Memento mori
By Simone Turri and Daniela Mecca
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Book preview
Memento mori - Simone Turri
SIMONE TURRI
DANIELA MECCA
MEMENTO MORI
S. Turri e D. Mecca Memento mori
©EDITRICE GDS
EDITRICE GDS
di Iolanda Massa
Via Pozzo, 34
20069 Vaprio d’Adda (MI)
Illustrazione in copertina da fotolia A beautiful vintage mirror
©oliavlasenko
Progetto copertina di ©Iolanda Massa
Illustrazioni interne da pixabay
Progetto illustrazioni interne di ©Iolanda Massa
TUTTI I DIRITTI RISERVATI.
Il presente romanzo è frutto della fantasia degli autori. Ogni riferimento a cose, luoghi, fatti e/o persone realmente esistenti e/o esistite è puramente casuale.
Questo libro è il prodotto finale di una serie di fasi operative che esigono numerose verifiche sui testi. È quasi impossibile pubblicare volumi senza errori. Saremo grati a coloro che avendone trovati, vorranno comunicarceli.
Per segnalazioni relative a questo volume: iolanda1976@hotmail.it
INDIFFERENTE
Indifferente sei, occhio vitreo che mi guardi
col tuo latteo volto, in un dove lontano rivolto.
Indifferente sei, bocca muta che mi parli
col tuo digrignante ghigno, a sussurrare mortali echi.
Indifferente sei, corpo vuoto di cuore e anima
col tuo immobile moto, di pietrificato fantoccio.
Indifferente sei, specchio maligno che mi guardi
col tuo beffardo, spietato e ingannatore riflesso.
Indifferente sei, cosmo che imperterrito ruoti
col tuo incedere blando, incurante dell’atroce trapasso.
Simone Turri
LA DANZA DELLA MORTE
Atto primo
La odio, la detesto dal profondo del cuore per il semplice fatto che esiste, respira, si muove, parla, scruta, manipola, per poi piegarti al suo volere e schiacciarti come un insetto fastidioso.
Ho trentasette anni, abito in un piccolo appartamento nel centro di Parigi e faccio l’impiegato per una multinazionale di prodotti farmaceutici.
L’unico modo per potermi fermare è uscire allo scoperto, perché questo tarlo che mi assilla, questa voce penetrante e insistente continua a tormentarmi. Ho deciso di compiere un gesto che passerà alla storia, un’uscita di scena in grande stile.
Ora lei è lì, in un angolo della cucina, rannicchiata col bavaglio alla bocca, nuda come un verme, con le mani legate dietro la schiena da una fascetta di plastica rigida e mi guarda dritto negli occhi. È da un bel po’ che la osservo e controllo ogni sua mossa, ogni dettaglio della sua insignificante vita.
Lavora come commessa in un supermercato che fa angolo con
Rue Saint–Michel e Boulevard de Paris. Ha superato la mezza età, separata da anni e madre di un figlio.
Sono seduto su una sedia di fronte a lei e rimango esterrefatto, e anche un po’ affascinato, dalla psiche femminile in questa circostanza: più che la paura di essere uccisa da me, teme che possa fare del male a suo figlio.
La posso comprendere fino ad un certo punto, ma perché sembra non importarle di se stessa? Come si può non avere paura di perdere la propria vita? È davvero così potente l’amore tra madre e figlio? Sembra che i suoi occhi mi stiano implorando di risparmiarla solamente per non far soffrire lui, per non farlo vivere senza la sua presenza e la sua protezione. La visione di quel corpo, così femminile, così imperfetto e disarmonico mi disgusta. Mi fa venir voglia di ficcarle un coltello in pieno petto, spaccandole il cuore in due come una mela. Tutto è pronto per compiere il mio dovere. Ho pensato al minimo dettaglio e il puzzle combacia. Lo vedo chiaramente nella mia testa, ne accarezzo amorevolmente ogni minimo particolare, come se fosse il mio bambino, la mia creatura. Chissà se in quel suo cervello inutile riesce a sospettare il mio piano. Mi alzo lentamente, apro il primo cassetto e si materializzano davanti ai miei occhi, disposti con ordine, una serie di coltelli di varie misure e dal manico marrone. Il mio viso si dilata in un ampio sorriso di soddisfazione quando, con cura maniacale, estraggo quello dalla lama più grande e spessa e, subito dopo, quello più minuto ma spietatamente appuntito. Sento il cuore che mi palpita furiosamente in petto, come un cavallo andaluso in corsa e penso che quello che sto per fare sarà intenso, appassionante come un romanzo d’avventura, coinvolgente come un film thriller e scabroso come uno splatter in bianco e nero.
Esco di spalle dalla cucina in modo che lei non possa vedere ciò che ho in mano e mi muovo per le stanze della casa con assoluta libertà. Tocco i suoi oggetti, ficco il naso nella sua intimità, apro scaffali, cassettiere e armadi. L’appartamento è in penombra e decido di entrare anche nella camera del figlio, che si trova in fondo al corridoio, sulla sinistra. Mi sdraio sul letto e rispondo al sorriso che mi lancia dal suo ritratto infantile appeso alla parete, sopra la scrivania. Adoro passare la lama del coltello più grande sulla lingua, perché la sensazione di freddo che l’acciaio ha su di essa, mi ricorda il piacere di gustare una bibita gelida d’estate. Mi alzo e procedo verso il bagno, che si trova al centro del lungo corridoio, sulla destra, per espletare le mie funzioni corporali.
Mi sento perfettamente a mio agio col cappuccio nero in testa, i guanti in pelle che mi provocano un’eccellente erezione al solo contatto e la maglia di lana, a collo alto, che mi pizzica il corpo, sfregando leggermente contro i capezzoli facendoli piacevolmente inturgidire. Ripercorro lentamente il corridoio di questa casa percependo il suo respiro, sempre più vicino, affannato e implorante. So che mi sta sentendo, sa che sono dietro alla porta della cucina, in agguato, pronto a farmi vedere, a distruggerla, a toglierle la possibilità di rendere grazie per un nuovo giorno vissuto. Avanzo di un altro passo e lei, appena scorge la punta dei miei scarponi, lancia un grido d’orrore soffocato dal fazzoletto che le ho annodato dietro alla nuca. Con un teatrale inchino mi presento al suo cospetto, come se fosse la prima volta che la vedo e lei mi guarda come se fossi pazzo, ignara dei miei perché.
Atto secondo
Mi sveglio di soprassalto, strappata da un sogno di pace e serenità in cui, tranquilla e sorridente, mi trovo immersa nel verde, con fiori variopinti e vallate erbose, sotto un cielo azzurro e privo di nubi, vestita col mio abito da sposa. Quello che mi ha riportata alla realtà è un sapore amaro in bocca e la sensazione di soffocamento che mi opprime alla base del collo che non mi permette di respirare correttamente. Strabuzzo gli occhi quando vedo, intorno a me, tante candele accese, dalla fiamma crepitante, che creano una penombra di terrore. So di essere nella mia cucina perché riconosco i mobili che ho comprato anni fa e vedo il lampadario in vetro di Murano che penzola dal soffitto. Sento freddo in tutto il corpo e mi rendo conto di essere nuda; ciò mi imbarazza e mi agita ancor di più è l’avere i polsi saldamente legati dietro la schiena. Cerco di muoverli, ma più li sfrego l’uno contro l’altro più il dolore si accentua. Sono imbavagliata, non posso parlare ma solo mugolare come un cane bastonato. Lacrime salate di orrore scendono dai miei occhi, mentre il respiro si fa sempre più accelerato e il petto è mosso da spasmi muscolari e singhiozzi attutiti. Dopo qualche istante ricordo di essere una donna forte che non si perde d’animo, nemmeno nelle situazioni più difficili e disperate della vita. Ricaccio indietro le lacrime, cerco di modulare più lentamente il respiro trovando un po’ di coraggio. Faccio leva sul gomito destro per provare a mettermi a sedere ma, al primo tentativo, ricado sul pavimento con un tonfo sordo che mi paragona spiacevolmente ad un oggetto inanimato.
Al secondo tentativo mi do maggiore slancio e, grazie al contrappeso che applico con le cosce e puntando i talloni al pavimento, riesco ad ottenere il mio scopo.
Quello che vedo mi spaventa a morte e m’inquieta sempre di più, fino a colmarmi il cuore di puro terrore.
Davanti a me c’è una figura scura, dal volto coperto, seduta su una delle mie sedie e rimane immobile a fissarmi, in spettrale silenzio. Non appena lo vedo, inizio a gridare con quanto più fiato ho in corpo, ma non ne sento il suono. Cerco di muovermi indietreggiando ma vengo bloccata dalla parete sotto la finestra. Non so che fare, mi trovo completamente immobilizzata dalla paura e, subito il pensiero corre ad André, mio figlio. Dove poteva trovarsi in quel momento? Che gli sarà successo? Spero non sia in casa, ma spero sia ancora con gli amici e soprattutto che non rientri stanotte.
Oh mio Dio, ti prego, ti supplico, fa che questo psicopatico non faccia del male al mio André.
Chiunque tu sia e qualunque cosa tu voglia, prendi me, ma risparmia mio figlio.
Mi ritraggo ancora una volta in lacrime e singhiozzi appena lui si alza e lentamente va verso il bancone della cucina. Sento che armeggia con le stoviglie ma non riesco a vedere cosa sta facendo. Lo vedo uscire lentamente dalla stanza e girare a sinistra nel corridoio. E se stesse andando ad ammazzare André, magari ancora addormentato e ignaro di quanto stia accadendo? Devo fare qualcosa, devo riuscire a salvarlo! Al diavolo me e la mia incolumità! Devo tentare di liberarmi le mani, ma gli sforzi che faccio e il dolore lancinante, mi ricordano che non sono un attrice di un film d’azione, dove tutto sembra facile, ma sono realmente la preda di uno squilibrato che vuole uccidermi.
Sento dei rumori provenire da una delle stanze e cerco di capire cosa possano essere, sembrano i cassetti e le ante dell’armadio che si aprono e si richiudono.
Poco dopo, odo l’inconfondibile rumore di quando un uomo fa pipì e, quasi fosse una scena tragicomica, mi scopro a sorridere mentalmente per l’assurdità di questa situazione.
Poi non sento più nulla e, alimentando vane speranze che riconosco quasi immediatamente come sciocche, penso che, forse, se n’è andato, e che per qualche strana ragione, ha deciso di risparmiarmi.
Mi rendo immediatamente conto che è ancora qui, percepisco il suo respiro al di là della porta della cucina, nascosto.
D’un tratto, l’uomo appare sulla soglia, prima mostrando la punta delle scarpe, poi con tutto il corpo in un gesto armonioso, quasi una riverenza, inchinandosi come a dire che lo spettacolo è terminato. Solo in un secondo momento riesco a scorgere le sue mani guantate che stringono due coltelli di diversa lunghezza, dalle lame scintillanti animate dal crepitio delle candele.
Stranamente, la luce in cucina si accende e il chiarore delle lampadine rivelano la sua figura, alta e muscolosa, vestita di nero da capo a piedi, con il volto coperto da un passamontagna che lascia intravvedere la bocca e gli occhi, grazie a dei piccoli fori.
Il mio respiro aumenta e il battito del mio cuore accelera mentre si espande e si contrae come un mare in tempesta.
Avanza lentamente verso di me, come un’ombra di morte che ha deciso di prendermi.
Ormai ci divide solo un metro e lui troneggia su di me con la sua mole incombente, segnando definitivamente la sua superiorità nei miei confronti. Poi si abbassa, piegandosi sulle ginocchia e rimane così di fronte a me, con i coltelli che mi roteano davanti.
Ti prego no, non fare del male ad André, non farne a me, penso mentre lo guardo con disprezzo.
Atto terzo
Siamo alla resa dei conti e ora non posso più tornare indietro, devo percorrere la strada che vedo di fronte a me. Allungo il braccio destro e trovo facilmente l’interruttore della luce, lo aziono col manico del coltello e la cucina viene fatta rivivere in tutti i suoi particolari. Lei è sempre lì, impaurita come un animaletto rinchiuso in gabbia. Incedo con passo cauto e le vado vicino.
Mi chino sulle ginocchia senza mai staccarle gli occhi di dosso e mi scopro ad annusare, soddisfatto, il profumo della sua paura, che è palpabile e viva, quando le agito i coltelli davanti al volto per dissuaderla dal fare qualsiasi movimento o tentare la fuga.
Decido che è arrivato il momento di mostrarle il mio viso.
Appoggio i coltelli sul pavimento, ai lati del mio corpo e sfilo il passamontagna con un solo gesto, facendolo cadere alle mie spalle.
«Ciao mamma!» - dico sorridendole divertito - «Piaciuta la sorpresa?»
Lei spalanca gli occhi, incredula e impressionata nel vedere che dietro a quella maschera ci sono io, il suo caro figlio André, mentre le lacrime e gli spasmi del pianto e del dolore le sono