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Tre cariche di carillon
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Tre cariche di carillon

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About this ebook

In una grande città, non ben identificata, in un appartamento vivono un uomo e due donne. A una delle due, appena coricata, viene tagliata la gola e muore, inondando il letto di sangue. Inizia così una catena di omicidi nel quartiere che pare inarrestabile. Dapprima la polizia capisce che l’assassino conosce bene quel quartiere e gli altri due limitrofi, dopodiché appura che l’assassino usa un rasoio di 25 cm di lunghezza affilatissimo, di acciaio di miglior qualità che sulle ferite delle vittime lascia pochissimi residui e che allo stesso tempo con un colpo secco finisce il lavoro. Ma non trovano mai impronte e arrivano subito a capire che l’assassino usa sempre i guanti, oltre a possedere una forza di sopra della media. Ciò porterà ancor più fuori strada gli investigatori, che pensano si tratti di un uomo robusto e forzuto.
Marina è una giovane donna che ha avuto un’infanzia brutale. Figlia di una prostituta, è cresciuta da sola, abbandonata a se stessa in una squallida camera. Il più delle volte era stata costretta a guardare sua madre insieme ai suoi amanti clienti. La bambina cresce in compagnia di un carillon che la madre stessa le aveva regalato per stare buona in casa, perché oltretutto odiava sentire la figlia piangere. Marina, tra un pianto e l’altro senza singhiozzi per non farsi sentire, aveva imparato ad addormentarsi ricaricando per tre volte il carillon, che teneva sul suo cuscino. Unico amico che aveva e che sapeva tutto di lei. Lavora in una palestra di zona ben frequentata, insegnando insieme alla sua socia kung fu. La socia e allieva preferita, Ada, che tra tutti i personaggi è quella che riesce a tenere testa a Marina, caratterialmente e agonisticamente. In Marina, Ada vede un personaggio interessante a livello di lavoro ma inquietante come essere umano. Specialmente da quando si rende conto che Marina vuole qualcosa da lei e quel qualcosa è sicuramente sesso, Marina appare omosessuale in più di un caso.
Sempre più spesso crescono in Marina vuoti di memoria. Lei, il giorno dopo aver dormito, sa di aver fatto qualcosa ma non ricorda mai cosa. Sono giorni della non consapevolezza, anche se capisce che i suoi istinti non sono benevoli. Spesso le capita di sentire su di lei l’odore del sangue e non si spiega il perché. Anche se i suoi sogni iniziano ad aprirle un mondo che è fatto di violenza e sangue. Presa da uno dei suoi raptus di rabbia sempre più frequenti, nel cortile di casa sua da un calcio a un vaso. Lo rompe ma si ferisce a una caviglia. Dopo un paio di giorni, decide di andare in ospedale al pronto soccorso per farsi curare l’infezione causata dalla ferita. È proprio all’ospedale che incontra Guido, altro personaggio di primo piano. La cura bene ed entra immediatamente nelle sue corde. In quell’uomo Marina trova una perfetta sintonia. Inizialmente non riesce a spiegarsi il perché, ma col passar del tempo i due diventeranno più che complici. Lui all’apparenza è un uomo gentile e educato di nobili origini, un conte ricco dalla nascita che fa il chirurgo per passione. Caratterialmente non sono proprio simili, è quello che la vita gli propone che attrae i due a unirsi e rifugiarsi l’uno nella vita dell’altro.  Man mano che la trama si amplia subentrano gli altri personaggi nelle vesti del commissario Lazzari e il suo vice, che conducono le indagini, e allo stesso tempo nella vita di Ada si affaccia Roberto che diverrà subito il suo eroe.    
LanguageItaliano
Release dateSep 15, 2017
ISBN9788869825873
Tre cariche di carillon

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    Tre cariche di carillon - Marco Terramoccia

    Marco Terramoccia

    Tre cariche di carillon

    CAVINATO EDITORE INTERNATIONAL

    Marco Terramoccia

    Tre cariche di carillon

    Prima edizione digitale: Cavinato Editore International – 2017

    ©Tutti i diritti riservati

    Impaginazione e grafica: Silvia Mezzanotte

    CAVINATO EDITORE INTERNATIONAL

    Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compreso i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    © Cavinato Editore International

    Via della Volta, 110 - 25124 Brescia Italy

    Tel. (+39) 030 2053593 - Fax (+39) 030 2053493

    cavinatoeditore@hotmail.com • info@cavinatoeditore.com • www.cavinatoeditore.com

    Indice

    Tre cariche di carillon

    Biografia

    Avvio

    Un brivido le era salito per la schiena. La porta del soggiorno scricchiolava al più piccolo movimento. Appena partiva poi smetteva, fino a che non si fermava di nuovo con un tetro scricchiolio finale. Anna si rannicchiò sul divano. Quello scricchiolio leggero, più il rumore dei tuoni del temporale non molto lontano, le avevano messo la paura addosso. Era già qualche tempo che viveva da sola, almeno un anno, e quello era il secondo appartamento che affittava. Un ennesimo tuono seguito da un fulmine che aveva illuminato la stanza l’aveva fatta saltare dal divano e si era andata a rinchiudere nel bagno, che riteneva il posto più sicuro di quell’appartamento. Era in un bagno di sudore, si sentì svenire quando udì entrare qualcuno. Non pensò immediatamente che chi aveva aperto aveva le chiavi.

    «Anna dove sei? Sono Paola! C’è anche Edo con me. Vieni, siamo in sala. Abbiamo preso dei cartocci dal cinese. Ti ho preso i ravioli di carne al vapore»

    Anna si rassicurò. Lentamente, senza far troppo rumore, aprì la porta e uscì dal bagno. Riconobbe immediatamente Paola ed Edoardo, il suo compagno. Paola era la sua amica e coinquilina. Erano entrambe di famiglia benestante. Anna si era da poco laureata in giornalismo e Paola collaborava da fotografa con uno studio affermato della città.

    «Venite, ragazze, mangiamo finché il cibo è ancora caldo» ricordò alle due Edoardo.

    Si sederono al tavolo al centro del soggiorno. Parlarono, non accesero il televisore. Preferirono chiacchierare del più e del meno. Edoardo passò un bicchiere d’acqua ad Anna, che era sempre impaurita dal temporale cessato da poco. A fine cena Edoardo si affacciò alla finestra che dava sul vialone di fronte ai giardini. Fuori le condizioni meteorologiche s’erano attenuate. La notte era scesa sulla città. Senza più la pioggia era fresco ma non troppo.

    «Anna, andiamo a farci una passeggiata. Non è tardi.»

    Anna sorrise e si alzò dalla sedia, indossò un giubbotto e gli scarponcini. «Sono pronta» confermò al suo compagno.

    «Vado al bagno e sono pronto anch’io, aspettami.»

    «E chi si muove? Io senza di te non vado da nessuna parte» gli rispose Anna, incitandolo a sbrigarsi con un gesto della mano. Edoardo entrò nel bagno. Anna invitò anche Paola, che però rifiutò. Voleva che i fidanzatini stessero un po’ da soli.

    «Io, ragazzi, vado a letto.»

    «Buona notte» la salutarono i due e si avviarono alla porta.

    L’ascensore era già sul pianerottolo. Aprirono la porta e dopo essersi dati un bacio scesero. L’aria era fresca, ma non più fredda come una quindicina di giorni prima. Uscirono dal portone mano nella mano. L’asfalto era ancora bagnato. Sotto i riflessi dei lampioni la strada pareva che brillasse. Era l’effetto della luce sulla superficie bagnata. Camminarono abbracciati sul marciapiede. Superarono quattro semafori, era davvero un bel pezzo di strada. Decisero, appena tagliato il quinto, che forse era bene tornare indietro. Tra baci, sorrisi e risate si voltarono per tornare a casa.

    «Edoardo, perché non ci troviamo un altro appartamento? Non è che quello dove abito sia brutto, ma lo vedo e lo sento freddo. A volte mi inquietano i rumori che sento.»

    «Anna, ma quelli non sono altro che i rumori di assestamento dei mobili. E poi per tre giorni alla settimana ci sono io. Per gli altri hai la tua amica, non mi pare che tu ci stia da sola. O sbaglio?»

    «Non sbagli Edo, ma se con calma ce ne trovassimo un altro ne sarei felice.»

    «Va bene, Anna. Vedrò di sentire qualche amico. Sei contenta?»

    «Grazie, Edoardo. Grazie.»

    Paola, dopo aver fatto una doccia super veloce, si era asciugata e si era messa nel letto. Anche lei in quella casa non è che ci stesse poi così bene. Ingannava il tempo prima di prendere sonno leggendo un libro sdraiata sotto la coperta.

    Come è brutto quel verde della parete, pensò tra sé. Stava per chiudere il libro e anche la lampada sul comodino alla sua destra, quando di scatto si aprì la porta della camera. Un nodo in gola creato dalla paura frenò ogni suo movimento. Rimase impietrita, immobile, non riuscì a tirare un suono fuori dalla bocca. Una mano l’afferrò, le schiacciò la testa sul cuscino mentre l’altra le portava via la vita. Un coltello le aprì la gola. Fiotti di sangue sgorgarono sul letto.

    Lei riuscì a dire soltanto: «Tu!»

    E si spense dietro un ultimo rantolo. Aveva trovato il buio della morte in un bagno di sangue, distesa sul suo letto. Gli occhi verdi erano rimasti aperti, fissi a guardare un soffitto che non vedevano più.

    «Entra prima tu.»

    «Va bene, Edo » gli rispose Anna, sorridendo a quel gesto galante del suo uomo.

    Nell’ascensore, mentre stavano per baciarsi, Anna fermò Edoardo perché aveva sentito dei passi veloci allontanarsi. Sentirono il portone chiudersi. Salirono al terzo piano. Come uscirono dall’ascensore Anna si fermò di scatto.

    Immobile, disse: «Perché la porta è aperta?»

    Edoardo replicò alla domanda: «Forse Paola ci ha sentito o ci ha visto dalla finestra e ha aperto per non farci suonare, vista l’ora.»

    «Non è da lei» affermò sicura Anna, che sapeva quanto fosse pigra la sua amica e coinquilina.

    Entrarono in casa, si affacciarono nel soggiorno-cucina, chiamarono Paola ma non ebbero nessuna risposta. «Forse starà già dormendo» la buttò li Edoardo tanto per dire.

    «Se stesse dormendo avremmo visto la luce fioca della sua lampada, quella che tiene sul comodino. Lei dorme con la luce accesa, lo hai dimenticato?»

    «Non l’ho dimenticato, so perfettamente quanto è fifona Paola. Infatti, guarda, dalla sua camera arriva il bagliore della luce. Andiamo a vedere se è da sola.»

    «E con chi dovrebbe essere, secondo te?»

    «Con quel malloppo di saggistica dell’ultimo libro che si è presa!»

    «Dai Edo, non scherzare. Possibile che ancora non ci ha sentito? Senti che silenzio. E poi scusa… questo cattivo odore secondo te da dove viene?»

    «Non saprei proprio, è pungente ma non lo riconosco» le rispose Edoardo stringendola a sé.

    Si fermarono qualche metro prima di entrare nella camera. Anna iniziò a urlare aggrappandosi al braccio del suo uomo, che la tirò per entrare. Sulla soglia anche lui si mise le mani davanti alla faccia e gli scappò dalla gola un profondo: «Nooo!»

    Fu in quel preciso istante che videro il corpo della loro amica sgozzato e abbandonato in un lago di sangue. Nel letto si era riversato, fino all’ultima goccia, il sangue che aveva contenuto il corpo di Paola. Dopo vari attimi di panico e terrore riuscirono a comporre il numero e chiamare la polizia. Anna si ammutolì aggrappata a Edoardo. Anche lui rimase immobile a guardare il corpo della povera donna sgozzata nel suo letto. Gli schizzi del sangue uscito a pressione dal corpo di Paola erano arrivati a sporcare le pareti verdi della stanza e qualche goccia era andata a finire anche sul poster, con raffigurato un ghiacciaio candido, dietro la spalliera del letto. Imbambolati, si scossero quando il campanello della porta di casa suonò ripetutamente. Ci misero un po’ a girarsi e avviarsi ad aprire. Entrambi erano sotto shock.

    Edoardo provò a fare coraggio alla donna dicendogli più volte: «Anna, è la polizia finalmente. Dobbiamo solo aprire.»

    Intanto, in una camera dell’albergo a fianco a quel palazzo, sulla stessa via, delle mani avvolte in un paio di guanti marroni stavano rifacendo la lama a un rasoio di grosse dimensioni. Ottimo per radere ma anche per incidere o tagliare.

    I giovani fidanzati arrivarono all’uscio di casa. Aprì la porta Anna, facendosi scudo dietro Edoardo.

    «Buonasera, possiamo entrare?» chiese un signore accompagnato da altri due uomini. Erano i poliziotti.

    «Entrate » rispose Anna con una faccia già più serena.

    Il primo a presentarsi alla donna fu l’ispettore Lazzari, che le strinse la mano e poi si presentò anche a Edoardo, che era ancora dietro di lei, alle sue spalle, per proteggerla. O perlomeno per comunicarle quella sensazione.

    «Per favore signora, mi accompagni nel luogo che avete tentato di spiegare al telefono.»

    Si fece avanti Edoardo. «Venga, dottor Lazzari. Mi segua, la camera è quella in fondo alla casa. Faccio strada, andiamo là in fondo, dove c’è la luce accesa. Paola è li.»

    L’ispettore davanti, loro due affiancati subito dietro, camminarono lungo il corridoio fino alla porta della camera. «Potete rimanere in soggiorno, non siete obbligati a seguirmi. Loro devono venire con me.»

    L’ispettore fece segno ai suoi uomini di avvicinarsi in fretta. I tre poliziotti rimasero nella camera del delitto per parecchio tempo, poi l’ispettore Lazzari raggiunse Edoardo e Anna nel soggiorno. I due stavano bevendo il secondo caffè. Si dovevano riprendere con qualcosa di forte, ciò che era accaduto li aveva scossi molto. Anna aveva subito lo shock vedendo la sua amica morta in quel lago di sangue.

    «Signora, mi dica, eravate parecchio amiche lei e la vittima?»

    «Era un anno che condividevamo l’appartamento. Eravamo amiche. Sì, eravamo amiche. Io rispettavo lei e lei me. Andavamo perfettamente d’accordo.»

    «Ancora una cosa molto importante. Ne è cosciente lei, signorina, di quanto siano vicini questi due palazzi? Non ci sarà più di due metri tra l’uno e l’altro. Con una tavola è facilissimo spostarsi da un appartamento all’altro.»

    «Ci avevamo fatto caso qualche giorno fa, mentre una coppia stava facendo l’amore. Sembrava che fossimo nello stesso letto. Fu proprio lei a dirmi che non era più tanto convinta di voler abitare in questa casa. E anche io, ispettore, proprio stasera sono riuscita a convincere il mio compagno a cercare un altro appartamento.»

    «L’importante, signorina, è che almeno le due finestre, questa del soggiorno e quella in fondo nella camera, siano controllate spesso e nell’eventualità chiuse. Chiuderle sarebbe la miglior cosa, mi creda. Lo dico per il suo bene e per quello di chi vive con lei.»

    «Va bene, dottor Lazzari. Mi ha convinta, le chiuderò. Voglio stare il più tranquilla possibile.»

    «Fa bene, la prudenza e la prevenzione aiutano molto a difendersi. Noi, signori, abbiamo finito. Per il momento ce ne andiamo.»

    Edoardo accompagnò l’ispettore alla porta. Prima di salire sull’ascensore e andarsene, l’ispettore chiese a Edoardo: «Scusi, sa chi ci abita in questo appartamento?» Si riferiva a uno dei due che erano sullo stesso pianerottolo.

    «In questo affianco a noi ci vive un certo Mario Sposi. Fa il postino e non si vede mai. È una persona riservata e molto. Io l’ho incrociato una mattina mentre andavo al lavoro. Ci siamo dati il buongiorno e ognuno per la sua strada. So che fa il postino all’agenzia centrale. Non so se Anna lo conosce, meglio glielo chieda. Lo faccia subito, non crede?»

    L’ispettore tornò in casa, prima chiese se poteva e poi si accomodò a sedere nel soggiorno, dove Anna era seduta sulla poltrona alla sinistra del tavolo, tutta rannicchiata alla ricerca di un calore che in quel momento non sentiva.

    «Marina, cos’hai?» le chiese Ada alla fine dell’allenamento. Erano completamente sudate, avevano dato il massimo anche in quel giro di flessioni a terra.

    «Andiamo a farci una bella doccia» disse Marina e si avvicinò ad Ada, che di tutte le sue allieve era la preferita.

    In quella palestra si imparava il kung-fu e altre arti marziali d’attacco e difesa. Arrivate alle docce, entrarono entrambe dentro la stessa cabina. Ada accese la doccia con idromassaggio, si mise a sedere come doveva e godette di un momento di totale rilassamento. Marina approfittò dello stesso getto d’acqua per lavarsi. Dopo essersi lavata la faccia, l’amica che era seduta si alzò davanti a lei.

    «Quando ti dai tanto nero agli occhi, assumi una faccia da pazza, anche se pur sempre bella. Ieri sera hai fatto quello che dovevi?»

    «Sì che l’ho fatto. Ti risulta che io non porti a termine qualcosa che ho voglia di fare?»

    «Certo che no, era solo per chiedere» sottolineò Ada.

    Poi si mise a sciacquare la schiena a Marina. C’era parecchia confidenza tra le due donne. Si conoscevano dai tempi della scuola e venivano dallo stesso quartiere della periferia nord della città.

    «Andiamo, ti porto io a casa. Stasera non prenderai i mezzi» disse Marina ad Ada.

    L’altra, senza pensarci troppo, rispose immediatamente: «Sì, andiamo.»

    Ada si fidava di Marina, abitavano nello stesso quartiere e si conoscevano da sempre. Non si frequentavano al di fuori della palestra. Marina era il suo istruttore, maestro e proprio quel passaggio non lo poteva rifiutare. Con i mezzi avrebbe impiegato un quarto d'ora ad arrivare a casa, come era abituata a fare. Ma quella sera accettò di andare con Marina. A quell’ora in dieci, massimo quindici minuti, si sarebbe trovata di fronte casa. Presero entrambe i loro borsoni e uscirono dalla palestra. Dal cielo plumbeo cadeva una pioggerellina fina e fredda. Arrivarono in poco tempo alla macchina di Marina, una Volvo rossa Super Polar, ormai datata negli anni. Molto ben tenuta.

    «Che facciamo? Andiamo subito a casa o passiamo da Burger e ci facciamo due panini belli gocciolanti?» chiese Marina.

    «Va bene, ci sto. Passiamo prima a mangiare due sfiziosissime schifezze.»

    Nel locale si fermarono giusto il tempo di mandare giù due maxi burger con cipolla e maionese, poi pagarono e uscirono dal locale. In cinque minuti furono sotto casa di Ada, che era tutta infreddolita. Ada, prima di chiudere lo sportello della macchina, si chinò a salutare Marina.

    «Ci vediamo domani in palestra, alla solita ora» la salutò Ada.

    «Mi raccomando» le rispose Marina e le diede la buona notte.

    Poi ognuna riprese la propria strada. Marina si allontanò con la macchina, Ada entrò nel vialetto che la portava al portone del palazzo dove viveva da sempre. Aprì la porta di casa ed entrò di corsa. Accese le luci del corridoio e della cucina. Tremava. Posò la mano destra sulla fronte per sentire se scottava dalla febbre. Era fredda, l’unico calore che sentì sul palmo della mano era il suo normale calore corporeo. Il tremore era frutto della paura, che inconsciamente si era presa nel viaggio dalla palestra fino a lì. Non capiva il perché, in fin dei conti era stata in compagnia della sua amica e istruttrice di arti marziali. Non capiva. Dentro di sé sentiva che c’era qualcosa che non andava ed era proprio in quel rapporto.

    Entrò in cucina. Era scarna, composta dalla cucina a gas vicino alla finestra, due mobili, uno a una parete vicino alla cucina, l’altro alla parete opposta. Da uno dei due mobili di fòrmica verde chiaro tirò fuori la teiera e una bustina di tè. Mise il pentolino sul fuoco con metà acqua dentro. Aspettò che bollisse leggermente, spense il fuoco e vi ci buttò dentro la bustina. Lasciò che l’acqua si colorasse ben bene, poi versò un po’ di quel liquido profumato e caldo dentro una tazza. La poggiò sul tavolo, al centro della stanza. Accese il vecchio televisore, più che altro perché le faceva compagnia e non per interesse vero. Spostò l’unica sedia di quel tavolo, quella che dava le spalle alla cucina. Era anche l’unica perché a quel tavolo ci si sedeva sempre solo lei, padrona assoluta di tutta la solitudine che la circondava e che l’abbracciava continuamente.

    «Andiamo, Edoardo. Non ho voglia di stare a casa questa sera. Ho paura a guardare verso la camera. Mi pare di vedere Paola e un’ombra che la trattiene.»

    «Sì Anna, hai ragione. È sicuramente una buona idea. Andiamo a mangiare una pizza, penso sia la cosa migliore per stasera. Sono d’accordo con te, usciamo. Però prima assicuriamoci che le finestre siano tutte chiuse.»

    «Facciamolo insieme il giro a chiudere le finestre, ti prego» supplicò Anna il suo compagno, che l’accontentò.

    Controllarono tutte le finestre e non si limitarono a guardarle e basta. Anna chiese esplicitamente a Edoardo di aprirle appena una alla volta e poi serrarle bene. Edoardo non la contraddì e richiuse tutte le finestre, assicurandosi che non ce ne fosse neanche una rimasta aperta. Uscirono di casa uno al fianco dell’altro. Andarono a mangiare una pizza fatta con il forno a legna in un paesino a loro vicino. In mezzora erano arrivati. Mangiarono due pizze e un gelato per uno. Non tornarono immediatamente a casa, passeggiarono in quel paesino.

    «Dimmi amore, chi è stato per te a uccidere Paola?» chiese Anna al suo uomo.

    «Anna, non ho la più pallida idea» le rispose lui, che quando provava a pensare a un colpevole gli si faceva buio.

    Non riusciva proprio a immaginare chi fosse stato. Edoardo non aveva il minimo profilo su cui sospettare. Rientrarono dopo la passeggiata. Presero l’ascensore e, forse perché erano più calmi della sera prima, non sentirono altri rumori, eccetto quello dell’ascensore dove c’erano solo loro.

    Ada quella sera non riuscì ad andare a dormire nella sua camera. Lasciò riscaldamenti e luce accesi, si coprì con una coperta e si addormentò direttamente sulla poltrona. Si svegliò più volte in un uno stato di angoscia e non si sapeva spiegare il perché. In fin dei conti nella sua vita non c’era niente di strano, niente era cambiato. La sua solitudine era l’unica compagnia, il lavoro sempre quello. Ma in ogni caso era soddisfatta, perché tutto ciò le permetteva di vivere. Poi, in effetti, il lavoro da bigliettaia alla stazione le permetteva di fare tutto. Lavorava fino alle sette del pomeriggio, poi come attratta da una calamita si catapultava in palestra a fare esercizi, pesanti incontri di lotta sul tatami, a espellere più sudore possibile, guidata da Marina, insieme alle altre allieve. Era una cintura nera, stava sempre vicina all’istruttore e questo le dava una forza e uno stimolo tali che risultava essere lei la più forte della palestra. Schiva e riservata, il pensiero di essere tra le più forti degli allievi della palestra se lo teneva per sé.

    Un giorno qualunque, a fine allenamento, del suo essere considerata una tra le migliori atlete in palestra e di quanto ne andasse fiera, lo aveva accennato a Marina mentre sotto la doccia si stavano lavando . Ma anche a lei non raccontò più di tanto. Ada la sua compagna solitudine la portava sempre con sé anche quando usciva. Nonostante fosse una piacevole giovane donna non regalava mai un sorriso. Non gradiva le facessero scherzi e non ne faceva mai a nessuno. Pareva la donna invisibile. Lavoro, palestra, casa. Mai un appuntamento con un uomo. Aveva compiuto trentacinque anni ed era ancora illibata. Eppure ci pensava spesso a una vita condivisa con un’anima gemella. Ma le conoscenze si fanno frequentando altre persone. Lei invece arrossiva e cercava di sparire quando trovava qualcuno nel portone e doveva salutare. Per lei, oltre il silenzio, tutto diventava stress. Quando passava un treno alla stazione si reggeva al bancone di lavoro impaurita, nonostante ormai ci si fosse quasi abituata. Quasi. Solo quando entrava in palestra e indossava il suo Shan cambiava completamente. Usciva da quel suo mondo fatto di isolamento e si trasformava in una splendida atleta, piena di sicurezze. Una tigre che nei combattimenti non perdonava mai il suo avversario e a volte risultava anche troppo dura.

    «Se una di queste sere vorrai essere mia allieva, anche in un altro gioco fuori dalla palestra, io ne sarò lieta. Lo sai che sei la mia allieva preferita. E poi per quello che faccio, ogni tanto la notte accanto a me ci può e ci deve stare una persona fredda, capace di non sentire e vedere. Tu riesci a capire.»

    «Rientra nel mio modo di essere» rispose Ada, in un certo modo incuriosita. «Quando mi porterai con te?» chiese Ada arrossendo.

    «Dammi tempo di fidarmi più di te e poi vedremo. In linea di massima, potresti essere la mia allieva perfetta anche fuori dalla palestra.»

    «Vogliamo andare da Mac dopo l’allenamento?» chiese Ada.

    «Certo, una schifezza saporita con pollo e crema rosso sangue come il ketchup non si rifiuta mai! E poi come sono buone le macedonie super chimiche… mi fanno impazzire! Scappiamo subito dopo la doccia» confermò Marina e poi iniziarono il faticoso allenamento di tutte le sere.

    Tanti stavano preparandosi per delle gare importanti che ci sarebbero state a breve. Puntuale, anche quella sera Marina alle nove chiamò il fine allenamento e invitò le ragazze ad andare a fare la doccia.

    Anna quella notte non si staccò mai dal braccio destro di Edoardo, che non chiuse occhio e sopportò in silenzio concentrandosi su cosa di importante avrebbe dovuto fare l’indomani al suo posto di lavoro. La notte passò in ogni caso.

    «Ada, come sei lenta questa sera! Se ce ne rimane di tempo per noi, dopo il panino ti vorrei invitare a prendere qualcosa a casa mia.»

    «Volentieri, Marina. Sono pronta, andiamo.»

    Le due giovani donne uscirono dalle docce e scapparono via, salutando soltanto chi gli passava davanti. La macchina di Marina era subito fuori al parcheggio, quello della palestra. Marina e Ada in un attimo salirono a bordo della Volvo rossa.

    «Ok, allora ce ne andiamo da Mac» ripeté Ada tanto per assicurarsene.

    «Certo, cara» confermò in maniera gentile Marina.

    Mangiarono in un locale abbastanza vicino casa di Marina, nei pressi del cimitero, alla periferia nord della città. Finiti i loro panini decisero di passare un attimo a casa di Marina. Per andare a casa passarono per la sopraelevata che iniziava dopo l’incrocio e che costeggiava per poco il cimitero.

    «Marina, per favore, aumenta un poco. Il cimitero mi inquieta assai. Scusami.»

    «Ada, hai paura della morte? Non mi dire! Per me la morte è soltanto un lungo riposo e fortunato chi non le resiste per più di quattro, otto minuti. Per me quelli sono fortunati. Ti faccio un esempio. Una persona che muore sgozzata o asfissiata non soffre. Pensa, in pochi minuti si va all’altro mondo… mi pare una bella cosa. A te no?»

    «Naturalmente se le vittime sono d’accordo» rispose Ada rannicchiandosi sul sedile.

    «Siamo arrivate, scendiamo» disse Marina.

    Erano ferme davanti a casa sua, una casa tutta a piano terra. Entrarono dal cancello del vialetto, l’unico passaggio per entrare e uscire. Si passava da lì oppure bisognava fare un giro più lungo, attraverso i campi che circondavano la casa. La campana fissata sopra il cancello batté due colpi.

    Marina tirando leggermente Ada per un braccio disse: «Quanto sono belli i rintocchi delle campane! Mi rilassano, mi danno pace.»

    Marina aprì la porta e tolse diverse mandate di chiave. Ada appena mise piede in casa e Marina accese la luce rimase senza fiato. Per terra il pavimento era di mattonelle rosso sangue e le pareti erano pitturate di nero. I muri erano tutti di un nero lucido, che con il pavimento di quel colore e la luce accesa rendevano l’ambiente tetro e freddo. Ada non si mosse dal punto dove si era fermata appena entrata.

    Il suono del campanello attirò l’attenzione di Anna ed Edoardo. «Hanno suonato, vai tu per favore» chiese Anna al suo compagno.

    «Vado subito, Anna. Continua tu a condire l’insalata e non esagerare con il sale, ti prego.» Edoardo finito di parlare andò ad aprire. Tirò la porta verso di sé e si trovò davanti una montagna d’uomo.

    «Buonasera. Piacere, Mario Sposi» gli disse quell’uomo con una voce potente e un volume dal timbro basso.

    «Piacere, Edoardo. In cosa ti posso essere utile?»

    «Ti sarei molto grato se tu mi potessi prestare un coltello per tagliare il pane migliore di questo. Se ce l’hai» e gli mostrò il suo, che era arrivato alla fine e non aveva più la seghettatura sulla lama.

    A Edoardo scappò una battuta non molto simpatica e gli disse: «Scusa, ma cosa ci hai segato? Legna? E hai provato a vedere se tagliava il ferro?»

    Mario Sposi accennò a un piccolo sorriso e gli rispose: «Solo il pane. Il punto è che non so quanti anni ha!»

    Edoardo fece in un attimo ad andare a prendere quello che era nel cassetto e glielo portò. «Tieni, domani me lo ridai. E mi raccomando, solo pane. Mi raccomando! Buona notte.» E chiuse la porta.

    Edoardo udì bene la porta dell’appartamento accanto al loro che si chiudeva e dava due scatti di chiave. Mario Sposi si era chiuso in casa, come era normale a quell’ora.

    «Ada, cos’hai? Sei ferma lì impalata, sembri pietrificata!»

    Passò qualche secondo e Ada, raccolte tutte le forze che aveva dentro di sé, rispose: «In effetti, Marina, l’entrata di casa tua è molto particolare.»

    «Spero che il resto ti faccia meno

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