Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Cuello Blanco: Denaro sporco
Cuello Blanco: Denaro sporco
Cuello Blanco: Denaro sporco
Ebook359 pages3 hours

Cuello Blanco: Denaro sporco

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Óscar Salgado e Alberto Suárez sono due broker e hanno fondato l’agenzia Blue Chip.
Tra i loro clienti più importanti c’è Lizzy Zubiaga, la regina delle droghe sintetiche che decide di diventare loro socia. Il suo piano? Creare un’agenzia internazionale per criminali di alto livello.
Ma non sempre può andare tutto come Lizzy desidera, l’ex poliziotta Andrea Mijangos, con la sua nuova agenzia di detective è costantemente sulle sue orme. Si troverà faccia a faccia con trafficanti di armi russi, bande di rapinatori armeni e riciclatori di opere d’arte.
Nel frattempo, un misantropo fumettista muore da solo in una stanza chiusa dall’interno. Non c’è stata violenza e non si trova alcun movente…
Lo stile unico di Bef (Premio Grijalbo 2011 per Hielo Negro) che combina i migliori elementi del thriller con la cultura pop e un che di young adult ed erotismo.
LanguageItaliano
Release dateAug 8, 2017
ISBN9788898062812
Cuello Blanco: Denaro sporco

Related to Cuello Blanco

Titles in the series (3)

View More

Related ebooks

Thrillers For You

View More

Related articles

Reviews for Cuello Blanco

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Cuello Blanco - Bernardo Fernández

    Cuello Blanco

    Denaro sporco

    Di Bernando Fernandéz

    Edizione digitale © 2017

    Collana: Americhe

    Edizioni

    Logus mondi interattivi

    Traduzione: Cristina Bisso

    Supervisione: Roberta Botta

    eBook design e cover:

    Pier Luigi Lai - Francesco Mossa - Logus mondi interattivi

    info@logus.it - www.logus.it

    © Bernando Fernandéz, BEF.

    c/o Schavelzon Graham Agenzia Literaria, S.L.

    www.schavelzongraham.com

    © Tutti i diritti riservati.

    Vietata la riproduzione, anche parziale.

    ISBN: 9788898062812

    Bernardo Fernández

    CUELLO BLANCO

    DENARO SPORCO

    * * *

    Edizioni

    Logus mondi interattivi

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    Cuello Blanco

    CUELLO BLANCO

    1

    2

    3

    RESOCONTO DELLA SEDUTA (1)

    4

    5

    6

    7

    8

    DAGLI APPUNTI SULL'INDAGINE DI JÁRCOR

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    16

    17

    APPUNTI SULL'INDAGINE

    18

    RESOCONTO DELLA SEDUTA (2)

    19

    20

    21

    22

    23

    24

    25

    26

    27

    28

    29

    30

    31

    32

    33

    34

    APPUNTI SULL'INDAGINE

    35

    36

    36

    37

    RESOCONTO DELLA SEDUTA (3)

    38

    39

    40

    41

    42

    43

    44

    45

    46

    47

    48

    49

    50

    51

    52

    53

    54

    55

    56

    57

    58

    59

    60

    61

    62

    63

    RESOCONTO DELLA SEDUTA (4)

    64

    65

    POST SCRIPTUM

    Note

    Biografia

    Bernardo Fernández

    Diceva bene Norman Mailer

    che i tipi (e le tipe) duri non ballano.

    Se lo facessimo, la mia compagna di ballo sarebbe Karen Chacek,

    e perciò questo romanzo è dedicato a lei.

    My favorite weapon is

    the look in your eyes.

    (La mia arma preferita è

    lo sguardo dei tuoi occhi.)

    AL JOURGENSES

    Il cuore è un muscolo che pompa sangue,

    non sentimenti.

    HUGO PRATT.

    1

    Come tutte le mattine dei giorni segnati dalla disgrazia, nell'aria non c'era nessun segno che quel martedì Óscar Salgado, economista laureato all'Università Iberoamericana, agente di borsa, quarantadue anni, sposato, con tre figli, sarebbe stato sequestrato.

    Salgado passava per la Via Presidente Mazaryk sulla sua Jaguar XJ ultimo modello, destreggiandosi tra il caffè, un latte alto che comprava religiosamente tutte le mattine da Starbucks, e l'iPhone, con cui provava a collegarsi alle notizie finanziarie della BBC di Londra.

    Noncurante com'era, non si assicurava mai che l'auto fosse chiusa, e se le serrature si chiudevano automaticamente spesso Salgado la apriva, distratto, e la lasciava così.

    Quella mattina il robusto Salgado aveva in programma la riunione settimanale nel suo ufficio a Santa Fe con Alberto Suárez, suo socio nell'agenzia di intermediazione mobiliare Blue Chip. L'appuntamento era alle 9.30.

    Aveva ancora quarantacinque minuti per evitare il traffico del ponte tra l'Anello Periferico e il Paseo de las Palmas e, visto che conosceva una scorciatoia che passava per Lomas de Chapultepec, aveva ancora la speranza di arrivare in tempo.

    Quando si fermò all'incrocio tra la Via Mazaryk e la Via Molière, con il caffè, il telefono e la copia de El Financiero che si contendevano la sua attenzione, si rese conto che non sarebbe arrivato in tempo. La canna di un'automatica lo puntava dall'altro lato del finestrino.

    Nel giro di pochi secondi una decina di idee passarono per il cervello del manager. Il sistema limbico gli ordinò a gran voce di schiacciare sull'acceleratore, passare con il semaforo rosso e provocare un incidente per evitare il rapimento. Ma la sua fredda mente numerica calcolò i rischi all'istante: aveva poche possibilità di sopravvivere se l'uomo della pistola avesse sparato. Segretamente maledisse sé stesso di non aver fatto blindare l'auto, come gli aveva raccomandato il suo socio quando l'aveva comprata, e aprì la portiera, disposto a consegnare macchina e portafogli. Solo allora scoprì il secondo uomo che lo puntava dall'altro finestrino. Senza dire una parola aprirono gli sportelli e schiacciarono Óscar in mezzo a loro. Non ebbe nemmeno il tempo di spegnere l'auto. Con le pistole appiccicate alle costole vide il semaforo che diventava verde e il primo uomo che metteva in moto, guidando la sua auto.

    -Prendetevi la macchina -mormorò. Nessuno dei due rispose. Provò a togliersi l'orologio, un Omega Speedmaster. Quello a destra gli diede una gomitata che lo fece desistere. L'uomo schiacciò ancora di più la canna della pistola contro il voluminoso stomaco di Óscar.

    -Una stronzata e sei morto -disse.

    -Volete soldi? -provò a negoziare Salgado come aveva visto fare innumerevoli volte al cinema. Gli uomini non risposero.

    Provò a osservare i loro volti. Vedendolo girarsi, quello a destra gli ordinò di guardare avanti. O sei morto, aggiunse.

    Mentre passavano per le strade di Polanco, la mente di Salgado ipotizzò diversi scenari; quando vide apparire casa sua sulla via Edgar Allan Poe, capì di essere immerso nel peggiore possibile.

    -Apri con discrezione -gli ordinò quello al volante.

    -Non ho le chiavi -mentì, erano nel portafogli.

    -Allora suona. E non fare cazzate -disse l'altro.

    Scese dal veicolo scortato dai due uomini e suonò il campanello. La voce di Bárbara, sua moglie, rispose. Disse, più tranquillo che poteva:

    -Amica, aprimi.

    Quello era un segnale d'allarme. Óscar non chiamava mai sua moglie amica. Avevano concordato che quella era la parola chiave in caso di un sequestro. Così avrebbero saputo che si trattava di una situazione reale.

    La signora Salgado si agitò molto. Stava per uscire a colazione con le ex compagne dell'istituto di suore in cui aveva studiato una vita intera. Non sapeva cosa fare. Quando suo marito suonò di nuovo, ebbe una stretta al cuore.

    -Amica, aprimi... per favore.

    Bárbara schiacciò il bottone che apriva la porta. Disperata riuscì solamente a comporre il numero di Alberto, il socio di suo marito.

    -Cosa succede, Babs? -rispose Suárez da Santa Fe.

    -Beto, siamo nella merda.

    Non riuscì a dire altro. Un colpo alla bocca dello stomaco la buttò a terra.

    -Mi sembra che lei non abbia molto chiara la situazione, dottore -disse venti minuti più tardi l'uomo che prima stava al volante senza smettere di puntare la pistola contro Salgado.

    Óscar e sua moglie erano seduti in soggiorno accompagnati dai due uomini. Le domestiche erano state messe fuori gioco e rinchiuse nella loro stanza insieme all'autista di Bárbara.

    Salgado aveva avuto tempo in abbondanza per vedere i due uomini, memorizzare i loro tratti, stamparsi quei volti insignificanti nella memoria per poter descrivere un identikit.

    Al suo fianco, la moglie singhiozzava in silenzio.

    -Vediamo, proviamo di nuovo -disse il guidatore, evidentemente il capo-: lei ha delle informazioni finanziarie che ci interessano molto. Per farla breve quelle della più illustre tra le sue clienti.

    A Óscar si rizzarono i peli sulla nuca. Solo sentirla nominare gli provocava quella reazione.

    -Non vogliamo i suoi soldi. Non vogliamo i suoi gioielli e nemmeno un trasferimento bancario. Solo quell'informazione -continuò l'uomo come quando si spiega qualcosa a un bambino stupido. Aveva una faccia così ordinaria che sarebbe stato difficile descriverlo. Lo stesso valeva per il suo compagno; due uomini di quelli che girano a centinaia per le strade di Polanco. Due impiegati anonimi senza la minima importanza.

    -Non chiediamo molto. O no, dottore?

    L'altro uomo grugnì.

    -Sì... se io vi do... quell'informazione... -era difficile parlare dopo le botte che gli avevano dato -sono un uomo morto...

    -Ma salverà la pelle a sua moglie. E ai suoi figli.

    -Non usciranno da scuola tra molto, doc -disse l'altro.

    Bárbara scoppiò a piangere.

    -Non... posso. Sono informazioni riservate -tossì sangue. Bastardi, non gli avevano lasciato un solo livido. Erano addestrati. Ex poliziotti, sicuramente.

    -Non ci lascia alternative, dottore. Ma sia chiaro che noi volevamo negoziare -il capo schioccò le dita.

    In un istante, il secondo uomo ammanettò Bárbara e la sdraiò sul pavimento. Óscar provò ad alzarsi dalla poltrona. Ricevette un calcio nello stomaco.

    -Niente da fare, mio caro doc -disse il secondo uomo mentre si abbassava i pantaloni.

    -Non faccia lo stronzo, dottore, è sua moglie -disse il primo.

    Óscar rispose con un mormorio impercettibile.

    -Cosa dice, dottore?

    Il secondo uomo aveva imbavagliato Bárbara. Le stava già palpando il seno con lascivia. Sembrava godere del modo in cui la donna scalciava.

    -Preferisce che violentiamo sua moglie piuttosto che darci quelle informazioni, dottore?

    -Violentiamo.

    Piegato in due, con lo sguardo annebbiato dalle lacrime, Óscar mormorò qualcosa.

    -Cosa dice? -il primo uomo tirò per i capelli Salgado per sentirlo meglio.

    -Ucc... uccidetela, ma non fatele questo... lei non ha colpa...

    -Le informazioni, dottore!

    -Mi tocca sacrificarmi, mio caro doc -il porco le aveva già strappato le mutandine. A Óscar venne da vomitare quando lo vide annusare la biancheria di sua moglie.

    -Ultima possibilità, dottore, dove tiene i bilanci di Lizzy Zubiaga?

    -Uccidetela.

    Óscar Salgado, economista laureato all'Università Iberoamericana, agente di borsa, 42 anni, sposato, con tre figli, tremava sulla poltrona. Non sapeva se per rabbia o per paura. Teneva gli occhi chiusi con forza, non si azzardava ad aprirli. Avrebbe voluto potersi chiudere allo stesso modo anche le orecchie per non dover sentire le grida di Bárbara.

    -Óscar! Non glielo permettere! Óscar!

    Qualcosa gli fece aprire gli occhi giusto il tempo di vedere sua moglie stesa sul pavimento, che si divincolava mentre il secondo degli uomini le separava le gambe.

    Lo vide montare sopra sua moglie. Abbassò la testa. Chiuse gli occhi con forza. Voleva gridare ma il fragore di un urlo glielo impedì. Ci mise un po' a capire che non era la voce di Bárbara.

    Quando alzò lo sguardo scoprì il secondo uomo che si contorceva dal dolore sul pavimento. Dal suo basso ventre sgorgava un fiotto scarlatto.

    Il primo uomo era confuso tanto quanto Óscar. Quando i tre gorilla di Alberto Suárez gli ordinarono di lasciare l'arma, lui obbedì.

    -Ci perdoni, dottore -disse il Güero¹ Ramírez, la guardia preferita di Suárez-, siamo arrivati tardi. C'era traffico -in mano gli fumava ancora una Colt automatica. Un solo colpo, perfetto.

    Il secondo uomo continuava a ululare sul pavimento. Óscar chiese l'arma al Güero, che gliela consegnò senza fiatare. Il manager gli sparò tre volte fino a che non smise di muoversi.

    Óscar aiutò Bárbara ad alzarsi. Si abbracciarono e piansero a lungo. Nessuno, né le guardie né l’altro uomo si azzardarono a rompere il silenzio. Dopo diversi minuti Salgado riuscì a chiedere alla moglie se stesse bene. Non appena lei disse di sì, ordinò:

    -Portami le mazze da golf.

    Bárbara non capì la richiesta del marito ma corse in camera da letto a prenderle. Il sequestratore capì subito cosa volesse farci. In quel momento si orinò nei pantaloni.

    Più tardi i Salgado chiamarono la scuola dei bambini. Chiesero di non farli salire sullo scuolabus e li passarono a prendere con le valigie già pronte. Óscar portò la sua famiglia, protetto dai tre gorilla, fino all'aeroporto, dove presero il primo volo per San Diego per passare alcuni giorni nella loro casa di Chula Vista.

    -Sicuro che starai bene, tesoro? -domandò Bárbara a suo marito, che li aveva accompagnati fino all'imbarco.

    -Certo, baby. Salutami i Rojo e fai molta attenzione.

    Si scambiarono un lungo bacio, come non facevano da prima che nascesse il maggiore dei figli. La famiglia salì sull'aereo. Óscar tornò alla sala d'aspetto dove lo attendevano i tre scagnozzi.

    Quando il Güero si avvicinò a Salgado per ricevere istruzioni, il manager scoprì che zoppicava leggermente.

    -Cosa ne avete fatto di quelli? -domandò Salgado, subito induritosi.

    -Ci siamo già sbarazzati dei corpi, dottore.

    -Figli di puttana. La prima cosa che ti rubano è la tranquillità -sbuffò Óscar mentre ripensava a come aveva sfigurato il volto al primo uomo con la mazza da golf.

    -E poi, ho brutte notizie per lei, dottore.

    -Ancora?

    -Sembra che fossero della DEA.

    -Come fate a saperlo?

    -L'Apache li conosceva dai tempi di Los Angeles. Dice che uno di quelli lo aveva comprato -si riferiva a un'altra delle guardie, che aveva passato qualche anno in un carcere di Chino.

    Óscar sentì un vuoto gelido che gli si insinuava nel petto. Brutte notizie, avere la DEA alle calcagna. Se erano capaci di riciclare il denaro dei narcos, quelli della DEA potevano fare qualsiasi cosa. Perfino violentare sua moglie. Agivano per conto proprio questi agenti? Erano in incognito? Impossibile saperlo. Óscar si fermò a pensare mentre camminavano verso l'auto.

    -E adesso, dottore?

    -Andiamo in ufficio. Oggi è martedì. Abbiamo la riunione settimanale.

    2

    É stato a Parigi che mi sei mancato davvero.

    Camminavo per boulevard Saint-Michel. O era Saint-Marcel? Non mi ricordo. Tutte le strade di Parigi si assomigliano un po'. Sono belle. Peccato che sia tutto così vecchio.

    Cammino molto. Nessuno ci crede. Due giorni prima mi ero comprata un paio di anfibi Doctor Martens in un negozio vicino al museo del Louvre. Li avevo sempre voluti. Ma sono così cari. O lo erano.

    Al Louvre ci sono andata perché bisogna andarci. Sono entrata direttamente a vedere quello che si deve vedere. Sono corsa verso la Nike di Samotracia. Non dare ali a chi non può volare, mi diceva la mamma quando ero un'adolescente.

    A quell'età mi innamoravo sempre di chi non mi amava, come te. Chi potrebbe mai innamorarsi di una donna come me?

    Non dare ali, diceva mia madre e io non riuscivo a smettere di pensare a lei mentre guardavo la Nike. Potrà volare anche così, senza testa?

    Volare.

    Per tutto questo viaggio ho volato solo in prima classe, te l'ho detto?

    Quando sono salita sul primo aereo a Città del Messico, quella cogliona della linea aerea che chiamava per l'imbarco ha detto ora stiamo chiamando solo i passeggeri di prima classe. Quando mi vede, alza il sopracciglio e mi chiede: Prima classe?

    Non ho potuto, davvero non ho potuto evitare di prenderla per il bavero della sua giacchettina, tirarla verso di me e dirle: Cos'è, non sembro una da prima classe? Avresti dovuto vederla, se l'è fatta sotto dalla paura.

    La verità è che no, non ho la faccia da ricca.

    Io me ne stavo lì, sedutissima sulla mia poltrona, senza intenzione di muovermi. Non volevo sembrare fuori posto. Non più di quanto già mi ci vedessi, mi terrificava l'idea che tra quei manager e quelle donne con la puzza sotto il naso si notasse da dove venivo.

    Con la puzza sotto il naso, anche questo lo diceva la mamma.

    -Passeggera Andrea Mijangos, passeggera Andrea Mijangos, la preghiamo di identificarsi -hanno detto all'altoparlante mentre ci allacciavamo le cinture.

    -Sono io -ho detto con voce soave. Magari mi facevano scendere per aver dato di matto.

    Non l'hanno fatto. Non c'è dubbio che col denaro si compra tutto.

    In qualche modo me ne sono stata tranquilla per tutto il viaggio. Non ho accettato nemmeno uno dei bicchieri di vino che offrivano. Rozza, grossa, ma ben educata.

    Questo è successo molto tempo fa. Settimane. Due o tre mesi. O di più? Non lo so, il tempo passa in modo molto strano quando viaggi.

    Mi volevo allontanare dal Messico. Mi volevo allontanare da te e dai tuoi ricordi. Da mio fratello e da quella gringa di sua moglie. Dal mio vecchio lavoro nella polizia. Dalle notti di solitudine, passate giocando a Quake fino alle quattro del mattino, a bere Tecate light e a mangiare pretzel.

    Da te.

    Perché ti sto raccontando tutto questo?

    Ah, perché ti dicevo che ero al Louvre a guardare la Nike e poi sono andata alla sala della Monna Lisa, circondata da turisti giapponesi che facevano foto. O saranno stati cinesi? L'ho guardata in faccia. Sorrideva.

    Cosa ti ridi, idiota?, ho pensato. Doveva veramente far ridere come battuta, visto che ancora non ha smesso.

    Dopo la Gioconda sono passata a vedere solo la Venere di Milo. Sono stata un bel po' a osservare i suoi fianchi, e intanto pensavo che oggi nessuno metterebbe una donna così in una pubblicità né la farebbe posare per la copertina di una rivista.

    Avrà avuto le braccia grasse come me, la Venere? Forse per questo se l'è tagliate. A te piaceva mordermele.

    É strano. Se sono qui è grazie a te. Al biglietto della lotteria che mi hai comprato. O era del Melate? Al premio che hai vinto e che non hai potuto riscuotere.

    Sono partita fuggendo da tutto. Dal lavoro. Dalla mia famiglia. Dalla tua assenza. Avevo sempre voluto viaggiare. Senza limiti di denaro. Senza bisogno di tornare a lavorare. E adesso che lo faccio, mi annoio.

    Ma sono venuta anche, bisogna dirla tutta, per cercare Lizzy Zubiaga, quella che ha commissionato il tuo omicidio per mano di un malato di mente. Per rintracciarla in tutta Europa. Per seguire i suoi spostamenti.

    Provo a scovare la mia preda senza successo.

    La seguo con la pazienza di un cacciatore di balene. La cerco sulle riviste di gossip, dove la vedo sempre sullo sfondo delle fotografie, nascosta dietro una folla che assiste all'inaugurazione di una discoteca a Francoforte o di una mostra d'arte in qualche galleria di Barcellona.

    Pensavo che a Parigi le sarei stata più vicino.

    No.

    So tutto della sua vita. Che profumo usa. Che vestiti porta. La sua taglia di reggiseno. Perfino il nome del suo consulente finanziario e l'agenzia in cui lava il denaro sporco in Messico.

    Ho investigato su di lei per mesi. É brava. Di solito lascia poche piste, piccole tracce, difficili da seguire.

    Ma non impossibili. La gran cagna non è invisibile. E sia dove sia, io riesco sempre a vederla.

    Ma approssimarmi a lei, avvicinarmi... niente. É un'ombra che mi scivola alle spalle. É Moby Dick che si immerge tra le onde proprio nel momento in cui l'arpione colpisce la superficie del mare. É il mostro che fugge in lontananza mentre il dottor Frankenstein lo

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1