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Gheler l'eploratore IV - Dal diario di Moga
Gheler l'eploratore IV - Dal diario di Moga
Gheler l'eploratore IV - Dal diario di Moga
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Gheler l'eploratore IV - Dal diario di Moga

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Gheler l'esploratore
IV – Dal diario di Moga. Cento anni prima degli eventi narrati nella trilogia di Gheler l'esploratore, Maedo Olen Gheler Aermidia è un generale di Aglan a cui è stato promesso il bianco trono di Nuria. Per sposare la principessa, gli basterà diventare generale di Azan, l'avamposto ai confini del Sialden dove gli Etne sono schiavi e prigionieri. Qui Gheler scoprirà di essere un uomo diverso e tradirà Nuria, fuggirà nelle terre inesplorate e raggiungerà la vetta del mondo, diventando Moga
LanguageItaliano
PublisherDamster
Release dateDec 2, 2017
ISBN9788868103354
Gheler l'eploratore IV - Dal diario di Moga

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    Gheler l'eploratore IV - Dal diario di Moga - Antonio Polosa

    Antonio Polosa

    Gheler, l’esploratore.

    Dal diario di Moga

    Prima Edizione Ebook 2017 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868103354

    Grafica: Marcello Baldari – Massimo Porcella

    Damster Edizioni

    Via Paolo Ferrari 51/c - 41121 Modena

    http://www.damster.it  e-mail: damster@damster.it

    Antonio Polosa

    Gheler, l’esploratore

    Dal diario di Moga

    INDICE

    ◊ Gioia ◊

    Maedo Olen Gheler Aermidia

    Commiati

    ◊ Compassione ◊

    Azan

    Ferro spinato

    Diana

    ◊ Dolore ◊

    Conseguenze

    Speranza

    Inganno

    Sangue

    Amnesia

    Vandelia

    Vivere

    Morire

    ◊ Sangue ◊

    Chimera

    Conflitto

    Lacrime

    Crollo

    Domande

    Scopo

    ◊ Odio ◊

    Coraggio

    Risposte

    Incertezze

    Potere

    Rinascita

    ◊ Paura ◊

    Coma

    Il Krug

    ◊ Fiducia ◊

    Legame

    Vendetta

    ◊ Amore ◊

    Sentimenti

    ◊ Morte ◊

    Dimenticare

    Ricordare

    L’autore

    Gli eBook firmati Antonio Polosa La saga di Gheler, l’esploratore

    Catalogo Damster

    A chi impara dai propri errori

    ◊ Gioia ◊

    Maedo Olen Gheler Aermidia

     Aglan brillava di luce propria quel giorno. Le bianche vie erano ricoperte di drappi d’argento catturati dal vento, le balconate erano gremite di gente in festa e l’aria profumava di petali. I soldati sorridevano, questo è vero, ma nessuno di loro aveva in realtà voglia di festeggiare. Alcuni avevano perso un amico, altri un braccio o una gamba, io avevo perso cento dei miei uomini eppure, così come l’eseguire gli ordini del re, anche sorridere dinanzi al popolo faceva parte dei miei doveri.

    Era l’anno del Dio che non muore, Maedo Darsiark, un generale del passato che nonostante le ferite riportate in più battaglie era sempre riuscito a sopravvivere. Il re in carica era mio zio lord Brada, fratello della mia defunta madre e primo Galvat a sedere sul trono della giovane e potente Nuria. Era stato lui ad allenarmi e a educarmi nell’arte della guerra e del comando poiché spesso si sentiva in colpa per la morte di mio padre, avvenuta nella famosa guerra per il trono.

    Quando la strada della corona finì, le porte che conducevano al castello si aprirono scricchiolando. Ad accoglierci, un lungo corridoio di persone in festa. Tra la servitù e la corte c’era Dardu, il capo delle cucine, che sovrastava tutte le voci. Argo il maestro d’armi, che si ergeva silenzioso e immobile come un palo di fianco alla sua grassa moglie. Darv il bardo, che già cantava le mie ultime gesta e un’intera flotta di damigelle che chiamavano il nome di Gheler Aermidia: il mio vero nome. Uno stalliere afferrò le redini del cavallo e mi aiutò a scendere.

    «Gheler, signore, Lord Brada vi attende con ansia nella sala scarlatta. Seguitemi pure» disse una delle guardie.

    «So dov’è» ribadii, «restate pure al vostro posto. Beriador, venite con me, voi altri siete congedati, potete tornare dalle vostre famiglie.»

    «Vi ringrazio mio Olen.»

    Olen Dermar è il vero Dio della guerra, il prescelto dei preti rossi, il generale che molti anni prima portò alla completa estinzione gli elfi nella battaglia di Agat. Mio Olen, dunque, significa mio Dio della guerra e solo i generali che non hanno mai perso una battaglia hanno diritto a questo titolo.

    Quando entrai nella sala scarlatta, lord Brada e i suoi dodici consiglieri anziani mi accolsero con un caloroso applauso.

    «Eccolo!» urlò il re, «il degno figlio del grande generale Zoiro. Sette battaglie, sette vittorie e a soli vent’anni.»

    «Sto semplicemente seguendo le vostre orme, mio signore, ma la strada è ancora lunga.» Brada si avvicinò ridendo e mi scompigliò i capelli, salutando in seguito e con fredda cortesia anche il mio scudiero, Beriador.

    «Lunga e irta di pericoli, questo è vero, ma il popolo ha cominciato a chiamarmi con l’appellativo di Maedo solo tre anni fa! Dopo questa vittoria per Aglan, figliolo, sei diventato ufficialmente il grande Maedo Olen Gheler Aermidia, un nome imponente!»

    «Io... ecco, ho fatto solo il mio dovere.»

    Il titolo di Maedo invece è assegnato dal popolo che quando capisce di non poter fare a meno di una certa persona, comincia a desiderare che non muoia mai proprio come l’omonimo Dio.

    «Giovane, bello, forte e anche modesto!» incalzò uno degli anziani.

    «Se solo i tuoi genitori potessero vedere cosa stai diventando per questo regno. Ancora piango la morte di tua madre, così giovane, così... innocente. La maledizione degli Agatiani continua a mietere le sue vittime anche dopo tutto questo tempo.»

    «L’odio è difficile da estinguere, al contrario dell’amore e della fiducia.»

    «Giovane, bello, forte, modesto e pure saggio. Adesso capisco perché mia figlia ha scelto te.» Quelle parole mi fecero arrossire e lord Brada rise ancora più forte. «Certo è ancora giovane e ingenua ma è pur sempre la mia primogenita, destinata a diventare la regina di Nuria. Tu e io però abbiamo fatto un patto, otto vittorie nel nome di Lord Brada per la sua mano, quindi ti resta ancora una battaglia da vincere e avrete entrambi la mia benedizione.»

    «Non chiedo di meglio che rendervi onore.»

    «Avanti, raccontami tutto nei minimi particolari» mi pregò accomodandosi.

    «Morvar vi è di nuovo fedele. Il suo barone aveva schierato una buona ma poco numerosa difesa, l’assedio è durato circa sei mesi e quando malattia e fame hanno cominciato a fare strage tra la sua gente, Moido ha deciso di arrendersi. In verità lui sperava nel supporto immediato della città di Dria, come avevate previsto voi ma a giudicare dalla noia che regnava tra i nostri accampamenti, devo ammettere che Onnu il cannibale ha fatto un buon lavoro.»

    «Recentemente ci sono state recapitate lettere da parte sua» m’informò il re, «il signore di Dria ha ammesso la sua colpa e ha giurato fedeltà alla corona. Tra qualche giorno il distruttore farà ritorno ad Aglan con uno dei suoi figli a garanzia della sua lealtà. Il tuo dono, invece?»

    «Moido? Mi sono preso la libertà di giudicarlo colpevole. È stato il boia della sua stessa città a decapitarlo. La sua famiglia, in seguito alla condanna, è fuggita da Morvar con un paio di cavalli e una misera riserva di cibo e adesso alla guida della città c’è vostro cugino Iaren.»

    Lord Brada annuì e si carezzò la corta barba, picchiettando le dita contro il tavolo.

    «Molto bene, un’altra ribellione estirpata alla radice. Inconsapevolmente ci stanno facendo un favore, ci offrono su un piatto d’argento il pretesto per spodestarli e sostituirli con membri fedeli ai Gadna. Ottimo lavoro, Gheler, chiedi pure tutto quello che desideri come ricompensa.»

    «Io... mi basta la vostra gratitudine, mio Maedo. E, se possibile, anche cenare con vostra figlia Teana, questa sera. È da lungo tempo che non ammiro il suo sorriso.»

    «Nessun problema, la informerò personalmente, prima però fatti un bagno e renditi presentabile» e con una forte pacca sulla spalla mi congedò.

    Ricordo l’entusiasmo e la felicità che provai quando varcai la soglia della mia stanza. Era grande, profumata e riccamente arredata, quello che più si avvicinava al mio concetto di casa. Con Beriador avevamo in comune solo il corridoio e la sua stanza era decisamente più modesta della mia, per questo spesso gli concedevo di pranzare insieme. In fondo condividevamo gli stessi dolori, passati e presenti.

    Beriador era stato portato ad Aglan come prigioniero all’età di otto anni. Primogenito dei signori ribelli di Velda, aveva assistito all’esecuzione dei propri genitori per poi finire nelle cucine come lavapiatti. Nonostante l’età, aveva già imparato a usare la spada così, quando a dodici anni un soldato ubriaco poco divertito dalla serata, ebbe l’ardire di sfidarlo a duello, Beriador vinse. Lord Brada, che aveva assistito alla scena, gli ordinò di uccidere la guardia e lui obbedì. Sorpreso da tanta lealtà, il re decise che sarebbe diventato il mio scudiero. All’inizio litigavamo spesso e con violenza ma la morte di mio padre prima e quella di mia madre dopo, in qualche modo ci avvicinò.

    Non appena fui presentabile, una delle ancelle di Teana bussò alla porta. Si chiamava Dori, non che m’importasse, ovvio, ma il motivo per cui ricordavo il suo nome era Beriador. La ragazza lanciava spesso occhiate interessate al mio scudiero così, quando con gentilezza mi pregò di raggiungere Teana, la spinsi all’interno della camera e serrai la porta. «Fate piano» le dissi ridendo, «ha una ferita alla gamba che ancora gli duole.»

    Teana aveva l’età di Beriador, diciassette anni. Era bella, alta, capelli neri come nuvole cariche di pioggia e occhi verde smeraldo. Quella sera indossava un abito rosso fuoco con fiori d’oro ricamati sul corpetto. Quando mi vide con un mazzo di rose, scoppiò in lacrime e si gettò tra le mie braccia, singhiozzando.

    Apparecchiata la tavola e servito il vino, la principessa attese con ansia che iniziassi a mangiare.

    «Buono» ammisi, «avete cucinato voi questo pesce? Oh, finalmente, mi mancavano i vostri sorrisi. Non fraintendetemi però, vi faccio questa domanda perché, be’, sembrate attendere con ansia un mio giudizio.»

    «Sono la futura regina di Nuria, i nemici della corona potrebbero avvelenare i miei piatti, per questo aspetto sempre che sia qualcun altro ad assaggiare.» In quel momento non riuscii a delineare il confine tra ironia e serietà, per questo la mia faccia confusa la fece ridere un’altra volta. «Stupido. È da sei mesi che non ci vediamo, credete davvero che io abbia fame di cibo?»

    «La servitù ci osserva» l’avvertii. «Vostro padre non ci ha ancora dato il suo favore.» Teana posò con impeto le posate sul tavolo, costringendomi a ignorare il secondo pezzo di salmone.

    «Mi ha detto del vostro patto, è una cosa stupida.»

    «È il volere del Re vostro padre.»

    «Solo perché vi è andata bene fino ad ora, non vuol dire che sarà sempre così. La guerra è una cosa pericolosa e io non voglio perdervi, mio Maedo.»

    «Vi prometto che non succederà, adesso però scusatemi ma non tocco cibo da questa mattina.» Le dedicai un largo sorriso e continuai a mangiare, divorando anche la maggior parte delle sue portate.

    «Rischiate la vita per me, o per il trono?» mi domandò a fine pasto, spiazzandomi. Tossii un paio di volte e scolai il bicchiere di vino per non strozzarmi, rassicurandola con un gesto della mano che presto avrei soddisfatto quella sua assurda curiosità.

    «Rischio la vita per il regno.» La risposta la irritò a tal punto che la sua faccia assunse un’espressione demoniaca. «E per voi» aggiunsi infine, «tuttavia il pericolo ci sarà anche quando saremo sposati. Se il mio senso del dovere verso Nuria e verso il re non fosse così grande, vi avrei già rapita tempo fa.»

    «D’accordo, ammetto che questa volta ne siete uscito indenne. Mettiamo che questo vostro senso del dovere non sia così grande come dite, e che quella finestra sia al piano terra, come agireste?» Il gioco sembrava divertirla, così allontanai di colpo la sedia dal tavolo e mi gettai su di lei, atterrandola e stuzzicandola con del solletico finché non mi pregò di smetterla.

    «Getterei voi dalla finestra e poi farei il giro dalla porta per raggiungervi, dopodiché ruberei un solo cavallo e vi porterei oltre le mura di Aglan fin nelle terre inesplorate, attraversando le montagne di fuoco e passando a fil di spada tutti gli Orghen con abbastanza coraggio da fermare la nostra fuga.»

    «Bene, signor Maedo Olen Gheler Aermidia, credo proprio che vi siate meritato un bacio.»

    Non mi è ancora chiaro se quello, da parte mia, fosse amore o semplice e spietato interesse per il trono, l’unica cosa certa era la felicità, ero felice della mia vita, felice di tutti i miei titoli, della mia importanza a corte, di Teana e di quanto sarebbe potuto diventare rigoglioso il mio futuro restando al suo fianco. Insomma, il popolo mi amava, Lord Brada Gadna mi adorava quasi come se fossi un suo diretto discendente e persino i consiglieri anziani di cui il re si circondava, avevano sempre belle parole sul figlio di Zoiro Aermidia.

    Non esiste cosa più crudele della propria invisibile ingenuità.

    Il giorno seguente uscii a cavallo insieme a Beriador per attraversare gran parte della zona alta di Aglan. In realtà non avevamo uno scopo o commissioni da svolgere, semplicemente a entrambi piaceva l’entusiasmo con il quale la gente ci salutava e acclamava. In quei giorni di pace e serenità si registrò addirittura un picco nell’uso del nome Gheler, perché in città non si parlava d’altro che delle mie sette consecutive vittorie. Qualcuno riuscì anche a intuire il mio legame con Teana e quindi a spargere la voce di una mia possibile futura scalata al trono.

    «Signor Gheler, mio Maedo!» salutavano le donzelle. «Buon giorno, mio Olen» dicevano le guardie. «Per voi, Maedo, prendete!» mi pregava tutte le volte la signora Fio porgendomi una delle sue più succose mele dei campi di Bride il povero. «È Gheler! Il grande generale Gheler!»

    Alcuni ad Aglan mi chiamavano portatore di pace, nonostante la lama insanguinata che portavo sul fianco, mentre i preti rossi, che erano a conoscenza di come quella pace fosse stata raggiunta, consideravano me e Lord Brada come il braccio e la mente di un unico Dio della guerra. Per un giovane e ingenuo cuore come il mio, essere paragonato al proprio idolo non faceva altro che generare felicità e motivi di orgoglio, in altre parole la causa della mia reale cecità.

    Tre giorni dopo il ritorno ad Aglan mi fu recapitata la lettera con la quale il re, tutte le volte, m’invitava a corte per discutere della mia successiva battaglia. Quel pezzo di pergamena arrotolato che Beriador aveva soprannominato corvo nero era sempre stato l’inizio di una campagna militare. Non era né scritto né sigillato e l’unico riferimento a Lord Brada era proprio questo, il suo profondo odio verso tutto quello che aveva la capacità di perdurare nel tempo. Le parole sono pericolose soleva dire, soprattutto quando non possono essere cancellate da un sorriso.

    «Questa cosa non mi piace» puntualizzò Beriador mostrandomi il corvo nero. «Siamo appena tornati, di solito ci concede qualche mese di riposo.»

    «Forse riguarda Onnu il cannibale.»

    «O forse riguarda l’ennesimo barone che crea problemi al re vostro zio.»

    «Le uniche città non ancora totalmente purificate sono Gora e Odrat, che già due anni or sono giurarono fedeltà ai Gadna.»

    «Forse questa volta si tratta di villaggi.»

    «Ne dubito, ma anche se fosse come dici, Lord Brada non farebbe di certo scomodare il grande Maedo Olen Gheler Aermidia. Seminare distruzione tra la povera gente infangherebbe il mio nome, il nome del futuro erede al trono.» 

    «Non per offendervi, mio signore, ma se io fossi un re, non permetterei mai a un discendente di un’altra famiglia di sedere sul trono.»

    «Che cosa... che cosa state farneticando?»

    «Quello che voglio dire è che conosco Lord Brada quasi quanto voi ormai e dubito, dopo tutto il sangue versato, che cederà così facilmente il trono.»

    «State osando troppo, Beriador. Ricordate qual è il vostro rango e provate almeno per una volta a onorarlo.»

    Ero così accecato dalla mia stima verso Brada che riuscii per la prima volta a ferire volontariamente e con gusto il mio scudiero.

    «Sì, avete ragione, perdonate la mia insolenza.»

    «Indossate un abito adatto alla presenza del re e seguitemi, vi aspetto qui fuori.» Uscii dalla stanza sbattendo la porta e indossai la sfarzosa cintura regalatami da Lord Brada per la mia penultima vittoria. Infine mi sistemai capelli e farsetto e, quando Beriador fu pronto, attraversammo i lunghi corridoi del castello che conducevano alla sala scarlatta.

    Quando il re mi vide entrare, il suo volto s’illuminò di gioia e serenità. Io sorrisi a mia volta, inchinandomi e avvicinandomi al gruppo di uomini che lo circondavano. C’erano, oltre ai soliti anziani, tre generali nelle loro sgargianti armature d’oro. Essendo il primo generale di Aglan, titolo conquistato meno di un anno prima da quella settima vittoria, ne avevo anch’io una ma preferivo non indossarla nei colloqui con il re.

    «Aermidia, accomodati pure» mi pregò Brada indicandomi la sedia al suo fianco. «Signori, immagino voi conosciate il qui presente primo generale di Aglan.»

    «La sua fama lo precede» assicurò il più anziano e barbuto.

    «Loro sono Guro Dereia, generale di Azan, l’avamposto nelle pianure di sangue» indicò il vecchio barbuto, «Torv Oiama generale delle difese di Gotaeldarv» quindi l’uomo pelato dal ventre prominente, «e Dreno Urtia, generale di forte Nedal» il ragazzino dall’aria ingenua ma dal fisico scolpito. Pur non conoscendo il motivo della loro visita, cominciai a preoccuparmi.

    «Molto onorato» continuò Guro, «sono davvero felice di fare la vostra conoscenza. Non è cosa facile raggiungere fama e gloria in così tenera età. Vi svelo un segreto, Lord Brada vostro zio, a vent’anni, non era riuscito a conquistare neppure l’appellativo di Olen.»

    «Andiamo, smettila di ridicolizzarmi, Guro, vecchia canaglia, è pur sempre mio nipote!»

    «La mia stima verso il nostro re non ha limiti» intervenni in sua difesa nonostante le risa ironiche dei due. «Non esiste diceria che possa ai miei occhi ridicolizzare la vostra immagine, sire.»

    «Hai sentito vecchia canaglia? Ma adesso basta scherzare, passiamo alle ragioni dell’incontro. Guro, comincia tu.»

    «D’accordo» il vecchio si alzò e mostrò delle pergamene, le studiò per qualche secondo e, trovata quella che gli interessava, la srotolò, mi guardò come se fossi l’unico nella sala e cominciò a parlare: «L’avamposto di Azan è stato fondato circa trent’anni fa, con lo scopo di spiare le paludi, il Sialden e Bale. Al popolo è stato detto che Nuria, grazie a quella base militare, potrà un giorno stabilire delle collaborazioni pacifiche con le altre razze ma sono dicerie false o poco vere. In realtà questo è il noioso compito di studiosi e pensatori e serve solo a mascherarne il vero obiettivo. Da quando le segherie hanno cominciato a recidere Ledah, le ribellioni sono diventate sempre più numerose e sanguinose, nell’ultimo mese abbiamo perso ventitré uomini, in quello passato quasi quaranta. Ho qui i loro nomi» assicurò mostrandomi la pergamena. «Insomma, l’avamposto serve a mantenere la pace e a neutralizzare le richieste d’aiuto degli Etne a Bale. Abbiamo intercettato diversi messaggi, leggetene pure qualcuno.»

    La scrittura degli Etne era molto diversa da quella Nuriana, ma sotto ogni simbolo uno scriba aveva tradotto tutto il messaggio.

    «Dalea Garden» diceva la prima riga.

    «È una frase criptata che i due re usano per comunicare l’attendibilità di quelle parole, una specie di firma» spiegò Dreno Urtia.

    «Il sud del Sialden è sotto attacco, Nuria sta recidendo avidamente i nostri Ledah mietendo numerose vittime. Ogni anno catturano cento ostaggi tra donne e bambini che poi rilasciano in quello successivo, in cambio della nostra resa militare. Tra gli ostaggi c’è sempre il figlio del re e dei suoi consiglieri, per questo nessuno ha il coraggio di infrangere le regole di Nuria. Alcuni si ribellano di propria iniziativa ma non fanno molta strada, l’avamposto è pieno di soldati ben addestrati, abbiamo bisogno di aiuto.» Quella notizia mi sconvolse, non sapevo niente di tutto ciò, il re non me ne aveva mai parlato nonostante fossi il suo pupillo, il suo primo generale. In preda a una sorta di senso di colpa presi una seconda pergamena e poi una terza, volevo trovare una conferma a tutta quella crudeltà. Non riuscivo a crederci, Lord Brada era un uomo d’onore. Certo, le sue leggi e il suo modo ferreo di guidare Nuria potevano far pensare al contrario ma quale re con un minimo di senso del dovere non governerebbe un grande impero con la forza e la paura?

    I messaggi del Sialden erano sempre più disperati, sempre più sporchi di sangue.

    «Io... non capisco.»

    «Ascoltami, ragazzo. Voglio essere sincero con te, nel nome della mia amata Duna. Nuria ha bisogno di quei Ledah, non possiamo permettere che gli Etne si ribellino, capisci, vero? L’avamposto di Azan è sotto costanti minacce e necessita di un nuovo generale. Non che Guro non ne sia più all’altezza ma il suo tempo è ormai scaduto.»

    «In altre parole» intervenne il vecchio, «viste le vostre straordinarie capacità, ho deciso, con il consenso del re, che per un po’ di tempo sarete un mio sottoposto.»

    «E se Guro ti riterrà adatto al compito, ha l’ordine di nominarti generale dell’avamposto.» Quella notizia mi sconvolse tanto da spezzarmi la voce. Non per l’inaspettato risvolto, non per l’inattesa possibilità di diventare generale di Azan, quanto per la promessa andata in fumo, quella di sposare Teana alla mia ottava vittoria.

    «Ma, mio signore, io, ecco...» balbettai in preda al panico.

    «Immagino tu sia sconvolto e ne comprendo le ragioni, ma dovresti, perlomeno e in egual misura, esserne soprattutto onorato. È un posto di prestigio.»

    «Ma la nostra promessa e Teana...»

    «Calma, Gheler, calma, stai mischiando male le carte e mi stai offendendo. Hai mai visto Lord Brada non mantenere la parola data?» negai con la testa, confuso e spaventato. «Ho intenzione di nominarti re, Gheler, ma prima di arrivare al trono devi percorrere molte altre strade. Diventare generale di Azan sarà la tua ottava e ultima vittoria, dopo la quale ti permetterò di sposare Teana e di diventare il legittimo erede al trono di Nuria.» Il suo sorriso riuscì in qualche modo a rassicurarmi. Sì, Lord Brada non mi aveva mai deluso, così mi convinsi che sarebbe andato nel medesimo modo anche quella volta.

    «Perdonate la mia stupida reazione. Onorare voi è la cosa che più mi rende felice.»

    «Molto bene!» tuonò Guro, «preparate i bagagli, ragazzo, si parte fra meno di due settimane.» 

    «E per quanto riguarda Beriador?» domandai.

    «Be’, è il vostro scudiero, non so, a vostra discrezione, fate come meglio credete» tra me e Beriador ci fu uno scambio di parole, più che di sguardi, istantaneo.

    «Oltre che un bravo scudiero, è anche molto abile con la spada. Credo possa essere utile all’avamposto più di quanto lo sia a me come scudiero.»

    «E sia» decretò infine il re. «Farai gran parte della strada in compagnia degli altri generali, così avrai del tempo per conoscerli. Non abbiamo altro da aggiungere, potete ritirarvi.»

    Quando entrai nella stanza, le gambe mi cedettero e Beriador riuscì ad afferrarmi prima che cadessi.

    «Gheler, cosa vi succede?»

    «Niente» mentii, «niente.»

    «Siete molto debole e pallido. Vado a chiamare...»

    «...no! Sto bene» ma a Beriador bastò guardarmi negli occhi per capire quale fosse la verità.

    «Fisicamente forse sì ma non nella vostra mente. È per via del nuovo e assurdo compito che il re vi ha affidato, vero?»

    «Per un attimo ho temuto che, ecco, che le vostre parole di poco fa potessero avverarsi. Per un attimo ho dubitato di Lord Brada, ma per quanto io sia sicuro che terrà fede alla promessa data, non riesco a non avere paura. Sottoposto del generale di Azan, questo compito ci porterà via molti anni, Beriador, e se mai dovessi diventarlo io stesso...»

    «In quel caso diventerete re.»

    «Erede, ha detto che diventerò il legittimo erede al trono, non il legittimo re. Inoltre speravo di poter passare più tempo con Teana, due settimane sono troppo poche.» Raggiunto il letto, Beriador mi aiutò a sdraiarmi e mi rimboccò le coperte, controllando infine che non avessi la febbre.

    «Vi preparo qualcosa di caldo.»

    «Voi ci sarete sempre, vero, Beriador? Ho anche temuto che il re non vi permettesse di seguirmi.»

    «Ma certo, mio Maedo, per voi ci sarò sempre. Vi aiuterò in quest’arduo compito, ve lo prometto. Adesso però riposate.»

    «Teana, Lord Brada, Azan...» balbettai prima di svenire.

    Commiati

    Mi svegliai il giorno dopo in preda alla febbre alta. Avevo il corpo sudato e percosso da tremiti e un panno bagnato sulla fronte. Tre figure mi sovrastavano, il primo era Beriador, con lo sguardo stanco e un altro panno tra le mani, poi c’era una disperata Teana che mi reggeva la mano e un sorridente Doer, il dottore di corte, che mi schiaffeggiava il viso chiamandomi a voce alta.

    «Aermidia» diceva, «svegliatevi, Aermidia, avete dormito anche troppo» quando provai a sollevare il busto, capii di non averne le forze.

    «Dottore, cosa mi succede?»

    «Nulla di grave, solo un piccolo esaurimento nervoso causato dai troppi impegni.»

    «Dovete rifiutare!» intervenne Teana, «rifiutate il vostro nuovo incarico, è un ordine!»

    «Lo è anche quello di vostro padre, e io non rifiuto mai un ordine del re.»

    «Azan, Gheler, Azan! Questo vi terrà lontano mesi se non anni!»

    «Anni se non decenni

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