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Once upon a time, c'era una volta
Once upon a time, c'era una volta
Once upon a time, c'era una volta
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Once upon a time, c'era una volta

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ONCE UPON A TIME, C’ERA UNA VOLTA…
Presentazione
Sette terribili vizi sfuggiti nuovamente dal vaso di Pandora, un saggio re che non si dà pace, sette valenti cavalieri pronti alla morte, una principessa bellissima, ma un po’ frivola, uno stalliere innamorato, il suo fedele mulo e poi un grande mago, una regina molto assennata, un vecchio alquanto saggio, una donna lussuriosa, dignitari di palazzo e svariate creature mitologiche sono i protagonisti di questa fiaba non proprio per bambini che si svolge in un piccolo regno ubicato chissà dove, in un’epoca fuori dal tempo, confrontato con problemi non molto diversi da quelli attuali. L’impresa, composta di sette separate imprese, assai pericolose, consiste nel catturare i vizi, ma, per catturarli, occorre saperli dominare. Chi potrà farlo e come?
LanguageItaliano
Release dateDec 1, 2017
ISBN9788827525852
Once upon a time, c'era una volta

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    Once upon a time, c'era una volta - guido quagliardi

    Once upon a time, c’era una volta…

    Guido Quagliardi

    PERSONAGGI

    Heres, re d’Utopinia

    Rubinia, regina dell’Utopinia, moglie di Heres

    Safura, principessa, figlia di Heres e Rubinia

    Dulcina, fantesca

    Arif, aiuto stalliere, trovatello

    Mainonmollo, fedele mulo di Arif

    Salaf, padre di Arif

    Aster, gran mago della torre

    Messer Biancamano da Urbino, cavaliere

    Tabir Khan il Mongolo, cavaliere

    Lord Sean Berry, del Clan dei McRuber, cavaliere

    Barone Aiulfo di Borgogna, cavaliere

    Şaref, Emiro di Palmira, cavaliere

    Olaf il Vichingo, cavaliere

    Marchese Cuan Ramirez di Siviglia, cavaliere

    Şafak, servo di Tabir Khan

    Lisinia, amazzone

    Prologo

    Once upon a time, c’era una volta, o, come forse meglio iniziano le favole turche, bir varmiş, bir yokmuş, può darsi ci fosse o forse no, da qualche parte che nessuno ricorda, tra le Colonne d’Ercole a occidente e il Mar di Cina a oriente, tra le distese di giaccio dove vivono gli orsi polari a nord e le foreste e i deserti inesplorati dell’Africa a sud, in un tempo così lontano che le epoche e le tradizioni si confondono, un piccolo regno incantato, in pace da secoli con i propri vicini, fertile e ricco di risorse naturali, dove tutti i laboriosi abitanti vivevano felici in armonia, contenti della loro vita e del loro lavoro, godendo di un discreto benessere ed aiutandosi l’un l’altro ogniqualvolta ce ne fosse bisogno. Quel regno aveva il nome di Utopinia.

    Al centro del regno sorgeva l’unica vera e propria città, Uti, ed al centro di questa, contornato da lussureggianti giardini, il palazzo reale, un castello con alte torri e mura possenti che evocavano guerre di un lontano passato assai meno pacifico. Piccoli, operosi villaggi erano disseminati all’interno dei confini del regno che però, per quanto si adagiasse per quasi la totalità del suo territorio su una grande, soleggiata pianura, era curiosamente separato dai paesi vicini da impervie barriere naturali alquanto difficili da valicare: a est da un mare quasi sempre in tempesta, ad ovest da una impenetrabile foresta incantata abitata da feroci fiere e terribili mostri, a nord da alte montagne sempre coperte di neve, a sud da malsane paludi e da un arido e desolato deserto.

    Come potete immaginare, la vita procedeva piuttosto tranquilla in Utopinia: di guerre, come abbiamo già detto, grazie al relativo isolamento del regno, non si parlava da secoli, carestie non se ne erano mai verificate neppure in passato perché quella terra era molto generosa e i suoi abitanti operosi, la povertà pressoché sconosciuta perché c’era lavoro per tutti ed al benessere di coloro che non potevano lavorare per vecchiaia o malattia provvedevano amici e parenti. Tribunali e prigioni erano praticamente sempre deserti, perché, in quel fortunato regno, il livello di litigiosità era bassissimo e la delinquenza quasi sconosciuta. E’ pur vero che i commerci con i paesi vicini erano piuttosto scarsi, a causa delle difficili vie di transito, ma il regno produceva tutto quanto serviva ai suoi abitanti, ed anche molto di più. Insomma, era un paese felice che sembrava non conoscere difficoltà di sorta.

    Il re di quel piccolo regno, che aveva nome Heres, era un uomo buono e saggio, intransigente con chi operava il male, ma compassionevole con poveri e deboli. Amava molto viaggiare. Grazie alla tranquillità che regnava in patria, senza tema di problemi poteva permettersi di allontanarsi dal regno anche per lunghi periodi, alla ricerca di nuove conoscenze e scoperte che servissero ad accrescere il benessere dei suoi sudditi. Amava molto anche l’arte e meravigliosi souvenir dei suoi viaggi, portati con sé financo dai paesi più lontani, ornavano le sale del palazzo.

    Sua moglie, la regina Rubinia, donna di grandi virtù, anche in sua assenza mai si adagiava nell’ozio a palazzo, ma si prodigava ogni giorno per assistere i più bisognosi. Non c’era povero o malato del regno che non potesse testimoniare della sua gentilezza e della sua bontà, o che non fosse stato oggetto delle sue benevole cure.

    Avevano una sola figlia, Safura, prossima a compiere i diciotto anni. Bella come nessun’altra fanciulla del regno, aveva la pelle candida come la luna, i capelli biondi come l’oro, le labbra rosse come il fuoco e due splendidi occhi verdi che parevano smeraldi. Come ogni giovane fanciulla era piena di vita e di curiosità per qualsiasi novità, ma anche irrequieta e piuttosto viziata, forse perché i genitori, che l’avevano generata in tarda età, non sapevano mai dirle di no e Dulcina, la fantesca che di lei si occupava ogni giorno, come precedentemente si era occupata della re suo padre quando era ragazzo, era ormai troppo vecchia per riuscire a tener d’occhio tutto quanto l’incoscienza della giovinezza la spingeva fin troppo spesso a fare.

    C’era poi in quel regno anche un giovane aiuto stalliere, di nome Arif, che curava i cavalli delle scuderie reali. Trovatello, era stato cresciuto da colui che al tempo era il capo stalliere reale, ma che alla data del nostro racconto si era da tempo messo a riposo perché troppo debole e vecchio per un mestiere così oneroso, il buon Salaf, che l’aveva trovato in riva a un fiume, in una culla abbandonata, mentre, vent’anni prima, portava a corte un cavallo, dono del re di un paese vicino. Arif si occupava di accudire a tutti i cavalli di corte, ma in particolar modo curava giornalmente la strigliatura del bianchissimo manto di Saetta, il focoso puledro della principessa Safura, della quale si era invaghito fin dal giorno che, avviato al lavoro delle scuderie, se l’era trovata per la prima volta davanti, in tutta la sua leggiadra bellezza. Il ricordo di come era stato impacciato nell’aiutarla a montare in sella non lo avrebbe mai più lasciato! E, dopo anni, pur sapendo che l’amore di un povero aiuto stalliere per una principessa non sarebbe mai potuto sbocciare in qualcosa più della sua rispettosa devozione, ancora arrossiva imbarazzato ogni volta che lei gli rivolgeva la parola per chiedergli del suo puledrino.

    Ma veniamo ora ai fatti che tanto sconvolsero il regno di Utopinia: quel giorno Re Heres era rientrato, dopo quasi tre mesi di assenza, da un lungo viaggio che lo aveva portato nei più sperduti paesi del mondo. Ad accoglierlo c’erano la regina Rubinia, la principessa Safura, tutti i dignitari e gli inservienti di corte, oltre a buona parte dei cittadini di Uti, tutti assiepati attorno a lui non solo per dargli il benvenuto, ma anche per ammirare le esotiche meraviglie che il re usava portare con sé dai suoi viaggi.

    Dal suo voluminoso bagaglio Re Heres per prima cosa estrasse un flauto d’argento, che disse essergli stato donato da un grande musicista etrusco, poi, per seconda, un formidabile arco donato dal più famoso cacciatore ittita, e poi, per terza, uno scrigno tempestato di ametiste e topazi, donato dal potente faraone degli egizi in persona, e ancora, per quarta, un precisissimo compasso donato dal capitano di una nave vichinga che aveva solcato tutti gli oceani del mondo... Ad ogni nuova meraviglia si levavano dai presenti mormorii di stupore.

    Alla fine dal bagaglio estrasse, fiero, la sua ultima sorpresa: uno splendido vaso d’oro inciso con incantevoli disegni. Mai si era visto nel regno un vaso così prezioso e bello!

    Alle domande di tutti i presenti rispose che aveva trovato lui stesso quel vaso, ai confini del mondo, in una grotta profonda nella quale si era riparato per salvarsi da una violenta tempesta. Il vaso era però chiuso da una sorta di tappo di un metallo ignoto, protetto da sette sigilli e tutti chiedevano cosa mai vi fosse contenuto.

    Apritelo, apritelo! chiedevano a gran voce i presenti, Chissà che meraviglie contiene. Un vaso così bello e sigillato con tanta cura conterrà sicuramente beni preziosissimi. Forse diamanti, rubini e smeraldi!

    Più di tutti lo chiedeva Safura, eccitatissima: Aprilo padre, ti prego! Chissà che meravigliosi braccialetti e collane si nascondono in questo vaso!

    In quella, imponente nel suo procedere, si fece largo tra la folla, avvolto in un nero mantello, il grande mago Aster, sorprendentemente allontanatosi dalla sua abituale dimora: una torre diroccata nella quale viveva solitario e segregato dal mondo.

    Fermatevi, sciocchi imprudenti! La vostra buona sorte ha voluto che mi trovassi a passare da queste parti, sulla mia strada per il gran raduno secolare dei maghi che avrà luogo la prossima luna piena, a mille miglia da qui, nel sacro sito di Stonehenge, e potessi così arrivare in tempo prima di un’irreparabile sciagura. Prestate orecchio a questo mio monito, altrimenti le conseguenze per voi e per i vostri figli saranno terribili: fatevi indietro, state lontani da questo vaso e non osate aprirne i sacri sigilli perché una indicibile maledizione ricadrebbe altrimenti sul regno! ingiunse a tutti i presenti.

    Sicuramente ci atterremo al tuo monito, o saggio mago Aster, e sia maledetto il giorno che trovammo questo vaso, se rischia di apportare disgrazie al nostro amato popolo, ma spiegaci, per favore, il motivo di quanto tu affermi! gli rispose subito il re, turbato.

    Devi sapere, o re, rispose l’altro, "che in un’epoca lontana, quando, degenerati gli uomini a livello di bestie in seguito a lunghe e sanguinose lotte fratricide, il bene ed il male non si distinguevano ormai più e sulla terra regnava indisturbato il caos, un grande mago riuscì a ritrovare l’antico vaso stregato donato all’inizio dei tempi da Zeus a Epimeteo col segreto intento di portare lo scompiglio tra gli umani per mano di quella prima splendida, ma assai curiosa donna che aveva nome Pandora.

    A fatica, morte e malattie e simili malanni non si poteva più porre rimedio, ma quel gran mago riuscì a rinchiudervi, con l’ausilio di sette valorosi cavalieri, i sette vizi capitali che in quei tempi tumultuosi affliggevano gli umani, per poi nasconderlo in una remota grotta dove nessuno avrebbe mai più dovuto ritrovarlo. Da allora quei vizi lì rinchiusi attendon di fuggire per infestare nuovamente il mondo se liberati da quel vaso.

    Parlo della vana Superbia di chi stima troppo se stesso disprezzando gli altri, dei quali non sa vedere né pregi né virtù, della meschina Avarizia di chi, attaccato alle proprie ricchezze come una zecca a un cane, pensa solo a se stesso e mai si cura del bene altrui, dell’insaziabile Ingordigia, di lei stretta parente, di chi, mai contento di quanto possiede, non si ferma davanti a nulla per acquisire ancora più, dell’ipocrita e mendace Invidia di chi, provando risentimento per l’altrui felicità, usa ogni menzogna e subdolo tranello per sparlare ed arrecare danno ad altri, dell’indolente Pigrizia di chi, immerso nel suo letargico torpore, tralascia i suoi doveri e mai si schiera, della funesta e tenebrosa Ira che offusca la mente e il cuore di chi ne è preda, incitandolo a vendicarsi di veri e immaginati torti, e della lubrica Lussuria di chi solo insegue il piacere dei propri sensi e della carne, senza curarsi del male procurato ad altri.

    Ma la sfortuna ha voluto, o forse il destino, che tu, mio re, ti sia rifugiato proprio in quella remota grotta e lo abbia ritrovato per riportarlo poi tra gli uomini, e proprio qui nel nostro regno. Io dunque ti imploro, o mio re, di approntare un nuovo viaggio per riportarlo, prima di nuove disgrazie, in quella grotta da dove purtroppo lo trovasti e di serbarlo intanto, prima della partenza, in un luogo sicuro dove nessun possa toccarlo perché, dovesse mai essere aperto, nefaste sarebbero le conseguenze per il regno!"

    Il re, che aveva grande rispetto per la saggezza del mago, ringraziandolo del monito lo assicurò che sarebbe ripartito al più presto per riportare indietro il vaso. Poi, per impedire che alcun curioso potesse mettervi sopra le mani prima della sua partenza, che non poteva avvenire prima di una settimana a causa di precedenti impegni reali, allontanati tutti i presenti perché nessuno potesse seguire le sue mosse, andò a deporlo, di persona e con la massima cura, in un’antica segreta abbandonata del castello ed ordinò alle sue guardie più fidate di sorvegliarne l’ingresso giorno e notte, con le armi in pugno.

    Le tentazioni di Safura

    La mattina dopo che il re era tornato, Safura si svegliò piuttosto tardi, come, a dir il vero, accadeva ogni mattina. Stirandosi assonnata ripensò al sogno che l’aveva allietata per tutta la nottata: quel vaso risplendente con tutto quanto ivi nascosto. Nel sogno non le era però apparso quale dimora di terribili e nefasti vizi, quanto piuttosto di collane di smeraldi e braccialetti di rubini. Come aveva potuto credere suo padre alle parole di quel noioso mago che passava la vita rintanato in quel suo eremo isolato! Cosa poteva conoscere del mondo quel vecchio dalla lunga barba bianca, senza mai muoversi dalla sua torre diroccata! Ma se così voleva il re suo padre, la sua parola era legge e si doveva rispettare.

    Cercando di dimenticare quanto sognato, chiamò Dulcina perché l’aiutasse a indossare le sue vesti, come accadeva ogni mattina. La vecchia fantesca aprì gli armadi della principessa, nei quali facevan bella mostra innumerevoli vestiti da sera e da mattina, abiti da cerimonia e mise da sera, vaporose vesti di organza e gonne di velluti multicolori, camicette di sete preziose provenienti dalla lontana Cina, deliziosi corpetti ricoperti di lustrini e molto altro ancora, perché potesse scegliere come vestirsi per presentarsi a colazione.

    Mentre, aiutata da Dulcina, indossava le sue vesti e pettinava i suoi lunghi capelli davanti al suo specchio preferito, Safura continuava a pensare a quel meraviglioso vaso che immaginava colmo di collane di smeraldi, braccialetti di rubini e diademi tempestati di diamanti… ma la parola di suo padre, il re, era legge e si doveva rispettare!

    Come ogni mattina scese a far colazione nella grande sala da pranzo apparecchiata con sfavillanti cristalli, porcellane preziose e posate in oro zecchino. Camerieri in livrea deposero di fronte a lei taglieri su cui facevan bella mostra formaggi di ogni tipo, vassoi colmi di ogni sorta di delizie e ceste ripiene di frutta fresca e profumata.

    Mentre, senza affrettarsi, assaporava una modesta parte di quel ben di Dio, Safura ancora pensava a quel meraviglioso vaso che immaginava colmo di collane di smeraldi, braccialetti di rubini, diademi tempestati di diamanti e orecchini di perle… ma la parola di suo padre, il re, era legge e si doveva rispettare!

    Passò poi nella vicina sala accanto, dove un gran maestro venuto da molto lontano, accompagnandola con la spinetta, la istruiva ogni mattina a gorgheggiare e solfeggiare, per rendere ancor più agile la sua già bella voce nel belcanto.

    Pur cercando di impegnarsi per seguire i richiami del maestro a esibirsi in note sempre più alte e vocalizzi sempre più acuti, la sua fervida mente navigava però altrove, continuando a pensare a quel meraviglioso vaso che immaginava colmo di collane di smeraldi, braccialetti di rubini, diademi tempestati di diamanti, orecchini di perle e anelli con preziosi zaffiri incastonati… ma la parola di suo padre, il re, era legge e si doveva rispettare!

    Per distrarsi decise di chiedere permesso al suo maestro e lasciare qualche ora gli esercizi di solfeggio per andare a cavalcare nel parco del palazzo.

    Scesa quindi nelle sottostanti scuderie chiamò a gran voce lo stalliere perché portasse senza indugio il suo Saetta.

    Il giovane Arif, piuttosto impacciato, come accadeva sempre al suo apparire, si precipitò a obbedire ai suoi comandi, tornando, in un baleno, con quel bianchissimo puledro. Quel manto bianco come la neve lui lo strigliava ogni mattina, con tutte le sue cure, pensando intanto alla bellissima padrona. Sfiorando la sua pelle, che a lui pareva quella di una dea, Arif l’aiutò a montare in sella. Nel sostenere il delicato, dolce piedino mentre si issava in groppa, non potè evitare di ammirare quelle candide caviglia. A quella vista il suo viso imbarazzato, per contrasto, assunse un colorito che non sfuggì a Safura: il rosa delle guance era esaltato dal bianco della fronte, poco usa al sole per viver sempre nelle stalle.

    Che buffo era quel giovane stalliere, che sempre si mostrava davanti a lei tanto impacciato, pensò Safura, ma non poteva lamentarsi della cura che poneva nell’accudire al suo Saetta: il suo manto era lucente e mai l’aveva visto se non pulito, strigliato e spazzolato. Quel suo pensiero per Arif durò però solo un secondo, prima di partire al galoppo col suo bianco puledro, per cavalcar nel parco.

    Provetta cavallerizza, si addentrò veloce in quel lussureggiante bosco che il re aveva creato, portandovi alberi, arbusti e piante da ogni parte del mondo ed avvalendosi di esperti giardinieri: cedri dal Libano, baobab, eucalipti e palme dalle foreste tropicali, pini, abeti e verdi felci dalle gelate terre del nord, e poi salici dalle fluenti chiome, olivi secolari e poderose querce, altissimi cipressi, colorate tamerici, gialle mimose ed eleganti magnolie,  castagni, ciliegi, aceri e mille altre piante ancora.

    Safura cavalcava a briglia sciolte, ma non riusciva a scordarsi quel vaso che immaginava colmo di collane di smeraldi, braccialetti di rubini, diademi tempestati di diamanti, orecchini di perle, anelli con preziosi zaffiri incastonati e poi spille ornate di opali iridescenti, agate, turchesi, topazi, ametiste e pure coralli… Ma possibile si dovesse sempre rispettare, come legge, la parola di suo padre? Non poteva forse sbagliare anche il re, di tanto in tanto? Come poteva credere, suo padre, il re, alle parole di quel vecchio mago bacucco che mai lasciava la sua torre?

    Uscendo dal bosco raggiunse le serre del palazzo e, smontata da cavallo, asserendo di voler cogliere fiori per farne omaggio alla regina, convinse il vecchio giardiniere a lasciarla

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