Flavio Belisario: Il generale di Giustiniano
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In questa biografia si tenta di ricostruire la vita di Belisario nella sua interezza, in modo da comprenderne le idee strategiche, chiarire il suo reale rapporto con Narsete, il generale che, a torto, gli viene tradizionalmente contrapposto, senza trascurare il suo movimentato matrimonio con l’energica Antonina. Sullo sfondo, le vicende di un periodo decisivo per la Storia, in cui il mondo antico è ormai avviato al tramonto.
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Flavio Belisario - Alberto Magnani
Mediterraneo.
CAPITOLO I
UN UFFICIALE DI BELLE SPERANZE
Le strade per Costantinopoli
Doveva essere abbastanza abituale, verso la fine del V secolo, vedere per le vie della Tracia o dell’Asia Minore aitanti giovani che, vestiti di una semplice tunica e con una bisaccia in spalla, andavano ad arruolarsi nell’esercito romano. La carriera militare, al contrario che in passato, era diventata ambita, offrendo prospettive di promozione sociale.
I più determinati tra questi giovani puntavano direttamente verso Costantinopoli, la capitale dell’impero, nella speranza di poter essere ammessi nella Guardia Imperiale, che comprendeva i corpi più prestigiosi e le prospettive più allettanti. Certo, riuscirvi non era facile: occorreva essere in possesso, come minimo, di un fisico particolarmente prestante.
Può darsi che un congiunto di Belisario, in data a noi ignota, avesse percorso la strada che conduceva a Costantinopoli attraverso la Tracia; che, arruolatosi nell’esercito, vi avesse raggiunto una buona posizione e una certa agiatezza; e che mandasse a chiamare il futuro generale per avviarlo alla stessa carriera. Di questo ipotetico personaggio non sappiamo nulla: ci risulta, però, che Belisario appartenesse a una famiglia benestante e che, sin dalla più giovane età, si preparasse alla carriera delle armi. Nella società dell’epoca, vigeva il principio dell’ereditarietà delle professioni, per cui possiamo azzardarci a ipotizzare l’esistenza di questo congiunto (padre? zio?) che aprì la strada alle fortune del discendente.
La famiglia di Belisario era originaria di una località ai confini fra l’Illirico e la Tracia, chiamata Germania (forse l’odierna Saparevska Banja, in Bulgaria). Il nome si può spiegare con lo stanziamento di genti di stirpe germanica: forse coloni accolti in territorio romano, forse Goti finiti da quelle parti durante le movimentate migrazioni del IV secolo, forse reduci dell’esercito.
Che Belisario avesse qualche antenato germanico è possibile, ma non sicuro. Così come niente di certo è stato stabilito circa il significato e la provenienza del suo nome: germanico, appunto? Trace? Slavo? Con certezza possiamo affermare solo che Belisario era un cittadino romano e che nacque a Germania intorno all’anno 500. Probabilmente, era di madrelingua latina, come gli imperatori Giustino e Giustiniano.
Trasferitosi a Costantinopoli, Belisario entrò ben presto nel corpo più ambito della Guardia Imperiale, quello dei protectores, le guardie personali dell’imperatore. Per esservi ammessi occorreva esibire un fisico atletico, ma, soprattutto, sborsare una discreta cifra: quest’ultimo elemento è un’ulteriore prova dell’agiatezza della famiglia del giovane.
Belisario dovrebbe aver iniziato il suo servizio all’epoca dell’imperatore Giustino, che governò dal 518 al 527. Giustino era un vecchio soldato che, decenni prima, era partito dalla natia Macedonia con tunica e bisaccia insieme a due compagni e aveva salito i gradini della carriera militare sino a impadronirsi del potere supremo. È plausibile che Giustino amasse circondarsi di guardie originarie, come lui, dell’area balcanica.
Dopo l’arruolamento, per Belisario iniziarono i ritmi consueti della vita di caserma: addestramento, esercitazioni, turni di guardia. Lo storico Agazia afferma che vi si era abituato sin da ragazzo, per cui possiamo supporre che vi fosse stato preparato in famiglia. Belisario era aiutato dal fisico aitante e, probabilmente, aveva gli appoggi giusti. Nel giro di pochi anni era già nella cerchia privilegiata delle guardie personali di Giustiniano, figlio di una sorella di Giustino e considerato l’erede al trono.
Belisario ricevette l’addestramento da soldato di cavalleria, il corpo che stava assumendo una posizione centrale nell’esercito dell’epoca e che egli stesso avrebbe sempre privilegiato in battaglia. I cavalieri romani del VI secolo indossavano corazze o cotte di maglia su tunica e pantaloni, gambali ed elmi tondeggianti; e dovevano saper usare l’arco, la lancia e la spada. È naturale pensare che il giovane, facendo carriera, si dedicasse allo studio teorico della scienza militare. I manuali in uso presso l’esercito non mancavano e Belisario, per usare un’espressione spagnola, era il tipo di ufficiale che il manuale lo ha letto a fondo
. La competenza, certo corroborata dall’esperienza, che avrebbe dimostrato durante le campagne belliche riguarda tutti gli aspetti del funzionamento di un esercito: non solo la tattica, ma i servizi di sussistenza, la logistica, il genio, senza trascurare la paga e il rancio.
Nel giro di pochi anni, Belisario si guadagnò la stima di Giustiniano, tanto da ricevere, ancora di primo pelo
, come nota Procopio, un comando sul campo.
Un esordio non troppo brillante
L’impero Persiano era l’unica potenza in grado di fronteggiare i Romani su posizioni di parità. Da secoli i due imperi guerreggiavano, si strappavano territori, se li riprendevano, firmavano trattati di pace e li violavano. La situazione non era cambiata durante il regno di Kawad, che aveva condotto una guerra contro i Romani tra il 502 e il 506, concludendo poi una pace durata circa vent’anni.
Intorno al 525, i rapporti tra i due imperi si raffreddarono nuovamente. Il sovrano della Lazica, un piccolo regno affacciato sul Mar Nero, si convertì al cristianesimo e si recò a Costantinopoli per farsi battezzare e incoronare. Ciò implicava un rapporto di sottomissione politica nei confronti dei Romani, il che non piacque affatto a Kawad: la Lazica si incuneava nei territori a nord-ovest dell’impero Persiano.
Kawad controbilanciò la mossa tentando di estendere l’influenza persiana sulla regione dell’Iberia, nel Caucaso. La tensione politica sfociò ben presto in prove di forza sul piano militare. Una di tali azioni venne affidata a Belisario, affiancato da un altro ufficiale di belle speranze, Tzittas. I due guidarono un’incursione in Persarmenia, la parte di Armenia sotto sovranità persiana, e ne tornarono carichi di bottino.
L’incursione venne rinnovata a breve distanza di tempo, questa volta all’interno di una manovra più elaborata. L’operazione, che sembra fosse diretta da un generale di nome Libelario, prevedeva che Belisario e Tzittas penetrassero nuovamente in Persarmenia, ma per creare un diversivo. Libelario, infatti, puntò contemporaneamente verso la città di Nisibi, punto nevralgico delle difese persiane nel territorio della Mesopotamia.
Il piano fallì. Belisario e Tzittas si videro costretti a ripiegare, incalzati dai comandanti avversari, i fratelli Arazio e Narsete. È curioso osservare che questi due ufficiali persiani avrebbero di lì a poco disertato, insieme a un terzo fratello, Isacco, per unirsi ai Romani: in futuro Belisario se li sarebbe ritrovati – presenza non sempre gradita – nel proprio stato maggiore.
Chi fece le spese della sconfitta fu Libelario, esautorato dal comando. Belisario, invece, venne promosso e messo a capo del settore sul confine con la Mesopotamia (dux Mesopotamiae), con base nell’importante piazzaforte di Dara, posta a fronteggiare la città di Nisibi. Da tale posizione, l’ufficiale fu incaricato inoltre di procedere alla costruzione di un’ulteriore fortezza. Le forze persiane reagirono immediatamente e si mossero per impedire l’iniziativa. I Romani risposero trasferendo un contingente di truppe, al comando dei fratelli Kutzes e Butzes, dal Libano alla Mesopotamia, in appoggio a Belisario. Ne seguì una battaglia, che si risolse in una sconfitta per l’esercito romano. I progetti di edificare nuove fortificazioni dovettero essere abbandonati.
Ci risulta difficile valutare la parte avuta da Belisario in queste vicende. Le ostilità, come abbiamo visto, non procedevano in modo particolarmente favorevole alle armi romane; tuttavia il giovane ufficiale agiva in subordine a comandanti superiori, sui quali, come nel caso di Libelario, ricadeva la responsabilità del buon esito delle operazioni. Giustiniano, da parte sua, aveva fiducia nelle capacità di Belisario, tanto da decidere di affidargli, nel 529, il comando unificato del fronte orientale (magister militum per Orientem).
Quali considerazioni si possono fare circa gli esordi di Belisario sul campo di battaglia?
La prima è che, nel giro di alcuni anni, il giovane ufficiale si trovò a mettere a confronto la propria preparazione teorica con una serie di situazioni pratiche molto diverse fra loro: attacchi in territorio nemico, scontri frontali, ritirate, difesa di posizioni, costruzione di opere fortificate. Si trattò certamente di un’importante esperienza. In secondo luogo, avendo egli esordito contro l’esercito persiano, dal cui modello i Romani stavano recependo l’idea della centralità tattica della cavalleria, tale esperienza contribuì certo a confermare la sua visione.
La promozione del 529 poneva ormai Belisario tra i vertici dell’esercito. Il generale dovette pertanto circondarsi di un adeguato numero di bucellarii, ossia di soldati scelti posti unicamente alle sue dipendenze e mantenuti a sue spese. Ogni alto grado ne possedeva un reparto. I soldati erano comunque legati da un giuramento di fedeltà all’imperatore. A Belisario i mezzi non mancavano, per cui sarebbe giunto a mettere insieme qualcosa come settemila bucellarii, una cifra notevole. Questo, però, al culmine della gloria.
Al momento, il numero di bucellarii al suo seguito era certamente molto inferiore, forse non superiore a poche centinaia. Sarebbero stati con lui nella battaglia di Dara.
La donna che rendeva possibile l’impossibile
Nel 527, quando era stato trasferito a Dara, Belisario aveva assunto al proprio servizio un giovane avvocato originario di Cesarea, in Palestina, all’incirca suo coetaneo: Procopio. Il generale non immaginava certo che quell’uomo gli avrebbe assicurato, nel bene e nel male, un posto nella storia. La storica Averil Cameron ha definito Procopio un "eccellente reporter", lanciando così l’immagine, di un certo successo, di un Procopio assimilato a un corrispondente di guerra: immagine anacronistica e fuorviante.
L’incarico ricoperto da Procopio viene da lui stesso definito con un termine greco, traducibile con consigliere
, ma non è chiaro che genere di consigli avrebbe potuto elargire, avendo ricevuto un’educazione giuridica ed essendo, soprattutto, un letterato, profondo conoscitore della tradizione storiografica greca.
Più chiaro è un altro vocabolo, utilizzato dall’autore in un passo successivo della sua opera, e traducibile come assessore
. Si trattava, in questo caso, di un esperto in materia giuridica, che assisteva gli alti ufficiali in caso di convocazione della corte marziale. A tale attività Procopio non si riferisce mai esplicitamente (ma qualche collegamento traspare), mentre ci racconta di altre mansioni svolte agli ordini di Belisario, quali la soluzione di problemi logistici e missioni riservate.
Ciò che più conta, comunque, non è in che veste Procopio fosse al seguito di Belisario, ma quanto in seguito scrisse. L’intellettuale di Cesarea accompagnò il suo generale sui campi di battaglia e ne condivise incertezze e pericoli in Mesopotamia, in Africa e in Italia. Dagli spalti di città assediate, fra le tende degli accampamenti, nelle colonne di soldati in marcia, attento a tutto e curioso di tutto, Procopio raccoglieva appunti per realizzare una delle opere più importanti della storiografia antica, la Storia delle guerre combattute all’epoca di Giustiniano, comunemente nota come Storie.
Belisario è il protagonista della narrazione. Con il trascorrere del tempo, tuttavia, l’ammirazione dello storico nei confronti del generale andò sfumando, per trasformarsi in autentica avversione. Negli anni della maturità, mentre completava le Storie, Procopio avrebbe intinto la penna nel veleno e scritto lo sconcertante libello Anecdota, titolo tradotto con Carte segrete o Storia segreta, in cui Belisario appare un debole, uno zimbello nelle mani della moglie Antonina.
Inutile dire che tutto ciò rende Procopio una fonte ambigua, da utilizzarsi con cautela.
Si è nominata Antonina. Il matrimonio di Belisario si colloca intorno al 530, quando, cioè, Giustiniano decise di accordare a lui e all’altro generale in ascesa, Tzittas, la piena fiducia. I due alti ufficiali vennero legati alla corte anche attraverso le nozze: Tzittas, infatti, sposò Comitò, la sorella minore dell’imperatrice Teodora; Belisario, invece, Antonina, che di Teodora era intima amica.
Per saperne di più su Antonina dobbiamo ricorrere a Procopio, che la conobbe bene, e la detestava. Sono ben note le pagine che, nelle Carte segrete, lo storico