Quattro nonni in gamba
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Giancarlo Busacca nasce ad Acate il 31 luglio del 1961. Autore di romanzi polizieschi è anche sceneggiatore e regista teatrale.
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Quattro nonni in gamba - Giancarlo Busacca
Ringraziamenti
Il segreto di Pulcinella
Carmelo Volanti fu Giuseppe era quello che si dice un ricco possidente, conosciuto da tutti come " Menu u giganti" non per il fisico, anzi era di altezza media e mingherlino, ma piuttosto per la grande volontà di lavorare; una vera macchina da lavoro non si fermava mai e spesso a mezzogiorno mangiava e lavorava.
Venuto dal nulla, cominciò a lavorare giovanissimo, le scuole non le aveva mai viste, ogni giorno usciva col buio e tornava col buio, aveva poi imparato a leggere e scrivere dai suoi figli. Diventò ben presto uno dei iurnatari
più richiesti. Così giorno dopo giorno, lira dopo lira acquistò il suo primo pezzo di terra, che coltivò ad uva da mosto e con quell’uva vide i primi soldi, quelli veri. Ed anno dopo anno vide crescere le sue fortune ed i suoi terreni. Lui che era cresciuto in una casa di una stanza ed in famiglia erano in cinque, appena ne ebbe la possibilità volle una casa con sedici stanze come quelle dei film che la domenica in estate vedeva al cinema Marino, unico luogo di svago di quegli anni fatti di miseria e privazioni. Si era sposato molto tardi, rispetto ai suoi coetanei, solo quando aveva raggiunto un’agiata posizione economica, con la figlia di un bidello. Famiglia modesta, ma dignitosa, che aveva educato la loro unica figlia al rispetto dei sani principi cristiani. Ed in effetti Santina, questo era il suo nome, era lo stereotipo delle figlie di Maria, minuta nell’aspetto, quasi gracilina ispirava negli uomini più il piacere della preghiera, che i piaceri della carne. Agli amici fidati, che gli avevano fatto notare, che in giro si poteva trovare di meglio, lui rispondeva che avrebbe voluto una più in carne piuttosto che una minuta
, ma siccome era troppo preso dal lavoro per cercare qualche altra ragazza, e poi accussi
nun ma stuzzia nuddu a me mughieri e su quello aveva ragione. A parte poi la casa di sedici stanze, Carmelo non si era mai dato a spese dissennate o ad ostentare il suo benessere, era rimasto quello di sempre, umile e lavoratore:
c ampagnolu sugnu e campagnuolu arriestu comu mi mettu e mettu diceva sempre. E persino quella enorme casa se l’era fatta progettare in maniera da poterla dividere in diversi appartamenti per lui ed i suoi figli, quando si sarebbero sposati. Di figli Santina, delicata di salute, gliene aveva dati due, di più non aveva potuto fare. Giuseppe e Vincenzo, erano stati ben educati, due bravi ragazzi che però avevano interrotto gli studi alle medie, per andare a lavorare con il padre. Carmelo li avrebbe voluti diplomati, un bel ragioniere in famiglia ci sarebbe stato bene, ma tutto sommato non si lamentava e ringraziava il Signore che gli aveva dato due figli onesti e lavoratori. Carmelo era anche una persona scrupolosa ed oculata negli affari, e pur non avendo studi sapeva esprimersi con una padronanza di linguaggio non comune riuscendo sempre a portare l’acqua al suo mulino. Unico suo cruccio era il terreno di Malacarne, un grosso appezzamento che gli era stato ceduto per pochi soldi dal marchese Scatà, che aveva urgenza di coprire un debito di gioco. Malacarne era un fondo tra le colline a pochi chilometri da Ragusa, una sorta di pianoro protetto dalle colline, che avrebbe dovuto essere per la sua posizione una sorta di Eden. Ed invece niente, c’erano solo quattro decrepite piante d’ulivo e basta, una sorta di deserto nel verde. Qualunque cosa uno provasse a piantare, al di fuori dell’erba, non cresceva ed appassiva subito. Un terreno considerato da tutti maledetto, se è vero che durante la Seconda Guerra Mondiale l’unica bomba di tutta la zona cadde proprio sull’unica casa che sorgeva al centro di Malacarne. Si dice che per anni i marchesi Scatà avevano provato a piantare di tutto, ma nemmeno i fichi d’india c’erano cresciuti. Don Carmelo poi l’aveva lavorata con le sue mani, ci aveva trovato persino l’acqua, ma nulla; alla fine ci aveva mandato le mucche a pascolare e queste quasi per un sortilegio pascolavano ai bordi del terreno. E la cosa gli bruciava, non tanto per i soldi spesi, che in fondo erano poca cosa, quanto gli sembrava un delitto dover lasciare, sia pur non per colpa sua, il terreno abbandonato. Aveva interpellato agronomi e geologi pensando che ci fosse qualche cosa nel sottosuolo ma nulla, analisi, e controanalisi avevano dato una sola risposta: non c’era nulla di anomalo. Non riusciva a darsi pace, tutte le mattine passando per la provinciale per raggiungere i vigneti a valle, guardava quel terreno tra le colline verdeggianti e si rodeva dalla rabbia. Era secondo lui una cosa contro natura, aveva dapprima portato il parroco per farsi benedire il terreno e poi persino un cartomante che era solo riuscito a spillargli dei soldi. L’ultimo tentativo in ordine cronologico poi aveva dell’incredibile, aveva scelto un angolo di cento metri quadrati vicino la casa e l’aveva fatto ripulire da una ruspa, poi con dei camion aveva fatto portare della terra da un’altra zona ed in questa specie di orto aveva provato a piantare di tutto dagli ortaggi agli alberi da frutto.
Una cosa fra tutte doveva pur crescere" diceva, ed invece nulla, gli ortaggi non erano spuntati e le piante non avevano nemmeno attecchito. Eppure la zona ben esposta al sole, un naturale riparo dai venti offerto dalle colline, un buon drenaggio che gli permetteva di accogliere l’acqua senza che quest’ultima facesse danni, era perfetta e più di un forestiero aveva tentato di acquistarla, non sapendo come stavano le cose, ma don Carmelo non vendeva: avrebbe potuto guadagnarci parecchio ma lui indignato rispondeva che non era in bisogno anzi lui compensava. Gli era persino arrivata l’offerta di un costruttore che voleva farci un centro residenziale con piscine, campi da tennis, ma nulla lui non vendeva. Anche i suoi figli avevano tentato di convincerlo, facendo appello al suo fiuto per gli affari, ma alla fine anche loro dovettero arrendersi. Un po’ alla volta la cosa aveva cominciato ad incuriosire anche i figli. Perché va bene che quel terreno era un peso morto, improduttivo e basta, ma perché non produceva nulla? Così padre e figli si erano formati diverse opinioni tra di loro; il padre pensava che vi fosse una sorta di maledizione magari legata alle persone che abitavano la casa bombardata. Giuseppe il primogenito sosteneva che era la natura del sottosuolo che doveva essere troppo calcarea e che il lavoro fatto dai tecnici era stato fatto dall’acqua di rose. Vincenzo diceva che la soluzione era nella scelta del tipo di coltivazione giusta e che troppo ci si era soffermati su un tipo di coltivazione tradizionale. Ma non solo queste discussioni si ripetevano ciclicamente tra padre e figli ogni sera, ma ogni volta erano arricchite da nuovi argomenti. E già perché se Carmelo era testardo nelle sue opinioni, così lo erano anche i suoi figli. Così avvenne che Carmelo a forza di spulciare vecchi giornali in biblioteca per trovare notizie sul terreno imparò a leggere benissimo. Parlando con vecchi contadini della zona riuscì a ricostruire, aiutato dai giornali locali custoditi nella biblioteca, che lo sbarco in Sicilia era stato preceduto da una serie di bombardamenti di aerei alleati provenienti da Malta. Uno di questo aerei non riuscì a lanciare tutto il carico di morte, e le ultime due bombe andarono a centrare la casa che si trovava al centro di Malacarne. Gli abitanti di quella casa un certo Pino Giarratana sua moglie ed i suoi due figli morirono. Da allora nella gente del posto era nata la voce che in quel fondo ci fosse una sorta di maledizione, si diceva che certe notti qualcuno avesse visto delle ombre aggirarsi fra le macerie, le anime irrequiete dei Giarratana. Così i marchesi Scatà non avevano trovato nessun mezzadro disposto a coltivare quella terra ed il fondo poco per volta era andato in malora. Avevano trovato altri contadini che ricordavano in quel fondo bellissimi frutteti e parlavano di una terra fertilissima che dava ortaggi eccellenti. Poi a detta degli anziani dopo che per anni rimase abbandonato, verso la fine degli anni cinquanta divenne un luogo di contrabbandieri e gente malavitosa. La notte si vedevano passare camion e si sentivano rumori di trattori. La gente cominciò ad avere paura e si teneva alla larga da quel posto. Giuseppe e Vincenzo invece avevano seguito una strada diversa da quella dal padre, più sistematica e più scientifica. Avevano diviso il fondo in diverse aree, e con l’ausilio di un trattore avevano tracciato dei solchi sul terreno dividendolo in una grande scacchiera. Poi con l’aiuto di due tecnici provenienti da Siracusa, e non quelli di cui si era servito il padre, che a sua volta gli erano stati raccomandati dal marchese Scatà, avevano preso dei campioni del terreno settore per settore avevano fatto dei carotaggi. I campioni raccolti in gran segreto li avevano mandati ad analizzare presso un laboratorio di Catania assieme all’acqua del pozzo. Questi strani movimenti sul terreno venivano seguiti con attenzione da qualcuno. Più di una volta i fratelli Galanti avevano notato una Mercedes azzurra, il vecchio modello quello con ancora i paraurti in metallo, fermarsi sulla provinciale con a bordo a volte una a volte due persone. Gli occupanti indugiavano alcuni minuti ad osservare i loro movimenti e poi ripartivano. Solo una volta un tizio scese dall’auto per guardare col binocolo cosa stessero facendo. La cosa lasciava pensare i due fratelli, ed era ovvio chiedersi perché fossero così interessati a quello che facevano: se erano dei compratori si sarebbero avvicinati, se erano poliziotti non avrebbero insistito con tanta puntualità ad osservare le loro azioni. La cosa per alcuni giorni passò in secondo piano a causa della morte del marchese Scatà e del suo agronomo, che poi era il primo tecnico che Carmelo Galanti aveva interpellato, in un incidente sulla strada vecchia Ragusa-Modica: l’auto per motivi ancora ignoti aveva sfondato il parapetto precipitando per la scarpata. L’altro fatto che aveva calamitato l’attenzione della città era la scomparsa del geologo, sempre quello che aveva interpellato il Galanti. Da giorni non si avevano più notizie del professionista e chiaramente la gente aveva costruito le storie più assurde come una fuga d’amore o come una fuga per debiti di gioco. I Galanti non ci misero molto a capire che il motivo della fuga era un altro, così come l’incidente non era poi tanto accidentale, allorquando arrivarono gli esiti degli esami da Catania. I tecnici furono chiari ed espliciti e nella parcella e nella spiegazione. La parcella alquanto salata don Carmelo