Soft Machine 1968-1981
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Reviews for Soft Machine 1968-1981
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Book preview
Soft Machine 1968-1981 - Carlo Pasceri
cpasceri@libero.it
Nella stessa collana
Già pubblicati:
1) Miles Davis - Kind of Blue
2) John Coltrane - A Love Supreme
3) Miles Davis - Bitches Brew
4) Return To Forever - Hymn Of The Seventh Galaxy
5) Pink Floyd - Wish You Were Here
6) Led Zeppelin – Houses Of The Holy
7) Deep Purple – In Rock
8) King Crimson – Red
9) Genesis 1970-1976
10) Pink Floyd 1967-1972
Prefazione
Siamo giunti all’undicesimo volume di Dischi da leggere. Undici, come gli album realizzati durante la loro storia dai Soft Machine: un gruppo-non gruppo, senza un vero e proprio leader con cui identificarsi e dietro il quale schermirsi, un collettivo con un’idea precisa sin dai loro esordi nella provincia inglese. Sempre diversi, anno dopo anno, ma sempre uguali nell’ostinata ricerca della musica di grande qualità. Qualche caduta di tono, specie negli ultimi anni, perdonabile considerando gli enormi esiti raggiunti in precedenza e le gravi defezioni che via via hanno costellato la vicenda di questo meraviglioso ensemble musicale.
Undici dischi, quelli inclusi in questo volume, che vengono raccontati con la consueta competenza e passione da Carlo Pasceri che, lo sveliamo, da grande appassionato dei Softs, ha messo il cuore in questo scritto. Come di consueto, per apprezzare al meglio i contenuti del testo e le meraviglie musicali celate negli album, consigliamo la lettura del libro di pari passo con l’ascolto dei dischi.
Ricco il parco degli approfondimenti: allo sguardo critico sulla scena (?) di Canterbury, si affianca il racconto della nascita e lo sviluppo del minimalismo in musica, di cui i Soft Machine, sul versante Rock, sono stati buoni alfieri. E poi una breve ma incisiva panoramica dei bootleg più o meno ufficiali in commercio. Nel libro si troveranno spesso citati i concetti di musica modale e tonale: abbiamo ritenuto necessario inserire un approfondimento che sarà utile soprattutto per coloro che non hanno troppa familiarità con la teoria musicale.
Non vi resta che immergervi tra le pieghe della musica della macchina soffice. Buona letturascolto!
Antonio Lisi
Introduzione
1968-1978 (con l’appendice del disco pubblicato nel 1981, Land of Cockayne): questo è il tempo trascorso per la pubblicazione di undici dischi di un gruppo che ha accumulato più di un primato.
Alcuni: da brani brevissimi di circa dieci secondi nel Volume Two, a Third che è diviso in quattro lunghe composizioni, una per ogni lato del doppio vinile, in pratica quattro suite; è il gruppo che prima di altri ha usato loop minimalistici in modo esteso e continuato; è il gruppo rock più jazz di tutti: da qui una serie di cause ed effetti.
Infatti, un altro primato è quello di un gruppo, pure in fede al suo nome, perfettamente plasmato e plasmabile nei termini dei suoi componenti: continuamente permeato da rinnovamenti nella sua line-up con ospiti più o meno assidui, ma soprattutto nel suo nucleo; solo per due dischi ha mantenuto la stessa formazione (Third e Fourth).
E questo non senza evidenti conseguenze artistiche: dal primo al quarto disco, in soli quattro anni, una progressiva metamorfosi pressoché totale, continuando a mutare… nessuno come loro.
Un autentico e formidabile gruppo-laboratorio di ricerca e sviluppo musicale che ha lasciato complessivamente un’opera tra le più dilatate e dense dei suoi fattori costitutivi, i Soft Machine sono inter-generi tra Rock, Jazz e Avanguardia novecentesca (rumorista-minimalista), mantenendo una cifra inconfondibile. Sono un congegno duttile così sofisticato che è in grado di modellarsi per ogni occorrenza.
Loro hanno dimostrato di essere molto jazzy dagli albori del loro percorso discografico, non solo perché detentori di un’elasticità esecutiva di estemporanee variazioni che non appartiene ai musicisti rock, più rigidi, ma anche per un’attitudine straordinaria alla destrutturazione/ristrutturazione delle proprie composizioni (peraltro di notevole spessore costitutivo), che dal vivo si evidenzia ancor di più. Una continua elaborazione del materiale musicale.
Il Jazz ha due complementari e contemporanee procedure di approccio alla musica, quella tangenziale, rapida, e quella più lenta che scava in verticale; il fine è tentare la narrazione di una storia sempre differente che si manifesta e compie allo stesso tempo nelle improvvise divagazioni dal solco della pagina scritta, interagendo con gli altri, sia per la ritmica
(che accompagna) sia per il solista: imprevedibili lampeggiamenti di punti su molte traiettorie che intersecano la linea di orizzonte, ottenendo una sincopata polifonia carica di messaggi enigmatici da svelare.
Questo tipo di continua tensione applicata ai poli del sistema procedurale del fare musica è sintomo di grande energia creativa, ma potenziale, che riesce ad acquisire qualità cinetica solo nel divenire del momento e si compie al termine dell’esperimento. Dunque questa capacità di trasformazione d’identità fornita dalla diffusa pratica d’improvvisazione e variazioni compositive, con addirittura continui mutamenti di organico, è di fatto una cortocircuitante forza energetica tale che essa stessa consente a chi la applica di non temere di perderla, per tentare di ricomporla. Ciò è cosa rara, pure negli artisti di discendenza jazz non è incessantemente presente, tantomeno per sempre. Si esaurisce. Per i Soft Machine è durata alcuni anni.
Kevin Ayers, Robert Wyatt, Mike Ratledge
Macchina soffice così duttile da essere in grado di elargire moltissime gioie musicali ad amplissimo raggio, sia per chi è più appassionato di composizioni complesse, chi di quelle incantevoli minimalistiche o di controllati caos, astratti o incisivi riff, ricerche timbriche e manipolazioni sonore, complicati obbligati, temi cantabili, notevoli interazioni e improvvisazioni. A ben pensarci nella storia musicale pochissimi così e a questo livello, creativo ed esecutivo.
Dunque questa band inglese di musicisti di provincia (Robert Wyatt – batteria e voce Mike Ratledge - tastiere e Kevin Ayers basso e voce) ha, insieme con Frank Zappa, dato un impulso formidabile alla musica Rock: E siccome sono stati i primi a manifestare questo approccio di estrema libertà d’accomunamento di forme e contenuti senza limiti, hanno fondato in Europa anche una sorta di pensiero estetico e poetico di atteggiamento alla musica, che ha fecondato, in modi differenti, moltissimi gruppi importanti che si sono succeduti in quell’età dell’oro.
Dopo i Beatles (e in parte Jimi Hendrix), e contemporaneamente a loro, tentando, dopo averle assimilate, di sorpassare quelle formidabili lezioni, Zappa, Caravan, Pink Floyd, e soprattutto Soft Machine, sono stati quelli che hanno preso per mano il Rock e lo hanno fatto maturare e donandogli un importante quarto di nobiltà tramite il viraggio della loro musica verso un certo tipo di Jazz, contribuendo peraltro a fondare il genere Jazz-Rock (1) , immettendo pure, integrandoli, moduli e procedure di minimalismo musicale (i francesi Magma del batterista Christian Vander hanno a loro volta preso molte di queste fondamentali assi di costruzioni musicali ed edificato dei monumenti ancor troppo poco conosciuti rispetto alla loro magnificenza).
Perfettamente coevi e adiacenti geograficamente ai Pink Floyd e ai Caravan (e all’Experience di Hendrix) i Soft Machine hanno dunque influenzato gran parte dei maggiori gruppi che anelavano alla totalità espressiva, come Gong e King Crimson, e non solo quelli di matrice Rock, pure quelli più legati al jazz, per esempio in Italia il Perigeo e gli Area devono non poco ai SM.
I SM erano parenti ai Caravan (sin da metà anni ’60 si frequentavano scambiandosi idee e quant’altro…), e dalla loro esperienza canterburiana (erano originari di quelle parti dell’Inghilterra - approfondimenti in Appendice) si delinearono due correnti capitali: quella più propriamente Progressive ovvero quello della canzone rock rigidamente connessa alla musica Classica sviluppata senza innesti delle matrici afroamericane (Blues, Jazz e R&B/Funk), e quella che ha accostato e fuso la canzone rock con ciò che era esplicitamente più colto in maniera moderna, ossia il Jazz e gli esperimenti minimalisti-rumoristi della musica di matrice accademica.