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Quarzo: La leggenda del sangue di drago
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Quarzo: La leggenda del sangue di drago
Ebook417 pages5 hours

Quarzo: La leggenda del sangue di drago

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About this ebook

Il passato è un filo che non vediamo, un filo che ci lega indissolubilmente anche al nostro futuro.
Immaginate un paese, la sua storia misteriosa e dimenticata, immaginate che improvvisamente riaffiorino misteri tenuti nascosti dal tempo, immaginate...Paludi, boschi e mulini, un castello, una ragazza in fuga...immaginate un presente che non accetta di slegarsi da questa storia, un antico patto di morte tra il bene e il male, una battaglia rimandata nei secoli, una storia giunta all’epilogo.
Ora guardate le campagne, le case, guardate la gente che avete attorno.
Nell’abitato di Manzolino, sito nelle campagne tra Modena e Bologna, si scatena la furia omicida di un pazzo. Attorno ad essa si muovono Francesco “Cisco” Ferrari, un ex poliziotto scontroso e solitario, Angelo Scalzi, un ispettore metodico, e le persone comuni che, passivamente, partecipano e osservano.
Ritorna Cisco e lo fa in grande stile, con una indagine che andrà oltre ogni sua e ogni vostra aspettativa.
Un romanzo che parla di cosa c’era, di cosa c’è, e di qualcosa che non vediamo ma ci segue in ogni momento senza farsi scoprire. Un romanzo che scoprirete pagina dopo pagina così come crescendo avete scoperto voi stessi, perché in questa vicenda chiunque potrebbe essere protagonista.
Anche voi che leggete, inconsciamente, verrete rapiti, senza rendervene conto… per gioco o forse chissà…
LanguageItaliano
Release dateSep 6, 2017
ISBN9788822819246
Quarzo: La leggenda del sangue di drago

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    Quarzo - Andrea Righi

    Andrea Righi

    QUARZO

    (La leggenda del sangue di drago)

    A Davide,

    futuro di un meraviglioso presente.

    PREFAZIONE

    Salve a tutti, mi chiamo Andar Hake…

    … riproviamo…

    Salve, sono il capitano Andar Hake, della Flotta

    … no…

    Capitano Hake, piacere di conoscervi…

    Sì, lo ammetto, mi trovo in forte difficoltà.

    Il mio lavoro non centra molto con quello che sto per fare. Con quello che mi è stato chiesto, di fare…

    Io lavoro con il mio equipaggio a bordo della nave soccorso Pathfinder. Ne sono il capitano.

    Non è una nave qualunque, così come voi concepite questo termine.

    Ma questa è un’altra storia.

    Conosco Andrea Righi da non molto, relativamente parlando per voi che vivete sulla Terra, in questo tempo. Lo conosco di persona, sì. Per vie traverse. Un grande amico lavorava con lui, tempo fa, così come tutt’ora… mi ha parlato spesso di questa predilezione alla scrittura che si sono riscoperti avere in comune, seppure di differenti studi. Lettura e scrittura sono senza tempo…

    Dovete sapere che ho incontrato un paio dei suoi personaggi durante i miei viaggi e devo ammettere che Cisco – che ormai conoscerete molto bene – lo rispecchia molto.

    No, non solo nel carattere. Ma nelle soluzioni.

    Ricordo che mi aveva parlato di eliminarlo dai suoi racconti, perché Andrea non è amante sempre degli stessi personaggi e – sue testuali parole – delle lunghe intricatissime serie.

    Gli ho consigliato di non farlo. È una sua creazione. È lui. Deve saltar fuori, prima o poi.

    Non vuoi le serie? Va bene, come preferisci, ma Francesco Ferrari deve governare il tuo inchiostro.

    Chi comanda è la creazione, non il creatore. Mi ha detto anche questo. Sembra assurdo, ma è così.

    E anche stavolta, è accaduto. Come sempre nel mezzo ai casini più assoluti, quasi come fossero proprio loro a richiamare Cisco in servizio contro la sua volontà, disturbandone la reclamata quiete per sbrogliare la situazione. Inconscio, del resto dell’iceberg che solitamente galleggia all’ombra della sua punta.

    Ma d’altro canto è proprio questo il motore della sua vita. Essere in mezzo.

    Un altro punto in comune.

    A dire la verità non ho molto tempo per leggere ma, tra una missione e l’altra, questo Quarzo me lo sono proprio bevuto. Dal freddo Nord al caloroso Sud dell’Italia, fino all’altro capo del mondo in una tranquilla regione del Sud America. Tutte tappe importanti per Andrea; un vero omaggio alle bellezze italiane ma anche una critica, una plateale denuncia alla società odierna. Un bravo romanziere.

    E capirete presto che non sarà solo questione di dove, ma anche di quando, capitolo dopo capitolo.

    Il Tempo centra sempre, in un modo o nell’altro. Che lo si voglia o no…

    Andrea si è superato, in queste pagine. Il suo amore per i thriller e gialli ha chiesto di fondersi con un’altra sua innata passione: il fantasy. Come avrebbe potuto non ascoltare la voce?!

    E grazie a questo connubio riesce a lanciare un chiaro e indiscutibile messaggio. Mai lasciare irrisolto il passato, perché prima o poi, nel presente o nel futuro, egli ritorna, con tutti i problemi connessi ingigantiti oltre ogni inimmaginabile proporzione, che vi trasporteranno in un viaggio incredibile dal quale potreste anche non fare ritorno. Non è scontato, la Morte non sempre avvisa prima di bussare alla tua porta.

    Meglio siate voi stessi, gli autori delle decisioni che cambieranno le vostre sorti, poiché solo voi potrete rispondere delle vostre azioni di fronte alla Nera Signora.

    Ah, quasi dimenticavo. Come sempre, apprezzo le copertine dei suoi libri. Gran bei disegni; io sarei negato. Ci tengo quindi a elogiare colei che ha dispensato risorse per dare a queste pagine un volto e un colore.

    Sì, la conosco: Giorgia. Non rimarrai nell’ombra, stavolta. Scordatelo…

    Condivido tanto questa passione di Andrea; quando andrò in pensione penso che mi ricaverò un po’ di tempo per fare lo stesso.

    Racconterò dei miei viaggi, di ciò che ho imparato, di ciò che ho perduto.

    Di ciò che ho trovato…

    … sempre che qualcuno non rompa il silenzio e lo faccia prima, un giorno o l’altro…

    Adesso devo andare, le Stelle reclamano, la Storia anche…

    … buona lettura.

    E ricordate, sempre…

    nihil est quod, fieri non potest

    …niente è impossibile.

    INTRODUZIONE

    Prima di lasciarvi alla lettura di questo romanzo credo sia doverosa una piccola introduzione: una sorta di guida alla lettura.

    Quando, qualche mese fa, ho deciso di raccontare questa storia non pensavo ne sarebbe uscito un libro di quasi 400 pagine.

    È un libro difficile, che parla di destino, decisioni rimandate, passato che ritorna e amori sospesi al filo dei ricordi: un quadro che ha come cornice Manzolino, vista così come è oggi e come era molto tempo fa, quando ancora qui transitavano dame e cavalieri.

    Non è stato però così arduo come sembra incastrare tutto.

    È stato molto più complicato smettere di scrivere, perché ogni passaggio, ogni fotografia che vedevo postata sui social, ogni ricordo, fornivano impulsi nuovi.

    Questo è un libro che mi ha totalmente rapito e, posso dirlo, si è scritto da solo.

    Per questo chiedo anche a voi di lasciarvi assorbire.

    Infine credo di dover spendere un paio di righe per la causa scatenante.

    Alcuni paesani hanno messo in moto una bellissima iniziativa ricostruendo la storia di questo piccolo scorcio di provincia che è proprio Manzolino. È, guardando quel filmato, che mi sono accorto di quanto, a volte, non si conosca bene il luogo dove si vive o si è vissuti per tanto tempo.

    Mi sono reso conto solo raccontandone la storia di quanto ho ricevuto in trentun anni di vita lì.

    Immaginare il castello, le campagne, i mulini, la gente dentro e fuori dal borgo fortificato, mi ha fatto capire che ogni storia ha bisogno di una ambientazione, e ogni spettacolo di un palcoscenico.

    La nostra vita, in fondo, non è una meravigliosa rappresentazione?

    Credo, inoltre, nelle immagini di quel magnifico filmato, di aver trovato quello ideale da far calcare ai miei attori d’inchiostro.

    Per questo ringrazio chi mi ha appoggiato in questo progetto, in particolare Andrea, Roberta, Lilia e Mario che erano presenti al primo incontro e mi hanno spronato a continuare un lavoro che, viste le tempistiche, sembrava folle, e mi hanno assistito con imbeccate storiche e nozioni che ignoravo.

    Inoltre ringrazio tutti i responsabili della festa che mi hanno permesso di presentare questo libro.

    Nota tecnica:

    Non mi piace godere dei benefici di un lavoro che è costato molta fatica ad altri, e della bellezza di luoghi dei quali forse, se qualcuno proprio deve rivendicarne il possesso, può vantarsi solo Nostro Signore.

    Per questo credo che, in caso questo libro venda qualche copia, sia doveroso lasciare interamente i guadagni alla parrocchia, per i bambini, perché è da loro che partono le vere ristrutturazioni.

    È un modo per restituire ciò che ho avuto da questa terra.

    Grazie a tutti e buona lettura.

    PROLOGO

    Lei gli è di fronte, immobile.

    L’uomo stringe una provetta tra le dita tremanti della mano destra, la sinistra giocherella con la siringa.

    Sembra disinvolto a chi lo vede da fuori; in realtà trema, soprattutto dentro: non ha mai fatto una cosa come quella per cui è stato chiamato, non ha mai nemmeno trasgredito alle regole, mai prima di questo momento, mai prima di questa notte.

    La stanza, tra l’altro, riflette un silenzioso buio interiore che la sua anima nasconde bene.

    Non è tranquillo.

    Guarda in silenzio il suo obiettivo: una sagoma immobile.

    In quello stato la donna non può accorgersi di lui.

    Il corpo nudo, sotto il lenzuolo bianco, si muove a ogni respiro, in modo impercettibile, sollecitando il rumore dolce dei macchinari.

    Lui cammina sulle punte: non può e non vuole farsi sentire.

    Ogni secondo trascorso sembra governato da un equilibrio di cristallo.

    Giungere fino a quel letto non è stato semplice: ha dovuto aspettare che l’infermiere in guardiola si allontanasse e, solo allora, è potuto entrare non senza insicurezze.

    Non ha molto tempo, forse giusto quello di un caffè.

    Si accorge, in quel momento, che anche le spalle sono scosse da un tremolio sommesso.

    Nonostante tutto, deve continuare. Deve annullarsi.

    Quanto sta facendo è vitale.

    Siamo chiamati spesso a compiere passi importanti, a prendere decisioni difficili, e niente di tutto ciò deve spaventarci: è vita.

    Respira a fondo, l’aria odora di disinfettante, è fredda, anonima come lo sono quei posti.

    Chiude gli occhi, inspira.

    Si sente colpevole per ciò che sta facendo.

    Ci si sente sempre colpevoli.

    Il destino è il destino.

    Abbassa lo sguardo.

    Anche i macchinari tacciono.

    È il momento giusto.

    ANTEFATTO

    Emilia Romagna

    Secolo XVI

    La lama avversaria era forgiata da un acciaio nobile e resistente, lo capì dal suono emesso al cozzare con la sua spada. Certe cose la guerra ti imponeva di impararle: saperle rappresentava spesso il confine tra la vita e la morte.

    Il metallo proiettò un riflesso che spinse la giovane donna a chiudere, per un attimo, gli occhi verdi, ignorando il dolore procuratole dalla profonda ferita al fianco.

    Indietreggiò cercando un riparo che sapeva già non avrebbe trovato mentre, dentro i vecchi stivali rovinati dal tempo, l’acqua della palude filtrava, bagnandole i piedi.

    Non era un bene, in battaglia, avere un impedimento.

    Il suo avversario, oltretutto, era più forte, e il costato ferito la triste consapevolezza che il contenzioso non sarebbe durato ancora a lungo.

    Lo sapeva: in un modo o nell’altro quel posto rappresentava la fine di una lunga fuga.

    L’uomo di fronte a lei avanzava lentamente, sicuro dei propri movimenti, costringendola, a ogni passo, in una posizione dalla quale non avrebbe avuto via di fuga.

    Lei vedeva la spada, sporca di sangue, ruotare alla torsione esperta del braccio muscoloso.

    Alle loro spalle, steso a terra senza vita, c’era il corpo di un altro soldato.

    Fermati, se mi uccidi avrai fallito. Provò a dire lei.

    Le parole erano l’unica arma a sua disposizione, in quel momento, in grado di fermare quell’ avversario.

    Il mercenario non si scompose, lo sguardo era di fuoco.

    Non sei nella posizione di dirmi cosa è giusto che io faccia.

    Non metterti contro di me.

    Zitta, ho detto! Oppure farai compagnia al tuo uomo, molto prima del tempo scritto.

    Uno sguardo leggero le cadde, di nuovo, sulla sagoma scomposta adagiata nella palude.

    Si erano amati, lei e quell’uomo ora senza vita, di un amore capace di vincere su tutto, un amore tanto forte da spingerlo a sacrificarsi per lei.

    Una vampata le arrivò al viso, coprendole la faccia dello stesso brivido caldo regalatole dal sangue che, copioso, fuoriusciva dallo squarcio nella sua pelle.

    Non ho altra scelta.

    La voce del vecchio Ethan le risuonò chiara dentro al cuore, in risposta a quel pensiero.

    È vero, non hai altra scelta. Ma devi esserne sicura: ora sai cosa comporta.

    La ragazza annuì, quasi fosse inconsapevole di aver solamente immaginato quel dialogo poi, leggera, utilizzò le ultime energie per compiere un balzo verso il suo avversario che, preso alla sprovvista, non si difese trovandosela addosso.

    *

    Il guerriero cadde all’indietro, franando a terra in tutta la sua mole.

    Poteva, una così esile creatura, essere in grado di compiere un gesto tanto pieno di potenza?

    Quando riaprì gli occhi, cercando di alzarsi dalla fanghiglia nella quale era invischiato, vide qualcosa che non avrebbe mai creduto possibile; qualcosa che non perse tempo a lasciarsi identificare.

    Prima riecheggiò un ruggito.

    Poi arrivò il calore. Breve. Intenso.

    La fine fu dolorosa e istantanea.

    *

    La battaglia era finita.

    La ragazza aveva vinto.

    Rimaneva sola con la sua vita, sola con le scelte appena fatte, sola con i suoi errori.

    Il fianco aveva smesso di sanguinarle.

    Non lontano, il corpo di chi si era dato per lei sembrava fissarla, nell’immobilità fredda della morte.

    La donna lo avvicinò, si chinò, baciandolo sulla fronte sporca di terra e sudore, scostandogli delicatamente, in modo semplice, i capelli biondi.

    Ho vinto io, il mercenario è morto, ti ho vendicato.

    Lo baciò poi sulle labbra e, infine, utilizzando la spada che lui aveva brandito prima di soccombere, praticò un taglio a livello del costato sul corpo inerme, disteso sotto di lei.

    Quella spada significava tutto e nulla allo stesso tempo; significava magia e amore, salvezza e morte.

    Alcune lettere scintillarono sulla lama. La luce, per un breve istante, lasciò spazio a una momentanea notte.

    Aspettò il sorgere del sole, incerta se proseguire o meno quel rito antico, a lei ancora sconosciuto.

    Non hai molto tempo.

    Lo so Ethan, lo so.

    Oramai hai scelto, devi fare in fretta.

    Lasciò cadere parte del suo sangue nella ferita aperta dell’uomo e, alzandosi in piedi, attese.

    I minuti seguenti, per lei, furono dolorosi con fitte lancinanti nel petto, ma l’uomo riprese a respirare con regolarità, giustificandole così ogni sofferenza.

    Adesso vattene. Vattene via.

    Ma lui…

    Lo sapevi. Vattene via. Hai tempo fino al tramonto. Dopo non sarai più la stessa persona.

    Ethan, io non ce la faccio a lasciarlo.

    Devi farlo. Gli hai ridato la vita, la tua vita. Vivrai in lui, per sempre.

    Il dolore si fece lentamente più forte, diffondendosi alle gambe, alle braccia e allo stomaco.

    Capì che era il momento di fuggire, l’ultimo momento.

    Guardò a terra il torace muscoloso muoversi, nel respiro nuovo di una nuova vita.

    Addio.

    *

    Il soldato aprì gli occhi mentre il cielo si vestiva di una calda tinta arancione.

    Si alzò utilizzando un vecchio bastone come appoggio, dando fondo alle poche forze rimaste. Tutto sommato era andata bene: il colpo subìto, almeno all’inizio, sembrava aver provocato danni più gravi dei semplici graffi che ora si trovava addosso.

    Nessun altro era lì.

    Poco distante il mercenario giaceva in una pozza di sangue e fango.

    Chi poteva averlo ucciso?

    Chiamò un nome di donna ma non ottenne risposta.

    Se ne è andata di nuovo.

    Una paura rassegnata riempì il suo cuore.

    Un grido ruppe il silenzio della sera.

    Niente di umano.

    Camminando con attenzione il guerriero si allontanò da quel posto di morte. Non aveva più senso rimanere lì, lei era scomparsa e strane sensazioni pervadevano un istinto mai come ora guardingo.

    In qualche modo, forse, si sarebbero rivisti.

    Iniziò a cantare una melodia dolce, per accompagnare passi incerti e deboli, mossi senza una meta precisa.

    Il grido rispose di nuovo, stavolta con tono pacato.

    La terra, attorno a lui, era una tavolozza nera in grado di celare chiunque e qualsiasi cosa.

    Nascosto da quella oscurità qualcuno lo stava spiando.

    Non perse tempo, non aveva le energie per combattere ancora, ed era disarmato. Controllò di nuovo, per quanto gli fu possibile. Non vi era traccia della sua spada e nemmeno del suo cavallo.

    La ferita all’addome si era miracolosamente chiusa, ma il taglio a livello delle costole gli doleva. Avrebbe fatto male per parecchio tempo, ma questo lui non poteva saperlo.

    Non ricordava di essere stato colpito in quel punto, proprio a livello dell’elsa, nel suo fianco protetto. Strinse i denti, il dolore lo invadeva a ogni movimento.

    Doveva raggiungere il paese per trovare rifugio, magari alla locanda, e recuperare energie: lo fece, ignaro di tutto.

    BUIO

    Emilia Romagna, provincia di Modena.

    Secolo XXI

    Si sente puzza di benzina. Oppure è olio da motore.

    È difficile, per lei, distinguere le due cose. Non ha mai capito molto di meccanica.

    Non vuole respirare a fondo, il sapore che l’aria le lascia in bocca è acre, umido, caldo.

    Ha paura.

    Da fuori non arriva nessun rumore.

    Pensa… pensa…

    Il buio è quasi totale, la luce dei lampioni entra a fatica dall’unica piccola finestra, rendendo tutto troppo simile alla notte.

    Sono tre giorni, ormai, che è rinchiusa lì.

    La trattano bene.

    Anche se il cibo è poco, l’acqua non manca, ma nemmeno basta. Lo stomaco infatti brontola.

    Ha sonno ma non riesce a dormire.

    Da piccola contavo le pecore per dormire, in estate, invece, contavo le stelle immaginando che loro svanissero al mio comando…

    Pensa… pensa…

    È sicura della presenza di qualcuno nella casa accanto, ne percepisce le voci, i rumori di passi, la televisione. Sono loro che sembrano non udire le sue grida.

    Da due giorni spreca ossigeno nel buio, invano.

    Ora non ha più voce.

    Il fiato le stringe la gola, i polmoni fanno male. Colpa di una maledetta patologia cronica che la segue fin da piccola, e dell’umidità.

    Espira.

    Il fiato le stringe la gola, per questo è costretta a respirare a bocca aperta.

    Inspira.

    Entrano di nuovo in gola il benzene, il dolciastro, l’acre.

    Non resiste.

    Soffoca un conato.

    Si ferma, ansima.

    Attorno a lei ci sono delle auto. Le tolgono spazio. Le limitano i movimenti.

    Pensa… pensa…

    Da piccola cantavo per vincere la paura del buio…

    Ora non mi esce la voce…

    Provo a contare le pecore.

    Una… due… tre…

    Non serve a niente…

    Quattro… cinque… sei…

    È inutile, questo silenzio è la somma di troppi rumori assordanti…

    Sette… otto… nove…

    È inutile… inutile…

    Dieci… undici… dodici…

    Ho freddo… freddo…

    Le palpebre crollano, lentamente.

    Appoggia la testa ai mattoni sporchi di muffa.

    Ho freddo… ho troppo freddo…

    CAPITOLO 1

    (Passato Prossimo)

    Nonantola (Modena)

    La polvere nasconde ma non cancella, lo fa con le cose, soprattutto.

    La cantina odorava di muffa e urina. L’unico rumore percepibile era il fruscio prodotto dai topi.

    Il baule invecchiava in un angolo, il più buio di quel locale angusto e capace di mettere paura anche illuminato dalla luce del giorno, luce che, con difficoltà, penetrava dalle quattro finestre strette, piccole e allineate a ridosso del soffitto.

    L’uomo, semplicemente soffiando, eliminò il velo bianco che ricopriva il lucchetto e fece scattare la serratura ruotando la chiave di un quarto di giro.

    Sollevando il coperchio un odore vecchio di anni gli arrivò alle narici e poi al cervello. Gli occhi si chiusero accompagnando un’espressione disgustata, lunga solamente un attimo; in pochi secondi tutto ridivenne normale.

    Attorno a lui c’era un’oscurità famigliare e amica, capace di farlo star meglio, un buio leggero nel quale, fin dall’infanzia, si sentiva protetto.

    Il cigolio del legno riecheggiò inquietante, portando al presente le lacrime e il dolore racchiusi in ciò che l’uomo si apprestava a stringere tra le mani bianche e forti.

    Ogni movimento produceva polvere.

    Tergiversò ancora.

    Un solo raggio di luce colpì i granelli sottili di pulviscolo nel loro volo leggero; ogni gesto, persino ogni respiro, erano motore di turbini frenetici che poi, con lentezza, andavano svanendo senza dar traccia della loro destinazione.

    *

    Guardò di nuovo dentro il baule.

    Sollevò una sfera senza scostarla troppo dal supporto di panno rosso e legno al quale era appoggiata. Al primo contatto con i polpastrelli sudati un luccichio percorse interamente la superficie liscia di quarzo.

    Poteva non voler dire nulla.

    Ma poteva, al contrario, voler dire tutto.

    Per lui era una certezza.

    Non si è mai preparati a scoperte così; anni di studi e ricerche non valgono un secondo di questi momenti.

    Te ne rendi conto, però, solamente vivendo l’emozione: scopri la vita nell’attimo in cui esisti.

    Il primo sorriso, dopo troppo tempo, scompose la sua espressione concentrata; l’abbazia intera sembrava parlargli mentre, dietro di lui, un viso prese forma senza tradire il minimo rumore.

    Il pulviscolo disegnò, nell’aria rarefatta, due occhi, un naso e una bocca.

    Un soffio sottile divenne un fischio che poi si tramutò in parole.

    Trovala… trovala…

    Il sacerdote cambiò posizione avendo cura di coprire il contenuto del baule a chiunque fosse dietro di lui, ma, voltandosi in fretta, non vide nessuno.

    Trovala… trovala…

    Il viso apparve di nuovo, stavolta di fronte ai suoi occhi increduli di uomo.

    Trovala… trovala…

    Qualche mese dopo

    El Gran Roque (Venezuela)

    Un uomo attraversò la strada sabbiosa.

    Nemmeno al giorno d’oggi esiste l’asfalto, in questo posto.

    Il temporale si era lasciato dietro enormi pozzanghere di fango dentro le quali i pochi bambini giocavano a schizzarsi l’acqua.

    Lui li evitava con passi veloci.

    Sistemò sulla testa il vecchio panama bianco, aggiustando poi gli occhiali scuri; indossava bermuda chiari di lino, una camicia azzurra aperta sul petto e poteva, a occhi poco attenti, sembrare un turista, uno dei tanti, uno della maggioranza a popolare anche oggi quell’isola.

    Camminava scegliendo le strade più strette, dove era sicuro non avrebbe incontrato nessuno: amava la solitudine.

    Raggiunse il porto in pochi minuti.

    Rimase immobile di fronte al teatro del mondo che, a volte, riesce a inventarsi scenografie quasi surreali mentre gli occhi, distrattamente lontani, fermarono la loro fuga in un punto preciso della spiaggia.

    Poco distante da lui, infatti, un uomo vestito di bianco occupava un lettino prendisole sulla veranda di una delle tante strutture turistiche ricavate dalle vecchie case dei pescatori.

    In questo posto, a quasi duecento chilometri d’acqua da Caracas, le persone sono in maggioranza estranei. Molte delle abitazioni sono diventate piccoli alberghi, chiamati posade, e i pochi abitanti lavorano per il confort di chi, in questo luogo cerca, e trova, la vacanza da sogno.

    Oscar sembrava essere l’icona ideale in grado di incarnare il prototipo in questione: un ricco europeo desideroso solamente di pace, sole e mare.

    Apparteneva all’alta società, lo si capiva subito dai movimenti con i quali si alzò in piedi presentandosi al soggetto con il cappello bianco che gli si avvicinava in modo rozzo ma cortese.

    Salve.

    Allargò un sorriso cordiale, di quelli imparati negli anni.

    Non serviva altro.

    Cisco sapeva già con chi stava parlando: ricambiò il saluto semplicemente scandendo il proprio nome con tono informale.

    Francesco Ferrari. Lei è Oscar, vero?

    Sono io. Non serve che si presenti, conosco il suo nome e anche le sue qualità. Se contatto una persona significa che ho ben chiaro di chi si tratta.

    Cisco lo guardò senza capire.

    La lettera di quell’uomo gli era stata recapitata qualche giorno prima. Ne aveva memorizzato il nome del mittente, tutto il contenuto e aveva deciso di recarsi all’appuntamento richiesto, ma non pensava di dover fronteggiare uno sconosciuto al corrente di molte cose della sua vita.

    Sentiamo, allora.

    "Lei era un poliziotto, un bravo poliziotto. Ora vive qui, gestisce una struttura turistica e non ne vuole più sapere di tornare in Italia, giusto?"

    Giusto. Detto questo mi spiega cosa vuole da me? Cisco pronunciò quelle parole con tono alto e brusco. Lo fece senza rendersene conto.

    La scortesia non riuscì, però, a violentare il suo viso di solito pulito e affascinante.

    "Si calmi ispettore Ferrari: non è un processo. Mi serve aiuto. Il suo aiuto."

    Oscar fece calare un attimo di silenzio e, con un cenno, chiamò il cameriere. Ostentava tanta sicurezza e, senza lasciare tempo per una replica, riprese il discorso.

    Posso continuare?

    Certo che può, ma non sono più un ispettore.

    Due bicchieri di rum si posarono davanti a loro, il barman era stato talmente discreto e veloce che nemmeno lo videro arrivare.

    Lo so, come so anche che si arrabbia molto quando la portano a rivangare il passato. Ma è quella parte di lei l’unica in grado di aiutarmi: devo trovare una persona.

    Per quello c’è la polizia. Sono bravi.

    Cisco si rilassò contro lo schienale di vimini, accendendo un altro sigaro.

    Non è una cosa di cui si può occupare la polizia, sono affari più discreti e, per questo, mi hanno parlato di lei. Pagherò molto bene, non si preoccupi.

    Non mi interessano i soldi, signore.

    Mi chiami Oscar. E diamoci del tu.

    Sollevò il bicchiere, sorseggiando con classe il liquido.

    Non doveva avere più di sessant’anni, ma appariva più vecchio nelle rughe scavate a fondo sulla pelle scura. La luce del sole illuminava la camicia bianca che lo avvolgeva, fasciandogli il corpo tonico.

    Il vetro del bicchiere brillò, stretto dalle dita esili.

    Cisco si mosse nervoso sulla sedia di paglia. Sentiva di non avere il controllo della situazione, condizione strana per uno come lui, troppo sicuro di sé, o forse troppo poco, per lasciarsi guidare in una scelta.

    Capita, a volte, che le persone da noi incontrate sappiano manipolare il nostro io, attraverso sguardi, gesti, parole.

    Allora quanto? Fai tu la cifra, Francesco Ferrari.

    Non mi servono i soldi, te l’ho già detto, e non so come potrei aiutarti.

    Torna a casa e indaga. Cercala. Aiutami. Ho solamente lei al mondo.

    A brillare stavolta fu una lacrima capace di farsi spazio tra le ciglia, rovinando uno sguardo fino ad allora perfetto.

    Non sono più un poliziotto.

    "È per questo che ti ho cercato. So che puoi farlo, che vuoi farlo, se non la trovi tu non può riuscirci nessuno."

    Ci devo pensare. Dammi un motivo valido almeno, più del denaro, di quello non ho certo bisogno… saprai anche questo particolare.

    Oscar aggiustò il colletto e annuì con un gesto lieve.

    Vantava uno sguardo fiero, capace di ammaliare e possedeva occhi che Francesco non avrebbe mai pensato fossero in grado di liberare dall’anima parole come quelle pronunciate velocemente dal suo interlocutore:

    Perché qui non hai nulla da spendere. Perché nascosto tu non riesci a starci, perché devi ancora dimostrare tante cose, soprattutto a te stesso.

    Si alzò e rise. Cisco invece rimase immobile.

    Chi sei tu? Chi ti ha detto tutto questo? E, soprattutto, chi dovrei cercare? Chi ha tanta importanza da giustificare questa farsa?

    Il tono dell’ex ispettore era offeso, pieno di rabbia. Sentiva bruciare tutti i punti sensibili della sua anima.

    Oscar accolse quella reazione con un sorriso quasi di trionfo.

    Non arrabbiarti, Francesco Ferrari. Dove ho preso le informazioni non ti interessa e, riguardo alla seconda domanda, avrai tutti i dettagli al tuo arrivo in Italia. Posso permettermi di mettere al corrente solamente chi sceglierà di occuparsi del caso e tu, ancora, non hai accettato.

    Finito il discorso si mosse, sfilandogli accanto. Cisco tergiversò, guardando la sabbia.

    L’uomo, in pochi passi, aveva raggiunto la riva del mare.

    Cisco lo avvicinò.

    Dammi qualche giorno per pensarci e organizzare.

    So che hai già deciso… non serve un sì. Tra due giorni, il volo è alle sette e mezza del mattino. Insieme al biglietto ti consegneranno il mio recapito in Italia. Questo è un arrivederci, Cisco. Nel remoto caso tu decida di rifiutare, allora considera le mie parole un addio.

    Un cane lo raggiunse e si accucciò scodinzolando accanto ai suoi piedi.

    Non posso dire di aver deciso, ma tutto ciò che ha dei segreti mi stuzzica. Fammici pensare.

    Cisco rimase immobile, guardando in modo nervoso prima l’animale, poi il padrone e, infine, il mare.

    Uno spruzzo

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