Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Padri e figli
Padri e figli
Padri e figli
Ebook274 pages3 hours

Padri e figli

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Questo romanzo ha come tema il contrasto fra generazioni e la posizione della gioventù di fronte ai movimenti radicali dell’epoca (specialmente il cosiddetto nichilismo), che scatenò un’aspra polemica su i suoi contenuti politico-ideologici. Oggi invece riteniamo Padri e figli soprattutto un’opera di poesia, forse la più alta manifestazione dell’arte turgeneviana.
Dall’incipit del libro:
Nessuna opera d’arte ebbe, come questa, tanta fortuna di violenti attacchi, quando uscì per la prima volta nel 1860, e più tardi ancora. Gli alti strati sociali si sollevarono di sdegno, i bassi fondi ribollirono; la critica, paurosa e piaggiatrice dei più, scagliò all’autore ogni più abbietta calunnia, ogni più velenosa contumelia. Piaceva all’aristocrazia il ritratto parlante della democrazia, mentre i democratici, dal canto loro, trovavano stupenda la satira contro i parrucconi. Ciascuno, in somma, accettava quella metà di libro che non lo riguardava: e così anche il libro era dilaniato come l’autore.
Naturalmente, il romanzo fu proibito in Russia: la stessa sorte avrebbe avuta, se pure non avesse sollevato una così fiera tempesta. Che cosa in Russia non si proibisce? L’Indice dello Zar è più rigoroso di quello del Sacro Collegio. Autori nazionali e stranieri, poeti e scienziati, storici e romanzieri, statisti e teologi, filosofi e naturalisti, – il bando li coglie tutti alla rinfusa. Ciò vuol dire che lo Zar ha una stima grande della stampa, al contrario di quanto accade in Italia, dove per la stampa si ha così poco riguardo che la si lascia dire tutto quel che vuole. Sul gran mercato librario di Lipsia non passa giorno che non si spacci una novità letteraria o scientifica, v’Rassii zaprescenà (proibita in Russia). È un artifizio molto usato per stuzzicare la curiosità dei lettori. I lettori abboccano all’amo e, dopo aver divorato il libro, cercano studiosamente il segreto motivo della proibizione. E non lo trovano quasi mai.
LanguageItaliano
PublisherAnna Ruggieri
Release dateSep 18, 2017
ISBN9788826492971

Read more from Ivan Sergeevič Turgenev

Related to Padri e figli

Related ebooks

General Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Padri e figli

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Padri e figli - Ivan Sergeevič Turgenev

    Ivan Sergeevič Turgenev

    Padri e figli

    Prima edizione digitale 2017 a cura di Anna Ruggieri

    IVAN TURGHENIEFF.

    Giovanni Sergio Turghenieff fu uno dei maggiori romanzieri russi. Nato a Orel nel 1818, studiò successivamente a Mosca e a Pietroburgo, recandosi infine a perfezionarsi all’Università di Berlino.

    Aveva venti anni allora, e la conoscenza delle istituzioni libere e civili che trovava all’estero, gli ispirò orrore ed esecrazione per il tirannico regime sotto cui soffocava la sua patria infelice.

    Noi giovani, dal pensiero all’azione è facile e rapidoil trapasso; ond’egli, non potendo combattere con le armi gli oppressori della Russia, si diede a combatterli con la penna. E una battaglia furono leMemorie di un cacciatore, da lui scritte a Berlino intorno al 1840 e incominciate a pubblicare soltanto nel 1847.

    La gioventù colta non aveva allora in Russia altra via aperta che quella dei pubblici impieghi. Turghenieff, reduce in patria nel 1841, fu assunto al Ministero degli Interni. Ma il suo cuore era altrove. La letteratura lo chiamava con voce di passione. Si provò alla poesia: non fu una rivelazione. Una rivelazione furono invece alcune sue novelle pubblicate in varie riviste e quella serie di bozzetti di vita rurale scritti a Berlino e venuti in luce tra il ’47 e il ’51, che costituirono appunto le famoseMemorie di un cacciatore.

    Dal 1854 Turghenieff trascorse la maggior parte della sua vita all’estero, specialmente in Francia, ove ebbe amici carissimi. Ma la Russia gli fu sempre presente alla memoria e l’amore per la patria lontana gli ispirò le sueopere più belle:Dmitri Rudin(1856);Una nidiata di gentiluomini(1859);Padri e figli(1860), il cui protagonista Bagarof è il primo tipo di nichilista comparso nella letteratura russa;Fumée(1866); eTerre vergini(1876), in cui riappare il tipo del nichilista cospiratore.

    Oltre il romanzo, coltivò la novella e il poema in versi e in prosa. Fra le novelle sono note, perchè tradotte anche nella nostra lingua:Primo amore;Il re Lear della steppa;Acque di primavera, ecc., disperse in edizioni popolari epresso che introvabili ormai.

    Turghenieff ha meno potente immaginativa di Tolstoi, ma è un artista più finito. La sua forma è impeccabile ed egli le attribuisce tanta importanza quanta nessun altro scrittore suo compatriota.

    E. F.

    PREFAZIONE.

    Nessuna operad’arte ebbe, come questa, tanta fortuna di violenti attacchi, quando uscì per la prima volta nel 1860, e più tardi ancora. Gli alti strati sociali si sollevarono di sdegno, i bassi fondi ribollirono; la critica, paurosa e piaggiatrice dei più, scagliò all’autore ogni più abbietta calunnia, ogni più velenosa contumelia. Piaceva all’aristocrazia il ritratto parlante della democrazia, mentre i democratici, dal canto loro, trovavano stupenda la satira contro i parrucconi. Ciascuno, in somma, accettava quella metà di libro che non lo riguardava: e così anche il libro era dilaniato come l’autore.

    Naturalmente, il romanzo fu proibito in Russia: la stessa sorte avrebbe avuta, se pure non avesse sollevato una così fiera tempesta. Che cosa in Russia non si proibisce?L’Indice dello Zar è più rigoroso di quello del Sacro Collegio. Autori nazionali e stranieri, poeti e scienziati, storici e romanzieri, statisti e teologi, filosofi e naturalisti, – il bando li coglie tutti alla rinfusa. Ciò vuol dire che lo Zar ha una stima grande della stampa, al contrario di quanto accade in Italia, dove per la stampa si ha così poco riguardo che la si lascia dire tutto quel che vuole. Sul gran mercato librario di Lipsia non passa giorno che non si spacci una novità letteraria o scientifica, v’Rassii zaprescenà(proibita in Russia). È un artifizio molto usato per stuzzicare la curiosità dei lettori. I lettori abboccano all’amo e, dopo aver divorato il libro, cercano studiosamente il segreto motivo della proibizione. E non lo trovanoquasi mai.

    Ma anche senza la feroce critica della imperial revisione, il libro del Turgheniew sarebbe salito in fama. L’arte vera non abbisogna per emergere di superlativi che la esaltino o la deprimano. Sta da sè, splende di luce propria. Se tutti gli uomini si accordassero a dire che è notte quando c’è il sole, è moltoprobabile che il sole seguiterebbe ad essere quello che è: e così pure se mai sentissero il bisogno di magnificarne la luce.

    Il valore sostanziale del libro del Turgheniew è nella sua verità umana e nella larghezza del concepimento. Benchè vi abbondi il così detto color locale, bisogna pensare che il cuore umano non è piuttosto russo che tedesco o scozzese: ma è lo stesso sempre. È certo che quei padri e quei figli che l’autore trae sulla scena si trovano anche da noi in occidente; sia perchè tutto il mondo è paese, sia perchè oggi non ci può essere limitazione regionale delle idee, e queste involgono la terra come in un’atmosfera: la materia grigia si equilibra nei cervelli come il liquido nei varî recipienti messi in comunicazione: e che comunicazione! l’elettrico, che è più rapido della luce, la stampa che è più fulminea dell’elettrico.

    Il fatto è che da un pezzo in qua l’angustia delle dispute politiche è soverchiata dalla grandiosità terribile delle questioni sociali; e sull’une e sull’altre incombe un problema morale che tanto più incalza quanto più sordi si diventa al suo stimolo, quanto meno la fiacca indifferenza degli animi vuole esserne scossa. Se ciò sia un bene od un male, lo sapremo forse dopo; ma certo nessuno può oggi disconoscere la virilità poderosa della generazione che se ne va di fronte alla fiaccona di quella che si dispone a prenderne il posto. I giovani, che non incanutiscono prima del tempo, nell’anima e nel corpo, si contano sulle dita; e la maggior parte dei vecchi serbano ancora i sacri entusiasmi e le baldanze giovanili.

    È possibile che l’autore non sia stato affatto imparziale, elevandosi a giudice fra due generazioni: a momenti, anzi, si potrebbe sorprenderlo in flagranza di predilezione verso i vecchi. Veda il lettore da sè; perchè qui non gli si vuol togliere il gusto dell’inaspettato, nè d’altra parte il lettore di cose letterarie aspetta un’opinione bell’e fatta, come pare che accada spesso ai lettori di cose politiche. Importa notare quel che s’è detto più sopra: cioè che l’autore ha preso a ritrarre il cuore umano ealcuni caratteri generali della società contemporanea, in un momento e in un paese in cui l’invasione delle idee nuove è costante, e che, sforzandosi di averne delle proprie, ne piglia volentieri dagli altri, ieri da Hegel, oggi da Schopenhauer e da Nietzsche, domani non si sa da chi e di dove. Il domani, dicono i giovani, è nostro; e lo affrettano assai più col desiderio che con l’azione concludente;e intanto il domani arriva e li trova vecchi. «Demain c’est la grand’chose....»

    Il traduttore di questo libro si è trovato davanti ad una enorme difficoltà: ed è stata questa che il Turgheniew è, come tutti i grandi artisti, uno scrittore individuale, caratteristico, col suo stile e il suo colorito. Di altre difficoltà minori non si parla. Non ha voluto, naturalmente, entrare in una lotta impari e vana con l’autore, com’era moda al tempo in cui le traduzioni si chiamavano le «belle infedeli». Ha cercato ilgiusto mezzo tra l’eleganza traditrice e l’arida servilità. Si è studiato, rispettando il carattere del testo, di non mettervi nulla del proprio

    Doris amara suam non intermisceat undam....

    e finalmente ha cercato di presentare i russicismi in veste italiana, tra per non confondere il lettore con note spiegative, tra perchè, secondo lui, non ci sono lingue povere e lingue ricche e le medesime cose in qualunque lingua si possono dire. Di più in uno scrittore come il Turgheniew il color locale non dipende dalla frase ma è tutto nella sostanza.

    Comunque questa versione sia riuscita il traduttore è sicuro che le persone di cuore e d’ingegno gli sapranno grado di aver loro fatto conoscere un’opera magistrale, e fra le più vive per dipintura di caratteri e dipassioni, di una letteratura educatrice ed originale, in un momento in cui pochi scrittori si curano di pensare con la testa propria e il così detto realismo coopera efficacemente alla scostumatezza nazionale.

    Maggio 1908.

    F. Verdinois

    I.

    – Che c’è, Pietro? niente ancora si vede?– domandava il 20 maggio 1859, uscendo senza berretto sullabassa scalinata dell’albergo sulla strada maestra di...., unsignore sui quaranta, in soprabito polveroso e calzoni a scacchi,al suo domestico, ometto giovane e paffuto, dalla peluriabianchiccia sul mento e dagli occhi foschi.

    Il domestico, nel quale e le turchine agli orecchi e i capellifragranti di pomata e il portamento affettato, tutto insomma,rivelava un domestico progredito, si affrettò a guardare.lungola strada e rispose:

    – Niente ancora si: vede.

    – Niente? – ripetè il padrone.

    – Niente, – tornò a dire il domestico.

    Il padrone trasse un sospiro e si mise a sedere sopra un banco,ritirando a sè le gambe e guardando intorno, tuttopensoso.

    Presentiamolo intanto al lettore.

    Aveva nome Nicola Petrovic Kirsanow, e possedeva un discretofondo, a quindiciverstedall’albergo, di duecento«anime» o, come egli esprimevasi dopo essersi accordatocoi contadini, una «fattoria» di duemila ettari. Suopadre – unbrav’uomo tagliato alla grossa, burbero evaloroso generale del 1812 – aveva prima comandato unabrigata, poi una divisione, vivendo sempre in provincia, dove lamercè del grado era passato per una persona notevole. NicolaPetrovic – come il fratello Paolo, di cui parleremo; appresso– era nato nella Russia meridionale e fino ai 14 anni erastato educato in casa, in mezzo a mediocri pedagoghi e ad ufficialidi varie armi, stato maggiore e intendenza, che, su per giù,si rassomigliavano tutti in una loro disinvolta servilità. Lamadre, da ragazza Agata Koliezin, apparteneva al numero delle«mamme comandanti», portava vistosi cappellini efruscianti abiti di seta, precedeva tutti in chiesa al bacio dellacroce, discorreva molto e forte, ammetteva la mattina ifigliuoli albaciamano, li benediceva la sera.... era insomma la sopracciòdel capoluogo. Quale figlio di generale, Nicola Petrovic –benchè non fosse il coraggio personificato ed anzi siacquistasse il nomignolo di poltroncino – doveva, come ilfratelloPaolo, entrare in servizio; ma il giorno stesso dellanomina si ruppe una gamba e, dopo due mesi di letto, rimase pertutta la vita un po’ zoppo. Il padre, non avendo di meglio afare, lo mandò a Pietroburgo perchè frequentasse i corsiuniversitari. In quel frattempo il fratello Paolo usciva ufficialenel reggimento della guardia. I due giovani dimorarono insiemesotto la remota tutela di uno zio cugino dal lato materno, un pezzogrosso nelle sfere governative. Il padre tornò alla suadivisione e alla consorte, e solo tratto tratto spedì ai suoifigliuoli certi fogliacci illeggibili, con in fondo tanto di firmapomposa: «Pie tro Kirsanow, maggior generale».

    Nel 1835 Nicola Petrovic uscì col titolo di candidatodall’Università, e l’anno stesso il generaleKirsanow, messo a riposo dopo una malaugurata ispezione, venne conla moglie a fissarsi a Pietroburgo. Prese a pigione un quartiereverso il giardino della Tauride e s’iscrisse al circoloinglese. Se non che un colpo apoplettico lo fulminò.

    Agata non istettemolto a tenergli dietro: non le andava a versila vita della capitale; il cruccio di un’esistenza isolata ladistrusse. Nicola intanto, viventi ancora i genitori econ sommoloro dispetto, s’era innamorato della figliuola di un talPrepolovenski, impiegato, già loro, padrone di casa. Laragazza era belloccia e, come si suol dire, piuttosto sciolta:basti dire che nei giornali leggeva soltanto gli articoli seriinella rubrica «Scienze». La menò in moglie, nonappena scaduto il lutto e, lasciando il ministerodelle pensionidove era entrato la mercè della protezione paterna, vissefelice con la sua Masoia prima in campagna presso l’Istitutoagrario, poi in città, in un grazioso quartierino dalla scalapulita e dal salottino un p’ fresco; finalmente tornò incampagna e vi si fissò, felicitato di lì a poco dallanascita di un bambino, Arcadio. Gli sposi se la godevano: leggevanoinsieme, suonavano a quattro mani il pianoforte, cantavano duetti,nè c’era caso che si bisticciassero. Mascia piantavafiori e badava alla corte; il marito andava tratto tratto a cacciae si occupava della campagna. In mezzo a questa pace veniva suArcadio. Dieci anni volarono come un sogno.

    Nel ’47 Mascia morì. Nicola n’ebbe tal colpoche in poche settimane si fece grigio. Volevaandareall’estero per distrarsi.... e ci sarebbe andato se nonfosse venuto il ’48. A malincuore tornò in campagna e,dopo un ozio piuttosto lungo, si dedicò a introdurre delleriforme nella proprietà.

    Nel ’55 condusse il figliuolo all’Università;passò con lui tre inverni a Pietroburgo, non uscendo quasi maie, studiandosi di far conoscenza coi giovani compagni di Arcadio.L’ultimo inverno non era potuto andare, – ed ecco chelo vediamo nel maggio 1859, già tutto grigio, obeso e unpo’ curvo. Egli aspetta il figliuolo che ha ottenuto,com’egli stesso un tempo, la sua brava patente dicandidato.

    Il servo, tra per rispetto, tra per non stare sotto gli occhidel padrone, si allontanò dalla porta e si accese la pipa.Nicola Petrovic, abbassato il capo, fissava i vecchi scalinismussati; un pollastro grasso e screziato, gravemente glipasseggiava davanti, stampando forte in terra le zampe gialle; ungatto sudicio, accoccolato sulla balaustrata, lo guardava di malocchio. Ardeva il sole; un odor di pane fresco di segalavenivadalla buia entrata dell’osteria. Il nostro Nicola Petrovicfantasticava.... «Mio figlio.... candidato....Arcadio....» gli ronzavano per la testa; sforzavasi di pensarea qualcos’altro, e da capo quei pensieri tornavano. Gliveniva a mente la buon’anima della moglie.... «Non volleaspettare!» balbettò con tristezza.... Un piccioncellotraversò volando la via e andò a dissetarsi frettoloso aduna pozza accanto alla cisterna. Nicola Petrovic si mise aguardarlo, mentre già nell’orecchio gli suonavaconfusamente un rumore di ruote....

    – Chi sa che non sia il signorino, – comunicòil servo, mostrandosi di nuovo.

    Nicola Petrovic balzò da sedere e aguzzò gli occhilontano, in fondo alla strada. Untarantassapparve, attaccato a trecavalli di posta; un berretto orlato da studente.... un noto e caroprofilo....

    – Arcadio! figlio mio! – gridò il padre,correndo ed alzando le mani....

    Pochi momenti dopo, le labbra di lui si attaccavano alla guanciaimberbe ed abbronzata del giovane candidato.

    II.

    – Lascia che mi spolveri, papà, disse Arcadio convoce un po’ rauca ma sonora, rispondendo alle effusionipaterne, – io t’insudicio tutto.

    – Niente, niente, – rispose Nicola Petrovic con unsorriso di tenerezza, e battendo una e due volte con la mano sulbavero di Arcadio e sul proprio soprabito. – Fatti vedere,fatti vedere, – soggiunse indietreggiando d’un passo; esubito dopo, entrando frettoloso nell’osteria, gridò:– Presto, qua, i cavalli, sbrighiamoci!

    Nicola Petrovic sembrava molto più agitato del figlio, siscalmanava, perdeva la testa. Arcadio lo fermò.

    – Papà, – disse, lascia che ti presenti, il miobuon amico, Basarow, del quale t’ho scritto tante volte.È così buono che ha consentito di passar con noi qualchegiorno.

    Nicola Petrovic si voltò in fretta e,accostatosi ad un uomodi alta statura con un lungo camiciotto a fiocchi e che proprio inquel punto sbucava daltarantass, gli strinse forte la mano grossa erossa, che quegli non gli porse però a primo tratto.

    – Lietissimo, – cominciò, – gratocordialmente alla eccellente intenzione di essere nostro ospite;spero signor.... permettete che vi domandi il vostro nome?

    – Eugenio Vasilew, – rispose Basarow con voce pigrae maschia nel tempo stesso; e arrovesciato il bavero delcamiciotto, mostrò tutta intierala faccia a NicolaPetrovic.

    Era una faccia lunga e magra, sormontata da un’ampiafronte e con un naso schiacciato in su ed aguzzo alla punta: grandiocchi verdastri e folte basette color cenere: animavasi di untranquillo sorriso ed esprimeva la fiduciael’intelligenza.

    – Spero, carissimo Eugenio Vasilew, – soggiunseNicola, che non vi seccherete a casa nostra.

    Le labbra sottili di Basarow si mossero appena, ma nonarticolarono sillaba. Egli si cavò il berretto. I capelli diun biondo oscuro, lunghi e folti, non nascondevano le pronunciateprotuberanze del largo cranio.

    – Sicchè, Arcadio, – riprese a dire NicolaPetrovic voltandosi al figlio, – attacchiamo subito icavalli, eh? o volete riposarvi?

    – Ci riposeremo a casa, papà. Fa attaccare.

    – Adesso, adesso, – rispose il padre. – Ehi,Pietro, hai inteso? Su, ragazzi, lesti!

    Pietro, il quale da domestico della nuova scuola non era venutoa baciare la mano al signorino limitandosi ad inchinarsi dalontano, scomparve di nuovo di là dalla porta.

    – Ho qui una carrozza, ma peltarantassc’è trecavalli, – disse tutto affaccendato Nicola Petrovic, mentreArcadio si dissetava ad una secchia recatagli dall’ostessa eBasarow, fumando la sua pipa, s’accostava al postiglione chestaccava i cavalli; – soltanto che la carrozza non ha che dueposti, ed io non so se il tuo amico....

    – Verrà neltarantasslui, – rispose Arcadio amezza voce. – Non far complimenti con lui, ti prego. Èuna perla di ragazzo, alla buona, vedrai.

    Il cocchiere di Nicola Petrovic menò fuori i cavalli.

    – Su, barbone!– gridò Basarow al postiglione,–svelti!

    – Senti, Demetrio, esclamò l’altro postiglione,che se ne stava a guardare con le mani nelle tasche deretane delsoprabito; – te l’ha proprio imbroccata il signore!Barbone sei, non c’è che dire.

    Demetrio si contentò di scrollare il berretto esfibbiò la cinghia al cavallo di mezzo, tutto coperto dispuma.

    – Svelti, ragazzi, svelti! – gridò NicolaPetrovic, – ci sarà da bere per voi!

    In pochi minuti i cavalli freschi furono attaccati; il padremontòcol figlio in carrozza e Pietro in serpe; Basarow con unsalto fu neltarantasse puntò la testa contro il cuscino dicuoio. I due equipaggi partirono di galoppo.

    III.

    – E così, – disse Nicola Petrovic, ora battendosulla spalla ora sui ginocchi di Arcadio, – e cosìfinalmente eccoti candidato e tornato a casa. Finalmente!

    – E lo zio? sta bene? – domandò Arcadio, ilquale, benchè contento ed allegro come un ragazzo, voleva darealla conversazione un tono più calmo e ordinato.

    – Benone. Voleva venire con mead incontrarti, ma non sopiù perchè, se n’è rimasto a casa.

    – E tu mi hai aspettato di molto?

    – Cinque, orette buone.

    – Buon papà!

    E così dicendo, Arcadio si volse al padre e gliappioppò sulla guancia un bacio sonoro. Nicola Petrovic risepianamente.

    – Vedessi che gioia di cavallo t’ho preparato,– soggiunse, – vedrai. E in camera tua, tutti i paratinuovi!

    – E c’è anche per Basarow una camera?

    – La si troverà anche per lui, non dubitare.

    – Senti, papà, trattalo per benino. Non ti so dire ache puntoapprezzo la sua amicizia.

    – L’hai conosciuto da poco?

    – Da poco.

    – Ecco perchè non l’ho visto l’altroinverno. Di che si occupa?

    – Specialmente di scienze naturali. Ma sa di tutto, poi.Quest’altro anno sarà addottorato.

    – Ah! studia medicina, – notò Nicola Petrovic.Poi, stendendo la mano, domandò: – Ehi, Pietro, sonocontadini nostri quelli laggiù?

    Pietro guardò da quella parte, dove il padrone accennava.Varie carrette, tirate da cavalli senza briglia, rapidamentetraversavano un’angusta scorciatoia. Suciascuna sedevano unoo due contadini dalle cacciatore sbottonate.

    – Proprio così, – rispose Pietro.

    – Dov’è che vanno? in città?

    – Così pare. Vanno all’osteria, –soggiunse in tono sprezzante, piegandosi un po’ verso ilcocchiere, come per prenderlo a testimone. Ma questi non se nediè per inteso: era un uomo del vecchio stampo che nonpartecipava alle nuove idee.

    – Un gran da fare mi hanno dato quest’anno icontadini; – riprese a dire Nicola Petrovic, volgendosi alfiglio. – Non pagano. Che ci vuoi fare?

    – E dei braccianti sei contento?

    – Sì, –

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1