Venti da Nord-Est: Storie di alcolismo e tracce d’uscita
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Negli anni Ottanta l’abuso dell’alcol era un fenomeno sommerso, negato, quando non nascosto, da una cultura che celebrava ed esaltava il bere e non ne indicava i pericoli. Dietro questa cortina fumogena, si consumavano, in segreto e in una solitudine assordante, drammi che distruggevano gli individui e le famiglie, con gravi ricadute sulla vita sociale.
Questo libro è nato per far conoscere questa tragica realtà, tuttora diffusa e ancora poco considerata. Per dare voce alle donne e agli uomini che, in questi trent’anni, hanno fatto un pezzo di strada con Aliseo. Per stare insieme con tutte le persone che vivono la pesante e alienante fatica della dipendenza dall’alcol. Come scrive don Luigi Ciotti, nell’introduzione, «è dalla relazione che scaturisce il riconoscimento della dignità della persona, dignità che nemmeno le più dure condizioni di vita possono annientare».
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Book preview
Venti da Nord-Est - Mariapia Bonanate
Pauwels
Il libro
Gli Alisei sono venti che soffiano in modo costante e regolare. A questi venti, che tracciano quasi un sentiero nel mare, si è ispirata Aliseo, nata a Torino nel 1987, all’interno del Gruppo Abele. Un’associazione che racchiudeva simbolicamente, nella scelta del nome, il suo progetto: aiutare chi si è perso nell’alcol a ritrovare una rotta sicura per continuare a navigare
nella propria esistenza. Ma anche soffiare
con determinazione e perseveranza, come gli importanti venti tropicali, sull’indifferenza che circonda l’alcolismo nella nostra società.
Negli anni Ottanta l’abuso dell’alcol era un fenomeno sommerso, negato, quando non nascosto, da una cultura che celebrava ed esaltava il bere e non ne indicava i pericoli. Dietro questa cortina fumogena, si consumavano, in segreto e in una solitudine assordante, drammi che distruggevano gli individui e le famiglie, con gravi ricadute sulla vita sociale.
Questo libro è nato per far conoscere questa tragica realtà, tuttora diffusa e ancora poco considerata. Per dare voce alle donne e agli uomini che, in questi trent’anni, hanno fatto un pezzo di strada con Aliseo. Per stare insieme con tutte le persone che vivono la pesante e alienante fatica della dipendenza dall’alcol. Come scrive don Luigi Ciotti, nell’introduzione, «è dalla relazione che scaturisce il riconoscimento della dignità della persona, dignità che nemmeno le più dure condizioni di vita possono annientare».
L’autrice
Mariapia Bonanate è giornalista e scrittrice. Ha firmato reportage da diversi luoghi del mondo e realizzato significative inchieste sull’emarginazione, sui giovani e sul mondo delle donne. È presidente dell’Associazione Aliseo Onlus, Servizio per la cura e la prevenzione dell’alcolismo, attivo in Piemonte dal 1987. Fra i libri pubblicati: I bambini della notte (Il Saggiatore, 2014), Io sono qui (Mondadori, 2012), Donne che cambiano il mondo (Mondadori, 2004) e Suore (Rizzoli, 1991).
Indice
Introduzione. «Faccio fatica, ma questa volta è una fatica di vita», di Luigi Ciotti
Presentazione
Bianca
Carlotta
Elisa e Matteo
Emanuele
Gaetano
Giacomo
Giovanna
Ignacio/Ignazio
Nicola
Roberta
Sara
Svetlana
Appendice
Aliseo. Trent’anni di trattamento nelle problematiche alcol correlate
Introduzione. «Faccio fatica, ma questa volta è una fatica di vita»
Non credo ci siano parole più belle e forti di queste di Svetlana per sintetizzare il senso dell’esperienza di Aliseo. Trent’anni di storie di vita e di fatiche di vita. Storie dolorose, nate da vissuti personali e familiari complessi, a volte tragici, come quelli delle persone che hanno visto la propria esistenza arrancare per l’abuso di alcol.
Mariapia Bonanate nella sua Appendice ricorda un incontro di cui anch’io ho memoria viva. Quella sera del 1987 in cui ci trovammo a casa sua, con amici attenti e competenti, a chiederci cosa fare per quel dramma diffuso – oggi non meno di allora, purtroppo, seppure in forme diverse – quanto ignorato e dunque vissuto nella solitudine, spesso nella vergogna e nel senso di colpa. L’idea di Aliseo, suggerita dal dramma di Lea, donna stupenda e fragile, nacque allora. Nel segno di quella condivisione di competenze e responsabilità che ha caratterizzato le esperienze del Gruppo Abele e quelle, come Aliseo, che del cammino del Gruppo hanno fatto tesoro per poi procedere con le proprie gambe, sempre però in una sintonia di principi riassumibili, a ben vedere, in un’unica parola: relazione. È dalla relazione che scaturisce il riconoscimento della dignità della persona – dignità che nemmeno le più dure condizioni di vita possono annientare. È la relazione come dialogo, e prima ancora come ascolto, che ci porta a considerare le persone come soggetti attivi, bisognosi di essere accompagnati e non condotti
in percorsi di libertà da costruire con loro e non al posto loro.
È la grande lezione della medicina sociale, quella che ci ha insegnato a vedere nel malato la persona, a non dimenticare che ogni terapia, anche quella che si avvale dei farmaci più efficaci, rischia di risultare vana, se non dannosa quando dimentica la soggettività della persona. Medicina di cui è stato profetico, instancabile ispiratore, Franco Basaglia, la cui lezione anche il sociale
pubblico e quello privato devono gelosamente custodire, se non vogliono conformarsi a quella logica tecnico-specialistica che trasforma il soggetto in oggetto e la volontà di aiutare nella presunzione di farlo.
Lezione che Aliseo certo non ha dimenticato, continuando a essere una realtà di vita e di relazione sempre attenta ai cambiamenti sociali, all’evoluzione delle patologie e delle dipendenze, e dunque alla necessità di aggiornare gli strumenti terapeutici o d’inventarne di nuovi. Consapevole che la risposta
abita solo pericolosi sogni d’onnipotenza, là dove la vita, nella sua realtà complessa e in divenire, ci offre solo risposte, ciascuna tanto più efficace quanto più consapevole dei propri limiti e della propria parzialità, della propria necessità di rivisitarsi, di rinnovarsi, di rigenerarsi.
Ecco allora la chiave per capire la forza di questa storia che conserva, a trent’anni di distanza, la freschezza delle origini. E per cogliere la fecondità di un progetto che, nel bisogno di conoscere e di capire, si è sviluppato e articolato in più modi e direzioni: dalle realtà di accoglienza ai gruppi d’incontro, dalla ricerca sociale agli strumenti d’informazione, dal rapporto con i Servizi pubblici alla diversificazione dei trattamenti, dall’impegno per i migranti e per le comunità straniere ai centri diurni e alle comunità residenziali.
Ed è dalla storica comunità di Aliseo, Cascina Nuova di Roletto e dal Servizio di accoglienza dell’Associazione, che provengono le storie che costituiscono il cuore di questo libro, e il suo dono prezioso. Storie toccanti, piene di verità e di vita, di cui dobbiamo essere grati a Bianca, Carlotta, Elisa, Matteo, Emanuele, Gaetano, Giacomo, Giovanna, Ignazio, Nicola, Roberta, Sara, Svetlana, per avercele regalate.
Sono quelle storie – come tante altre di questi tre decenni e dei prossimi… – a dirci cos’è Aliseo e soprattutto a ricordarci il suo scopo e la sua ragion d’essere: la dignità e la libertà delle persone.
d. Luigi Ciotti
A Pino e Paolo, indimenticabili amici, e a tutti coloro
che hanno camminato
con noi in questi trent’anni
Presentazione
Questo libro vuole essere innanzi tutto un incontro. Con le persone che vivono il dramma della dipendenza dall’alcol, con i familiari e con coloro che sono entrati nella zona grigia di questa realtà, ancora poco conosciuta.
Spesso sottovalutata.
È nato per stare insieme a tutte queste persone, perché non si sentano sole nell’affrontare la loro fatica, trovino riferimenti validi per alleviarla e possano riappropriarsi, in pienezza, delle loro esistenze e della loro identità più autentica.
Ma anche perché ciascuno di noi faccia la sua parte, uscendo da quell’indifferenza che spreca la possibilità di partecipare alla storia quotidiana dell’umanità, che è la storia di tutti.
Desideriamo anche rivolgerci con queste pagine alle istituzioni, affinché intervengano in modo efficace, per quanto loro compete, e contribuiscano alla diffusione di quella consapevolezza culturale e sociale che ancora manca nei confronti dell’alcolismo.
Per tutto questo abbiamo scelto di ascoltare e dare voce alle donne e agli uomini che, in questi trent’anni di «Aliseo», hanno fatto un pezzo di strada con la nostra Associazione. Raccogliendo liberamente, in diretta e in punta di piedi, i loro racconti, condividendo le loro fatiche e le attese. Cercando di restituire fedelmente i giorni, i mesi, gli anni che hanno attraversato.
Sono loro i veri autori di questo libro, anche se i nomi, per rispetto della privacy, sono di fantasia. Li ringraziamo per le loro coraggiose testimonianze che hanno permesso di spalancare una porta, e tante finestre, su un problema per il quale, soltanto tutti insieme, possiamo trovare vie d’uscita.
Un grazie particolare a Miriam Carraretto per la sua preziosa e partecipe collaborazione alla stesura del libro.
mp.b.
Bianca
Mio figlio soffre di disturbo borderline di personalità. Nel periodo in cui il suo problema con l’alcol era grave, diventava molto instabile, spesso irascibile e violento, incapace di controllarsi. Soffre anche di crisi depressive acute. Il suo problema con l’alcol dura da tanti anni. Conosco l’Aliseo da lungo tempo, neppure mi ricordo l’anno esatto, quattordici o quindici anni, credo. Giovanni è sempre stato un uomo forte, ma l’alcol lo trasformava in una persona aggressiva, prepotente. Con lui, e suo fratello Davide, gestivamo una piccola azienda di trasporti, eravamo la quinta generazione: quell’azienda è stata prima la nostra fortuna e poi la nostra maledizione. Facevamo una bella vita, agiata, comoda, si guadagnava bene, viaggiavamo, una bella casa, amici importanti.
Quando Giovanni ha iniziato a bere, sono arrivati i problemi. Veniva al lavoro ubriaco, maltrattava i clienti per sciocchezze. È incredibile come l’alcol lo trasformasse in una persona completamente diversa. Sobrio, era preciso, efficiente, elegante e gentile, appena beveva perdeva ogni sensibilità umana, esplodeva, diventava completamente folle e andava fuori controllo. Le sue erano sbronze lunghe, duravano anche due settimane a volte: quindici giorni interi passati a bere e a stare male, a ingoiare quello schifo e poi a vomitare tutto. Una volta sono persino dovuta andare a recuperarlo riverso in mezzo a una strada, un ricordo che non dimenticherò mai. Con lui ero aggressiva, arrabbiata, furiosa. Ho passato un’infinità di notti accanto a lui ubriaco, che stava male.
Vivevamo nella stessa casa, lui al piano sopra. Ricordo bene quando iniziava il delirio perché cominciava a spaccare tutto in casa: faceva volare piatti, prendeva a pugni le porte, urlava, io mi precipitavo per calmarlo. A volte scavalcava il cancello, prendeva la macchina e scappava, io lo inseguivo, sperando che non si ammazzasse. I primi anni lo recuperavo in giro e lo sgridavo, lo accusavo di avermi rovinato la vita. Poi, piano piano, ho capito che così era peggio, e ho smesso di farlo sentire colpevole. Avevo sempre pensato che l’alcol fosse un vizio e nulla più: in casa mia si beveva, e anche tanto, ma controllandosi. Quando ho capito che mio figlio era alcolizzato, anch’io ho detto basta agli alcolici. Per la prima volta mi sono resa conto che è una malattia: se non ti curi, non ne esci.
Non è stato facile rendermi conto che Giovanni era dipendente dall’alcol, ci ho messo un bel po’, dopo la morte di mio marito. Forse è vero che i genitori sono gli ultimi a capire i figli, certe cose non vogliono vederle. Sono arrivata all’Aliseo dopo che aveva perso 50.000 euro dell’azienda. Era andato in Nuova Zelanda dove, ubriaco, era stato derubato e aveva avuto problemi giudiziari seri. In quegli anni ci sono stati momenti difficilissimi, come quando l’ho sbattuto fuori di casa: una scelta che una madre non vorrebbe mai fare, ma sentivo di non avere più alternative. Continuavo a chiedermi come fosse possibile che mio figlio, così intelligente, colto e di buona famiglia, potesse ridursi in quello stato. Perché proprio lui, perché proprio noi? Ho capito, via via, che Giovanni non si vuole bene, non si apprezza e di conseguenza disprezza tutto e tutti. A fatica sono arrivata ad allontanarlo dall’azienda di famiglia. Dopo un lungo periodo di astinenza, durante il quale ha preso un titolo da operatore socio-sanitario, un giorno mi ha detto: «Vado nella casa di montagna per qualche giorno». Mi aveva chiesto di accompagnarlo, ma quella sera c’era un concerto che non volevo perdere. Mi pento ancora oggi per non avere corrisposto alla sua richiesta di aiuto, quella è stata una delle sue ricadute peggiori. Lui era così: le programmava le ricadute, le studiava. Forse era il suo modo per farmelo capire, ancora una volta non ho voluto vedere.
I gruppi all’Aliseo mi hanno salvato la vita. Da sola non ce l’avrei mai fatta. Giovanni mi diceva: «Vai, vai, a sparlare di me e della nostra vita», ma io non ho perso un incontro, perché era l’unico luogo nel quale potevo finalmente lasciarmi andare, raccontare cosa avevo dentro, senza essere giudicata e senza che qualcuno mi dicesse che cosa dovevo fare per forza. Volevo solo essere ascoltata, capita nella mia rabbia e disperazione. Sono rimasta vedova presto, ho vinto un tumore, ho avuto un terribile incidente che mi ha quasi ammazzata, nonostante tutto sono riuscita a resistere e andare avanti. Sono entrata nei gruppi che ero aggressiva e odiavo tutti.
Oggi, dopo quasi quindici anni di terapie, sento di avere fatto molto cammino: ho imparato a riflettere, a stare calma, a gioire delle piccole conquiste quotidiane. «Non ne uscirò mai fuori» mi ripete sempre Giovanni. Probabilmente è vero, la strada