Oltre Ogni Confine
By Elena Ungini
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Oltre Ogni Confine - Elena Ungini
Angelo.
CAPITOLO 1
Tiepidi raggi di sole, come fendenti lame di luce, filtravano dalla veneziana abbassata e accarezzavano il copriletto di raso color rosa antico, sfioravano il cuscino, si posavano lievi sul mio viso, teneri e caldi, scivolavano fra le palpebre, sornioni, si insinuavano nei miei sogni, decisi più che mai a svegliarmi, ma con dolcezza.
Piano piano, con estrema riluttanza, aprii gli occhi e cercai di mettere a fuoco. C'era luce nella stanza. Troppa luce!
È tardi
, pensai.
Per qualche secondo fissai assonnata le quattro paia di occhi vitrei che mi osservavano dalla mensola, salutai i miei adorati peluches con un sorriso, poi mi stiracchiai e trovai il coraggio di guardare la sveglia, appoggiata sul comodino: erano le sette e trenta. Quel maledetto aggeggio infernale si era incantato di nuovo e non aveva suonato.
Devo decidermi a cambiarla. Non posso arrivare in ritardo tutte le mattine!
, sbuffai nervosamente.
Mi alzai di corsa, infilai un paio di jeans e una maglietta, le calze, le scarpe da tennis e, dopo un salto veloce in bagno, mi precipitai in cucina. La stanza era vuota. Mio padre era impiegato in un ufficio in centro e alla mattina usciva verso le sei, mia madre lavorava come infermiera all'ospedale civile, e quella settimana aveva il turno di notte. Non sarebbe rientrata prima delle otto. Mio fratello studiava in Inghilterra da diversi mesi. Mi chiesi da quanto tempo non lo sentivo. Due giorni? Tre? Chi se lo ricordava?! Diedi un altro sguardo all'orologio appeso in sala: troppo tardi per potermi concedere il lusso di un caffè. Infilai nella borsa i libri alla rinfusa. Mi mancava quello di storia. Mi venne in mente che si trovava sul mio comodino: la sera prima mi ero addormentata mentre cercavo di ripassare.
Speriamo che non m'interroghi proprio oggi
, pensai, ma sapevo già che non sarebbe andata così. La fortuna, di solito, sapeva benissimo dove mi trovavo e se ne andava precipitosamente dalla parte opposta.
Le otto meno un quarto!
, mi lasciai sfuggire un'esclamazione, pur sapendo di essere sola in casa. Dovevo sbrigarmi. Ficcai l'astuccio nella tasca laterale della borsa, ci infilai anche una merendina e mi catapultai fuori. Chiusi a chiave e attraversai di corsa la strada, a quell'ora molto trafficata. Al semaforo pigiai il bottone per chiamare il verde. Una lunga colonna di macchine stava transitando e probabilmente avrei atteso per un bel pezzo. Stavo quasi per decidermi ad attraversare con il rosso, quando finalmente la colonna si fermò ed ebbi via libera. Raggiunsi la fermata del filobus, salii di corsa e in breve arrivai al liceo Copernico, dove frequentavo la terza.
Mi fiondai nell'ingresso, salutando la bidella, che mi rivolse un cenno con la mano e mi sorrise, poi si toccò l'orologio, facendomi notare che ero in ritardo. Il corridoio era vuoto, erano già tutti in classe. Mi augurai che la professoressa Storti, arcigna insegnate di storia e geografia, non fosse già entrata, o avrei subìto l'ennesima ramanzina, per quell'anno.
La porta della classe era aperta e la prof non c'era ancora. Tirando un sospiro di sollievo lasciai cadere a terra lo zaino e sgusciai nel banco, accanto a Cristina.
Lasciami indovinare, Giulia. La tua sveglia si è incantata di nuovo
, fece lei.
Già. Devo comprarne una nuova. Non ne posso più di queste corse fuori programma
, ansimai, ancora senza fiato.
Almeno ti mantieni in forma
, scherzò allegramente.
La professoressa entrò in classe, salutò, ci fissò uno a uno col suo solito cipiglio e, dopo aver fatto l'appello, annunciò con un sorrisetto poco rassicurante, e decisamente ironico, che avrebbe interrogato. Il cuore mi scoppiava nel petto, mentre lei apriva a caso il libro di storia. Fissò il numero di pagina uscito, poi annunciò:
Duecentoventidue. Due più due più due fa sei
.
Sobbalzai.
Lo sapevo che mi avrebbe chiamato
, sospirai.
Numero sei...
, sussurrò, consultando il registro: Giulia Bianchi
, chiamò, inesorabilmente.
Mi alzai, pregando di portare a casa almeno una sufficienza. Altri tre malcapitati subirono la mia stessa sorte e insieme raggiungemmo la cattedra, dove la prof ci spremette come limoni per circa mezz'ora. Tornai al posto con un sei e mezzo. Meglio di niente.
Occupai la mezz'ora successiva disegnando fiorellini sul libro di storia e pensando a quando, durante l'intervallo, avrei rivisto Luca, il mio ragazzo. Avevamo trascorso la domenica pomeriggio insieme, ma si era comportato in un modo un po' strano, più serio del solito, più silenzioso. Forse era colpa degli esami, che erano alle porte e lo preoccupavano. Non vedevo l'ora che la scuola finisse per poter passare l'intera estate con lui. Stavamo insieme da quattro mesi e l'amavo da impazzire. Mi immaginavo a sfrecciare sulla sua moto, verso lidi meravigliosi e spiagge assolate, oppure in mezzo a boschi verdeggianti e profumati, a cercare funghi e frutti di bosco, camminando sugli aghi di pino, o raggiungendo lontani ghiacciai e posti meravigliosi e incontaminati. Immaginavo le sue labbra fresche, mentre mi baciavano senza sosta; i miei occhi persi nei suoi, sotto un cielo trapunto di stelle, le passeggiate mano nella mano.
Cristina, la mia compagna di banco, mi rifilò una gomitata, riportandomi bruscamente alla realtà.
Che c'è?
, chiesi.
La prof sta dettando i compiti. Svegliati o te li perderai
.
"Scusa,