Bomba al cioccolato
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About this ebook
In particolare, mi colpì un bimbo tra i tanti; benché avesse tre anni, non era in grado di parlare. Nessuno aveva perso tempo a insegnarglielo.
Qualcosa si ruppe e qualcosa contemporaneamente nacque in me. Era una nuova consapevolezza che, rimasta per anni in fondo al mio cuore, giorno dopo giorno, battito dopo battito, ha fatto sì che germogliasse questo libro.
Francesca Romana Pistoia nasce a Roma nel 1968, si laurea in Scienze Politiche con indirizzo internazionale e orienta il proprio percorso professionale su tematiche quali l'inclusione sociale, la finanza etica, il microcredito e le politiche attive del lavoro come strumenti di lotta alla disoccupazione e all'emarginazione sociale.
Giornalista dal 2000, scrive di musica, arte, teatro e cinema. Parla fluentemente cinque lingue e dal 2005 è clown sociale, prendendo parte attiva e organizzando "missioni del sorriso" in Guatemala, Romania, Costa D'Avorio e Tanzania. La sua parola d'ordine è: ENTUSIASMO!
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Book preview
Bomba al cioccolato - Francesca Romana Pistoia
Bomba al cioccolato
Francesca Romana Pistoia
Titolo: Bomba al cioccolato
Copyright – Tutti i diritti riservati
Immagine di copertina a cura di Rosso China
Le immagini all’interno del libro sono concesse da Pixabay – CC0 (Olichel, Free-Photos, Mirror_eyes, Terimakasih0, Stokpic, Counselling, RonPorter, Skeeze)
Versione digitale del libro a cura di Rosso China
Editorial Zadkiel
www.editorialzadkiel.com
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Alessia e Corrado
Prefazione
Cosa prova un bambino di fronte l’abbandono da parte dei genitori?
Una realtà drammatica. L’esperienza più terrificante che possa accadere a un bambino; paura, sgomento, confusione, la profonda rabbia e il senso di colpa per essere nato, o per essere sbagliato. Il dolore è lacerante.
Piotr aveva solo dieci anni non vissuti o, per meglio dire, vissuti con il gelo dentro e fuori. La sua vita era come uno scenario del Paese natio; popolata di miseria e incertezze, dove un piatto caldo diviene spesso un lusso. La sofferenza è cucita addosso come una seconda pelle e non puoi disfartene come con un abito liso. Uno scenario contornato da strade e alberi coperti di neve per la maggior parte dell’anno. Un paesaggio surreale, dove il gelo riesce ad ammutolire anche il canto del piccolo uccellino temerario che, per caso, lo si vede posato su un ramo; non è solo, vicino a lui la sua mamma che non lo perde di vista; lei non lo lascia; così come faranno la mamma e il papà di Piotr. In uno scenario come questo, dove il rumore del silenzio sovrasta ogni cosa, c’è da chiedersi come può sopravvivere un bambino con un dolore così grande? Come può un bambino essere dimenticato dai propri genitori? Senza la certezza di essere sostenuto, accolto e amato, Piotr tenterà disperatamente di scavare e attingere alla sua forza interiore per cercare di dominare il senso di solitudine e dolore, per riuscire a sopravvivere e spiccare il volo.
Difficile spiegare a un bambino che presto sarà lasciato, che non vedrà più i genitori e la casa dove ha vissuto fino ad allora. Spiegare che anche le piccole cose smetteranno all’improvviso di esistere. Il viaggio in treno sarà l’ultimo momento che passerà insieme a suo padre. Per Piotr sarà un viaggio all’interno della paura e dell’angoscia. Con gli occhi sgranati osserverà minuziosamente ogni dettaglio, ogni cosa. Osserverà i movimenti di suo padre, le sue labbra dischiuse, nell’attesa che gli spieghi il perché di tutto questo, se sta vivendo un sogno o un incubo. Un’attesa che presto lascerà posto alla rassegnazione e all’impotenza; anticamera della depressione e della rabbia che troppe volte prenderà forma di violenza. Contro se stesso, contro il mondo.
Non poter fuggire, non poter lottare contro qualcosa di ineludibile. Tanta è la paura e l’impossibilità di esprimere il proprio dolore che l’unica risposta possibile è l’immobilità. Una piccola statua di cera pronta a sciogliersi al calore di un abbraccio che mai verrà. In questa immobilità, Piotr cercherà disperatamente di imprimere dentro di sé gli ultimi istanti di quel viaggio che gli ricorderanno il volto di suo padre, con il ricordo vago di una famiglia; un tozzo di pane sulla tavola, un cenno della mano, un sorriso frettoloso appena accennato.
Non si può piangere e le lacrime trattenute scaveranno solchi profondi nella sua anima ferita. Seguendo in silenzio il padre, Piotr sta per smarrirsi nell’ombra cupa di un trauma troppo grande per essere contenuto e, soprattutto, compreso.
Congelare emozioni e sentimenti, l’unica risorsa a cui attingere per non morire
dentro. Sotterrare nel profondo tutte le domande, che diverranno nel tempo sempre più incalzanti, una ricerca incessante di risposte ai suoi tanti perché. Un fiume interminabile di parole che vorrebbero uscire, ma che si fanno mute di fronte l’indifferenza di suo padre; come stalattiti, raschieranno la gola per un tempo così lungo da sembrare un’eternità, di cui ancora oggi ne sente l’eco.
L’istituto che lo accoglierà, con le 400 piccole anime, diventerà il suo unico punto di riferimento. La sua famiglia
, i suoi fratelli, i suoi amici. Coloro con cui condividere tutto: angosce, rabbia, il gioco, il pezzo di pane, il riso, il pianto, i desideri, le fantasie. L’immaginazione diventerà l’unico mezzo per inventare un presente migliore: un dono prezioso che nessuno può togliere a un bambino. Per questi bambini non è possibile pensare o immaginare il futuro. Perché il futuro non esiste.
Ma quale potrebbe essere la fantasia di un futuro per un bambino abbandonato? Il sapore amaro delle incertezze fa cadere anche i più piccoli sogni; un piatto caldo, un letto, un tetto sopra la testa. Non si possono immaginare nemmeno le piccole certezze, così come non è possibile immaginare ciò che non si è mai avuto: una famiglia.