al centro dell’impegno episcopale di Giovanni Battista Montini, nominato arcivescovo nel 1954, e di Giovanni Colombo, chiamato da Paolo VI a reggere la diocesi ambrosiana nel 1963.

    La presente ricerca si propone di indagare alcuni aspetti dell’azione che i cattolici milanesi promossero verso i lavoratori dell’industria durante il miracolo economico italiano e la stagione conciliare. A differenza di quanto avvenuto nei Paesi francofoni [3] , in Italia l’analisi dell’impegno dei cattolici nelle fabbriche costituisce un tipo di studi relativamente recente e si è maggiormente concentrata sulle vicende della seconda metà dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento [4] . Negli ultimi decenni, però, la storiografia italiana ha cominciato ad occuparsi di queste tematiche anche nel periodo storico successivo perché storici di diverse sensibilità ne hanno confermato l’interesse non solo nell’ambito della storia della Chiesa ma anche per ciò che riguarda la storia sociale, economica e politica nazionale. Giuseppe Castronovo ha scritto, infatti, che il mutamento dei rapporti tra la gerarchia e il laicato è stato uno dei fenomeni storici più rilevanti della storia italiana nel secondo dopoguerra e tale modifica è attribuibile anche all’industrializzazione [5] . Marta Margotti ha recentemente confermato l’utilità di questi studi poiché «i rapporti tra cattolicesimo e questioni del lavoro [...] possono essere considerati tra i marcatori privilegiati dei cambiamenti avvenuti nella Chiesa del secondo dopoguerra e la loro analisi offre la possibilità di indagare il complesso intreccio creatosi tra crescita economica, mutamenti sociali e decisioni delle istituzioni cattoliche nel primo ventennio dell’Italia repubblicana» [6] . Le sintesi storiche sul contributo dei cattolici al movimento operaio italiano per anni hanno dovuto basarsi sulla pionieristica ricerca realizzata da Giovanni Barra e Maurilio Guasco nel 1967 [7] , per essere poi aggiornate soprattutto grazie ai contributi di Francesco Traniello, Camillo Brezzi e Marta Margotti [8] .

    Tra le realtà locali, il caso torinese è stato quello maggiormente studiato attraverso alcune opere come, ad esempio, il volume di Barbara Bertini e Stefano Casadio, Clero e industria a Torino, e il lavoro di Vito Vita Chiesa e mondo operaio. Torino 1943-1948 [9] . A ciò si aggiungono diverse tesi di laurea che hanno analizzato l’argomento prendendo in considerazione gli anni Cinquanta e Sessanta fino alla chiusura del concilio Vaticano II [10] . Marta Margotti, con il suo La fabbrica dei cattolici, ha riassunto i lavori precedenti ed ha analizzato le principali organizzazioni cattoliche impegnate nelle aziende torinesi tra il 1948 e il 1965, con un’attenzione particolare per i cappellani del lavoro e per la loro attività alla Fiat [11] . Per quanto riguarda il contesto ambrosiano, invece, non è ancora stata realizzata una sintesi complessiva che analizzi il ruolo dei cattolici nelle fabbriche milanesi. Ada Ferrari, nel suo La civiltà industriale. Colpa e redenzione del 1984 [12] , ha esaminato vari aspetti dello sviluppo del pensiero sociale dei cattolici ambrosiani più attenti ai problemi del mondo del lavoro come, ad esempio, Mario Romani o monsignor Giovanni Battista Guzzetti, durante l’episcopato Schuster. Le principali biografie di quest’ultimo forniscono solo alcuni accenni sul movimento sociale cattolico ambrosiano impegnato nelle fabbriche [13] ma preziose informazioni, utilizzabili anche per gli episcopati successivi, si possono trovare nel contributo di Rumi al volume curato da Caprioli, Rimoldi e Vaccaro sulla vicenda storica della diocesi ambrosiana [14] , nel quinto volume della storia della Chiesa ambrosiana di monsignor Angelo Majo [15] e nella vita di monsignor Giuseppe Bicchierai scritta da Amelia Belloni Sonzogni [16] .

    La storiografia ha prestato molta più attenzione all’impegno del vertice diocesano milanese nel contesto industriale durante l’episcopato montiniano e, in questo senso, riveste una notevole importanza il volume del 1988 Giovanni Battista Montini. Religione e lavoro nella Milano degli anni ’50 di Giselda Adornato che ha ricostruito con precisione numerosi aspetti del pensiero e dell’azione dell’arcivescovo verso i lavoratori [17] . Grande rilevanza ha anche la raccolta di saggi curata da Adriano Caprioli e Luciano Vaccaro dal titolo Lavoro ed economia in G. B. Montini, arcivescovo di Milano pubblicata nel 1989 [18] . In questo volume, una nutrita serie di contributi, come quelli di Marino Catella, Ferdinando Citterio, Giselda Adornato e Lorenzo Cantù, sottolineano i rapporti tra il vertice diocesano, l’associazionismo cattolico impegnato nelle fabbriche e il mondo imprenditoriale. Sono stati raccolti anche tutti i discorsi dell’arcivescovo [19] tra i quali Giselda Adornato ha selezionato quelli rivolti ai lavoratori pubblicandoli, corredati di apparato critico e commento, nel 1988 [20] . Numerosi accenni all’impegno di Montini verso gli operai della diocesi ambrosiana si possono trovare anche nel sempre valido lavoro di Giorgio Rumi del 1988 intitolato Lombardia guelfa [21] , nelle principali e numerose biografie del futuro Paolo VI [22] e nei due volumi, curati da Gilles Routhier, Luca Bressan e Luciano Vaccaro, sul concilio Vaticano II a Milano [23] . Per quanto riguarda il successore di Montini nella diocesi ambrosiana, sono stati raccolti i discorsi di Colombo al mondo del lavoro [24] .

    Tra le principali associazioni del laicato impegnate nelle aziende quelle maggiormente studiate sono l’Azione cattolica e le Acli. Per ciò che riguarda l’Ac, sono state pubblicate diverse monografie che hanno analizzato la situazione a livello nazionale [25] , mentre sono stati realizzati alcuni lavori che hanno esaminato l’Azione cattolica ambrosiana, come quello di Guido Formigoni e Giorgio Vecchio oppure la ricerca di Marta Busani che si è concentrata su Gioventù studentesca [26] . Anche in questo caso, però, l’attenzione degli storici non si è rivolta specificamente verso i raggi lavoratori dell’Azione cattolica e, solo recentemente, si è cominciato ad indagare la vicenda del movimento Giovani lavoratori della Giac ambrosiana che ha trovato posto nel volume di Busani e in un articolo di Maria Bocci [27] . Per quanto concerne le Acli, sono state eseguite indagini approfondite dei primi anni del loro sviluppo [28] , cui si è affiancata l’edizione dei verbali del Consiglio di presidenza curata da Carlo Felice Casula [29] . Manca ancora una ricostruzione esauriente della vicenda delle Acli milanesi negli anni Cinquanta e Sessanta, così come è inesplorata l’analisi dell’Ucid.

    Molta attenzione è stata dedicata alla Cisl nazionale [30] e alle sue sezioni locali, in particolare quella torinese, che alla fine degli anni Cinquanta vide la scissione del Sindacato italiano dell’auto (Sida) [31] , e quella milanese [32] . L’analisi della storia movimento operaio in alcune città industriali ha considerato anche il ruolo avuto in esso dai cattolici e ciò è visibile in taluni studi sui militanti e le organizzazioni operaie in Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna che contengono riferimenti generalmente limitati all’attività dei sindacalisti cattolici [33] . Recentemente, è stata approfondita l’analisi dei rapporti tra Cgil e mondo cattolico [34] , mentre, come si vedrà meglio nel terzo capitolo, è del tutto assente una ricostruzione della vicenda dell’Onarmo e dei cappellani del lavoro italiani, che si basa ancora sul testo di Virginia Delmati del 1962 e su due articoli di Maurizio Romano pubblicati sul Bollettino per la storia del movimento sociale cattolico in Italia [35] .

    Come dimostrano queste brevi note bibliografiche, l’impegno dei cattolici nelle fabbriche milanesi tra il secondo dopoguerra e la conclusione del Vaticano II non è stato ancora oggetto di ricerche storiche complessive. L’eccezionalità dello sviluppo industriale milanese e le precoci intuizioni pastorali di Montini conferirono al cattolicesimo ambrosiano un profilo particolare nella realtà italiana. La Chiesa milanese costituisce quindi un laboratorio privilegiato in cui osservare le trasformazioni che accompagnarono il tramonto di un’epoca segnata da grandi mutamenti socio-economici e dalla maturazione di numerose tensioni che caratterizzarono il cattolicesimo nell’ultima fase del pontificato di Pio XII. Il capoluogo lombardo fu uno dei centri europei di questa contrasta fase di transizione che influì profondamente sulla Chiesa ambrosiana e, in particolare, sui suoi settori maggiormente a contatto con i fenomeni di modernizzazione. Si può pertanto sostenere che furono proprio quelle parti del cattolicesimo milanese impegnate nelle fabbriche a essere maggiormente esposte ai fermenti di cambiamento e contribuirono, anche se in misura non univoca, a disegnare il profilo della diocesi ambrosiana dei decenni successivi.

    Esaminare la Chiesa ambrosiana nel secondo dopoguerra nel suo rapporto con i lavoratori delle fabbriche e con la struttura industriale della società permette così di scandagliare i cambiamenti che avrebbero interessato largamente in seguito anche il cattolicesimo e la società italiana. L’elezione al soglio pontificio di Montini, il quale a Milano svolse la sua prima e unica esperienza episcopale prima di diventare papa, rende ancora più interessante l’analisi del contesto ambrosiano, permettendo di comprendere meglio alcune delle posizioni e delle scelte sostenute da Paolo VI e proiettando l’influenza delle vicende accadute nella diocesi lombarda oltre i confini nazionali. Montini, del resto, si interessò in modo particolare dei problemi del mondo del lavoro milanese che, come ha scritto Giselda Adornato, fu «assunto nella visione montiniana a categoria più direttamente caratterizzante il mondo moderno e sede di problemi fondamentali del XX secolo» [36] .

    Questo studio si è largamente appoggiato sulla documentazione rintracciata nei fondi conservati nell’Archivio storico diocesano di Milano [37] e nell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia Mario Romani dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, oltre che su una discreta serie di monografie e altre fonti a stampa. Sulla base di queste fonti si è cercato di chiarire alcuni aspetti centrali della vicenda dei cattolici ambrosiani nelle fabbriche iniziando con un’analisi dell’impatto che ebbe su questi ambienti religiosi il dibattito e l’avvio del centro-sinistra che fu inaugurato a Milano nel gennaio del 1961. Successivamente, si è esaminata la storia dell’Ufficio di pastorale sociale, l’organismo creato da Montini nel 1961 per coordinare e rendere più coesa la rete associativa cattolica impegnata nelle aziende. Oltre a ciò, si sono studiati le tensioni tra le varie organizzazioni del laicato e, in particolare, quelli tra le Acli e l’Ucid e si è ripercorsa la vicenda del raggio lavoratori della Giac ambrosiana. Nell’ultima parte, si è ricostruita l’esperienza dei cappellani del lavoro a Milano. Si trattò di un tentativo per avvicinare il mondo del lavoro su cui il vertice diocesano investì notevoli energie, ma che fu anche al centro di molte traversie. Data l’assenza di studi su questo originale esperimento di apostolato operaio, sono stati descritti gli esordi nell’immediato secondo dopoguerra, le concezioni del ministero sacerdotale vissuto in fabbrica diffuse in diocesi e i numerosi contrasti verificatisi durante l’episcopato montiniano tra gli orientamenti milanesi e le tendenze prevalenti nella direzione generale dell’Onarmo e in alcuni settori della curia romana.

    Questo volume, frutto della mia tesi di dottorato, è stato reso possibile dalla costante guida e dai preziosi consigli della professoressa Marta Margotti. A lei e al professor Umberto Mazzone vanno i miei più sentiti ringraziamenti che si uniscono al debito di riconoscenza che nutro verso il professor Giovanni Filoramo, il quale ebbe l’intuizione da cui questo lavoro è partito nel 2011 e mi ha fatto l’onore di scriverne la presentazione. I miei studi non sarebbero stati possibili senza il fondamentale supporto di monsignor Bruno Maria Bosatra, del dottor Fabrizio Pagani e di tutto il personale dell’Archivio storico diocesano di Milano, valenti custodi di un vero e proprio tesoro documentario che conservano in un clima estremamente gradevole e cordiale. Rivolgo poi un pensiero riconoscente alla dottoressa Vanessa Pollastro, al professor Claudio Besana e a tutti coloro che, in questi anni, ho incontrato all’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, la cui competenza e cortesia rimarrà sempre per me uno degli aspetti più cari di questo periodo di ricerche. Ringrazio anche Simone Bocchetta per la professionalità e gentilezza con cui lui e la sua casa editrice hanno accolto e seguito la redazione di questo volume. Nel corso del dottorato, molte persone mi hanno dato utili consigli e, tra queste, ricordo: Giselda Adornato, Edoardo Bressan, Cristiana Facchini, Maria Malatesta, Grado Giovanni Merlo, Gian Luca Potestà, Maurizio Romano, Daniela Saresella, Giorgio Vecchio, Francesco Saverio Venuto, Eliana Versace e Paola Vismara. Ringrazio, infine, la mia famiglia che mi ha sempre supportato e validamente consigliato.

    Torino, 9 gennaio 2017


    [1] Cfr. in «Rivista Diocesana Milanese», 33 (1944) p. 46.

    [2] G. Rumi, Il tesoro vitale della nostra verità. Da Achille Ratti a Giovanni Battista Montini (1921-1963) in A. Caprioli, A. Rimoldi e L. Vaccaro (a cura di), Storia religiosa della Lombardia. Diocesi di Milano, II Parte, La Scuola, Brescia 1990, p. 832.

    [3] Cfr., tra i numerosi titoli, R. Wattebled, Strategies catoliques en monde ouvriere dans la France d’apres-guerre, Editions Ouvrieres, Parigi 1990; E. Gerard e P. Wynants (dir.) Histoire du mouvvement ouvriere chretien en Belgique, 2 vol., Leuven University Press, Leuven 1994.

    [4] Cfr. M. Reineri, Cattolici e fascismo a Torino, Feltrinelli, Milano 1978; A. Erba, Preti del sacramento e preti del movimento, Angeli, Milano 1984.

    [5] G. Castronovo (a cura di), Italia contemporanea 1945-1975, Einaudi, Torino 1976, p. XX.

    [6] M. Margotti, La fabbrica dei cattolici, Edizioni Angolo Manzoni, Torino 2012, p. 23.

    [7] G. Barra e M. Guasco, Chiesa e mondo operaio. Le tappe di un’evoluzione. Da don Godin ai preti operai ai preti al lavoro, Gribaudi, Torino 1967.

    [8] F. Traniello, Cultura cattolica e movimento operaio in Italia in Cultura cattolica ed egemonia operaia, Coines, Roma 1976; C. Brezzi, Movimento cattolico e questione operaia in F. Traniello e G. Campanini (diretto da), Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. 1860-1980, 1/2, Marietti, Torino 1984, pp. 63-72; M. Margotti, Cattolicesimo italiano e questione operaia nel secondo dopoguerra, in «Contemporanea», 2012, 2, pp. 235-259.

    [9] B. Bertini e S. Casadio, Clero e industria a Torino. Ricerca sui rapporti tra clero e masse operaie nella capitale dell’auto dal 1941 al 1948, Angeli, Milano 1979; V. Vita, Chiesa e mondo operaio. Torino 1943-1948, Effatà, Cantalupa 2003.

    [10] Cfr. A. Famà, Storia dei preti operai in Italia. Secolarizzazione e clero, tesi di laurea, rel. M. Guasco, Università degli studi di Torino, Facoltà di Magistero, a.a. 1993-1994; T. Panero, Per una storia della GIOC, tesi di laurea, rel. F. Traniello, Università degli studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1978-1979; F. Ferrari, Riformare la tradizione: il cattolicesimo torinese alle soglie del concilio Vaticano II (1959-1962), tesi di laurea magistrale, rel. G. Filoramo, Facoltà di Lettere e filosofia, Università degli studi di Torino, a.a. 2010-2011.

    [11] M. Margotti, La fabbrica dei cattolici, cit. Nelle conclusioni, Margotti invita a un supplemento di indagine poiché «l’analisi sistematica di fonti a stampa e dei documenti d’archivio [...] rende evidente l’esistenza di alcune zone d’ombra finora non adeguatamente indagate: la prosecuzione della ricerca in questo ambito potrebbe offrire nuovi spunti di analisi in grado di approfondire il complesso rapporto tra religione e società moderna». Cfr. ibid., p. 285.

    [12] A. Ferrari, La civiltà industriale. Colpa e redenzione, Morcelliana, Brescia 1984.

    [13] Cfr. T. Leccisotti, Il cardinale Schuster, 2 vol., Scuola Tipografica San Benedetto, San Giuliano Milanese (Mi) 1969; G. Rumi e A. Majo, Il cardinal Schuster e il suo tempo, NED, Milano 1996; A. Majo, Gli anni difficili dell’episcopato del card. A.I. Schuster, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1996.

    [14] G. Rumi, Il tesoro vitale della nostra verità. Da Achille Ratti a Giovanni Battista Montini (1921-1963), cit., pp. 817-846.

    [15] A. Majo, Storia della Chiesa ambrosiana, vol. V Dal card. Ratti ai giorni nostri, NED, Milano 1986, pp. 45-162.

    [16] A. Belloni Sonzogni, Giuseppe Bicchierai. Sacerdote e manager a Milano (1898-1987), Franco Angeli, Milano 1999, pp. 170-280.

    [17] G. Adornato, Giovanni Battista Montini. Religione e lavoro nella Milano degli anni ’50, Morcelliana, Brescia 1988.

    [18] A. Caprioli e L. Vaccaro (a cura di), Lavoro ed economia in G. B. Montini, arcivescovo di Milano, Morcelliana, Brescia 1989.

    [19] X. Toscani (coord.), Discorsi e scritti milanesi. 1954-1963, 4 vol., Istituto Paolo VI-Studium, Brescia 1997-1998.

    [20] G. Adornato (a cura di), Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano. Al mondo del lavoro. Discorsi e scritti (1954-1963), Quaderni dell’Istituto [Paolo VI di Brescia], 6, Studium, Roma 1988.

    [21] G. Rumi, Lombardia guelfa, Morcelliana, Brescia 1988, pp. 213-241.

    [22] Tra le numerose biografie di Montini, la più recente è quella di G. Adornato, A. Gianni e L. Vaccaro (a cura di), Paolo VI beato: l’uomo, l’arcivescovo, il Papa, Fondazione ambrosiana Paolo VI, Busto Arsizio (Va) 2014.

    [23] G. Routhier, L. Bressan e L. Vaccaro, Da Montini a Martini: il Vaticano II a Milano , 2 vol., Morcelliana, Brescia 2012-2016.

    [24] L. Volontè (a cura di), Cardinale Giovanni Colombo. Discorsi al mondo del lavoro. Coscienza cristiana e società «produttivistica», Massimo, Milano 1992.

    [25] L. Ferrari, L’Azione cattolica in Italia dalle origini al pontificato di Paolo VI, Queriniana, Brescia 1982; G. De Antonellis, Storia dell’Azione cattolica, Rizzoli, Milano 1987; G. Formigoni, L’Azione cattolica italiana, Àncora, Milano 1988; M. Casella, L’Azione cattolica nell’Italia contemporanea, 1919-1969, Ave, Roma 1992.

    [26] G. Formigoni e G. Vecchio , L’Azione cattolica nella Milano del Novecento, Rusconi, Milano 1989; M. Busani, Gioventù studentesca. Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione, Studium, Roma 2016.

    [27] M. Bocci, Il nostro tempo «non ammette una ordinaria amministrazione». L’arcivescovo Montini e i fermenti della Chiesa milanese, in «History of Education & Children’s Literature», XI, 1 (2016), pp. 291-323.

    [28] V. Pozzar, Quarant’anni di Acli, 1944-1963, Edizioni Lavoro, Roma 1985; Acli 50 1945-1995, Roma 1995; D. Rosati, L’incudine e la croce. Mezzo secolo di storia delle Acli, Sonda, Torino 1994; M. Maraviglia (a cura di), Acli, Cinquant’anni di presenza nella Chiesa e nella società italiana, San Paolo, Roma 1996; C.F. Casula, Le Acli: una bella storia italiana, Anicia, Roma 2008; A. Boschini, Chiesa e ACLI, Edizioni Dehoniane, Napoli 1975.

    [29] C.F. Casula, Le frontiere delle Acli, Pratiche sociali e scelte politiche. I verbali del Consiglio di presidenza, 1944-1961, Edizioni Lavoro, Roma 2001.

    [30] Lavoratori cattolici e sindacato, Edizioni Lavoro, Roma 1979; G. Acocella, Storia della Cisl, Edizioni Lavoro, Roma 1981; M. Carbognin, L. Paganelli (a cura di) il sindacato come esperienza. La CISL nella memoria dei suoi militanti, Edizioni Lavoro, Roma 1981; P. Trionfini, La laicità della CISL. Autonomia e unità sindacale negli anni Sessanta, Morcelliana, Brescia 2014.

    [31] M. Filippa, S. Musso e T. Panero, Bisognava aver coraggio, Le origini della Cisl a Torino, 1945-1952, Edizioni Lavoro, Roma 1991; F. Gheddo, La Fim e la Cisl a Torino: l’esperienza alla Fiat e nel territorio dagli anni Cinquanta al contratto del 1963, Edizioni Lavoro, Roma 1977. Per il Sida, cfr. G. Fissore, Dentro la Fiat: Il Sida-Fismic. Un sindacato aziendale, Edizioni Lavoro, Roma 2001.

    [32] G. Cortella, Storia della Cisl di Milano, Lavoro, Roma1989; C. Baglioni e C. Corbari (a cura di), Autonomia e contratti. Storie di sindacalisti della Cisl in Lombardia, Edizioni Lavoro, Roma 2006.

    [33] Cfr. ad esempio, A. Agosti e G.M. Bravo (a cura di), S toria del movimento operaio, del socialismo e delle lotte operaie in Piemonte, vol. 4, Dalla Ricostruzione ai giorni nostri, Di Donato, Bari 1981.

    [34] G. Ghezzi (a cura di), La Cgil e il mondo cattolico, Ediesse, Roma 2008.

    [35] [V. Delmati], L’Onarmo. L’idea e l’opera, Roma 1962; M. Romano, Pastorale del lavoro, patronato e servizio sociale: l’Opera nazionale assistenza religiosa e morale agli operai (ONARMO), in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», a. XLI, n. 3 (settembre-dicembre 2006), pp. 317-338, e M. Romano, Assistenza sociale e apostolato sacerdotale nel mondo del lavoro: l’esperienza dell’ONARMO, in «Bollettino dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia», a. 48, n. 1-2 (gennaio-agosto 2013), pp. 170-188.

    [36] G. Adornato, Giovanni Battista Montini. Religione e lavoro nella Milano degli anni ’50, cit., p. 107.

    [37] In questa sede sono depositati anche i fondi provenienti dall’Archivio dell’Azione cattolica ambrosiana.

    «Milano è una città seria, che lavora, che vive di una propria riservatezza e religiosità» . La Chiesa ambrosiana tra novità politiche e aggiornamento pastorale

    Nota al titolo [1]

    L’apparato industriale italiano uscì profondamente provato dalla guerra, anche perché, già negli ultimi due anni del conflitto, la produzione manifatturiera era diminuita di oltre il 50 per cento rispetto al livello raggiunto nel biennio 1941-1942. Dopo la cessazione dei combattimenti, l’attività produttiva si era drasticamente ridotta; tuttavia la guerra aveva inferto danni limitati agli impianti e ciò favorì una ripresa relativamente rapida che nel 1947 raggiunse i valori conseguiti nel 1940. Per quanto riguarda i settori industriali e le forze economiche, il processo ricostruttivo si sviluppò in continuità con il periodo pre-bellico: ciò, da un lato, rese possibile una veloce ripresa e, dall’altro, lasciò intatta la struttura industriale che si era affermata nel primo quarantennio del Novecento e, in particolare, negli anni Dieci e nella prima metà degli anni Trenta [2] . In quel periodo, infatti, si verificò un marcato processo di sviluppo degli impianti produttivi che permise all’Italia di entrare nel novero delle Nazioni industrializzate e si formarono i caratteri distintivi dell’imprenditoria italiana. Tra le due guerre mondiali, la struttura industriale si consolidò attorno a un ristretto numero di grandi imprese, il cui successo risiedeva nella loro posizione di monopolio svolta sul mercato nazionale e, in particolare, nel comparto dell’industria automobilistica, nella chimica, nella gomma e nell’industria elettrica. Quest’ultimo settore assunse «una posizione di assoluto predominio nel sistema industriale italiano» [3] e tale preminenza si accentuò nel secondo dopoguerra a causa delle crescenti esigenze di energia necessaria per sostenere prima la ricostruzione e poi la ripresa industriale con la prepotente emersione del maggior gruppo privato raccolto intorno alla Edison.

    L’Italia repubblicana ereditò i problemi che la politica autarchica della fine degli anni Trenta aveva cercato di mascherare, ovvero «una debole cultura industriale, una forte concentrazione territoriale degli insediamenti, il ritardo tecnologico di ampia parte dell’apparato produttivo nazionale, la ristrettezza dell’occupazione industriale e del mercato interno, una frammentata dotazione infrastrutturale» [4] . In questa complessa situazione si inserirono gli aiuti statunitensi per la ricostruzione postbellica che furono subito colti dalla grande industria italiana e, in particolare, dalla Fiat e dall’impresa elettrica. Il supporto fornito dagli Usa fu dunque in larga misura intercettato dalle grandi aziende più attrezzate e pronte ad un impiego proficuo degli aiuti americani; tuttavia ciò alimentò gli squilibri tecnico-dimensionali e territoriali della struttura produttiva, divisa tra un ristretto nucleo di grandi imprese integrate e modernamente attrezzate e una miriade di piccole unità produttive «il cui orizzonte tecnologico e commerciale raramente supera[va] i confini di un angusto mercato locale» [5] . Oltre alla divaricazione tra i diversi tipi di industrie, tale gestione degli aiuti statunitensi favorì sia il divario produttivo e sociale tra il Nord, dove erano concentrate le aziende più moderne, e il Sud dominato da una struttura economica tradizionale, sia il consolidamento del ruolo preminente delle grandi famiglie imprenditoriali.

    Tra le varie connotazioni del tessuto industriale nazionale forse «la caratteristica peculiare della situazione italiana e il discrimine principale su questo versante si pone, però, tra industria privata e industria pubblica» [6] . La crisi bancaria dei primi anni Trenta portò sotto il controllo statale le maggiori banche italiane (Banca commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma e la Banca Nazionale del Lavoro) e un rilevante numero di aziende industriali. Tale situazione fu istituzionalizzata dal fascismo nel 1937 con la trasformazione in ente permanente dell’Iri che sancì la presenza diretta dello Stato nell’industria manifatturiera. Nell’immediato secondo dopoguerra, si avviò un dibattito sull’imprenditoria pubblica italiana e l’ipotesi di radicale smantellamento incontrò scarsi consensi «anche nel mondo imprenditoriale» [7] . La classe dirigente repubblicana dimostrò di non voler cancellare il ruolo dello Stato nell’attività industriale: ciò fu ufficialmente confermato dalla revisione degli Statuti dell’Iri completata nel 1948 che assegnò al Consiglio dei ministri la facoltà di definire l’azione dell’Istituto e di nominare il presidente, il vicepresidente e il direttore generale dell’ente. In precedenza, il 15 dicembre 1947, il governo De Gasperi aveva riunito nella Finmeccanica le partecipazioni dell’Iri nelle aziende del comparto meccanico dell’ente allo scopo di avviare la razionalizzazione del settore. Successivamente, l’esecutivo risolse anche la spinosa questione dell’Agip nominando Marcello Boldrini ed Enrico Mattei rispettivamente presidente e vicepresidente, smentendo così le ipotesi di privatizzazione dell’ente petrolifero. Attraverso queste decisioni, il governo manifestò la volontà di riaffermare la presenza autonoma e attiva dell’impresa pubblica nel panorama industriale italiano sulla base di specifiche strategie aziendali di sviluppo. Ciò fu ulteriormente ribadito nel 1953, quando venne costituito l’Ente nazionale idrocarburi (Eni) che riuniva le aziende pubbliche operanti nel campo (Agip, Romsa, Anic, Snam, Enm) e a cui fu affidata la gestione esclusiva della ricerca e dello sfruttamento di idrocarburi nella Pianura padana. La legge istitutiva del nuovo ente, approvata nel gennaio 1953, chiariva la funzione pubblica dell’azione dell’Eni: la sua fondazione segnò una tappa importante nella «definizione di ruoli e confini tra impresa pubblica e privata e in quel processo di riorientamento politico avviatosi alla fine degli anni Quaranta e che ha per principale protagonista il maggior partito di governo» [8] .

    Queste caratteristiche giunsero sostanzialmente intatte alle soglie «di quel processo di sviluppo e trasformazione che in circa un ventennio ha profondamente mutato il volto dell’industria e con esso quello di tutta l’economia italiana» [9] . La data di inizio di tale fenomeno è convenzionalmente individuata nel 1953 perché l’anno precedente si esaurì la fase recessiva determinata dalla cosiddetta onda coreana e giunsero a termine gli interventi collegati al piano Erp. Ciò che fece del 1953 l’anno della svolta furono però soprattutto le scelte politiche e imprenditoriali che segnarono il corso dello sviluppo economico italiano attraverso la creazione dell’Eni, della Cassa per il Mezzogiorno che diede un forte impulso all’industrializzazione del Sud e l’avvio del piano di investimenti di 300 miliardi di Lire approntato dalla Fiat per lo stabilimento di Mirafiori. Quest’ultima decisione portò a compimento il progetto perseguito fin dall’immediato dopoguerra da Vittorio Valletta, presidente della Fiat dal 1946, il quale era convinto assertore delle possibilità di crescita dell’industria meccanica ed automobilistica italiana grazie al basso costo della manodopera e alla possibilità di introdurre le innovazioni tecnologiche sviluppate dall’industria statunitense. Davanti all’Assemblea costituente, Valletta spiegò, infatti, che il suo progetto intendeva triplicare la produzione automobilistica, puntando sulle piccole vetture ed effettivamente l’espansione del parco macchine circolanti in Italia fu particolarmente rapido dopo la seconda guerra mondiale. Il numero di automobili ogni mille abitanti raddoppiò tra il 1931 e il 1951, passando da 4,5 a 8,95, aumentò di cinque volte nel corso del decennio successivo arrivando a 48,4 e di altre quattro volte negli anni Sessanta superando quota 200 autovetture ogni mille abitanti [10] .

    La linea seguita da Valletta e da molti altri imprenditori influenzò lo sviluppo economico italiano: nell’immaginario collettivo quel periodo storico fu incarnato da due prodotti della Fiat come la Seicento e la Cinquecento, la cui diffusione fu il segnale «dell’affermazione anche in Italia di un mercato dei prodotti di massa e di un modo di produzione fondato sulle grandi unità produttive e sui prodotti in serie» [11] . Il rafforzamento dell’imprenditoria italiana fu condizionato anche dal ruolo svolto dallo Stato, ribadito dallo Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-1964, noto come Schema Vanoni: esso individuava nella disoccupazione e nello squilibrio territoriale dello sviluppo industriale i principali problemi dell’economia italiana, la cui soluzione comportava una coerente ed esplicita iniziativa statale di indirizzo,

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