L'ultimo viaggio
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Book preview
L'ultimo viaggio - Maria Teresa Tanzilli
Innesti
L'ultimo viaggio
di Maria Teresa Tanzilli
Immagine di copertina: 777_by_feather8907-d5eskat - Deviantart.com
Editing: Daniele Picciuti
Produzione digitale: Daniele Picciuti
ISBN: 978-88-85497-04-7
Nero Press Edizioni
http://neropress.it
© Associazione Culturale Nero Cafè
Edizione digitale luglio 2017
Maria Teresa Tanzilli
L'ultimo viaggio
Indice
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
L'autore
1
Ai funerali c'era sempre meno gente. Ormai quasi più nessuno vestiva di nero, nemmeno i parenti più stretti, o per meglio dire quelli che erano rimasti.
Gianluca sospirò. Non ci sarebbero voluti più di venti minuti, ma era ugualmente seccante. Non poteva andarsene prima che la funzione fosse terminata; la signora Betti aveva espressamente richiesto sul testamento che durante la sepoltura fosse suonata Perfect Day di Lou Reed e lui aveva dovuto portare il suo vinile personale e il suo giradischi, l'unico funzionante nel giro di chissà quanti chilometri. Forse era l’unico rimasto al mondo. Detestava l'idea che da lì a quel giorno non avrebbe fatto altro che identificare quel brano con la signora Betti. Non che le fosse antipatica o gli avesse fatto qualche torto, era solo che preferiva di gran lunga mantenere la sua musica preferita vergine da qualsiasi tipo di associazione. Le persone rovinavano le canzoni.
Era annoiato e non faceva altro che grattarsi la sua ispida barba rossiccia.
«Smettila» disse fra i denti sua sorella.
«Che vuoi, non posso nemmeno grattarmi?»
Veronica assunse uno sguardo allibito, poi fece un secco gesto della mano come per fargli presente dove si trovavano.
Gianluca borbottò qualcosa a mezza strada tra un lamento e una bestemmia, ma si ricompose. Non era irrispettoso, era solo che si era abituato ai funerali. Ormai ne aveva perso il conto, ce n'era quasi uno al giorno. Claudio il tabaccaio, i coniugi Gradi, la signora Betti. Quest'ultima li aveva perfino inseriti nel proprio testamento. Aveva promesso loro una consistente fornitura di zucchero, farina di grano duro e una manciata di barattoli di pesche sciroppate. Dio solo sa quante persone avevano già messo gli occhi su quel bottino, ma erano stati scelti proprio loro. Erano forse legati alla donna per affetto, o parentela? No, si conoscevano di vista, ma la signora Betti aveva saputo della collezione di vinili di Gianluca, e il suo amore per Lou Reed era stato la ceralacca che aveva sancito quello scambio di favori.
«E se si dovesse rompere? E se qualcuno lo danneggiasse?» aveva protestato Gianluca, per nulla d'accordo.
«Devi solo portare il giradischi e mettere quella canzone. Quel cibo ci serve».
«A me serve la musica».
«Cambierai idea quando sentirai nuovamente il profumo di un buon pasto».
Veronica aveva tagliato corto senza dargli modo di replicare e lui si era lasciato convincere, non senza farle pesare la cosa.
Si rivelò tedioso come tutti gli altri funerali. Quando la canzone terminò, Gianluca fu lesto ad alzare il braccio del giradischi e a riporre ogni cosa nella custodia. La cassa venne calata nella fossa con delle funi. Un uomo si avvicinò e gettò sul coperchio un mazzo di fiori di lavanda. Era Ludovico, aveva pressappoco la loro età e da piccoli avevano giocato insieme qualche volta. Si svolse tutto in silenzio, ma non era quel tipico silenzio carico di cordoglio; i presenti erano come distratti, ognuno preso dai propri pensieri. Nessuno pianse. Il rumore della pala che affondava nel terreno e delle zolle che ricadevano sul coperchio di legno era diventato ormai familiare, come il cigolio di una porta, o il ticchettio della pioggia sul tetto.
«Andiamo?» domandò a sua sorella.
«Aspettiamo almeno che l'abbiano sotterrata del tutto».
«Perché?»
«Visto che dopo dovrò andare nella sua cucina a prelevare il suo cibo, mi sembra il minimo rimanere fino a che non sia tutto finito.»
«È già tutto finito. Da un bel pezzo».
Sospirarono entrambi.
Nel frattempo Ludovico aveva iniziato ad agitarsi. Appoggiava il peso del corpo ora su un piede, ora sull'altro, dando l'impressione di dover andare in bagno d'urgenza. Prese il fazzoletto e si soffiò il naso, ma non era commosso, i suoi occhi erano perfettamente asciutti. Era sulle spine, era evidente che c'era qualcosa che non gli andava bene e si guardò intorno per vedere su chi potesse scaricare il proprio disagio. La scelta non fu difficile. Si diresse con passo deciso verso i fratelli Molinari.
«Avete visto i fiori?» domandò, guardandoli.
«Sì, erano molto belli» rispose Veronica con fare contrito.
«Ci ho messo tre giorni per trovarli, tre giorni» ribadì mostrando loro le dita della mano «e questo solo perché era su quel dannato testamento. Un mazzo di fiori di lavanda… tanto per complicare la vita a quei poveri diavoli che sono ancora rimasti vivi».
Veronica impiegò qualche secondo per capire che i poveri diavoli erano loro.
«E poi questa cosa di suonare della musica del genere a un