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Un'estate da raccontare
Un'estate da raccontare
Un'estate da raccontare
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Un'estate da raccontare

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About this ebook

L'emozione di un incontro virtuale stimola Camilla, al punto tale di descriverlo in un romanzo. Lei, donna elegante, fredda e riservata getta la corazza di marmo, raccontando passione e sentimento per uno sconosciuto, Lorenzo. L'uomo segreto vissuto in una sola notte con fuori il gelo. Poi il colpo di scena. La pubblicazione del libro con lui così ben descritto tra le righe.La presentazione dell'opera in un ristorante al mare. Lorenzo in sala.

Ecco il treno che transita una volta nella vita e non ti aspetta ma ti pizzica. Una cornice incandescente di avvenimenti che si mescolano a gioie e dolori in occhi verdi e azzurri di amici vecchi e nuovi, imbarazzati e soggiogati da verità tenute un tempo nascoste poi partorite come se nulla fosse.

Il virtuale si inabissa in fondo al mare. La realtà affiora come uno scoglio all'ululato delle onde. Una passione solletica le menti dei due giovani. Volare via insieme lontano come due gabbiani.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateOct 27, 2017
ISBN9788892688551
Un'estate da raccontare

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    Un'estate da raccontare - Paola Marchi

    tanti.

    1

    Un chiacchiericcio soffuso, un parlottare veloce, un piccolo sbuffo, una risatina, un tonfo e il ruzzolare malinconico seguito dal rimprovero di poche e semplici parole:

    Smettila Filippo, non far rumore!.

    Lei dorme ancora.

    Il vecchio posacenere, rugoso all’aspetto, è come un vecchietto quando al mattino, ancora poco sveglio ed alquanto intontito, inciampa nella ciabatta ed ahimè la mia povera anca.

    Triste è il legnetto malfermo un tempo colorato ed ora invece ombroso di turbolenta polvere, bruciacchiato da un girotondo di mozziconi, che annunciano ancora, morte sicura.

    L’oggetto disperato si aggrappa con i rudi cavilli del suo corpo sfinito, al tavolino, per scansare il calcio del piede assassino come ogni mattino.

    Niente da fare, sembra sussurrare all’aria, il recipiente, assai sbriciolato, poi rammendato, mentre vola sulla piastrella, sempre la stessa, che con una smorfia pare urlare:

    Oh no! Ancora tu sulla mia vernice spenta!.

    Neppure nei giorni festivi Filippo è tranquillo.

    Alle sette del mattino, in maglietta e calzoncini, lui coccola se stesso con un libro ed un caffè, lasciando la pianella al suo destino mentre accoglie felice il morbo omicida tra le dita.

    Povero portacenere indifeso.

    Lo stesso lo osserva avvilito e con un occhio spento, pare gli gridi:

    No! La gamba sul tavolino, ci sono io!

    Imminente la solita tragica fine.

    Il tonfo nel silenzio è un tuono di ossa rotte ed il sussurro di Giada, che spazientita come sempre, preannuncia a Filippo, la prossima fine di quell’oggetto nel cestino.

    Smorfie di sonno, sbadigli, sorrisi ed il sapore del caffè con brioche e pasticcini, inebriano l’aria, vezzeggiata da un raggio di sole, quando un dolce musetto di pelo, senza pupille, avanza dalle tende, calpesta cocci e cenere e si insedia, raggomitolandosi con un balzo, sulla pancia di Filippo.

    Ehi! Già sveglia anche tu?.

    Un goccio di caffè?.

    No, per te solo crocchette e tè!.

    Un guaire simpatico, neanche un abbaiare e quegli occhietti vispi e gioiosi, scrutano e si tuffano poi all’improvviso in quel mare di un azzurro intenso, inebriante ed ammaliante, lo sguardo del ragazzo.

    Il suo sorriso maliardo, la sua voce chiara, nitida, lampante e solare, si insedia nell’aria:

    Si, ho capito, tra poco andremo al mare.

    Eccolo, l’inaspettato abbaiare.

    Trudy è felice, altroché crocchette, si va al mare.

    Silenzio, non ti agitare, sussurra Giada sorridendo, con un pezzetto di brioche tra i denti..

    E’ancora presto, siamo solo noi e un fioco raggio di sole, appena sbocciato..

    Lei dorme ancora!.

    Un tenue venticello scompiglia quella corta frangetta, nera come la pece, che si tuffa su quelle sottili e ben disegnate sopraciglia, dove lunghe e folte ciglia, sono siepi di tenebre per quegli occhi grigi, pozzo di inebrianti segreti.

    Non troppo alta, ma ben fatta, Giada passeggia sul terrazzo, in un andirivieni di saltelli, con una ciambellina tra le dita e la tazzina del caffè, che si pavoneggia tra un’ombra di una svogliata foglia, appena fuggita da un ramo impazzito.

    Giada, la sua compagna.

    La donna di una serata dolce ed eccitante, insieme a quel suo Filippo, e guai a chi glielo sfiora, anche solo con un dito.

    Giada la sbarazzina, che spende e spande, tra orecchini e piccoli sandali, minime borse e giacchette fin troppo strette, per poi indossare la veste di ogni giorno, l’intellettuale, l’amante che divora in un istante la Morante.

    Lei, l’insegnante d’inglese, che con il suo pennino spietato in un quattro ghiacciato per un - non ho studiato -, adora mare, sole e spiaggia, come la sua amica di sabbia, che ahimè, chissà perché, dorme ancora.

    Giada lo osserva.

    Lei scruta l’uomo, che ama a più non posso.

    Lo accarezza con quel suo sguardo maliardo da gatta morta, scoccandogli ad un tratto un bellicoso pizzicotto sul collo, mentre lui con gli occhi socchiusi, stava accarezzando lievemente in quel suo soffice dormiveglia spalmato dal torpore di un timido sole, la dolce Trudy, ormai avvilita, che ancora tristemente attendeva la promessa di Filippo.

    Ehi, cosa fai Giada?.

    Non vedi, sono sornione, sto meditando cosa fare da grande!.

    Sbotta il ragazzo con fugace ironia.

    Lui che se non dorme, non sta mai zitto.

    Poi un grande sbadiglio, un’inclinazione sonnolenta del viso.

    Uno strofinarsi gli occhi per riacquistare la nebulosa vista.

    Un lento movimento per riacciuffare la sua ciabatta, ora compagna silente di quel posacenere, giacente a pezzi, ormai da Giada destinato ad un triste ed imminente funerale, già da tempo da lei preannunciato al compagno.

    Smorfia insonnolita di chi stira le membra e non ha voglia di far niente.

    Filippo, alto, bell’uomo, un modello di stile.

    Slanciato, ma immobile sempre, come un bell’attaccapanni di ottima firma, che fa arredamento all’ambiente.

    Lui si ritrae perennemente, cercando consensi, persino dallo specchio, ormai stanco di averlo sempre presente.

    Su Filippo!

    Sussurra Giada, sbuffando.

    Basta chiacchiere stamattina, fai lo zainetto e non dimenticare il cellulare, come fai sempre, raccogli il disordine e nascondi le chiavi dell’auto, ricordi che lo scorso anno, poi ne trovammo, due, parlo dell’auto.

    Sogghigna Giada, senza allusione alcuna".

    Sbrigati Filippo, Trudy è furiosa e ricorda sempre di non far rumore!.

    Lei, dorme ancora!.

    Io sbrigo ancora alcuni lavoretti poi ti raggiungo.

    Giada mentre lo sprona, come sempre gli sorride.

    Mamma mia!.

    Sussurra al cielo, la nuvoletta del pensiero di Filippo.

    Così presto, Giada ha predisposto il mio destino e naturalmente ha innescato quel fastidioso ricordo del posto auto vuoto, ma se non ci fosse lei, cosa sarei io?.

    L’eco della risposta al suo pensare è immediatamente arrivato a Filippo, che la assapora, con una smorfia sul viso.

    Saresti solo un bambinone, male impostato.

    Il bel ragazzo ancora sonnolento si prepara per raggiungere la spiaggia.

    Lui ha tutto, occhiali, telo, giornale.

    Ecco, anche il cellulare.

    Quest’ultimo non è poi così vitale per Filippo, anzi molto spesso lo dimentica nella tasca del giubbotto o lo lascia sopra al tavolo, se proprio non lo ripone dentro ad un cassetto.

    Un poco impedito anche nel rispondere ai messaggi.

    A lui piace parlare, non inviare vocaboli.

    Inutile mandare un messaggio al ragazzo.

    Senza dubbio Filippo risponderà dopo ore se va bene o dopo intere settimane, se non oltre il mese.

    Meglio contattare Giada e la risposta è subito immediata.

    Non se però si tratta del giornale.

    Il Sole 24 ore è vita per quel bel ragazzo dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, che all’istante, lo fa suo, sotto l’ascella, mentre afferra la vecchia bicicletta e depone Trudy nel traballante cestino, avviandosi finalmente alla spiaggia, il destino del suo mattino.

    Oh, questo rosa antico quanto ti adoro!.

    Forse come Giada, e allora ti chiamerò amore, sempre con me vicino al cuore.

    Filippo sussurra al giornale come se fosse umano.

    Lui, l’assicuratore, che non perde neppure un istante persino in un giorno festivo per aggiornarsi sugli ultimi andamenti della Borsa o sulle variazioni dei tassi per finanziamenti e quant’altro.

    Filippo come sempre desidera essere pronto ad effetto certo, per una noiosa conversazione tra gli amici, già stesi al sole ma chissà se poi sul momento loro saranno sul serio interessati ad ascoltare le tristezze del mercato sotto i raggi bollenti.

    Quanto gli piace.

    Lui adora sviolinare argomenti in danaro.

    Anche d’estate, avvolto da un caldo eclatante, la sua mente calcola interessi, commissioni, valute e scadenze.

    Qualcuno invece vorrebbe solo cospargersi il corpo di crema e crogiolarsi al sole, senza assuefarsi di numeri la mente, siccome già comodamente in ferie e non dover ascoltare quel Filippo e le sue storie in dollari e valute estere.

    Lui però è fatto così.

    Chiacchierone e altrettanto simpaticone.

    I suoi atteggiamenti sono decisamente quelli di sempre, di ogni giorno, scontati, sempre quelli.

    Lui, il bel bambinone, con gli occhi color del mare ed i capelli biondi.

    Scontata pure è la sua sigaretta.

    Mio Dio!

    Filippo la ciminiera!

    Maglietta bianca, occhiale scuro e sigaretta.

    Lui già in postazione, sul lettino, in riva al mare, scruta l’ orizzonte, mentre finalmente anche Trudy, lì accanto alla sua gamba, raschia sulla sabbia.

    La cagnolina, che non è peraltro abituata alla stessa, così bollente per le sue tenere zampette, geme come un agnello.

    Assaporando il calore di un raggio di sole, che s’intrufola insidioso e dispettoso tra le lenti ed una ciglia, disturbandolo un poco, il pensiero di Filippo ritorna ad un recente vissuto.

    Lui rimembra, inebriato alquanto, il pizzicotto sul collo sentito dai soffici polpastrelli della sua mitica compagna da tanti anni. Solleticato dalla visione di quegli occhi grigi e dalla pelle di seta di lei.

    Giada, la sua vita.

    Ma Giada, che fa?.

    E lei?.

    Lei dormirà ancora?.

    Indaffarata la donna, stava raggruppando lo scompiglio del proprio compagno, che le aveva naturalmente raccontato di aver messo tutto in ordine mentre ovviamente non era assolutamente vero.

    Sbuffa Giada ed inciampando in un accendino, lasciato girovago a terra, si divincola tra i minuti in corsa di un orologio a pendolo, per prepararsi ed avviarsi, pure lei, alla spiaggia.

    Cosa mi metto?.

    Neanche il tempo per pensarci un momento, che la soave melodia di un Mozart sonnolento, prende il sopravvento alla sua corsa frenetica.

    Oh, mancava solo il cellulare!.

    Ma dove sarà?.

    Quell’aggeggio suona ed io neppure lo vedo!.

    Sbraita Giada, con il rossetto in mano".

    Ah, eccolo sul tavolo in terrazzo!.

    Un inebriante sorriso pennella all’improvviso il suo bel viso, che solo pochi minuti prima era lievemente corrucciato, da quell’ infinito disordine poi da lei, raggiustato.

    Ehi ciao, che piacere sentire la tua squillante voce!.

    Giada, urla estasiata già in dimenticanza di colei che solo un attimo prima, le aveva causato un pizzico di apprensione al cuore, nel constatare lo strano silenzio nell’appartamento accanto, dove qualcuno forse apparentemente, poteva ancora forse dormire.

    L’orologio a pendolo soggiaceva, frastornato, osservando gli occhi lucidi di Giada, che piacevolmente sprofondava sul divano, felice di sentire quella voce amica, non curandosi affatto del rossetto ormai liquefatto tra le sue dita accaldate.

    Certo che sono al mare, Federico!.

    Come dove? Milano Marittima come sempre!.

    Si, certo, con Filippo.

    E tu che fai?.

    Mare o monti?.

    Auto o motore?.

    Una frenesia di mille domande in un secondo, intervallate da altrettanti sorrisini e risatine, tipici rituali, tra quei due colleghi, che neanche si lasciavano nei giorni festivi.

    Un’amicizia nata sui banchi di scuola e senza volerlo, proseguita poi nello stesso ambiente di lavoro, la stessa scuola in quella città, neanche a farlo apposta.

    Segno forse di un destino clandestino?

    E chi ci crede al destino?

    Non certo Giada.

    Lei lo crea il suo destino.

    Solo la materia d’insegnamento non era la stessa, anche se insegnanti di lingue straniere lo erano entrambi.

    Giada insegnante di inglese.

    Federico, insegnante di francese.

    Lui, ragazzo alto, magro, sempre sorridente e giocoso.

    Battuta sempre pronta ed un ironico sarcasmo pure su se stesso.

    Colmo di vita e cordialità con tutti quanti.

    I suoi splendidi occhi verdi non lasciavano spazio al non essere ripagati con un timido sorriso a chi avesse il piacere di poterne incontrare le pupille.

    Seppur fosse stato in un istante triste e malinconico, i suoi occhi invitavano al non essere mai bui in volto.

    Per il suo umore così accondiscendente all’amicizia e allo scherzo sopraffino, Federico era sempre stato un ottimo amico per Giada. L’amico costante di ogni singolo istante.

    L’amico del chiacchiericcio quotidiano negli intervalli di lavoro. L’amico, che sa capire e sa diventare da scherzoso burattino, uomo uditore di emozioni, le stesse che turbano il cuore.

    Senza troppo invadere il pensiero di una persona afflitta, il ragazzo che sa consigliare sommessamente dispiaciuto, riuscendo a trasformarsi in serio esaminatore e risolutore del caso a lui proposto come incubo da sopprimere per ritornare poi a sorridere.

    Persona superlativa.

    Federico, altresì, ingannevolmente sportivo.

    Lui non aveva mai perso occasione, se aveva pause di lavoro piuttosto prolungate, ad escogitare un’intrigante e gioiosa partita a tennis o una corsa al parco con Giada, elaborando un fiabesco e rocambolesco inganno a quell’anziana preside bigotta, dai riccioli celesti e dal tailleur sbiadito dal tempo, che lui non sopportava e con sopraffina astuzia, riusciva sempre a raggirare.

    Ovviamente con i suoi vari interlazzi in furberie di avvenimenti mai successi, era in grado, in un lasso di tempo assai stretto, a far modificare le ore prefissate di insegnamento dei docenti per poi raggiungere Giada al tennis, che ignara del fatto, gli raccontava stupita di quell’ improvviso mutamento di orario e soltanto per questo motivo aveva potuto accettare il suo insistente invito.

    Giada non immaginava neppure per un istante, quale ingarbugliato meccanismo sincronizzato di tempi era ricorso Federico, quel suo grande amico.

    Solamente a Filippo non sempre Federico andava a genio.

    Quest’ultimo d’altra parte c’era sempre stato.

    Lui era il suo grande amico, di cui non si era però mai innamorata.

    Quando sopraggiunse improvvisamente Filippo, nella sua vita, fu invece il colpo di fulmine, il palpito al cuore, il brivido sulla pelle, lo sciogliersi dell’anima, lo svenire a terra al suo cospetto.

    Di Filippo, Giada si innamorò all’istante.

    Filippo era l’amore.

    Il suo grande amore.

    E Federico?

    Federico inarcò a quel tempo, un sorriso a tale ardore, ma mai se ne fuggì via, correndo.

    Lui rimase sempre a soffiare il proprio alito sulla spalla di Giada.

    Allora Federico, smettila di ridere!

    Giada gli sussurrava ciò, con un sorriso sulle labbra.

    Ci raggiungi?

    Si o no?

    Ma si, dai!

    Vengo a rovinarti la bellissima giornata, amica mia!

    Mi manchi, dolcezza mia!.

    Giada rimaneva sempre un poco perplessa ed imbarazzata alle frasi saporite ed allusive di Federico, come se l’ombra di un corteggiamento casto ed innocuo aleggiasse sempre nell’aria, impregnato nei discorsi e negli accattivanti sguardi del ragazzo.

    Inequivocabilmente per gli atteggiamenti di lui, all’apparenza poi tanto amico, non sembrava per niente.

    Ultimamente di tutto ciò Filippo non ne era eccessivamente contento, anzi svolazzava una sorta di silenzioso litigio, rumorosi sospiri nel vuoto tra Giada ed il suo amato.

    Allora Vi aspetto!.

    Si divincolava nella risposta al plurale Giada, estendendo l’invito anche a Letizia, la compagna di Federico, anche se non sicuramente a tempo pieno.

    A presto allora, Federico e mi raccomando lo stabilimento di sempre, quello dagli ombrelloni celesti come il cielo.

    2

    Letizia era una donna altissima e magrissima.

    Lei aveva capelli lunghissimi, spartiti con una riga frastagliata al centro della nuca.

    Il colore tombale, nero pece degli stessi e gli occhi azzurri come il cielo, il naso aquilino importante, rendeva quel profilo, quasi inavvicinabile.

    La sua figura fantasma, pareva uno scheletro vestito, appena uscito da una rivista di moda.

    Lei era perennemente firmata, dalla testa ai piedi.

    Letizia era l’opposto di Giada.

    La donna, perennemente seria, era avvolta da un’aria di superiorità costante, nei confronti della gente.

    Il suo sguardo indagatore era incessantemente alla ricerca di qualcosa di sbagliato in tutto ciò che facevano gli altri, annientando anche solo con il suo sguardo magnetico ed opprimente chi tentasse con serenità e dolcezza di impostare un confronto su di un argomento a scelta.

    Niente da fare, incuteva la sua presenza un’essenza nauseante di arroganza nell’aria, che precludeva un senso di malumore e vittimismo negli animi delle persone destinate alla conversazione.

    Letizia era sempre elegantissima e perfetta.

    Lei non aveva mai un capello fuori posto.

    Le sue labbra sottilissime, disegnate da una linea rosso fuoco, assaporavano di rado l’onda di un sorriso, anche quando per educazione, qualcuno tentava di donarle ogni tanto un esile complimento.

    Letizia accennava solo ad una piccola smorfia di sufficienza, quasi come se le fosse sempre dovuto un supplemento gratificante di elogi nei momenti della sua presenza.

    Lei era decisamente non troppo simpatica sia a Giada, che a Filippo, anche se quest’ultimo non le dava mai troppa importanza. D’altra parte era sinceramente ciò che lei si meritava, sebbene desiderasse poi in fin dei conti, tutt’altro.

    Alcune volte, nei loro pettegolezzi chiacchiericci, Giada e Filippo si erano trovati d’accordo all’interrogativo comune e sempre senza risposta, su cosa avesse trovato di così intrigante Federico in Letizia.

    Erano due persone completamente diverse e opposte su ogni cosa.

    Federico sprizzava energia, simpatia, dolcezza, affabilità ed estrosità con tutti ed era sempre pronto ad ascoltare, a donare una seconda occasione al mondo intero se ne fosse sorto il bisogno.

    Lui era veramente un uomo unico e speciale, proprio da incontrare e sposare, come sempre aveva pensato Giada, decisamente meno lo aveva creduto Filippo, sebbene i rapporti con lui fossero buoni, almeno all’apparenza.

    Pubblicamente non c’era mai stato nessuno scontro, anzi solo sorrisi, qualcuno forse, un po’ troppo ironico.

    Letizia invece sembrava la donna da non incontrare mai.

    La sua figura sottile, lineare, senza curve, faceva pensare ad un abete sempreverde, che respirava proprio come una pianta, immobile, priva di forme, in un giardino, invaso da fiori di mille colori, illuminati dal sole.

    E lì, quell’abete, onnipotente, allungava i suoi aghi al cielo, come volesse arrivare primo a raccogliere un premio da Dio mentre tutti gli altri fiorellini sorridevano al sole per gioire del calore di quell’ istante e non pensare ad altro.

    Letizia era colma di un troppo voler sapere.

    Troppa materia grigia, troppo cervello, troppe regole, troppo di tutto ciò che era ferro, acciaio, piombo.

    Lei sembrava non conoscesse emozioni, sensazioni, pulsazioni, vibrazioni e passione d’amore.

    Apparenza, tutto ciò era un suo voler così apparire.

    Questo il pensiero di Giada.

    Ma non poteva essere quella donna solo un frigorifero, tenuto in vita da una spina elettrica.

    Come poteva Federico essersi innamorato di un robot?

    Sicuramente di marca, ma inquietante.

    Come poteva inalare tanto ghiaccio, lui che era un braciere che sempre ardeva?

    Qual’era la verità così volutamente nascosta da Letizia e abilmente recitata nella sua sceneggiata quotidiana?

    Il dubbio e la domanda era pepe per Giada, quando stuzzicava Filippo per averne una risposta oppure una sua semplice supposizione.

    Il compagno però dopo un po’ si stancava e la metteva a tacere con un’ipotesi solo sua.

    Letizia avrà delle qualità nascoste in una intimità esclusiva, eclatante ed eccitante, che dona solo al suo Federico, come nessun’altra sa fare.

    Ecco, perché lui ne sopporta i difetti, per i poteri di un sesso sopraffino e superlativo.

    All’istante, poi sbocciava il solito sorrisino ironico di Filippo, ad aumentare l’intrigante dose della propria risposta a Giada, che lo ascoltava, alquanto divertita.

    Nell’intimità Letizia, professionista del lussurioso estremo e avvincente piacere.

    Ma Giada, se tu volessi, maggiori delucidazioni nel bel merito,

    proseguiva Filippo:

    Potrei io stesso tentare un approccio risolutivo per una maggiore e più approfondita intima ricerca e ulteriore conoscenza del fatto e di conseguenza ti saprò meglio dire.

    Filippo sapeva benissimo, che non l’avrebbe mai fatto con Letizia, ma era solamente per zittire Giada, che già allarmata ed immusonita aveva prepotentemente scaraventato un cuscino sul viso del suo caro Filippo.

    Lo scemo di sempre.

    Giada ripeteva perennemente questa fase quando Filippo pronunciava scemenze.

    Tutto finiva lì.

    Il dubbio della ragazza però stazionava e riemergeva ogni qualvolta la si ricordava.

    Quella donna impossibile, dalla veste di amianto la angustiava.

    Salutando finalmente Federico, Giada si accorse di quanto la clessidra delle ore, avesse accumulato sabbia sul giorno e in un lampo ammucchiò telo, specchietto, rossetto, cellulare, una fresca bibita in quella maliarda sacca rosa, frutto di un bikini, acquistato da poco.

    Eccolo, il bel costume indossato.

    Color avorio, da far invidia allo sguardo di chi non può assolutamente permetterselo.

    Una piroetta giocosa davanti allo specchio, che non chiedeva di meglio.

    Sbirciare Giada e le sue forme.

    Sebbene piccolina e piuttosto pronunciata, le sue rotondità, un po’ troppo evidenti e non da sfilata, erano oltremodo piacevoli alla vista e altrettanto al tatto, come sosteneva Filippo, il suo amato.

    Socchiuse le persiane, bruciate dal sole, ormai protagonista indiscusso di questo giorno di bollore, Giada con estrema delicatezza, senza far troppo rumore, ruotò le chiavi nella serratura per uscire di casa e raggiungere il suo compagno, sicuramente già pesantemente annoiato o addormentato sotto il sole.

    Piano, lentamente, lei si toglie i sandali, appena indossati e a piedi nudi, sfiorò quelle piastrelle incastrate in un silenzio etereo, avvolgente quella porta muta, che non dava segni all’ interno di vita alcuna.

    L’appartamento era imprigionato dal torpore di colei, che probabilmente dormiva ancora.

    Incuriosita, come sempre Giada non indugiò un solo istante ad appoggiare un orecchio alla fessura di quel muro per esplorare con l’ascolto se lei avesse acceso il giorno.

    Niente.

    Nessun rumore.

    Un poco preoccupata, la donna svicolò scalza giù per le scale ma il pensiero rimase sul pianerottolo dell’appartamento di quella amica conosciuta, in un’estate sulla sabbia da pochi anni a questa parte.

    La donna dai capelli biondi color del grano maturo, accarezzata da quei riccioli dal contrasto dorato di un sole oscurato da nuvole.

    Camilla, il suo nome.

    E va bene, dormi pure Camilla, ci vediamo al mare, più tardi!

    E Giada così sussurrando, se ne fuggì con un sorriso sulle labbra.

    3

    Come per incanto, in una sequenza di istanti, vezzeggiati da un pensiero costante, Camilla ancora avvinghiata al cuscino fa scivolare d’impulso un piede fuori dal letto, esiliando quello sgualcito lenzuolo, che le avvolge il corpo.

    In una sequenza di fusa e contorsioni, distendendo gli arti ancora indolenziti ed intorpiditi dai sospiri della notte, lei sbadiglia con un gemito di piacere il proprio risveglio al giorno in corso.

    Che caldo!.

    Fa già tanto caldo!.

    Pare Camilla pensare, mentre riapre gli occhi, appiccicati alle lunghe ciglia, ancora invase da un sonno, che non soccombe.

    Le sue mani raccolgono ora quella massa bionda, che nel buio perse l’elastico ancora libero tra le lenzuola.

    I capelli le invadono il volto, pizzicandole il collo, ansioso adesso di essere asciugato da un cotone leggero ed asciutto.

    Che caldo!.

    Troppo caldo!.

    Sbuffando Camilla scende dal letto.

    A piedi nudi, lentamente, si avvia verso il terrazzo.

    Ancora le persiane sono scudo di luce, ma in un attimo, ecco un raggio di sole, a vezzeggiare quel viso, ancora sornione.

    Dio, che sole!.

    Sussurra piano la donna a se stessa, infastidita da tanta luce.

    Ma che ore sono?

    Quanto ho dormito!

    Non è da me!.

    In quale sogno proibito, mi ha trascinato Morfeo, per farmi cullare così a lungo fra le sue braccia nude?.

    Meglio non pensare!.

    Non vorrei arrossire al ricordo di un viso.

    Questo è l’incubo di Camilla, dal cuore in fermento e dalle emozioni chiuse dentro.

    In un attimo lei si spoglia nuda e scioglie i tormenti di sogni ribelli, sotto una doccia fredda di speranze ed illusioni.

    Quei zampilli ghiacciati sulla pelle accaldata, la riportano alla realtà della giornata.

    Accarezzata da un accappatoio di spugna bianco, Camilla scalza e spettinata indugia di fronte allo specchio, lo stesso che di lei, ben conosce bellezza e difetti.

    I capelli lunghi e biondi, impregnati dall’umido di una doccia appena assaporata, le coprono le larghe spalle, sciogliendosi in onde su tutta la schiena, coccolando il pizzo di una mutandina, ora nascosta da una nuvola bianca di spugna profumata di rosa selvatica.

    Gli occhi verdi, con pagliuzze marroni, color di un mare in burrasca riflettono i suoi pensieri, i suoi desideri, serrati in uno scrigno di assoluta riservatezza, avvolta da un’immensa dolcezza e dalla caparbia serietà di una donna, non solo femmina.

    Quello sguardo, che nel silenzio sa distinguere chi nella vita ha sofferto ed ancora gli duole il cuore, al quale poi tendergli la mano, senza far rumore.

    Alta e magra, la sua figura longilinea partorisce quasi timore ed imbarazzo all’altrui vista.

    Ma il suo muoversi senza sfilare, così decisamente semplice, dalle movenze tenere e soavi da ragazzina induce poi la gente a mutare quella prima impressione di donna altezzosa e superiore.

    Camilla è una mescolanza di emozioni, che si scontrano molto spesso nella sua mente, creando vortici di dubbi e indecisioni, ferendone quel suo cuore, così sensibile e facendola precipitare di tanto in tanto in un lago di amare lacrime quando le cattiverie forestiere le procurano cruenti tagli alla pelle.

    Così in quei giorni fervidi di immenso dolore, Camilla chiude le porte al mondo, che la circonda.

    Lei vuole il silenzio più assoluto, l’ausilio sicuro di un solo aiuto, quel camice bianco, del quale nessuno ne conosce il potere, per ritornare poi ad essere quella di ieri.

    L’estrema dolcezza e la ferrea volontà di fare e di riuscire a realizzare, senza strafare, ciò che si è imposta come obiettivo primario nella sua vita è il suo sublime scopo per assaporare nel miglior modo possibile la sua esistenza.

    Cade e si rialza.

    Un poco rattrappita e forse intimorita ed esausta, lei, scacciata la lacrima, che le aveva invaso la guancia, si rimbocca le maniche per serrare fuori dalla porta nefandezza ed arroganza e cercare altrove gentilezza ed amore.

    Certo non è sempre così facile.

    Quel suo cuore così sensibile e troppo spesso propenso alla comprensione, le crea turbolenti palpiti, che si schiantano poi su quel suo costato affranto.

    In queste occasioni, la sua indole, piuttosto permalosa, partorisce in lei un muro di cemento armato nei confronti di chi le ha fatto tanto male, senza rispetto e nessuna morale.

    Camilla è da conoscere e mai dimenticare.

    Ma che ore sono?.

    Ecco, che la donna, di fronte allo specchio, scacciando un irriverente ricciolo sulle ciglia umide, domanda alla mente, senza peraltro possa interessarla alquanto, la solerte risposta.

    Che fretta c’è?.

    E’ il weekend!.

    Un timido sorriso su quel suo bel viso, che pare non abbia ancora ben compreso che è già giorno pieno e sembra vivere perennemente di quel recente ed intenso sogno.

    Uno sbadiglio, poi lo sguardo all’improvviso si fa radioso di una immensa gioia, quando quel verde intenso malizioso delle sue pupille si posa sul libro, che giace in bilico e vittorioso sul tavolino.

    L’esilarante brivido di un intenso piacere invade la tenera pelle della donna autrice.

    Raccoglie il frutto di quel suo inaspettato successo, come una manna dal cielo in un freddo trascorso inverno, invaso da malinconie e tristezze.

    Lei tocca quella copertina come fosse il velluto di un petalo di rosa, assaporandone il profumo, estasiata e sbalordita per aver raggiunto quella fama inattesa in quei suoi semplici e pittoreschi racconti colmi d’amore, di dolore, passione e segreti del cuore.

    Un imbarazzo improvviso dipinge di un rosa pallido il suo bel viso, pensando a quei numerosi attori, dipinti nelle loro accattivanti interpretazioni, volteggiare tra le pagine dei suoi racconti, in quelle verità, così da lei, magicamente offuscate per non lasciar trapelare a nessun lettore, il vero volto di chi le aveva distrutto l’anima o accarezzato il cuore.

    Camilla, non avrebbe mai rivelato a nessuno la vera identità dei suoi personaggi, che le passeggiavano ancora accanto o che in un tempo non troppo lontano avevano invaso il suo cammino.

    Chi in un pianto.

    Chi in un sorriso.

    Oppure no, solo una persona avrebbe forse potuto assaporare il tutto!

    Lasciamo però il mistero intrinseco nel dubbio.

    A Camilla sembrava una favola tutto questo.

    Nessuno conosceva la sua vera indole di scrittrice, anche se lei non si riteneva certo poetessa ma solo una sognatrice.

    Nessuno sapeva di lei, delle sue emozioni, dei suoi batticuori, di quei brividi di passione o di quegli attimi di profondo dolore, che le avevano sconvolto la vita, attorcigliandola ad attimi di panico infinito, alle ragnatele viscide dell’ansia, allo sconforto di un intensa e disabilitante depressione vissuta.

    Quei viottoli impregnati di spine ed ortiche si erano aggrovigliati alle sue caviglie e le avevano attanagliato il cuore, dilaniato l’ anima, scaraventandola giù da una rupe, senza una corda per aggrapparsi alla poca speranza rimasta.

    Nessuno conosceva la sua immensa forza di volontà nell’aver cercato lo spillo di un appiglio, per poter di nuovo sorridere al sole e ritrovare gioia e buon umore nella lotta per una vita nuova.

    Camilla dipingeva questo sangue sparso in poesia, senza che nessuno sapesse, chi veramente lei potesse essere.

    Oppure no, forse qualcuno sapeva tutto ciò.

    Lasciamo però di nuovo, il mistero intrinseco nel dubbio.

    Ma non erano solo cicatrici al cuore.

    Camilla era anche un vulcano di lava in eruzione.

    Quel fluido bollente, che scivolando sulla sua pelle, silenzioso, senza far rumore, faceva talmente tanto clamore allo sguardo, da proiettare a chi la osservava in tutta la sua bellezza, un ribollire di intense emozioni, un rimanere senza fiato nel cercare di carpire, di intuire, chi fosse quella donna così riservata, che una madre aveva creato.

    Lei stessa assaporava forti languori.

    Gli stessi turbamenti, che racchiudeva in un rifugio segreto all’interno del suo cuore.

    Le vibrazioni, che aveva sentito in esperienze vissute poi magicamente romanzate nel libro.

    Commozioni e pulsazioni delle quali solo lei ne conosceva il bacio e poi lo schiaffo insieme a quell’attore dal volto offuscato, che aveva dipinto d’amore e passione le pagine di quella sua opera, ora premiata.

    L’uomo non sapeva e mai lo avrebbe imparato di quella esilarante parte a lui riservata.

    Camilla piangeva al dono di una rosa.

    Camilla lacrimava gioia per la fiducia a lei elargita in un dono di parole non previsto.

    Camilla amava la tenue eleganza di un piccolo sorriso.

    Lo stesso che in un magico silenzio muto di parole aveva il potere di provocare in lei un chiasso enorme.

    Dolce, riservata, riflessiva, melodicamente poetica, consapevole di cadere per poi risorgere ed assaporare di nuovo la vita, la scrittrice era per chi diceva di conoscerla bene una bancaria incallita.

    Niente di tutto questo.

    Nessuno ne conosceva il sapore intenso di donna, che non solo sapeva destreggiarsi in numeri e danaro ma pennellava quadri d’ autore in poesie di vita vissuta.

    Camilla sorrideva a tutto ciò, lasciando biascicare parole a chi la giudicava così terribilmente quadrata in quel suo abito triste, composto e noioso di ragioniera e basta.

    Allora perché non lasciare ai colleghi così superficiali e primordiali il loro anziano pensiero, così stolto ma assemblato da tempo nelle loro tempie rugose di rancido e carenti di fresco?

    Lasciamoli nel loro letargo.

    Loro non fanno danno e non meritano altro.

    Camilla non amava le persone, che dopo i sorrisi, le avevano poi, in molteplici occasioni, voltato le spalle.

    Erano colleghi e basta.

    Buongiorno e buonasera alle loro facce bugiarde.

    Un pensiero ed un sorriso pennellò all’improvviso il suo viso.

    Giada e Filippo dovevano però sapere chi era quella Camilla, che ancora dormicchiava, secondo il loro pensare, durante queste ore, in una giornata così stracolma di sole.

    Lei aveva deciso di confidare un soffio di verità ai due ragazzi, che conosceva da anni.

    La passione che da qualche tempo le accarezzava il cuore e che non avrebbe mai creduto le potesse poi donare un’emozione così grande per la pubblicazione del suo primo libro di racconti.

    Camilla era contenta nell’aver deciso di volere raccontare a quei suoi due amici di sabbia dell’altra donna nascosta in lei, la stessa che indossava abiti d’altri tempi e sapeva emozionare cuori infranti, con appassionati romanzi.

    Lei non era solo il robot di loro conoscenza, la ragioniera, che infliggeva ferite ai clienti dietro ad un vetro, e che agli stessi sapeva solo prelevare danaro in contanti ed addebitare altresì commissioni bancarie.

    Erano persone squisite Giada e Filippo.

    Le aveva conosciute pochi anni addietro e aveva stretto subito con loro una solida amicizia.

    Si ritrovavano purtroppo solo nel periodo estivo.

    Durante l’inverno i troppi impegni, creavano una barriera ai loro incontri, anche se i chilometri, che li dividevano non erano poi così tanti.

    Ma era meraviglioso anche in questo modo.

    Incontrarsi solo sotto il sole e ritrovare quella gioia di raccontarsi e di confidarsi le novità accadute durante la pioggia.

    Camilla amava esporre argomenti a Giada.

    Captare le sue emozioni su quegli occhi grigi, che sgranavano un piacere immenso nell’apprendere notizie e fornire altresì voce e commento all’evento descritto.

    Filippo era troppo simpatico in quel suo fare da eterno bambinone, coccolato da quella compagna, sempre al suo fianco.

    Era bellissimo Filippo.

    I suoi occhi azzurri a quel primo incontro avevano conquistato Camilla e quei capelli biondi ondeggianti sul suo intrigante sorriso erano riusciti solo per un attimo a far perdere quell’innato equilibrio all’integerrima Camilla.

    Il ragazzo pur essendo, anche alla luce di un cieco, bello da morire, non era però il suo tipo.

    Camilla preferiva capelli scuri e per gli occhi non le importava troppo il colore, ma dovevano raccontare emozioni e farle battere il cuore.

    Purtroppo al momento, che si protraeva da tempo, nessuno possedeva ciò che lei avrebbe desiderato avere con tutta se stessa.

    Camilla era sola, senza lo sguardo bramato.

    Mentre camminava lentamente, ancora con la spugna di un accappatoio umido sulla pelle, la donna osservò per caso la sveglia, che seppur rovesciata sul tavolo e non troppo visibile allo sguardo, segnava un orario nefasto.

    Mamma mia, quanto è tardi!.

    Sono una pazza a crogiolarmi ancora in dolci ricordi, nei protagonisti di ieri del mio libro, che mi ha reso la donna più felice sulla terra, quando l’editore mi ha proposto al mondo.

    Ecco, il pensiero a voce alta di Camilla, mentre si libera in fretta di quel bianco cotone, per indossare l’intrigante costume avorio, ricamato d’oro sul bordo.

    Oggetto alquanto vittorioso nel mostrare al pubblico osservatore, quanto invidiabile ed accattivante fosse quel suo longilineo corpo, elegantemente e mai smisuratamente mostrato, se non d’estate al mare.

    Cosa manca ora a Camilla?

    Lei cerca affannata e svelta, sfogliando una miriade di lunghi abiti nell’armadio posto lì per caso, ad arredare il minuscolo appartamento, che pare più che tale, una deliziosa bomboniera a compiacerne la stagione al mare.

    Certamente un vestito, che possa essere amico del costume, tanto delizioso e riesca ad accattivarsi altresì il suo umore, ora piuttosto stizzito da un cercare e non trovare.

    Eccoti qui, tu fai per me, il giusto colore, che mi vezzeggia lo sguardo al primo impatto!.

    Parole sacre quelle di Camilla, quando sceglie.

    Lei sempre decisa, senza dubbi nel ponderare l’abito giusto da indossare per non sfigurare, anche se si tratta di raggiungere solo un prato di sabbia.

    Forse un granchio adulatore, la potrebbe osservare.

    E poi chissà, chi passeggerà oggi in riva al mare?

    Forse uno sguardo incantatore?

    Lasciamo perdere, partita persa, da troppo tempo, forse.

    Camilla è anche questo.

    Un vortice di considerazioni, chiocciole di pensieri ed interrogativi, che danzano continuamente nella sua mente, ubriacandone il cuore.

    Sublime è quel raso di un marrone cioccolato, che luccica di un fervido brio, e scivola leggiadro sulle sue lunghissime e snelle gambe, tuffandosi poi in un’ ampia balza finale, nel coprirle totalmente i piedi fermi in quei sandali dai lacci sottili, cuciti con fili dorati, che le serrano le dita, dalle unghie laccate di un bianco ghiacciato.

    Camilla è perfetta in un corpo da urlo, pur non facendo chiasso superfluo.

    Simpatico, pure lo scompiglio di un letto lasciato disfatto.

    E’ l’arredamento di un appartamento al mare, da considerare poi, nel tempo che rimane.

    Cosa manca per raggiungere finalmente Filippo e Giada in spiaggia?.

    Pensa ora la scrittrice, guardandosi attorno e scrutando angoli nascosti avvolti da una patetica ombra, ancora rifugio ad un sole, ormai sorto da ore.

    Nulla, c’è tutto, quanto basta per assaporare questa bollente estate.

    Telo, bibita ghiacciata, rossetto, specchietto, occhiali e il romanzo.

    Quel libro, dalle pagine che profumano di un allucinante, intenso sapore, che racchiudono in una segreta alcova i personaggi, veri protagonisti di una sua realtà vissuta.

    Gli stessi focolai di febbricitanti lacrime e di appassionati baci in quei lontani tempi, altresì recenti, che hanno tatuato sulla pelle della donna il loro esserci stati.

    La chiave danza nella serratura addormentata nella notte appena trascorsa.

    La maniglia scende, cigolando il proprio risveglio.

    Una melodia avvolge d’un tratto il silenzio.

    Oh! No!

    Esclama Camilla, non trovando il telefono.

    Ci mancava il cellulare a rubare tempo al mio tempo!.

    Ma dov’è quell’oggetto, che suona irrefrenabilmente e non si trova in saccoccia?

    Nella fretta era rimasto sul letto!

    Pronto?.

    Sussurra Camilla, un poco agitata nel riconoscere la voce, che l’aveva resa qualche giorno prima, così felice e famosa.

    Luca, l’editore del suo libro.

    L’oggetto birichino che fuoriusciva ora, come se avesse sentito il richiamo di quel suo padrino bussare sulla propria copertina. Pertanto adesso la stessa era arrampicata e vigile dalla sacca da spiaggia dell’autrice.

    A quest’ultima assai sorpresa per quel contatto inaspettato, sorge in simultanea un pensiero mentre ancora lo ringrazia.

    Il motivo di quella strana telefonata pizzica la mente della donna pronta per raggiungere la sabbia.

    Qualche dubbio già si colloca nel suo cervello.

    Qualche immagine già prende forma, prima ancora di essere espressa da quell’uomo, che continuava ad immergerla in una vasca di elogi e gentilezze senza fine, quasi fosse quel corteggiatore d’altri tempi partorito dal suo libro.

    Ecco la richiesta scivolare sulla pelle di Camilla in una doccia fredda e pungente.

    Impregnarle il cuore di un timore assurdo come se il fantasma dell’opera avesse assunto il volto di un defunto.

    Lei ascoltava quel parlare e le sembrava di piombare in un ghiacciato inverno siberiano, pendolare da una fune in uno strapiombo su di una vetta dell’ Himalaya altresì trovarsi nella savana davanti alle fauci di un leone inferocito, morto di fame.

    Una miriade di situazioni assurde e completamente diverse tutte nello stesso momento.

    Il volto di Camilla era diventato pallido e smunto.

    Cosa poteva averle detto di così tanto terribile, quella voce sempre così dolce e gentile?

    La donna pareva essere stata virtualmente frustata a sangue.

    Invece lei aveva solamente ricevuto la notizia di dover presentare il libro a quella platea, che fin ad ora l’aveva conosciuta solo in lettura e che tanto l’aveva applaudita nel silenzio di un costante sfogliare pagine colme di emozioni ed intriganti segreti.

    Ora però quella folla avrebbe potuto anche scrutarne le sembianze.

    Orrore!.

    Camilla odiava quel genere di situazioni.

    Lei non era la persona giusta per parlare al pubblico, che l’avrebbe scrutata nel cercare di carpirne le emozioni nascoste.

    Altresì poi giudicarne la personalità solo per aver male interpretato qualche racconto, sensualmente esposto con l’intrigo giusto in una situazione di fervida passione.

    Assolutamente no!

    Già il suo cervello, ribelle a tutto questo, le urlava parolacce dall’interno.

    Il cuore, si era poi arrabbiato e le batteva sul costato, come se fosse stato d’un tratto graffiato.

    Lo stesso sempre costantemente così custodito e cullato, perché scrigno di un segreto infinito da non poter mai essere a nessuno rivelato.

    A Nessuno, forse no!

    Lasciamo il mistero intrinseco nel dubbio, come al solito.

    Camilla calpestava piastrelle e si era persino tolta i sandali dai piedi per non inciampare in quel girotondo frenetico, che dava il mal di testa persino alle pareti in quella stanza ora avvolta dalla tensione per la disgrazia di una telefonata.

    "Camilla, ci sei, sei felice?

    Le ripeteva quella voce, che invece lei avrebbe voluto uccidere!"

    Camilla era rimasta senza parole, ma doveva pur dire qualcosa a Luca, che solo pochi giorni prima l’aveva resa tanto gioiosa.

    Certo Luca, ci sono, ma sono rimasta un poco sbigottita e non me l’aspettavo questa tua richiesta, così improvvisa!.

    Non te lo aspettavi Camilla?.

    Luca le rispose un poco sbigottito dall’altra parte del filo.

    Hai avuto un enorme successo ragazza mia, ed è ovvia ed automatica questa mia telefonata.

    La gente vuole vederti, conoscerti, ascoltarti, sentirti raccontare con la tua vera e dolce voce alcune avvincenti situazioni, che così stramaledettamente bene hai saputo offuscare in quei tuoi esilaranti racconti.

    Li hai tanto estasiati e intrigati di dubbi e vibranti emozioni.

    Il tuo pubblico vuole farti domande ed assimilarne le tue risposte.

    Assaporare e scoprire i misteri, che si nascondono come ombre e che li hanno lasciati il più delle volte, senza parole.

    Esattamente ciò che non voleva, era invece la sincera verità a tutta questa non desiderata ecatombe.

    Camilla, che succede, non ti fa forse un piacere immenso presentarti alla grande folla?.

    Dai, non ci credo, tutti gli scrittori, i poeti vogliono brillare di luce e ricevere applausi, per poi non parlare del proficuo compenso in danaro, nel tempo!.

    Luca discorreva felice e contento.

    Camilla invece ora era accovacciata per terra quasi in preda ad un attacco di panico o ad una crisi isterica.

    La scrittrice non sapeva cosa rispondere al ragazzo, che continuava imperterrito a pronunciare quelle abominevoli parole. Le stesse che lei mai avrebbe voluto sentire.

    Luca non conosceva per niente Camilla.

    Luca non aveva ancora incontrato Camilla.

    Tra l’editore e la scrittrice o per lo meno, la sognatrice, come lei stessa amava definirsi, vi erano stati solo scambi di parole, prima in messaggi chat, poi in una miriade di telefonate per la pubblicazione del suo primo libro.

    A Luca erano piaciute quelle pagine velate da un’ombra di tristezza, dove i sentimenti erano spesso l’intrigo di sconvolgenti passioni d’amore, dove i protagonisti avevano il volto della persona, che ti passeggia accanto, ma che non ha mai un nome e si eclissa all’improvviso, dopo un bugiardo ti amo, o ti fa piombare in una valle di devastanti lacrime, per poi ritornare nel tumulto di un temporale notturno a sconvolgerti cuore e ragione.

    Lui ne era rimasto il più delle volte frastornato e quasi incuriosito nel desiderare di chiedere a Camilla così su due piedi:

    Chi è l’uomo tempestoso, che bacia e scappa?.

    Il ragazzo era sicuro che quella donna avrebbe fatto presto presa ai suoi lettori.

    Il raccontare lei stessa in un’intervista, i particolari più scabrosi sarebbe stato maliardo ed avvincente.

    Svelare poi alla folla nomi e cognomi al momento giusto.

    Come poco Luca aveva intuito chi era sul serio l’autrice.

    Camilla scriveva e pennellava di lei solo quanto bastava per non farsi scoprire nel profondo.

    La propria riservatezza era tatuata in un silenzio assoluto.

    Neppure il respiro ne aveva l’ausilio.

    Solo il cuore ingranava di tanto in tanto la marcia per raggiungere e raccontarsi in un confessionale, del quale nessuno ne conosceva però, via e numero.

    Era vitale

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