Gli scienziati di South Bend
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Gli scienziati di South Bend - Giordano Falco
finale.
Capitolo 1
LUNEDÌ
La lezione era finita e il dottor Alan Adams raccolse dalla scrivania i fogli che erano serviti durante la spiegazione di fisica applicata all’Università di Notre Dame a South Bend, nell’Indiana, li ripose nella borsa di cuoio, si grattò la barba e si diresse verso l’uscita.
Aveva fretta di tornare a casa e chiudersi in laboratorio per continuare l’esperimento iniziato quella mattina, prima di andare a lezione. Doveva concludere entro sera perché tra due giorni sarebbero arrivati i suoi colleghi e avrebbero continuato insieme.
La variante all’equazione provata da Alan era una modifica al progetto originale di cui gli altri non erano a conoscenza; la notte prima aveva avuto un’intuizione prima di prendere sonno, ci aveva rimuginato a lungo tutta la notte senza riuscire ad addormentarsi in modo profondo. Così, verso le quattro della mattina aveva deciso che sarebbe stato inutile restare a letto, si era alzato, si era fatto un caffè, si era acceso un toscano e dopo essere sceso nei locali sotterranei del laboratorio aveva iniziato l’esperimento con la variante che gli aveva tormentato il sonno. Aveva lasciato il computer a elaborare l’equazione e adesso non vedeva l’ora di tornare in laboratorio per vedere quali risultati fossero venuti fuori.
Aveva iniziato a fumare il toscano durante il servizio nei Marines, mentre soggiornava in Italia; era entrato nel corpo e, dopo il duro addestramento, aveva fatto domanda per la Polizia Militare. Una sera era uscito con un compagno e due ragazze, l’amico l’aveva invitato a provare il sigaro, gli aveva insegnato a gustarlo senza fretta insieme a una grappa invecchiata, e da quella sera non l’aveva più abbandonato.
Durante la sua permanenza in Italia aveva imparato anche il gusto della buona cucina, del caffè espresso e del vino; i toscani se li faceva spedire direttamente dall’Italia in quanto negli U.S.A. si trovavano con difficoltà.
Si diresse verso l’uscita con la cartella sotto il braccio, appena svoltato l’angolo vide la figura slanciata di Sara che gli andava incontro con due tazze di caffè in mano.
− Ciao Alan, ti ho preso un caffè − disse lei.
Sara Dixon era una delle docenti di matematica e aveva sempre avuto un debole per lui, e anche lui non era insensibile al suo fascino, erano diventati amanti, però lui ancora non era pronto per avere una relazione fissa e stabile con un’altra donna.
Da quando sua moglie Anna era morta, si era gettato a capofitto nel lavoro ed evitava ogni possibile distrazione che potesse poi comportare una frequentazione assidua, la sera in particolar modo sentiva la mancanza della moglie, quando metteva nel forno a microonde i piatti surgelati che mangiava o quando si metteva lui ai fornelli per prepararsi un piatto di pasta e inesorabilmente gli venivano in mente i piatti che lei gli cucinava, gli mancava profondamente.
Il loro era stato un matrimonio d’amore, si erano conosciuti al college e si erano piaciuti subito, le vicende della vita però li avevano separati immediatamente, i genitori di Alan era morti in un incidente d’auto e lui aveva dovuto abbandonare gli studi, dovendo trovarsi un lavoro, aveva scelto la vita militare.
Poi era stato costretto a congedarsi e allora aveva ripreso a studiare vincendo borse di studio e anche grazie all’aiuto di uno zio, che aveva provveduto in parte alle sue necessità. Si erano quindi trovati di nuovo all’università, quello che avevano rimandato al college era esploso più impetuoso di prima, si erano rivisti e si erano piaciuti di nuovo, dopo un anno erano già sposati senza aver terminato gli studi, e dopo un altro anno Anna era morta.
Anna veniva da una famiglia contadina del Middle East degli Stati Uniti, i suoi genitori avevano una fattoria nei pressi di Plymouth nell’Indiana, coltivavano principalmente il mais, avevano vacche, galline e maiali.
Anna era figlia unica e sin da bambina non aveva disdegnato il lavoro nei campi, guidava il trattore e altri mezzi agricoli come un uomo, ma aveva una predisposizione per le materie letterarie e per l’arte in generale; era una persona ironica e sempre pronta allo scherzo con un velo di malinconia sottile che traspariva dagli occhi luminosi. Dopo aver frequentato il college del luogo, si era iscritta all’università alla facoltà di Lettere e frequentando il campus aveva rivisto Alan.
Quando andavano dai suoi a Plymouth, Alan si sentiva in famiglia, anzi visto che la sua di famiglia non c’era più, aveva adottato quella di lei.
Gli piaceva la pace che si respirava alla fattoria, gli spazi sconfinati e anche l’odore dell’erba appena tagliata che pervadeva l’aria; lui era cresciuto in un quartiere popolare, dignitoso ma molto affollato, dove gli odori dominanti erano quelli del cavolo lesso o delle patate fritte, suo padre era un operaio e sua madre non lavorava quindi le loro finanze non erano molto rosee.
Suo padre aveva fatto sacrifici enormi per mandarlo al college, poi erano morti e per Alan era cominciato un periodo molto duro, lavorava e studiava contemporaneamente, prendeva regolarmente borse di studio, ma la vita non era facile, aveva provato così un’alternativa.
− Ciao Sara, tu mi vizi, e con tutti questi caffè finirà che non riuscirò più a dormire.
− Sabato sera a casa mia ci sarà una festicciola tra amici, che ne diresti di partecipare e di toglierti dal viso quell’espressione lugubre che ti porti sempre dietro? − domandò lei.
− Non so se sarò libero per sabato, dobbiamo concludere un esperimento importante con la squadra, può essere che si protragga sino a domenica; ma se finiamo prima ti prometto che sabato verrò alla festa − non credeva nemmeno lui alle parole che aveva appena pronunciato.
− Ti aspetto, e farò in modo che i tuoi colleghi ti lascino libero per sabato.
Si scambiarono un bacio sulle guance e Alan salì le scale che conducevano fuori dalla facoltà.
Appena fuori dell’edificio lo accolse l’aria profumata della primavera, la cupola d’oro della basilica del Sacro Cuore rifletteva i raggi del sole ormai al tramonto, l’effetto era un gioco di colori caleidoscopico che abbagliava chi la guardava in modo diretto; la luce dorata ricopriva i tetti, e i contorni delle case risultavano sfumati alla visione periferica degli occhi, gli alberi fremevano alla leggera brezza serale con le foglie dei platani che si muovevano e cambiavano colore.
L’università di Notre Dame era stata fondata da Padre Edward Sorin, sacerdote francese della Congregazione di Santa Croce; era un’università cattolica privata ed era uno dei college più prestigiosi e ambiti degli Stati Uniti. Dopo averla frequentata Alan era diventato prima assistente del professor Ross, successivamente, quando questi era andato in pensione, dottore di fisica applicata.
L’edificio principale dominava il campus con la sua Madonna d’oro sulla guglia e la statua di Padre Edward con le braccia aperte che sembrava voler proteggere la sua creatura.
Nonostante la primavera, c’erano ancora dei mucchi di neve sui tetti e negli angoli dove il sole batteva di meno, l’edificio era stato costruito in stile neogotico con le finestre ad arco acuto, tutto era pervaso da un’atmosfera mistica con la perenne croce presente in ogni edificio. Le vetrate multicolore della basilica del Sacro Cuore erano fatte a mosaico e riflettevano la luce obliqua, creando sulle cupole angoli illuminati con colori multiformi che andavano dall’indaco al violetto, dal rosso all’arancio e angoli scuri, tutto il campus era immerso nel verde e nella quiete.
Alan si incamminò verso la sua BMW parcheggiata poco distante e dopo aver messo in moto si diresse verso casa che distava poche miglia dall’università; il traffico a quell’ora della sera era intenso, tutti tornavano dopo una giornata di lavoro, ma le file delle macchine erano ordinate e il traffico scorrevole.
Magari gli altri avevano qualcuno a casa che li aspettava, una moglie, dei figli, mentre lui non aveva nessuno, solo il suo laboratorio.
Alan abitava in una casetta tipica della zona con le assi di legno della facciata dipinte di bianco e le finestre con le persiane verdi, l’abitazione aveva tre costruzioni sfalsate ognuna con il tetto più alto della precedente. La strada in cemento conduceva al garage, che si trovava leggermente discosto dall’edificio principale, ed era circondata da un prato curato e da decorativi alberi a basso fusto. Al centro del prato si ergeva, in tutta la sua bellezza, una grande magnolia con le foglie verde intenso. Alan e Anna avevano comprato insieme l’abitazione, o per meglio dire erano stati i genitori di Anna a comprarla, lui con il solo stipendio dell’università non avrebbe potuto permettersela.
Il garage conduceva in casa e, tramite una scalinata, al sotterraneo che era più vasto della parte sovrastante, un vero e proprio bunker con pareti di cemento e con piccole finestre a bocca di lupo all’altezza del soffitto che facevano entrare i pochi raggi del sole, ormai morente.
Con il telecomando azionò la porta del garage ed entrò dentro con la macchina, si precipitò direttamente per le scale, verso il sotterraneo, una sensazione di eccitazione lo pervadeva; succedeva sempre così quando doveva aspettare il risultato di un esperimento. Entrò nel laboratorio, lo accolse una selva di bip, una parete era piena di monitor, numerosi computer se ne stavano appoggiati sui banchi di lavoro, alla fine del lungo stanzone si intravedeva la stanza a temperatura controllata dove risiedeva il server centrale collegato direttamente, mediante fibre ottiche e un firewall, con lo snodo internet più vicino. Questo collegamento ad alta velocità gli era costato diverse migliaia di dollari ma risultava indispensabile per le operazioni che venivano fatte in laboratorio; nella parte destra della stanza erano posizionati vari strumenti, un microscopio elettronico e altre attrezzature. Nel centro della parete si apriva una porta che conduceva in un’altra spaziosa stanza dove era posizionato un micro acceleratore di particelle a bassa energia che formava un anello sotto la casa e che serviva a verificare i comportamenti di alcun particelle sub-atomiche emettendo fasci di ioni; niente di paragonabile all’acceleratore del CERN di Ginevra oppure allo Stanford Linear Collider, ma faceva comunque il suo onesto lavoro. Completavano l’ambiente un bagno, una cucina con un tavolo e un salottino con un divano e delle poltrone.
Il laboratorio con tutta l’attrezzatura erano una spesa comune di tutti i colleghi, buona parte delle quali se le era accollate Gustavo Ortiz, di famiglia ricca, che aveva contribuito in modo determinante all’acquisto dei macchinari e alla realizzazione dell’anello e del bunker.
Alan si avvicinò al monitor del computer per guardare i risultati e rimase interdetto.
L’esperimento che stava conducendo insieme ai colleghi consisteva nel provare che l’equazione quantica di Schrödinger fosse falsa, ovvero non completamente vera.
La quantistica è la parte della fisica che studia le leggi valide delle particelle elementari, in particolare neutroni, protoni, elettroni e fotoni, secondo questa teoria il comportamento delle particelle non è infatti prevedibile con esattezza ma solo in modo probabilistico, cosa che invece non accade con i macrosistemi composti da miliardi di particelle.
Famosa era la teoria del gatto chiuso in una scatola sotto tiro di una pistola, attivabile dalle radiazioni di un atomo di uranio, non si può sapere quando l’atomo emetterà la radiazione che attiverà la pistola e ucciderà il gatto, in questo modo il destino del gatto, che è un sistema macroscopico, risulterà regolato da leggi probabilistiche e quindi si può affermare che il gatto sia contemporaneamente vivo e morto nello stesso momento; in poche parole i cinque colleghi stavano cercando la prova che questa equazione non fosse completamente vera.
Durante i loro studi però, strada facendo, avevano cambiato obiettivo, si erano accorti tra le migliaia di equazioni provate che ce n’era una che faceva supporre non solo che le particelle elementari fossero prevedibili, ma addirittura controllabili; in particolare l’equazione sembrava spalancare la strada alla levitazione degli oggetti inibendo la forza di gravità.
Indirizzarono i loro sforzi nel tentativo di far alzare un oggetto anche di pochi millimetri colpendolo con dei raggi, il computer doveva elaborare l’equazione e poi applicare il risultato al dispositivo che li emanava.
Tutto l’ambiente per le prove era racchiuso in una campana di vetro allungata in cui era stato creato il vuoto per limitare le interferenze esterne, alle due estremità della campana erano posizionati un anodo e un catodo che emettevano i raggi che colpivano l’oggetto, questo era rappresentato da una leggera striscia di titanio posizionata al centro della campana, il titanio era l’ideale perché è un metallo leggerissimo di colore bianco, resistente alla corrosione, con un punto di fusione relativamente alto.
Il computer generalmente impiegava circa tre ore per elaborare l’equazione, e se tutto avesse funzionato, la striscia di titanio si sarebbe alzata di poco dal piano, un sensore posto sotto la piastra di titanio avrebbe indicato che c’era stato uno spostamento.
Alan esaminò la striscia di metallo, questa era completamente sulla destra della campana di vetro; controllò i risultati del computer, il sensore indicava che la striscia era appoggiata sul fondo e non si era alzata, non aveva funzionato ed evidentemente lui aveva mosso la striscia inavvertitamente, eppure era stato attento ed era sicuro che quando era andato via, la striscia fosse posizionata esattamente nel centro della campana: qualcosa non tornava, ma cosa?
Alzò l’involucro di vetro e riposizionò la striscia al centro esatto, richiuse la campana e ricreò il vuoto, andò al computer e dette il comando di accensione dei raggi con gli stessi parametri usati precedentemente, dopo un breve sfrigolio degli elettrodi, la striscia tornò a posizionarsi sulla destra. Meravigliato Alan ripeté la procedura altre tre volte, ottenendo sempre lo stesso risultato.
Decise quindi di mettere la striscia di titanio spostata sulla sinistra della campana di vetro, premette Enter
sulla tastiera e la striscia si spostò immediatamente a destra; il suo occhio non aveva percepito il movimento.
Si grattò la barba pensieroso, lasciò la striscia a destra, cambiò un parametro e dette l’invio al computer, la striscia si spostò istantaneamente e sinistra.
Quindi lo spostamento poteva essere bidirezionale; decise di fare un’ulteriore prova; aprì la campana di vetro e spostò gli elettrodi a una distanza di cinque metri uno dall’altro, ripeté tutta la procedura.
La striscia si spostava da una parte all’altra.
Il funzionamento era chiaro, meno chiara era la ragione di questo comportamento; decise di cambiare materiale, prese un dado di metallo, lo sistemò e premé il via… niente.
Prese un blocchetto del Lego e ripeté la procedura, con la plastica funzionava, si mise a riflettere, che il fenomeno