L'incoscienza del tempo
By Elio Sabia
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L'incoscienza del tempo - Elio Sabia
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Capitolo I
2014 maggio
Lo chiamavano il Barone. Ogni sera alle 6 lo si vedeva lungo il porto avanzare a passo deciso come se non potesse perdere quell’appuntamento. Armeggiava meccanismi strani nella sua barca, ogni tanto, come disturbato da un ricordo, si passava una mano tra i capelli, dava uno sguardo all’orizzonte e riprendeva il lavoro interrotto. Poi, sgusciava via dalla banchina e velocemente si allontanava con la sua barca. La gente che frequentava il porto aveva smesso di stupirsi del suo comportamento un po’ stravagante ma una cosa destava ancora un interrogativo: dove andava ogni sera? E perché nessuno lo vedeva rientrare? La mattina la sua barca era sempre ormeggiata al solito posto.
1984 maggio
Lo chiamavano il Barone. Forse per quella sua aria un po’ snob, forse per il suo portamento fiero o forse per quel suo accento di altri tempi. Persona gentile, sempre disponibile a dare la propria interpretazione sugli avvenimenti del giorno, un’interpretazione sempre originale e profonda: mai una banalità. L’avrebbero dovuto forse più giustamente chiamare il Professore! Quel mattino di primavera, una giornata di maggio, una di quelle giornate che mette il buon umore, Alfredo Contini si era recato alla stazione ferroviaria per aspettare l’arrivo di Martina, la sua nuova ragazza, così andava dicendo. Ma Martina non arrivò mai. Dal treno una donna dai capelli molto corti con occhi bellissimi cercava con impazienza qualcuno. Alfredo, come se conoscesse da sempre quella donna, le si avvicinò e chiese: «Cercavi me, ovviamente! Tu non sei Martina, ma credo di conoscerti da sempre.»
«Sì, Alfredo, era proprio te che cercavo, sono Mirella l’amica di Martina.»
«Deve essere successo qualcosa di veramente strano, credo di conoscerti da sempre, di sapere perché sei qui. Hai ancora quel sorriso bellissimo!»
E Alfredo cominciò a passarsi una mano nei capelli e lo sguardo perso nascondeva la ricerca intensa nel mare di ricordi che affioravano come un fiume in piena nella sua mente: Mirella, Mirella e le corse in bicicletta, Mirella e le risate a squarciagola. Ma quanti anni hai Alfredo: non lo so più. E si vide sdraiato sulla spiaggia con lei accanto che gli sussurrava parole inappropriate, senza senso, come se parlasse una lingua sconosciuta o forse una lingua dimenticata che risaliva alla notte dei tempi. Poi, d’improvviso la scena cambia e rieccolo sul marciapiede del binario ad aspettare Martina. E Martina non venne mai e Mirella era scomparsa!
Che cosa mi sta succedendo, dov’è la coerenza di questi avvenimenti, pensò Alfredo asciugandosi un rivolo di sudore che gli bagnava la fronte, Ho le allucinazioni o sto ancora dormendo. Diede uno sguardo all’orologio, era scesa la sera e non se ne era accorto. Possibile che fossero passate tutte quelle ore in un attimo? Deluso per non essere riuscito a dare una spiegazione a quanto gli era successo piuttosto che rammaricarsi del mancato incontro. Ma lui veramente aspettava Martina? Un po’ triste s’incamminò verso l’uscita e a passo svelto raggiunse la sua auto. Non c’era! O era venuto a piedi? No, eccola. Partì immediatamente come se volesse sfuggire a questi avvenimenti fuori da ogni logica, lui che era sempre interessato a dare una spiegazione ai fatti più strani aveva fallito proprio su di sé. S’infilò in un ristorante e al tavolo ordinò un calice di vino e un pasto frugale.
«Posso sedermi al suo tavolo?»
Alfredo si voltò e si accorse che la donna che stava in piedi aveva una divisa militare, o forse era un poliziotto.
«Sì prego, non credo di essere indiscreto se le chiedo il perché.»
«Certo che no! Alfredo Contini mi dovrebbe chiarire alcuni fatti. Sono il tenente Giulia Baldini e sto indagando su una donna scomparsa che lei conosce. Si tratta di Martina Armeda Brancaccio. Ci risulta che avesse una relazione con lei. É esatto? Una sua amica, Mirella Aldobrandi, ci ha riferito che la ragazza aveva un appuntamento con lei una settimana fa.»
«Scusi, aveva un appuntamento con me stamane!»
«Mi sta dicendo che non aveva nessun appuntamento con lei la settimana scorsa?»
«Lo credo bene, l’ho conosciuta tre giorni fa. Come potevo aver un appuntamento prima di conoscerla! Ma, mi dica, che vuol dire scomparsa?»
«Signor Alfredo Contini, rimanga a disposizione delle autorità di polizia. La sua posizione è alquanto imbarazzante: altre persone asseriscono che lei vedeva ormai da circa un anno la donna scomparsa. Due sono le cose: o lei è impazzito o mi sta mentendo per nascondere qualcosa.
Le ripeto, non si allontani dalla città. Buonasera.»
Alfredo rimase muto e seguì con lo sguardo il militare che si allontanava: anche il tenente gli ricordava qualcuno. Non volle pensarci, aveva paura di trovarsi in quel turbinio d’immagini senza coerenza. Già la coerenza. Com’era possibile che Martina fosse scomparsa e lui non lo sapesse. Com’era possibile che fossero stati insieme da un anno e a lui risultava di averla conosciuta da solo tre giorni! Pagò il conto e andò a casa. Non riusciva a dormire, sentiva ancora quella voce: Alfredo, ti prego non lasciarmi così. No, lascia quell’arnese... e poi quella lingua incomprensibile! Sembrava di vivere in un incubo. Si addormentò.
La mattina successiva si svegliò riposato come se non fosse successo nulla.
Una doccia veloce, si guardò allo specchio ed ecco quattro immagini, la sua e Giulia, Mirella e Martina. Ma non è possibile. Sono solo! Si rispecchiò e solo la sua immagine apparve. Aveva bisogno di parlare con un amico per cercare di riagguantare la realtà. Qualcosa non funzionava, non era possibile che tutte quelle donne fossero reali. Prima di passare in agenzia provò a contattare Valerio. Valerio era un amico di lunga data, avevano studiato nella stessa classe al liceo e avevano passate tante serate discutendo animatamente dei rispettivi punti di vista, passando tra i vicoletti un po’ bui della città. Valerio era diventato giovanissimo vice primario all’ospedale... Nessuna risposta. Forse aveva cambiato numero! Entrò nel suo studio e sulla scrivania cercò un’agenda ma s’imbatté in un trafiletto di un giornale del giorno prima: all’Università di... a due anni dalla scomparsa del Prof. Valerio Ripamonti si terrà un convegno dedicato alla sua memoria sul tema... Valerio è morto? Ma che ca... sta succedendo? Alfredo era fuori di sé. Uscì sbattendo la porta. Si ritrovò all’aria aperta vestito con una giacca di lino blu e un paio di pantaloni beige: un brivido di freddo gli salì lungo la schiena. Ma a maggio si vestono con gli abiti invernali? Si passò una mano tra i capelli ed ecco riapparire sul marciapiedi opposto la figura sottile di Mirella che gli faceva cenno di raggiungerla.
«Mirella, che ci fai qui? ma che sta succedendo, la polizia mi segue e mi fa strane domande.»
«Zitto e seguimi, in questo momento non siamo osservati. La cosa è molto più complicata di come ti sembra. Siamo veramente nei guai!»
«Nei guai? Io non ho fatto niente d’illegale. A proposito, dov’è finita Martina? Avevamo un appuntamento. Lei è sempre puntuale: non ha mai fatto un minuto di ritardo da quando ci conosciamo e ormai è più di un anno che stiamo insieme. Già, è più di un anno!»
«Sei uscito proprio male da questa situazione, lo vedo amore mio.»
«Amore mio? C’è allora qualcosa che mi sfugge» disse Alfredo con quell’aria da fine dicitore, con accento straniero come se la stesse prendendo in giro.
«Andiamo, non ricordi nulla.»
Alfredo, invece cominciò a capire: qualcosa era successo e doveva essere tanto grave che la sua mente per difendersi aveva rimosso il ricordo, era l’unica spiegazione.
«Non è così» disse Mirella come se avesse letto i suoi pensieri. E s’incamminarono senza guardarsi e senza toccarsi. Nessuno li seguiva o almeno così sembrava. Arrivarono in una strada che Alfredo non conosceva. C’era una lapide su un muro e non riuscì a fare a meno di leggere quei caratteri e quel modo aulico di altri tempi…
Da qvesta casa partì
verso la gloria e la morte
intrepido e temerario
«Alfredo siamo arrivati.» E Mirella aprì un portoncino ubicato in un enorme portone di legno intarsiato, di elegante fattura. Entrarono. C’era un odore forte, forse d’incenso. Erano entrati da un ingresso secondario in un qualche luogo di culto, forse una chiesa o un convento. Era buio, erano entrati in un luogo senza finestre ma in lontananza s’intravedeva un bagliore tenue come prodotto da candele accese. Sì erano proprio candele. Più s’incamminavano verso quella fonte di luce e più aumentava quell’odore, non solo, si cominciava ad avvertire una musica di accompagnamento a un coro: un canto gregoriano, lento e dolce che infondeva sensazioni di pace e tranquillità: Sì avevo proprio bisogno di un po’ di serenità, pensò Alfredo. Mirella camminava con passo felpato e con un dito davanti al suo bel viso lo avvertiva di non fare il ben che minimo rumore. In silenzio scivolarono lungo la navata di sinistra della chiesa. Alfredo sbirciava quella moltitudine di monaci che all’unisono cantava le lodi a Dio, talmente presi nel loro canto che non fecero caso alla loro presenza, almeno così era sembrato. Alla fine della navata Mirella aprì una porticina che accedeva a una lunga scalinata in discesa. In un attimo si trovarono nei sotterranei della chiesa e Mirella procedette spedita come se conoscesse bene quei luoghi. Entrarono in un lunghissimo corridoio dal soffitto a volta che conduceva a una cavità enorme. Un volta giuntivi Alfredo capì che erano arrivati: di fronte a loro c’era Giulia Baldini vestita in jeans e scarpe da trekking
«Alfredo, venga con me, qui saremo al sicuro per un po’.»
«Ancora con questa storia. A questo punto sono io che esigo delle spiegazioni da lei, da Mirella e da chiunque voglia intromettersi nella mia vita privata.»
«Nessuno sta tramando contro di te» aggiunse Mirella, «è che al punto in cui siamo adesso non è più possibile far finta di niente.»
«Che è successo a Martina?»
«Ogni cosa a suo tempo.»
«Il tempo è scaduto da un pezzo. A proposito, ma dovevamo per forza vederci in questi sotterranei?»
Il pensiero razionale è un rimedio efficace alla solitudine di un abbandono. L’istinto, a volte, è più razionale del ragionamento! e Alfredo cominciò a correre ritornando sui suoi passi, ripercorse il lungo corridoio a ritroso e rientrò nella chiesa. I monaci cantavano indisturbati ma questa volta si accorsero di lui e con un segno inequivocabile gli intimarono il silenzio. Alfredo si ritrovò nella stradina che non conosceva davanti alla lapide. Era di nuovo calata la sera. Ma quanto tempo era stato nei sotterranei, sembravano pochi minuti. Si accorse che dalla stradina s’intravedevano le luci del porto e senza aspettare che accadesse qualche altra cosa sentì il desiderio di avvicinarsi al mare. Non c’è niente di più rilassante che avvicinarsi al mare di sera e ascoltare senza ascoltare il suo rumore, sia quando proviene da uno sciabordio lento e ritmato, sia quando è rumoroso, irregolare e impetuoso. Quella sera era senza vento. Arrivato al porticciolo sentì scorrere nelle vene una pace e una serenità che gli mancavano da tempo. Intravide una barca ormeggiata che si adattava ai suoi gusti: era in vendita. Se possibile avrebbe fatto di tutto per acquistarla. Ci avrebbe portato Martina o forse Mirella o anche il tenente Baldini. Già, la Giulia Baldini, gran bella donna, forse ancora più