1980. Romanzo d'attualità
By Marco Pangos
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In un incrocio di casualità beffarde, la vita di una stella decaduta del firmamento musicale degli anni ’80, sulla via del ritorno nella sua Trieste dopo un lungo esilio, impatta in quella di un impiegato qualsiasi nel bel mezzo di una profonda crisi esistenziale.
Come due nervi scoperti, le loro anime, toccandosi, sobbalzano di vita, riuscendo a creare un solco profondo che cambierà le loro esistenze per sempre.
Questa storia parla di nostalgia e di sofferenza, ma anche di sogni e di voglia di riscatto. Questa storia parla della vita di Paolo e di Morgan.
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1980. Romanzo d'attualità - Marco Pangos
Famiglia
1.
2 Ottobre 1995
Come tutte le storie che si rispettino, questa storia inizia di lunedì: un lunedì di ottobre per la precisione. Nonostante il cielo grigio in cui spruzzano vorticose nuvole rabbiose, l’autunno è ancora caldo e fatica a lasciarsi alle spalle la calura estiva e i suoi ricordi felici.
Sull’aereo delle 15:35 che da Glasgow porta a Milano Linate, viaggia appoggiato con la testa sul finestrino Morgan Pasco, capelli corvini, guance canute e occhi spenti che guardano fissi l’orizzonte.
«Qualcosa da bere signore?» Gli chiede, in un perfetto inglese la hostess, una giunonica mulatta, interrompendo il vuoto dei suoi pensieri.
«Cosa?» Sobbalza l’uomo.
«Desidera qualcosa da bere?» Chiede ancora la donna rimarcando la domanda con un dolce sorriso.
«Ah sì, - risponde a sua volta in un inglese impeccabile - un brandy per favore; con ghiaccio.»
Il dito indice giocherella con i cubetti di ghiaccio dentro il bicchiere e lo sguardo ritorna laggiù, perso nell’orizzonte del tempo, e salgono i ricordi. Un sorso e la smorfia dovuta dalla dose d’alcol, che poi è la stessa di mille altre volte, mentre un crampo al suo stomaco maltrattato, lo piega in due. Nemmeno oggi Morgan molla la sua sfida col dolore. Con l’altra mano, si rigira fra le dita la catenella d’oro che fu di suo padre, e d’un tratto si ricorda di quando da bambino lo portava a correre e lo lanciava in aria con le sue braccia possenti. Gli torna alla mente la sua risata e quel tatuaggio fatto da giovane in ricordo di un viaggio, quand’era ancora un marinaio che solcava i mari. Anche suo padre è stato un giramondo: sette mesi l’anno era in mezzo al mare senza vedere nemmeno l’ombra di un pezzo di terra, chiuso nella calura insostenibile della sala macchine di una qualche grossa nave.
Più volte ha rischiato la vita, amava raccontare, e quando venne al mondo il suo unico figlio, Maria gli chiese di cambiare vita.
Ma lui, Bruno Pasco, sapeva solo viaggiare e allora trovò lavoro come autotrasportatore. Il suo destino era quello di viaggiare, o forse di scappare, ed è per questo che Morgan si sente così legato a lui, benché con lui non abbia vissuto molto Non ripensa spesso a suo padre, non ha poi molti ricordi ai quali legarsi, ma ora che sta tornando a casa sente che gli mancherà.
Gli affiora alla mente ancora un ricordo, è indelebile e lo sente attaccato addosso come fosse un francobollo. La mente vola a una mattina fresca di primavera; Morgan era solo un bambino di sei o sette anni e il padre lo accompagnò a scuola col furgone da lavoro che a lui pareva essere un’astronave.
Era tutto orgoglioso di quel papà così alto e forte che guidava il mezzo più grande che ci poteva essere. Quella stessa mattina i suoi compagni di scuola lo derisero, ma ciò che gli fece più male fu che derisero suo padre: dicevano che quello era il camion della spazzatura e che Morgan stesso era un sacchetto dell’immondizia puzzolente. Tornato a casa da scuola, scrisse un biglietto al suo papà pregandolo di non accompagnarlo a scuola mai più. Sanno essere veramente crudeli i bambini quando vogliono e fu proprio in quel preciso istante che Morgan decise di lasciar fuori tutto e tutti dalla sua vita. Non vale la pena soffrire e farsi ferire.
È già tornato diverse volte nella sua città, ma da quando è partito, quindici anni fa, questa è la prima volta che torna per rimanere. Non sa cosa ci sarà ad attenderlo e lui nulla si aspetta da un posto che non ha mai considerato come casa. A dirla tutta, in nessun posto si è mai sentito veramente accettato, nemmeno a casa sua. Conosce le piazze, le strade e le vie, riconosce lo stile dei palazzi e i colori del mare e delle colline che cingono la sua città. Se n’è andato in un momento di grande cambiamento economico e sociale, e ora non sa bene cosa troverà.
La curiosità però è smorzata dal solito senso di fallimento che da sempre è stato al suo fianco ad accompagnarlo in questi anni. Come il mal di stomaco che da diverso tempo lo piega in due come un foglietto di carta. Ma è l’anima a far male, il corpo è fermo lì esile a fissare il nulla.
2.
Mi fa male la schiena, non ce la posso fare. Il dottore, uomo molto posato e con mani piccole e curatissime, dice che dovrei operarmi: «Lei lavora troppo signor Butti... Lei è l’unico comunale che vedo spaccarsi la schiena!» mi ha detto sorridendo sornione.
Ma come si fa a dire una cosa del genere a un tuo paziente che vedi sì e no una volta l’anno? Tutti a pensar male di noi comunali. Il problema sta nel fatto che quest’anno ero stanco già al secondo giorno di lavoro dopo il rientro dalle ferie. Mai come quest’anno sono partito già in riserva, e le prossime vacanze che mi si prospettano saranno quelle di Natale.
«Com’è andata oggi al lavoro, amore?» Apre sempre con questa battuta la mia amata moglie, quando rincaso. Lei è ancora molto speciale per me, la stimo molto come donna, anche se da tempo la passione fra noi si è spenta; non so da quando e non so il perché. Lei è qui vicino a me, eppure mi manca tantissimo.
«Mah, come vuoi che sia andata?! Tutti a parlare di stress lavoro-correlato dopo l’ulcera perforante di Marino...»
«Paolo, mangia piano!»
«Sonia, o mi chiedi di parlare, o mi lasci mangiare in pace! Abbi pazienza; le due cose assieme non le posso fare.»
«È vero, è scientificamente provato che voi maschi non siete multi tasking.»
«Ah, sì? E cos’è sta roba?»
«Papà, che cos’è l’ulcera?»
Lara è una bimba con dei numeri veramente notevoli. Talvolta non mi sembra nemmeno di parlare con una piccina che va a scuola col grembiule blu delle elementari, è tanto perspicace per la sua giovane età. Ammiro il suo coraggio innocente; lei sa benissimo che cos’è successo a Marino, ne abbiamo parlato, ma ugualmente vuole sapere nel dettaglio cosa gli è capitato, non vuole segreti lei. Sonia invece preferisce trattarla da bambina e preservarla da certe cose della vita che potrebbero far male o impaurire.
«Lara, lascia stare che non sono discorsi per bimbi, non è niente. Ora lascia che mamma e papà finiscano di cenare. Accendi la TV e vai di là che dopo arriviamo...»
«Ok mamy.»
Ma Lara che sa i miei punti deboli, prima di andare al suo amato divano, passa leggera soffiando nel mio orecchio: «Me lo dirai che cos’è un’ulcera papy?»
«Certo amore mio. Vai sul divano ora, che io arrivo subito.»
E lei così fa, lasciandoci soli.
«Sei preoccupato per Marino?»
«Non sta bene, d’altronde vuoi mettere?»
«Vuoi mettere cosa?»
«Beh, la vita che faceva: lo stress, il carico di lavoro... era insopportabile; e adesso pretendono che io sia quello che lo sostituisce per duecentomila lire in più al mese?»
«E lo farai?»
«In teoria lo devo fare: per anzianità, per ruolo e competenze; dopo Marino ci sono io. Lui poi è amico mio, lavoriamo assieme da una vita, e dovrei essere io quello che lo rimpiazza?»
«In che senso, non ti capisco...»
«Marino si è rovinato la salute per questo lavoro a cui ha dato la vita: il sabato e anche la domenica mattina a volte, capisci? E un bel giorno capita che fa crack e si ammala! E dopo tutto questo, che succede?»
«Non lo so che succede, dimmelo tu!»
«Succede che appena non gli servi o non vai più bene, ti sostituiscono col tuo collega più vicino. Ecco cosa succede!»
«Paolo fa? piano per diamine! Lo sai che non ho mai tollerato la voce alta a tavola! Ma poi, che ti credevi? Pensavi forse che il lavoro avesse regole diverse da queste?»
I nostri scambi, soprattutto durante le conversazioni serali, sembrano presi direttamente da una sit-com americana anni settanta, con tanto di battuta di chiusura. Eppure questa è la realtà quotidiana della mia vita: un quadretto familiare a cui mancano solo gli applausi e le risate del pubblico presente alle riprese.
Ci sono i dialoghi, la cucina color noce, con tanto di cesta per le mele rosse e lucide che nessuno poi mangia; mele che magari finiscono nello strudel da portare a pranzo dai miei suoceri, la domenica.
Anche stasera la cena è stata interrotta anzitempo; Sonia non sopporta quando io alzo la voce, ed io non sopporto quando lei fa con me la maestrina. Ecco perché grido. Il dialogo tra noi finisce qui ed io me ne vado sul divano a finire l’ultimo boccone mangiato in velocità. Preferisco andarmene dalla mia piccola scienziata, che da dietro quegli occhialetti rossi scruta il mondo.
«Me lo compri papy?»
«Che cosa?»
«Quello!» mi dice, indicando il televisore che pubblicizza un nuovo zainetto per la scuola.
«Lara, lo zainetto ce l’hai già; te lo abbiamo preso lo scorso anno!» risponde Sonia dalla cucina mentre sta togliendo i piatti dalla tavola.
«Io ho avuto uno zaino unico per tutti gli anni di scuola... e ce l’ho ancora in soffitta.» aggiungo.
«Ah sì, papà?»
«Certo, sabato quando saremo dalla nonna andremo su in soffitta e te lo farò vedere»
«Allora me lo dici?»
«Che cosa amore mio?»
«Me lo dici che cos’è l’ulcera, papà?»
«È una malattia che viene alle persone anziane.»
«Ma tu non sei anziano.»
«E difatti io non ce l’ho.»
«E verrà anche a te se lavorerai tanto?» Anche se è piccola, credo che lei abbia capito perfettamente di cosa si tratti, e credo anche che senta i miei timori nascosti.
«No, perché io starò attento.»
Lara non dovrebbe preoccuparsi per la mia salute, non è giusto. Il dottore dice che dovrei dimagrire perlomeno quindici chili perché i dischi della mia colonna vertebrale urlano dal dolore. Dice inoltre che se non faccio attenzione, un domani non sarò più in grado di portare in braccio mia figlia o i miei nipotini. Bravo dottore, lei e le sue manine da fata avete fatto proprio una bella diagnosi!
«Papà?»
«Dimmi tesoro.»
«Questa sera posso rimanere alzata ancora un po’? Non ti vedo mai e vorrei...»
«Non se ne parla proprio, bimba mia. - entra subito categorica Sonia - Vai a lavarti i denti e il viso, mettiti il pigiama, e poi vieni a darci un bel bacio prima di andare a dormire.»
«Ma, mamma...»
«Niente ‘ma’!»
«Sonia, magari...»
«Non se ne parla proprio. E tu fila dritta in bagno!»
Con Sonia non si può discutere; lei sta tutto il giorno a casa, segue Lara a scuola, va a colloquio con gli insegnanti ed è rappresentante dei genitori. È una donna impegnata: legge, si informa; ha insegnato tre anni prima di rimanere incinta, perciò di pedagogia ne sa più di me che sono solo un ragioniere. A volte però mi piacerebbe che prendesse in considerazione anche ciò che il ragioniere avrebbe da dire.
Sonia è diventata una pedagoga anche dentro le mura domestiche; oltre a questo, è anche un’ottima cuoca, brava nelle pulizie, molto scrupolosa e attenta all’igiene: doti ereditate dalla madre.
La guardo e le riconosco tutto ciò: non ho nulla da dire su questo; vado al lavoro tranquillo sapendo che c’è lei a badare alla casa e alla bambina. È soltanto che mi manca un sacco quella Sonia che ho conosciuto