Il diavoletto di Cartesio
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Il diavoletto di Cartesio - Marco Salvario
coincidenza.
01
I genitori di Alex non mi salutano e, anzi, mi hanno voltato la schiena quando mi sono avvicinata. Il loro atteggiamento di rifiuto mi accusa davanti a tutti mentre io ho bisogno di una parola, di uno sguardo, del contatto delle mani, della condivisione del dolore e del pianto.
Una donna magra e anziana mi viene vicina e mi colpisce la guancia con uno schiaffo. Arretro ed evito un secondo manrovescio.
«Sei stata tu la rovina di Alex! Non ti avesse mai incontrata!»
Qualcuno la allontana mentre la mia guancia brucia come il fuoco. Resto ferma, smarrita, sola, mentre qualcuno commenta e sento un ragazzino ridere beffardo.
La donna che mi ha colpito credo sia una zia di Alex, devo averla incontrata in passato. Le sue parole mi bruciano più dello schiaffo. Mi appoggio al muro per non cadere.
Non è stata colpa mia la sua morte.
Gli altri parenti e gli amici di Alex mi evitano come una malata contagiosa e, chi non capisce chi sono, mi rivolge sguardi dubbiosi finché viene informato da qualche premuroso conoscente.
Ho pianto in silenzio tutta la mattina, senza mai riuscire a frenare le lacrime. Ancora adesso, quando passo la mano sul mio volto, la ritiro bagnata. Piangere è un mio diritto, perché il mio amore era pulito e sincero.
Tremo come se avessi la febbre e, forse, sono davvero malata. Ci si può ammalare per il dolore?
La donna che mi ha colpito è ora seduta nella seconda fila, la schiena dritta con la fierezza di chi ha fatto giustizia di un torto subito. Davanti a lei Simona, la fidanzata di Alex, la ragazza di buona famiglia e ricco patrimonio che era destinata ad essere sua moglie.
Inghiotto. Non mi meritavo lo schiaffo.
M’inginocchio in uno degli ultimi banchi e nessuno mi viene vicino. Sono sola, sola più di Alex, chiuso per sempre nella bara di legno chiaro.
Vorrei pregare e non ci riesco. Vorrei implorare: «Signore, permettimi di tornare insieme a lui!» Insieme a lui nel paradiso o nell’inferno. Insieme a lui nel nulla, se paradiso e inferno non esistono.
I miei pensieri sono confusi e si contraddicono. Nessuno mi ascolta in terra e nessuno mi ascolterà in cielo.
Quando il prete alza il turibolo e lo fa oscillare, l’odore intenso dell’incenso mi prende alla gola. Cercando di respirare mi sfugge un rantolo e su di me si posano sguardi ostili e indignati.
Perché è morto lui e non sono morta io? Per me nessuno avrebbe pianto e non ci sarebbero stati fiori. Non si sarebbe bruciato incenso e aspersa acqua benedetta. Al mio funerale Alex non sarebbe venuto, perché le chiese e le cerimonie funebri non gli piacevano. Chi è morto, resta morto
, diceva.
Chissà, la mia bara non l’avrebbero neppure portata in chiesa. Mi avrebbero sigillato in un sacco nero, un’etichetta attaccata all’alluce, dimenticando per anni le mie spoglie mortali in qualche cella di obitorio. Mi avrebbero buttato in una fossa comune, come coloro che nessuno ha mai cercato.
Oppure no. Mio fratello un funerale povero me l’avrebbe concesso, bestemmiando per ogni euro speso.
Chiudo gli occhi e continuo a sentire gli sguardi accanirsi contro di me, straziarmi come ferri roventi.
Mi fanno a pezzi!
Mi sembra che il mio stesso sguardo, staccato dalle pupille, mi scruti e condanni. Vorrei qualcuno che mi abbracciasse, anche fosse uno sconosciuto, e condividere il mio dolore in quella stretta disperata.
Il sacerdote alza le braccia e recita nel silenzio: «Padre santo, abbandonando questa dimora terrena, il nostro giovane fratello Alessandro lascia dietro di sé la sofferenza di coloro che lo amano. Concedi a noi di conservare il suo ricordo, non nell’amarezza di ciò che perdiamo e con il solo rimpianto del passato, ma nella speranza del Regno, nel quale tu ci unirai tutti insieme come tuoi figli.»
Non nell’amarezza. Solo nel rimpianto.
Una donna scoppia in singhiozzi e urla il proprio dolore; sgomenta, dopo qualche momento di confusione mi riprendo e capisco di non essere io a gridare. Il mio gemito disperato non esce dalla gola, mentre lacrime troppo liquide continuano a scivolarmi lungo le guance e bagnano la camicia scura che indosso. Respiro l’odore aspro della stoffa umida.
Lo schiaffo mi brucia ancora e vorrei bruciasse più forte.
Due banchi davanti a me, un’altra zia di Alex, anch’essa magra e nervosa, si fa aria con un foglio di carta e consulta di nascosto l’orologio per poi interpellare vivacemente un uomo dalla barba grigia, che credo sia il marito.
Un’altra donna si allontana dai banchi zoppicando per accendere due candele all’altare di una madonna in legno mentre la madonna sembra guardare verso di me con occhi assenti e sorpresi, come se persino lei si chiedesse cosa ci fa in chiesa una come me, una che non è neppure sicura di essere stata battezzata.
Mio padre, che era comunista, mi ha raccontato più volte con crudele compiacimento che, quando mi hanno portata in chiesa per il primo sacramento, il parroco era ubriaco e, versando l’acqua benedetta, mi ha mancato versando tutta l’acqua a terra.
Niente acqua benedetta e, quindi, niente battesimo.
Nel mio cuore non so se sono cristiana e quanto lo sono. Oggi vorrei che un dio ci fosse, un dio cui potere parlare, un dio che rispondesse alle mie domande, che mi desse certezze, che mi consolasse.
La madonna non mi crede, i suoi occhi mi feriscono.
«Perdonami!», sussurro, ed evito il suo sguardo.
02
Il sacerdote conforta i genitori di Alex e Alice, sua sorella. Un borbottio cadenzato, le braccia aperte in un accenno di grande abbraccio. Stretta alla madre, Alice è pallida, le labbra serrate. Percepisco che il dolore che prova è simile al mio, però il suo volto è asciutto, composto.
Simona si tiene in disparte. Si consulta con i suoi genitori che le fanno segno di pazientare.
La donna che mi ha schiaffeggiato si gira guardandosi intorno e io mi faccio piccola, sperando di non essere vista e aggredita di nuovo.
Alex aveva tanti amici che si sono ammucchiati in gruppi irregolari e ricordano un gregge senza pastore. Vorrei essere insieme a loro, pecora nascosta tra altre pecore, ma non mi hanno mai accettato; mi hanno subito quando lui mi portava con sé, senza nascondere il fastidio.
Alex studiava al politecnico, era una promessa del nuoto, giocava a tennis e a basket disputando tornei di alto livello, si occupava di volontariato ed era impegnato in un circolo politico di tendenze liberali. Aveva praticato lotta libera per un paio d’anni.
Aveva tanti amici che lo stimavano, lo invidiavano e cercavano di imitarlo.
Aveva tantissime amiche, adoranti e innamorate di lui, disposte a concedersi come se fare l’amore con lui fosse una gratificazione davanti alle altre ragazze.
Lui era un leader, era tutto e aveva tutto.
Io sono il nulla. Una commessa, considerata appena carina, insignificante e timida.
Mi hanno tollerato perché ad Alex si poteva perdonare qualsiasi capriccio.
Io sono meno di nulla, ora che lui non c’è più.
I necrofori si schierano e sollevano la bara. Lo portano via per l’ultimo viaggio. Lo sto perdendo per sempre!
Un ragazzo mi urta alle spalle, uno scontro così brusco che potrebbe essere intenzionale. Mi ha fatto male e non ho visto neppure chi era.
Mentre Alex se ne va.
Colgo lo sguardo irritato delle mia schiaffeggiatrice. Non sono colpevole, non è stata colpa