L'atomo
By Yambo
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Book preview
L'atomo - Yambo
24
Yambo, L’atomo
1a edizione Landscape Books, novembre 2017
Collana Aurora n° 24
© Landscape Books 2017
www.landscape-books.com
ISBN 978-88-99403-59-1
In copertina: illustrazione dell'autore dall'edizione 1912 (Casa editrice G. Scotti)
Progetto grafico service editoriale il Quadrotto
Realizzazione editoriale a cura di WAY TO ePUB
www.waytoepub.com
Yambo
L’atomo
Presentazione dell’opera
La collana Aurora si propone di recuperare classici ormai dimenticati e introvabili della letteratura italiana e internazionale, con un breve apparato critico di approfondimento.
Rileggendo a oltre un secolo di distanza L’atomo, pubblicato a puntate nel 1906 e nel 1912 in volume (assieme a Il piccolo esploratore, di tematica affine ma dai tratti decisamente più leggeri) e subito diventato uno dei best-seller
dell’autore pisano, si rimane piacevolmente sorpresi dalla quantità di invenzioni ma soprattutto dal modo in cui il nostro riesce a inserire in un’opera per ragazzi una quantità di riflessioni e tematiche tutt’altro che scontate, senza che sembri mai fare la morale
ai suoi giovani lettori. Il che, aggiunto al finale, rende riduttivo definire quest’opera semplice narrativa per la gioventù
, come si diceva allora.
In questo romanzo Yambo dimostra ancora una volta di meritare l’appellativo di Jules Verne italiano
imbastendo una vicenda che, a partire da una premessa archetipica – il classico eroe per caso, in questo caso un insegnante di filosofia, che intraprende per scelta un viaggio nell’ignoto – affronta una tematica all’avanguardia per l’epoca, ovvero l’infinitamente piccolo.
Certo, il modo in cui Yambo affronta il tema dell’atomo può oggi sembrare naif, ma non bisogna dimenticarsi che all’inizio del XX secolo le teorie atomiche erano ancora agli albori, e soprattutto erano molto più legate alla filosofia (a partire da Democrito ed Epicuro) che non alla fisica, come sarebbe stato di lì a poco. Niente da meravigliarsi quindi se Yambo immagina l’atomo come un pianeta alieno, abitato da un popolo bellicoso e crudele che ha il solo scopo di annientare e uccidere i vicini. D'altronde l'operazione di Yambo è affine a quella compiuta solo un anno prima (1905) da Mark Twain nel racconto 3000 years among the microbes, che quasi sicuramente l'autore italiano non aveva avuto modo di conoscere, essendo stato pubblicato da noi solo nel 1996...
In questo contesto abbiamo anche modo di rivedere all’opera il profondo pacifismo di Yambo, già apprezzato in questa collana nella trilogia Fortunato per forza, il cui primo capitolo era uscito due anni prima. E se in quell’occasione il nostro aveva addirittura preconizzato lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, qui va addirittura oltre, mostrando un regime totalitario e crudele, dominato non solo dalla sete di sangue ma anche dall’ignoranza. Quasi un flashforward sui decenni successivi, tanto più sorprendente se pensiamo che si era ancora negli anni della Belle Époque, e che Yambo era pur sempre considerato un autore leggero
. E a questo punto non c’è più da meravigliarsi quando, d’un tratto, arriva ad anticipare la celebre frase attribuita a Einstein riguardo l’universo e la stupidità umana.
A Massimo Bontempelli
bizzarro amico.
Introduzione
«Tout est pour le mieux dans le meilleur des mondes possibles».
Un giorno, Giovanni Bernoulli, forse stanco di aver dettato il meraviglioso metodo per integrare nientemeno che le frazioni razionali, scrisse una lettera amena al suo illustre collega Leibnitz, il quale si affaticava ancora con Newton intorno alla scoperta della base del calcolo integrale. Nella lettera faceva una lunga dissertazione sull’infinitamente piccolo e sull’infinitamente grande nella vita: argomento dilettevole, ricco di conseguenze impreviste e strane. Spesso gli uomini più appassionati delle scienze positive si abbandonano con voluttà a queste dissertazioni fantasiose. Fra l’altro il Bernoulli diceva al Leibnitz:
«Immaginate che un granello di pepe, nel quale, col microscopio, si scoprano mille milioni di animaletti, abbia le sue parti in tutto proporzionali alle parti del nostro mondo, cioè il suo Sole, le sue stelle fisse, i suoi pianeti loro satelliti, la sua Terra con le sue montagne, le sue foreste, le sue rocce, i suoi fiumi, i suoi laghi, i suoi mari e i suoi diversi animali. Credete voi che gli abitanti di questo granellino di pepe, questi pipericoli, i quali scorgerebbero tutti gli oggetti sotto lo stesso angolo di visione, e di conseguenza con la grandezza attribuita da noi ai nostri, non potrebbero pensare che fuori del loro granello non esista niente, per il medesimo diritto che ci fa ritenere contenga ogni cosa il nostro mondo? Poiché, quale ragione o quale esperienza avrebbero essi che li persuadesse del contrario; e facesse conoscere a questi animaletti esistere altro mondo incomparabilmente più grande del loro, con abitanti incomparabilmente più grandi di essi? Ora, io credo possano esistere nella natura animali così superiori in grandezza a noi e ai nostri animali comuni come noi siamo superiori agli animaluzzi microscopici. Io mi spingo più oltre e dico: possono esistere animali incomparabilmente più grandi di questi: e pongo altrettanti gradi nel salire quanti ne ho trovati nello scendere, perché non vedo alcun motivo per il quale noi e i nostri animali dovremmo costituire il grado più elevato».
Leibnitz, accogliendo con entusiasmo le teorie di Bernoulli, rispondeva:
«Quanto a me, non esito ad affermare che nell’universo possono essere animali in grandezze tanto superiori ai nostri quanto i nostri sono superiori agli animalucci che si scoprono soltanto grazie al microscopio: poiché la natura nella sua divina creazione non conosce limiti. E reciprocamente, può e deve supporsi che i grani di polvere, e gli atomi più minuti, siano mondi non inferiori al nostro in bellezza e in varietà».
Queste asserzioni dei due formidabili matematici potranno sembrare arrischiate: e pure, in principio, sono scientificamente ammissibili; poiché le deduzioni, dalle quali sono prodotte si fondano sopra fatti incontrastabili di micrografìa, e di analisi.
Flammarion, a questo proposito, dice che «la scienza umana intera, dall’alfa all’omega delle nostre cognizioni, è semplicemente lo studio dei rapporti». La mente umana tenta di conoscere i rapporti: in ciò consiste tutto quanto può osare: ognuna delle sue concezioni si trova in mezzo a una linea che si perde all’alto e al basso nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo: nella misura dell’infinito risiede ogni scienza, e dal confronto delle cose con una unità arbitraria presa per base risulta il valore delle nostre cognizioni. E come la grandezza dei corpi è relativa, così sono relativi il loro peso e l’intensità della luce e del calore, i fenomeni diversi del mondo, la durata degli esseri e infine tutti gli elementi che costituiscono l’universo. Supponiamo, ad esempio, che la durata media della vita umana sopra il pianeta Nettuno conti lo stesso numero d’anni nettuniani quanti sono gli anni terrestri, contati dalla durata media della nostra vita. Un bambino sarebbe ancora a balia all’età di centonovant’anni, e se i costumi fossero gli stessi di quaggiù, si vedrebbero fior di giovinotti sui tremilanovecentocinquant’anni chieder la mano di leggiadre donzelle di duemilacinquecent’anni, veri fiorellini sbocciati da poco…
Alla lettera di Bernoulli, a queste semplici e pur logiche riflessioni, faccio seguire la bizzarra storia di un viaggio a Rotor, il pianeta-atomo, il microcosmo fosforescente, su cui si svolgono le avventure mirabili del buon Tommaso Kappelmans, maestro di scuola di Saverne, e autore degli Assiomi fondamentali della costituzione molecolare e atomica dell’Universo.
Se i lettori non saranno troppo scettici, né troppo esigenti, questa storia potrà sembrar loro verosimile e anche piacevole.
A me conveniva, in ogni modo, dirne le fonti.
I.
Tommaso Kappelmans ritornò a casa tutto sbalordito. Quella specie di tuffo in un mondo sconosciuto e meraviglioso aveva sconvolto le idee del bravo giovanotto, che era filosofo e miope. Miope specialmente. Insisto su questa particolarità perché serve a giustificare in gran parte lo stupore eccessivo di Tommaso, e le sue conseguenti riflessioni iperboliche.
Entrò nel proprio studio inseguito da Frantz e da Suzel, e si cacciò di schianto a sedere sul vecchio seggiolone di cuoio giallo, il glorioso seggiolone, che aveva accolto tra i robusti braccioli cinque generazioni di Kappelmans. Frantz e Suzel, più sbalorditi di Tommaso, e anche mortificati, tacevano, guardando con occhio attonito il filosofo miope.
Frantz era un cane barbone e Suzel una vecchia serva. Tommaso aveva veduto nascere Frantz, ma Suzel aveva veduto nascere Tommaso. Quei tre esseri si amavano di un affetto sincero, ma non privo di interesse. Frantz aveva bisogno di Tommaso e di Suzel, Suzel