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Il lavoro sub umbra Petri
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Il lavoro sub umbra Petri

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"Si tratta di pagine nelle quali, per la prima volta ed autorevolmente, si tenta una sistematizzazione del diritto relativo al lavoro svolto presso la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano. Di esso viene offerto un quadro organico con riferimento ai profili sia di diritto sostanziale che processuale, unitamente ad una presentazione del sistema pensionistico; di esso, del suo spirito, si dà una chiave di lettura illuminata dalla preziosa selezione di documenti che sono pubblicati in appendice" (dalla Prefazione di Giuseppe Dalla Torre).
LanguageItaliano
Release dateOct 31, 2017
ISBN9788838246135
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    Il lavoro sub umbra Petri - Mattia Persiani

    MATTIA PERSIANI

    IL LAVORO SUB UMBRA PETRI

    La collana è peer reviewed

    Per i testi in appendice © Libreria Editrice Vaticana

    Copyright © 2016 by Edizioni Studium – Roma

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838246135

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    PREFAZIONE

    I. LA DISCIPLINA DEL LAVORO

    II. L’UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA

    III. IL SISTEMA PENSIONISTICO

    DOCUMENTI

    LETTERA DI SAN GIOVANNI PAOLO II AL CARDINALE AGOSTINO CASAROLI, SEGRETARIO DI STATO, CIRCA IL SIGNIFICATO DEL LAVORO PRESTATO ALLA SEDE APOSTOLICA DEL 20 NOVEMBRE 1982

    LETTERA DEL CARDINALE AGOSTINO CASAROLI, SEGRETARIO DI STATO, AL CARDINALE AGNELO ROSSI, PRESIDENTE DELL’AMMINISTRAZIONE DEL PATRIMONIO DELLA SEDE APOSTOLICA DEL 2 APRILE 1985

    LETTERA DEL CARDINALE AGNELO ROSSI DEL 10 APRILE 1985

    MOTU PROPRIO NEL PRIMO ANNIVERSARIO DEL 1° GENNAIO 1989 CON LO STATUTO PROVVISORIO DELL’UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA

    MOTU PROPRIO LA SOLLECITUDINE DEL 30 SETTEMBRE 1994 CHE APPROVA LO STATUTO DEFINITIVO DELL’UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA

    STATUTO DELL’UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA

    ALLEGATO I

    ALLEGATO II

    COSTITUZIONE APOSTOLICA PASTOR BONUS SULLA CURIA ROMANA DEL 28 GIUGNO 1988 E ANNESSO SU I COLLABORATORI DELLA SEDE APOSTOLICA COME COSTITUENTE UNA COMUNITÀ DI LAVORO DI CUI AGLI ARTT. 33-36

    II ADNEXUM

    LETTERA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE AL CARDINALE FRANCESCO MARCHISANO, PRESIDENTE DELL’UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA DEL 19 NOVEMBRE 2007

    MOTU PROPRIO VENTI ANNI ORSONO DEL 7 LUGLIO 2009 CON IL NUOVO STATUTO DELL’UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA

    BENEDETTO PP. XVI

    STATUTO DELL’UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA (ULSA)

    APPENDICE

    CONVENZIONE DI SICUREZZA SOCIALE TRA LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITALIANA DEL 15 OTTOBRE 2003

    ACCORDO AMMINISTRATIVO PER L’APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE DI SICUREZZA SOCIALE TRA LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITALIANA

    CONVENZIONE FRA L’ISTITUTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE E IL GOVERNATORATO DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO DEL 6 GIUGNO 1956

    CULTURA

    Studium

    78.

    Nuova serie

    Scuola di Alta Formazione in diritto canonico

    ecclesiastico e

    aticano / 1.

    PREFAZIONE

    Parlare di lavoro sub umbra Petri significa utilizzare una efficace metafora, che consente di evitare gli equivoci e le ambiguità di un generico riferimento al lavoro in Vaticano. Nel linguaggio corrente, infatti, l’uso di questo toponimo ha una polisemica valenza, che appiattisce e confonde realtà affatto diverse: la Santa Sede, lo Stato della Città del Vaticano, quando non addirittura la Chiesa che è in Italia, con la complessità delle sue istituzioni e delle sue realtà associative.

    In particolare la Santa Sede e la Città del Vaticano sono, giuridicamente parlando, entità ben distinte: la prima indica l’organo di governo della Chiesa universale; la seconda indica lo Stato, istituito col Trattato lateranense del 1929 con lo scopo di garantire libertà e indipendenza della Santa Sede. La Santa Sede in quanto tale, afferisce all’ordinamento canonico; la Città del Vaticano, in quanto Stato, ha un suo proprio ordinamento giuridico. Entrambi sono soggetti indipendenti e sovrani, anche se legati da un rapporto di strumentalità del secondo verso la prima e collegati nella persona del Sommo Pontefice, capo della Chiesa universale ma al tempo stesso sovrano dello Stato vaticano.

    Dunque parlare di lavoro in Vaticano sarebbe improprio, perché occorre chiaramente distinguere tra il lavoro nella Curia Romana, struttura di cui si serve il Papa per l’esercizio della sua funzione di governo di tutta la Chiesa, ed il lavoro alle dipendenze dello Stato della Città del Vaticano, per le funzioni ed i servizi assicurati da quest’ultimo. Senza contare che nella Città del Vaticano possono configurarsi rapporti di lavoro privato, come quelli nei servizi alla persona, alle famiglie o alle comunità, che esulano dalla trattazione contenuta nelle pagine che seguono, la quale si occupa esclusivamente del lavoro nell’ambito pubblicistico.

    Più corretto, ancorché meno usuale, parlare di lavoro sub umbra Petri, posto che comunque in entrambi i casi l’attività lavorativa è strumentale all’esercizio del munus petrinum, cioè all’ufficio proprio del Papa: in maniera diretta, per quanto attiene al lavoro svolto nella Curia Romana; in maniera mediata per quanto riguarda il lavoro svolto alle dipendenze dello Stato vaticano. Non a caso le riforme apportate in materia lavoristica da Giovanni Paolo II considerano entrambe le realtà come un’unica, grande, peculiare comunità di lavoro, chiamata al servizio della Chiesa universale; fu lui a parlare di «singolare comunità che opera sub umbra Petri, in così immediato contatto con la Sede Apostolica» ( Lettera al Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli, 20 novembre 1982). Ed è proprio al grande Pontefice polacco che deve farsi sostanzialmente risalire l’attuale assetto del lavoro qui considerato, sia sotto il profilo dell’ispirazione sia sotto il profilo normativo.

    Dal punto di vista valoriale e dei principi, questo assetto si sviluppa attorno a due polarità: la dignità della persona umana ed il lavoro come sua dimensione specifica; l’utilitas Ecclesiae del lavoro prestato, in spirito di servizio e con senso di condivisione della sollecitudine pastorale della Sede Apostolica per tutte le Chiese e del suo impegno in favore dell’umanità. È alla luce di queste polarità che vanno lette ed interpretate le norme che integrano il sistema lavoristico, tenuto conto che non si tratta mai di un lavoro qualsiasi – quale che siano le mansioni affidate nel singolo caso –, ma un lavoro che, appunto, partecipa ad una missione e postula conseguentemente un’adesione alla medesima.

    Da un punto di vista formale le peculiarità del lavoro prestato sub umbra Petri ed il singolare approccio di strumentalità che lega lo Stato vaticano alla Santa Sede in senso lato, danno ragione delle intersezioni fra ordinamento canonico e ordinamento vaticano per quanto attiene alla disciplina lavoristica. Il caso più evidente è dato dall’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica – U.L.S.A. e dal diritto che ne regola l’attività, posto che si tratta di organismo che trae vita nell’ordinamento giuridico canonico ma che estende la propria competenza anche all’ordinamento giuridico vaticano. Difatti l’art. 1, primo comma, dello statuto dell’U.L.S.A. precisa che questo è «l’Organo preposto alla promozione e al consolidamento della comunità del lavoro della Sede Apostolica», mentre il successivo art. 2, delineandone le competenze, recita che «L’attività dell’Ufficio si riferisce al lavoro, in tutte le sue forme ed espressioni, prestato dal personale alle dipendenze della Curia Romana, del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e degli Organismi o Enti gestiti amministrativamente, in modo diretto, dalla Sede Apostolica» (primo comma), con esclusione della competenza per i soli «rapporti di lavoro non dipendente o di prestazione d’opera» (secondo comma).

    Dal punto di vista sostanziale, infine, a fronte di una pluralità di fonti disciplinanti il lavoro in oggetto a seconda delle diverse Amministrazioni, giova notare come il Magistero pontificio, in particolare l’insegnamento in re sociali, costituisca criterio di interpretazione e di integrazione del diritto positivo. Come la giurisprudenza dell’U.L.S.A. ha più volte rilevato, «in assenza di una specifica disposizione…la scelta di un criterio di decisione deve essere individuata ragionando per principi e, quindi, deve essere necessariamente ispirata all’insegnamento impartito dal Sommo Pontefice al riguardo, in genere, al significato che deve essere attribuito al lavoro e, in particolare, al significato che deve essere attribuito allo speciale lavoro prestato nella, e per la, Sede Apostolica».

    Le pagine che seguono raccolgono due lezioni tenute al corso di perfezionamento su L’ordinamento giuridico e finanziario vaticano, anno accademico 2015-16, della Scuola di Alta formazione in diritto canonico ecclesiastico e vaticano della Libera Università Maria Ss. Assunta – LUMSA. Si tratta di lezioni impartite da un riconosciuto Maestro del diritto del lavoro e della previdenza sociale, Mattia Persiani, già ordinario nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma-La Sapienza e per molti anni presidente del Collegio di Conciliazione e Arbitrato dell’U.L.S.A. Dunque uno studioso che ben conosce la peculiare realtà vaticana, il suo svolgersi nel tempo, il suo progressivo maturarsi in una esperienza giuridica originale, del tutto peculiare, ma che è al tempo stesso in grado di inquadrarla adeguatamente all’interno delle più avanzate prospettazioni della scienza lavoristica moderna.

    Ciò che preme in particolare rilevare è che si tratta di pagine nelle quali, per la prima volta ed autorevolmente, si tenta una sistematizzazione del diritto relativo al lavoro svolto presso la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano. Di esso viene offerto un quadro organico con riferimento ai profili sia di diritto sostanziale che processuale, unitamente ad una presentazione del sistema pensionistico; di esso, del suo spirito, si dà una chiave di lettura illuminata dalla preziosa selezione di documenti che sono pubblicati in appendice.

    Giuseppe Dalla Torre

    I. LA DISCIPLINA DEL LAVORO

    Sommario

    A. Premesse – B. L’evoluzione – a) Il periodo ottocentesco b) Il periodo burocratico c) Il periodo ecclesiale – C. Il riordinamento e l’armonizzazione del sistema retributivo – D. La " comunità ecclesiale" e la tendenza all’armonizzazione della disciplina – E. Le fonti – a) Le regole b) L’insegnamento sociale della Chiesa – F. I regolamenti – a) La pluralità dei regolamenti b) Cenni sui contenuti dei regolamenti

    A. Premesse

    1. Deve subito essere avvertito come, per comodità, useremo spesso l’espressione lavoro vaticano anche se, in realtà, quell’espressione designa una pluralità di rapporti diversi in quanto ricomprende rapporti che si svolgono in due diversi ordinamenti: quello vaticano e quello canonico che, in parte, si sovrappongono e, in parte, si distinguono.

    Tuttavia, deve essere anche avvertito come l’uso di quella espressione ha, comunque, una giustificazione.

    Ed infatti, essa fa, comunque, riferimento al luogo, o se si vuole al territorio, in cui quei rapporti di lavoro hanno concreta attuazione ancorché si svolgono in ordinamenti diversi.

    L’uso di quella espressione, però, si giustifica anche con ciò che, da un lato e come vedremo, già con la lettera inviata, nel 1982, da San Giovanni II al Cardinale Segretario di Stato (doc. n. 1) è stato affermato il carattere unitario del " lavoro prestato al servizio della Sede Apostolica" (cfr. n. 20).

    D’altro lato, sempre più numerosi sono le disposizioni che riguardano indistintamente i dipendenti della Santa sede e quelli dello Stato della Città del Vaticano oltre a quelli di altri Organismi od Enti (cfr. n. 32), mentre l’istituzione, nel 1989, dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (doc. n. 4) ha definitivamente confermato il carattere unitario dei loro rapporti di lavoro (cfr. n. 44).

    Se mai, è da dire che ci occuperemo soltanto di quelli che possono essere considerati i rapporti di impiego pubblico e, cioè, quelli di cui sono parti Autorità canoniche o vaticane ovvero Organismi ed Enti ad esse equiparati. Ciò nella consapevolezza che, nell’ambito dello Stato della Città del Vaticano, esistono anche rapporti di lavoro privati ai quali, però, sono applicabili le disposizioni del Codice civile e per i quali, in caso di controversie, è competente l’Autorità giudiziaria ordinaria.

    2. Deve essere, inoltre, fin da subito avvertito anche l’equivoco insito nell’espressione, che pure è usata e useremo, di " diritto del lavoro vaticano" ancorché essa sia inevitabilmente evocata quando si parla dei rapporti di lavoro intercorrenti con lo Stato della Città del Vaticano e con la Santa Sede.

    Ed infatti, nella comune accezione, diritto del lavoro è quel diritto che regola il rapporto intercorrente tra il lavoratore subordinato e il suo datore di lavoro.

    Ed invece, l’Insegnamento Pontificio, a cominciare come vedremo da quello, determinante per la nostra materia, impartito da San Giovanni Paolo II (cfr. n. 16 e ss.) impone di escludere che, con riguardo alla Sede Apostolica, si possa parlare di datori di lavoro e, con riguardo a tutti e a ciascuno dei suoi collaboratori, si possa parlare di lavoratori subordinati. Si noti, del resto, che quest’ultima espressione è quasi sempre utilizzata senza l’aggettivo " subordinato o sostituita da quella, più generica, dipendente, di solito, usata per i dipendenti pubblici".

    A maggior ragione, è da escludere si possa ragionare, com’è tradizionale nella società economica capitalistica, in termini di contrapposizione di interessi tra chi possiede i mezzi di produzione e chi lavora per vivere. Contrapposizione rispetto alla quale il diritto del lavoro si limita a tentare un equilibrato contemperamento.

    Ciò perché vedremo come, alla stregua dell’Insegnamento Pontificio, si potrebbe affermare che tutti, dal Papa a chi svolge il lavoro più umile, operano a servizio della stessa finalità che è quella di predicare il Vangelo di Cristo e di edificare la sua Chiesa.

    Senonché ancora una volta, fatta questa precisazione, useremo, per comodità e per sintesi, l’espressione " diritto del lavoro vaticano".

    B. L’evoluzione

    3. Come sempre, è utile premettere anche qualche cenno sull’evoluzione di quella che è stata, nel tempo, la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti dello Stato della Città del Vaticano e della Santa Sede.

    A voler continuare a semplificare sia pure con i limiti propri di ogni semplificazione, sembra che, pur restando ai tempi moderni, nella più recente evoluzione di quella disciplina possano, se non debbano, essere distinti tre periodi: quello che va dal 1870 al 1929 e, cioè, dalla fine del potere temporale al Trattato Lateranense quello che va dal 1929 al 1982 e quello che dal 1982 e, cioè, fino all’inizio dell’insegnamento di San Giovanni Paolo II arriva fino ai giorni nostri.

    a) Il periodo ottocentesco

    4. Per il primo di quei periodi, durato sessant’anni, notevoli sono le difficoltà che si incontrerebbero nel reperimento della documentazione necessaria per un’analitica ed esatta ricostruzione di quella che, prima del Trattato lateranense del 1929, è stata, tempo per tempo, la disciplina applicabile ai dipendenti vaticani.

    5. Se mai, si potrebbe sospettare che, in quel periodo, il regime dei dipendenti vaticani venne condizionato dalla tendenza conservatrice che, anche come reazione all’usurpazione sabauda, caratterizzò inevitabilmente le residue strutture dello ex Stato Pontificio.

    Se così fosse, verrebbe addirittura da chiedersi se, per i dipendenti vaticani, esistesse, o no, una qualche specifica disciplina, così come la intendiamo oggi quando facciamo riferimento al diritto del lavoro.

    E la domanda non sarebbe oziosa ove solo si consideri che, anche nel Regno d’Italia, mancò, fino al 1919 e, cioè, fin quando fu emanato il provvedimento che, poi, diverrà, nel 1924, la legge sull’impiego privato, una specifica disciplina del lavoro subordinato. Anche dopo la rivoluzione industriale, infatti, si continuò a ritenere, a lungo, che il contratto di lavoro subordinato fosse una specie della locazione (la locatio operarum) e che, per esso, fosse sufficiente la disciplina dei contratti dettata dal diritto comune e, cioè, del Codice civile del 1865.

    Sembra, dunque, ragionevole supporre che, fino al 1929, il rapporto di quanti collaboravano al funzionamento delle residue strutture pubbliche dello Stato Pontificio e a quelle della Santa Sede continuò ad essere regolato dagli usi e dai regolamenti che erano già vigenti prima della caduta del potere temporale.

    6. In questa situazione verrebbe, se mai, da interrogarsi sulle ragioni per cui l’insegnamento sociale della Chiesa che, già con l’enciclica Rerum novarum di Leone XIII (1891), aveva di molto anticipato i tempi, non ebbe alcuna influenza sul regime dei dipendenti vaticani che, per quanto, come ora detto è dato supporre, rimase sostanzialmente quello ottocentesco.

    Non è questa, però, la sede in cui è possibile occuparci di questa, sia pure interessante, problematica e, quindi, conviene andare oltre.

    b) Il periodo burocratico

    7. Vedremo tra poco le ragioni per le quali non esito a definire burocratico lo spirito che ha ispirato la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti dello Stato della Città del Vaticano e della Santa Sede dal 1929 al 1982 e, cioè, per quasi cinquant’anni.

    È opportuno precisare, però, che, qui, l’espressione burocratico è utilizzata nel suo senso oggettivo e, cioè, per rendere conto della particolare, se non prevalente, attenzione che continuò ad essere dedicata all’organizzazione e al funzionamento degli uffici e, quindi, senza voler nemmeno alludere ai difetti della burocrazia e, in particolare, al suo potere ostacolante a ragione del gretto formalismo che, a volte, la caratterizza.

    8. Certo è ragionevole ritenere che, dopo il 1929 e in conseguenza del riconoscimento dello Stato della Città del Vaticano, si rese necessario dare alle strutture di questo, e di riflesso anche agli organismi della Santa Sede, una maggiore e più articolata organizzazione e, quindi, prevedere una qualche disciplina anche dei rapporti di collaborazione e, se si vuole, di lavoro.

    Ancora una volta, però, è difficile rinvenire una documentazione che aiuti a dimostrare l’ipotesi alla quale è stato, ora, fatto cenno e a ricostruire qual era, specialmente nei primi anni dopo il 1929, quel diritto.

    9. Resta, se mai, l’impressione che, anche durante il lungo periodo che va dal 1929 al 1982, la disciplina dei rapporti di lavoro vaticani rimase prevalentemente condizionata dall’esigenza di garantire il buon funzionamento degli uffici e, quindi, l’efficienza della collaborazione dei dipendenti.

    Ne è derivato, sempre per quanto è dato di sapere, che la preoccupazione prevalente è stata, quasi esclusivamente, quella di individuare i doveri dei dipendenti e, poiché dal loro adempimento dipendeva l’ordinario funzionamento degli uffici, gli strumenti per farli rispettare.

    Per contro, la soddisfazione di quella che, in termini moderni, è l’esigenza di garantire un’adeguata tutela di chi lavora era lasciata all’equità, se non alla benevolenza, dei superiori.

    10. Questa situazione può avere, ed ha, una spiegazione.

    Ed infatti, come già accennato, sembra ragionevole ritenere che, caduto nel 1870 il potere temporale, le strutture vaticane erano state, per quasi sessanta anni, destinate ad assolvere esclusivamente alle funzioni spirituali ed ecclesiali che continuavano ad essere proprie della Sede Apostolica.

    È anche ragionevole ritenere, però, che quelle funzioni continuarono ad essere prevalenti anche nel periodo immediatamente successivo al 1929, se non altro a ragione dei limiti con cui venne istituito lo Stato della Città del Vaticano.

    Secondo un’autorevole dottrina, del resto, lo Stato della Città del Vaticano non era uno Stato " fine a se stesso", ma al servizio della Santa Sede, onde la sua sovranità si giustificava esclusivamente in funzione della sovranità spirituale del Sovrano Pontefice.

    11. Ed è così che, da un lato, l’idea permanente di una sovranità assoluta del Sommo Pontefice anche in temporalibus e l’elevatezza delle sue funzioni spirituali continuarono a condizionare il regime dei dipendenti vaticani e, al tempo stesso, impedirono una, sia pur limitata, influenza delle nuove dottrine del diritto amministrativo che, oramai, in molti paesi avevano ispirato la disciplina del pubblico impiego.

    D’altro lato, e soprattutto, nei confronti dei dipendenti vaticani, già allora non era ravvisabile quella contrapposizione di interessi tra chi lavora per vivere e chi detiene i mezzi di produzione che, nelle società capitalistiche, aveva fatto avvertire l’inadeguatezza del diritto comune, che postula l’uguaglianza tra le parti, a regolare i rapporti di lavoro e, quindi, aveva richiesto l’emanazione di uno speciale diritto detto, appunto, del lavoro.

    12. Si consideri, così, che:

    a) la Legge fondamentale (n. I del 1929) nulla disponeva per quanto attiene ai collaboratori delle strutture vaticane, se mai possibili destinatari, soltanto indiretti, delle disposizioni di cui agli artt.15 e 16 che disciplinano i rimedi avverso gli atti amministrativi che ledono un diritto o un interesse (di ciò, però, sarà meglio detto la settimana prossima quando parleremo dell’ULSA) (cfr. n. 111);

    b) per contro, la Legge sulle fonti del diritto del 1929 disponeva, all’art. 20, lettera d), che, salvo espresso richiamo, nello Stato della Città del Vaticano non è recepita la legislazione del Regno d’Italia in ciò che " attiene al trattamento economico e giuridico dei funzionari ed impiegati";

    c) a sua volta, la Legge sull’ordinamento amministrativo (n. IV del 1929) confermò che, nella sostanza, la preoccupazione principale era quella di garantire l’ordinato svolgimento del lavoro (cfr. n. 6); ed infatti, da un lato, disponeva all’articolo 9, che la ripartizione degli uffici, i diritti e gli obblighi dei funzionari degli impiegati e dei salariati sono determinati con Regolamento emanato dal Governatore e, d’altro lato, si limitava agli artt. 10 e 11, a prevedere

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