Non lasciare che salga l’amarezza
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Book preview
Non lasciare che salga l’amarezza - Sabrina Leonelli
Sabrina Leonelli
Non lasciare che salga l’amarezza
Prima Edizione Ebook 2017 © R come Romance
ISBN: 9788893470858
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
www.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Paolo Ferrari 51/c
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
Sabrina Leonelli
NON LASCIARE
CHE SALGA L’AMAREZZA
Prima parte
INDICE
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
L’autrice
Catalogo
I
«Fiorini, la prego di sedersi. Il suo fondoschiena non ci interessa. Oltre al fatto che sta disturbando la lezione!»
«Certo prof, mi accomodo subito» farfugliò lezioso Giovanni, torcendo il busto dal banco posteriore su cui si era disteso, nell’ennesimo tentativo di assedio della bella Rivelli. La sua prediletta.
Compiaciuto dai risolini sommessi che ne erano scaturiti, aveva lanciato un ultimo sguardo malizioso alla compagna, prima di rivolgere uno smagliante sorriso alla Corelli, la professoressa di italiano che lo aveva ripreso.
«Che c’è ora, Fiorini?» chiese spazientita quando pochi minuti dopo vide il suo braccio puntare il soffitto.
«Devo andare in bagno!»
«Non può aspettare la fine dell’ora? Mancano dieci minuti.»
«Non posso proprio, me la faccio addosso!»
Un brusio di sottofondo, attestante la stima dei compagni per la sua audacia, scompose il silenzio dell’aula.
«Vada Fiorini e resti fuori fino alla fine della mia lezione. Non la voglio più vedere per oggi.»
Giovanni scattò in piedi e ad ampie falcate guadagnò l’uscita.
La luce grigia della mattina scavalcava le vetrate del corridoio, rispecchiando l’umore di quel rigido inverno.
Si frugò nelle tasche, dirigendosi in bagno. Davanti allo specchio spuntò la sua faccia indolente, scostò il ciuffo dalla fronte e aprì la bocca in una smorfia ferina, osservandosi i denti. Si passò l’indice sugli incisivi superiori per lucidarli e si rifugiò nella toilette, accomodandosi sul water.
Scartò un piccolo involucro di stagnola, estrasse l’accendino dal taschino della camicia e lo appoggiò sulla coscia fasciata da un jeans rattoppato e sbiadito. Con pollice, indice e medio iniziò a frantumare il panetto di fumo che teneva tra le dita, riducendolo in piccole briciole pastose. Se le mise sul palmo della mano e le spianò, scaldandole con la fiamma.
Estrasse una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca e fece scivolare la punta della lingua sulla lunghezza della carta. Divaricò la trama sottile, bagnata dalla saliva, che si aprì in una ferita. Fuoriuscì il tabacco e lui lo mischiò al balocco dal profumo intenso di rosmarino e spezie che aveva in mano.
Prese dall’altra tasca una scatolina di cartoncino rettangolare, con carta velina al suo interno, ne distese una tra le dita, adagiando il miscuglio nell’incavo creato e spolverandosi il palmo della mano dai rimasugli di erba. Lo pressò con cura, distribuendolo uniformemente. Leccò l’estremità del foglietto bianco e chiuse l’altro lembo. Appoggiò il manufatto sulla coscia, strappò un angolo del pacchetto di sigarette e lo arrotolò creando un filtro a forma di S all’interno, che inserì all’estremità; poi gli chiuse attorno i lembi della cartina, pigiando con delicatezza per farla aderire.
Si appoggiò con la schiena allo sciacquone e accese la sigaretta, aspirando a occhi chiusi una profonda boccata.
Sentì il fumo dipanarsi nel corpo, come un gomitolo di solletico, fino a raggiungere la buca dello stomaco e risalendo lungo l’esofago. Espirò, tenendo dritta la sigaretta con pollice e indice, e aspirò ancora, sentendo il sottile sfrigolio della carta e di quell’intruglio bruciante. Uscivano addensati al fumo i suoi pensieri: quella strafiga della Rivelli che si sarebbe voluta scopare e che sembrava non disdegnare, ma che non era riuscito ancora a invitare fuori; la balla da trovare per convincere la madre a farlo uscire quella sera, per andare di nascosto al concerto a Milano di Bruce Springsteen, con il biglietto comprato già da sei mesi, anche se era in punizione per avere marinato la scuola il giorno prima ed essere stato beccato da Julia, la colf, che di ritorno dalla spesa l’aveva trovato stravaccato e strafatto su una panchina dei Giardini Margherita; e a come racimolare altri soldi per farsi ancora quella roba che era proprio buona e che lo faceva stare un bel po’ bene, soprattutto con se stesso.
Pensò a come avrebbe potuto incantonare la Rivelli nei bagni, calarle i jeans e farsela, meglio ancora se fosse riuscito a filmare la scena col suo iPhone. Avrebbe potuto farsi dare un po’ di buona maria in cambio della visione di quello spettacolo, che era il culo della Rivelli mentre si faceva inchiappettare. E se non si fosse lasciata fare? Impossibile. Le avrebbe ficcato la lingua in gola, facendole sentire che ce l’aveva duro e lei