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Nemesi
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Ebook474 pages5 hours

Nemesi

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About this ebook

Un nuovo assassino si avvicina alla città del vento, ma i suoi contorni sono sbiaditi, la sua figura è vaga.
Non ha un solo volto, non ha un solo nome, non ha un solo obiettivo, ma è guidato da una solo mano.
Seguirà una percorso che sembrerà senza senso, fornirà più domande che risposte e porterà alle ipotesi più azzardate.
Non sarà la solita, terribile, caccia, sarà molto di più, sarà una gara con se stessi, una competizione senza regole e senza precedenti, una battaglia dove non vincerà necessariamente il più forte e dove gli alleati, come i nemici, compariranno nel posto meno probabile.
LanguageItaliano
Release dateDec 15, 2017
ISBN9788827534649
Nemesi

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    Nemesi - Riccardo Berardelli

    14

    Parte prima

    Una lama nella notte

    " Spesso commette ingiustizia non solo colui che fa qualcosa,

    ma anche colui che non la fa . "

    Marco Aurelio

    Capitolo 1

    Il batterista alzò le bacchette sopra alla testa, guardò i compagni ed iniziò a percuoterle fra loro.

    …due, tre, quattro.

    L’ingresso della grancassa introdusse la loro personalissima versione di Cadillac Ranch di Springsteen, e tanto bastò per rivitalizzare la serata, improvvisamente scesa al di sotto dei normali standard della band.

    La pista si riempì di nuovo ed i ragazzi si avvicinarono al palco, apparentemente felici della scelta fatta dai loro ospiti, non era insolito trovare delle feste dove si preferiva del buon vecchio rock alle moderne sonorità elettroniche, ma non era nemmeno tanto scontato.

    Ti porto da bere disse Greta.

    Jennifer annuì e si voltò verso la pista.

    La varietà umana, tipica delle grandi città, avrebbe dovuto ridursi nei piccoli centri, ma la paura di restare arretrati spingeva i giovani a correre più dei loro coetanei metropolitani, al punto di superarli, e non sempre i risultati gli davano ragione.

    Lasciò scorrere lo sguardo da un lato all’altro della pista, ammirando tutti quei ragazzi che si muovevano ritmicamente, senza una regola precisa, così, seguendo l’istinto.

    Ripensò alle feste con sua cugina Franziska a Vienna, gli ampi saloni dei palazzi imperiali e lo straordinario, quanto rigoroso, ordine che muoveva le coppie di danzatori, impegnati sulle note di Strauss.

    Certo, si disse, questi sembrano divertirsi molto di più.

    Greta tornò e gli passò una bottiglietta di birra.

    Jennifer sorrise e ne bevve un abbondante sorso.

    Che te ne pare? Chiese l’amica.

    Divertente rispose Jennifer.

    Te lo avevo detto commentò Greta, mimando un’espressione che accentuava l’ovvietà della risposta.

    Rimasero in una sorta di contemplazione, guardando e commentando ogni singola persona presente in sala.

    Quella dovrebbe mangiare, ogni tanto commentò Greta, cercando di non urlare troppo.

    Probabilmente la sua amica le ruba tutto il cibo rispose Jennifer, indicando una ragazza sovrappeso vicino alla prima.

    Risero insieme, sicure che nessuno ne avrebbe capito il motivo.

    Improvvisamente Greta colpì con una gomitata l’amica.

    Ahi sbuffò Jennifer, voltandosi con aria imbronciata.

    Greta mosse la testa in direzione del bar, facendo una serie di scatti simili ad un tic nervoso.

    Jennifer seguì la direzione indicata e notò un ragazzo alto, fisico atletico, capelli biondi sino alle spalle, giacca di vitello a frange, una perfetta icona anni ottanta.

    Aspettò che si voltasse verso la pista e ne analizzò l’insieme.

    Allora? Chiese, impaziente, Greta.

    Non male rispose Jennifer, un po’ retrò, ma non male.

    NON MALE? Sbottò Greta.

    L’espressione di Jennifer confermò il commento, incurante della reazione dell’amica.

    Si fissarono per alcuni istanti senza parlare.

    Effettivamente disse Greta improvvisamente, sarebbe più adatto a mia madre.

    Di nuovo le risate presero il possesso della situazione e ci vollero alcuni minuti prima che le ragazze recuperassero il controllo.

    A cosa pensi? Chiese Greta, vedendo l’amica improvvisamente assorta.

    Stavo ammirando lo spirito di questi ragazzi, sono in un piccolo locale con una band sconosciuta, ma si divertono un mondo, nulla a che vedere con i giovani di Chicago.

    A volte essere piccoli porta dei vantaggi commentò Greta, giocando sulle loro stature.

    Jennifer sorrise.

    Facciamo due passi disse.

    Lasciarono la postazione d’osservazione e s’incamminarono lungo il bordo pista, lo spazio per i tavoli, con annessi divanetti, non era molto, ma sembrava che nessuno se ne preoccupasse, dopotutto erano venuti per ballare, non per stare seduti.

    I piccoli divanetti, neri a due posti, erano allineati contro il muro perimetrale e, in alcuni casi, perpendicolarmente ad esso, formando una elle.

    Solo pochissimi erano raggruppati a tre, per le compagnie più numerose, o meno dinamiche, ma chi si sedeva, a differenza di quanto ricordava Jennifer, lo faceva solo per riposarsi e non per altro.

    Avevano percorso quasi completamente il lato alla sinistra del palco, quando videro due ragazzi, uno biondo ed uno moro, avanzare nella loro direzione.

    Jennifer diede una spinta all’amica, indirizzandola verso una traiettoria favorevole.

    Si avvicinarono lentamente, fingendo di non averli visti.

    Attesero la prima mossa che, ovviamente, non si fece aspettare.

    Buonasera disse il biondo, non vorrei sbagliarmi, ma ho l’impressione di conoscervi.

    Bell’esordio rispose Greta, lo usava mio nonno negli anni trenta.

    Il biondo assorbì il colpo senza battere ciglio.

    E’ vero disse, ma io adoro i classici, non ti riservano sorprese.

    Greta annuì e sorrise.

    Jackob disse il biondo, tendendo la mano, lui è Archie.

    Greta e lei è Jennifer.

    Sole? Chiese Jackob.

    Non più rispose Greta con un sorriso ammiccante.

    Jackob si guardò attorno e si indicò l’orecchio, con quella musica era davvero difficile parlare.

    Che ne dite di fare due passi fuori? Disse, avvicinandosi all’orecchio di Greta.

    Volentieri rispose la ragazza, senza interpellare l’amica.

    I due si avviarono verso il punto da cui erano arrivate le ragazze, tallonati dai due rispettivi compagni che, pur non conoscendo le loro intenzioni, supposero di doverli seguire, percorsero a ritroso il passaggio e s’infilarono in una porta laterale che dava sul giardino.

    Al centro del prato, un grande gazebo bianco a forma di piramide riempiva l’area, come uno stand di una sagra di paese.

    Si diressero verso il fiume e si fermarono accanto alla staccionata che li separava dalla riva.

    C’erano poche barche ormeggiate ai pontili ed il traffico sul ponte era quasi inesistente.

    Carino qui disse timidamente Jennifer.

    Tranquillo, più che altro rispose il moro.

    Quando vivi a Chicago, tranquillo è un aggettivo che equivale a fantastico, credimi.

    Sei di Chicago?

    No, sono di Milwaukee, ma vivo a Chicago da otto anni.

    E come mai sei finita nel desolato entroterra?

    L’azienda per cui lavoro voleva che incontrassi dei clienti e dei fornitori in questa zona, così mi sono fermata qui alcuni giorni.

    E che genere di materiale tratti? Chiese, sospettoso, il ragazzo.

    Macchine agricole, o meglio, dispositivi meccanici applicabili alle macchine agricole, come erpici, fresatrici, cippatrici e roba simile.

    Non hai l’aspetto del meccanico commentò il moro.

    Lo prendo come un complimento rispose Jennifer.

    Il ragazzo guardò verso il fiume, come se cercasse qualcuno.

    Tu, invece, che ci fai da queste parti? Chiese lei.

    Ci vivo, purtroppo rispose, quasi sospirando, il ragazzo.

    Non ti piace?

    Non è il massimo del divertimento, nel mio caso l’aggettivo tranquillo equivale a morto.

    Non direi commentò Jennifer, indicando il locale alle loro spalle.

    Vero, ma questo è l’unico posto nei dintorni, altrimenti devi spingerti a Janesville o Rockford e, tralasciando la spesa, devi comunque avere un’auto, senza considerare che l’offerta non è poi così diversa e, in aggiunta, devi pensare che serate come queste ce ne sono solo due alla settimana, quando va bene.

    Jennifer tornò a guardare il fiume.

    Greta lavora con te? Chiese il moro.

    No rispose Jennifer, l’ho conosciuta in albergo.

    Sembrate amiche.

    Effettivamente ci siamo capite al volo, come se ci conoscessimo da anni.

    Lei è di queste parti?

    No, se ho capito bene vive a Janesville, viene qui solo per lavoro.

    In effetti, non mi pare d’averla mai vista.

    Non credo tu conosca tutti gli abitanti di Beloit puntualizzò Jennifer.

    Vero ammise il moro.

    Tu, invece, di cosa ti occupi? Chiese la ragazza.

    Lavoro alla fattoria con mio padre, alleviamo mucche rispose senza troppo entusiasmo il ragazzo.

    Non sembri molto contento della cosa sottolineò Jennifer.

    Diciamo che non è la vita che vorrei, ma mi accontento, almeno per ora.

    Jennifer sorrise.

    Perché ridi? Chiese il ragazzo.

    Stavo pensando alle stranezze del genere umano. Io vivo nella caotica città e pagherei per starmene tranquilla in una fattoria di provincia, tu non vedi l’ora di liberarti di tutta questa calma e tuffarti nel caos della metropoli, siamo proprio una razza bizzarra.

    Forse siamo sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Se ci pensi, tutta l’evoluzione umana è stata guidata dalla ricerca, che fosse ricchezza, benessere o sopravvivenza, lo scopo finale ha portato l’uomo a migliorarsi e dominare il pianeta.

    Jennifer fece un’espressione impressionata.

    Contadino e filosofo disse, strana accoppiata.

    Il ragazzo rimase interdetto, incerto se considerarla un’offesa o una battuta, ma il sorriso della ragazza lo tolse dall’imbarazzo.

    Si guardò attorno in cerca dell’amico.

    Ho l’impressione che ci siamo persi i nostri compagni disse, senza troppa sorpresa.

    Speriamo non facciano tardi sospirò Jennifer.

    Se conosco bene Jackob, ho paura che faranno molto tardi.

    Aspetteremo disse, rassegnata, la ragazza, magari dentro, qui inizia a fare fresco.

    Il ragazzo annuì e s’incamminò verso il locale, costeggiando il fiume.

    Il traffico era diminuito ulteriormente e il cielo mostrava tutta la sua bellezza, così pieno di stelle che Jennifer si chiese se fossero tutte vere o solo un’attrazione per i turisti.

    Superarono la porta e vennero inondati dal rock di Tayler e della sua Dude, un bomba d’energia che avrebbe risollevato un cadavere.

    S’infilarono sul camminamento esterno alla pista e raggiunsero il lato più lontano dal palco, non che il volume fosse meno imponente, ma qualche decibel riuscivano a risparmiarselo.

    Si sedettero su uno dei divanetti neri e restarono per alcuni minuti ad osservare la pista e lo sciamare caotico dei suoi avventori.

    Tu non balli? Chiese Jennifer dopo alcuni minuti.

    Sinceramente non amo il ballo, oltre ad essere una schifezza di ballerino.

    Quindi, vieni qui solo per rimorchiare?

    Rimorchiare, che brutto termine commentò il moro.

    Comunque continuò, "vengo per sentire della bella musica e passare una serata in compagnia, se poi capita di rimorchiare, ben venga, ma non è la priorità."

    Jennifer non insistette oltre, sembrava che l’argomento avesse infastidito il ragazzo, rompendo quella complicità che si era creata in precedenza, si dedicò alla musica e lasciò scivolare la piccola tensione che si era formata fra loro.

    Pensi davvero che faranno molto tardi? Chiese, timidamente, Jennifer dopo alcuni minuti.

    Temo proprio di sì rispose il ragazzo, ti accompagnerei, ma la macchina è di Jackob e le chiavi le ha lui.

    Peccato, saremmo comunque tornate in autobus, ma preferivo farlo in compagnia.

    Capisco, ma qui sei nella terra del nulla, non dovresti correre pericolo.

    Jennifer non rispose, ma la mimica facciale mostrò comunque un senso di disagio e di preoccupazione.

    Restarono seduti ad osservare la sala ed il suo instancabile movimento.

    Ne hanno d’energia da spendere, pensò Jennifer.

    Improvvisamente, come se il suo pensiero si fosse propagato silenzioso sino al palco e fosse stato captato dal cantante, il silenzio cadde sulla sala.

    Ragazzi disse il frontman del gruppo, ora un brano che permetterà a voi, e soprattutto a noi, di riprendere fiato. Sono perfettamente consapevole che la voce in una ballata conta molto di più che nel rock scatenato, quindi vi chiedo comprensione, tenete l’attenzione sulla vostra compagna o compagno e fingete che a cantare sia veramente Jon.

    Il pianoforte rilasciò le prime note di Open all night e la gente in pista si strinse per un lento d’altri tempi.

    Ci aggreghiamo? Chiese il moro.

    Se mi prometti che tieni le mani a posto rispose, sorridendo, Jennifer.

    Parola di boy scout assicurò il ragazzo, mettendo due dita sul cuore.

    Scesero in pista e si unirono agli altri.

    Jennifer abbracciò il ragazzo, mantenendo un leggero spazio fra i due corpi, erano secoli che non ballava un lento e si accorse che, in fin dei conti, non era poi così male.

    I quattro minuti e quindici trascorsero lenti e inaspettatamente piacevoli, poi, dopo un attimo di silenzio per dar modo a tutti di ricomporsi, la voce al microfono riapparve prepotente.

    Direi che vi siete riposati abbastanza, torniamo a fare sul serio.

    La grancassa aprì la strada, seguita a ruota da un assolo di chitarra, tanto forte da scrostare la carta da parati dai muri.

    Jennifer guardò il ragazzo, poi abbassò lo sguardo e, senza parlare, si avviò verso la loro area protetta.

    Si riaccomodarono sul divanetto e tornarono a scrutare i ballerini, incerti entrambi sul da farsi.

    Nessuno ebbe il coraggio di fare la prima mossa, rimasero in attesa, continuando a chiacchierare di qualsiasi cosa, purché li tenesse lontani da silenzi imbarazzanti.

    Erano così impegnati a distrarsi a vicenda che persero il senso del tempo, almeno sino a quando il cantante del gruppo non ricordò loro che ore fossero.

    Ragazzi, a chi interessasse, è scattata mezzanotte, siamo ufficialmente nel mese di maggio.

    Mezzanotte? Chiese, sorpresa, Jennifer.

    Archie aprì il vecchio cellulare e controllò.

    Sembra proprio sia così.

    Devo scappare disse la ragazza, non commentando lo strano apparecchio.

    Come Cenerentola? Chiese lui.

    Più o meno rispose lei, se non mi sbrigo, la mia bianca carrozza a righe blu e rosse si trasforma in una lunga passeggiata notturna e, sinceramente, ne faccio volentieri a meno.

    Si alzò velocemente, tese la mano e salutò.

    Grazie, sei stato molto carino.

    Grazie a te rispose il moro.

    Jennifer raccolse la borsa e si diresse verso l’uscita.

    Si fermò subito dopo la porta e si guardò attorno.

    Il panorama non le sembrava lo stesso di quando era arrivata, ma il buio poteva trarre in inganno.

    Ripensò ai punti di riferimento che aveva preso al loro arrivo.

    Sulla sinistra c’era il fiume con il suo ponte ormai completamente deserto, davanti un enorme parcheggio ancora pieno di veicoli e alla sua destra un piccolo boschetto nascondeva delle villette agli occhi dei più curiosi.

    L’immagine sembrava simile, ma qualcosa non quadrava.

    Ripensò a Greta e al suo comportamento.

    Capiva che la natura ha delle esigenze, e accettava il fatto che quelle della sua nuova amica fossero imponenti ed impellenti, oltre che molto frequenti, ma non trovava corretto il suo gesto.

    Abbandonarla senza dirle una parola sarebbe stato spiacevole anche se fossero state a Chicago, ma lo era ancor di più in un posto per lei semisconosciuto e fuori dal mondo.

    Si alzò il colletto della giacca e si avviò.

    Attraversò il parcheggio e raggiunse la strada.

    Provò a controllare le immagini che si ricordava.

    Vide l’insegna del Burger King in lontananza, vicino notò i pali dell’illuminazione dei campi da tennis e, più lontano, quelli del campo da football, tutto sembrava al posto giusto, svoltò a destra e s’incamminò lungo la corsia pedonale.

    Camminava guardando per terra e questo la portò a notare la pulizia della strada e la perfetta manutenzione dei prati e degli alberi che riempivano il percorso.

    Più che una strada pubblica sembra il giardino di un lord inglese, pensò.

    Proseguì di buon passo, percorrendo tutta la Shore sino all’incrocio con la 6th, almeno così era nei suoi piani.

    Giunta al termine della strada, controllò alla sua sinistra, ma non vide il chiosco dei tacos, capì di aver sbagliato qualcosa, ma non capiva dove.

    Tornò sui suoi passi e si riposizionò davanti al locale.

    Visualizzò nuovamente le immagini che aveva in memoria che, però, confermavano la sua scelta precedente.

    Si guardò attorno e, con sua grande sorpresa, notò che il parcheggio aveva un’altra uscita, poco lontana da quella in cui si trovava lei in quel momento.

    La differenza non era molta, ma la strada da cui si accedeva era un’altra, e questo cambiava completamente il percorso verso la fermata dell’autobus.

    Si spostò verso la seconda uscita e ricontrollò mentalmente le indicazioni.

    Anche da questa posizione il suo ragionamento funzionava perfettamente, ma la strada che avrebbe preso sarebbe stata in diagonale rispetto alla precedente, portandola in un punto totalmente diverso della statale.

    Ripartì, questa volta sul percorso corretto, seguì la Maple sino all’incrocio e si fermò.

    Il chiosco dei tacos era dove avrebbe dovuto, ma, per sua sfortuna, anche l’autobus era già al suo posto, o meglio, se ne stava già andando.

    Jennifer provò uno scatto, ma l’autista non diede segno di reazione, partì con uno sbuffo di fumo, lasciandola sola nella notte di un paese sconosciuto.

    Jennifer imprecò a bassa voce, poi pensò a cosa fare.

    Poteva tornare a sedersi all’interno del locale ed aspettare Greta, ma dubitava che sarebbe rientrata.

    C’era il moro, ma era senz’auto e, di conseguenza, inutile.

    L’alternativa erano cinque miglia a piedi, sola e di notte, davvero un bel programma.

    Pensò che, al di là di tutto, rientrare nel locale sarebbe stata la scelta migliore, anche se avesse dovuto aspettare Greta o qualunque altro in grado di darle un passaggio a casa, almeno lo avrebbe fatto al caldo.

    Stava per tornare verso il parcheggio quando, alle sue spalle, il rumore di un’auto attirò la sua attenzione.

    Si voltò.

    Le luci le impedivano di vedere il conducente e la cosa non le piaceva.

    L’auto si avvicinò lentamente.

    La ragazza fece un passo di lato, scostandosi dalla strada.

    Il borbottio del motore si fece più intenso e minaccioso.

    Jennifer si spostò sul piccolo marciapiede ed attese.

    L’auto accostò e si fermò accanto a lei.

    La ragazza si abbassò e guardò dentro l’abitacolo.

    Quello che vide la lasciò sorpresa.

    Mi era sembrato di capire che non avessi la macchina sottolineò, più infastidita che sorpresa.

    Il moro sorrise.

    Non l’avevo, ma ho pensato che una come te meritasse un passaggio. Ho chiesto ad un amico di prestarmela per un’ora. Se ti va, ti accompagno io.

    Si può fare rispose la ragazza, ma, giusto per essere chiara, io non sono Greta, il tutto si limita ad un passaggio, nulla di più.

    Ovvio, questo era chiaro già da prima, non mi aspettavo niente di diverso.

    Jennifer ci pensò un attimo, poi aprì lo sportello.

    E’ sempre meno pericoloso che in strada da sola, pensò.

    Si accomodò ed allacciò la cintura di sicurezza.

    Se mi vedesse mia madre disse a bassa voce.

    Perché? Chiese il ragazzo.

    "E’ sempre stata la sua prima raccomandazione, non salire mai in auto con degli sconosciuti, è pericoloso."

    Il moro si avviò e sorrise.

    Non sono così sconosciuto disse, poi, senza guardarla, aggiunse:

    Comunque, tua madre aveva ragione.

    Capitolo 2

    L’auto svoltò davanti all’Harris Bank Center, e subito dopo entrò nel parcheggio accanto, lo percorse sino alla fine e si fermò in uno degli spazi riservati.

    Un uomo alto e robusto, probabilmente un ex giocatore di football, scese dall’auto nel suo completo nero, si fermò un attimo accanto alla vettura, poi sospirò, mise gli occhiali nel taschino e si diresse verso il palazzo, salì le scale, superò la portineria ed entrò in una grande stanza.

    C’era una moltitudine di persone che si muoveva convulsamente, facendo un fracasso del diavolo.

    L’uomo attraversò quell’anomalo campo da gioco e s’infilò in un corridoio, lo percorse a passo di marcia, poi si fermò di scatto.

    La targhetta sulla porta diceva Capitano Marvin Garrison e questo bastava.

    Bussò delicatamente ed attese.

    Avanti disse una voce potente dall’interno.

    L’uomo aprì e si accomodò.

    Comandante, Alex disse.

    Ciao Tim, siediti rispose il collega.

    L’uomo si sedette sulla poltroncina accanto alla porta.

    Vedendo il comandante impegnato, cercò di capire cosa lo aspettasse.

    Cos’è successo? Chiese, sottovoce.

    Non saprei rispose Alex, sono entrato dieci secondi prima di te.

    Attesero in silenzio alcuni minuti, poi il comandante posò il telefono e si rivolse a loro.

    Buongiorno ragazzi disse, accennando un sorriso.

    Ero al telefono con l’agente Dhoan dell’ufficio centrale di Chicago. Questa mattina hanno trovato un cadavere sulle sponde del Rock River, a Beloit.

    E perché chiamano noi? Chiese d’impeto Tim.

    Il comandante lo guardò senza rispondere, prese il foglio sul quale aveva annotato tutto e riprese il discorso.

    "Dicevo, è stato trovato un cadavere a Beloit, ma più precisamente a South Beloit che, come voi saprete, rientra nello stato dell’Illinois. Secondo i primi rilievi, sembra un assassinio riconducibile ad un serial killer attivo lungo il fiume da un paio di mesi e che, prima d’ora, aveva sempre colpito a nord della città che, come saprete, rientra nello stato del Wisconsin. Questo dettaglio porta il reato a livello federale e, visto che noi siamo agenti federali e, per di più, molto vicini al luogo del ritrovamento, ci rende la soluzione più ovvia per un intervento rapido e preciso."

    Siamo sicuri che il cadavere fosse oltre il confine? Chiese Tim.

    Il comandante controllò il foglio.

    Direi di sì, di solo mezzo miglio, ma sì, era oltre il confine.

    Alex vide l’espressione del collega e temette il peggio, così cerco d’interrompere la discussione.

    Come ci organizziamo? Chiese.

    Sul posto c’è la polizia di Beloit e, molto probabilmente, arriverà anche quella di Janesville, erano loro a seguire il caso sino a stamattina. Coordinatevi con loro, ma tenete presente che il caso ora è nostro.

    Ma cercò di dire Tim.

    Un calcetto in una caviglia lo fece desistere dal suo intento.

    Dicevi? Chiese il comandante.

    Niente, niente rispose.

    Alex si alzò, invitando il collega a seguirlo.

    Noi andiamo disse.

    Aprì la porta e spinse delicatamente Tim fuori.

    Richiuse e si fermò a guardarlo.

    Che c’è? Chiese Tim, stupito del comportamento del collega.

    Andiamo, ne parliamo in auto.

    Scesero nei garage e raggiunsero il loro Suburban, Alex si mise alla guida e raggiunse l’uscita.

    L’enorme SUV nero lasciò il parcheggio sotterraneo dell’agenzia e s’immise sulla West State, si fermò all’incrocio ed attese pazientemente il suo turno.

    Svoltò sulla Main e si avviò verso Beloit.

    All’altezza del cimitero di Greenwood, Alex ruppe gli indugi.

    Vuoi parlarne? Chiese.

    Tim lo guardò perplesso.

    Di cosa?

    Del tuo problema.

    Ho un problema? Chiese, sorpreso, Tim.

    C’è qualcosa che ti pesa sulle spalle come un macigno, ne vuoi parlare?

    Cosa te lo fa pensare? Chiese Tim, fingendo un’improbabile tranquillità.

    Vediamo rispose Alex, fingendo di riepilogare gli indizi, sei arrivato dopo di me, prima volta in cinque anni, hai la stessa cravatta di ieri, nonostante fosse macchiata, e hai cercato di schivare un lavoro importante senza nemmeno inventare una scusa plausibile, normalmente lo avresti accettato di buon grado, anzi, lo avresti richiesto. Devi ammettere che sono tre situazioni anomale già singolarmente, figuriamoci in contemporanea.

    Tim non rispose subito, si voltò verso il finestrino.

    Guardò sfilare un grande stabile blu cobalto che conteneva una lavanderia a gettoni, un distributore ed un piccolo agglomerato di case, stretto e lungo, immagine stereotipata dei villaggi western, che gli ricordò i vecchi film di John Wayne.

    Lory disse, sottovoce.

    Ovvio Commentò Alex, cos’è successo?

    Tim sospirò.

    In realtà, niente, ed è proprio questo il problema.

    Scusa, non ti seguo.

    Tim prese tempo, non erano cose da spifferare al mondo, ma Alex non era il mondo, era il suo partner, passava con lui più tempo che con sua moglie, era la sua seconda famiglia, non era cosa da poco.

    Da un paio di mesi c’è un’aria gelida, niente litigi, niente risate, niente, e non ne capisco il motivo.

    Pensi ci sia un altro?

    La domanda era pesante, ma Alex aveva fatto lo stesso ragionamento di Tim, non erano colleghi, erano amici e ad un amico puoi dire e chiedere qualsiasi cosa.

    Non credo. E’ vero che non sarei il primo investigatore che, in casi personali, non riconosce indizi grandi come una casa, ma ho provato a trattare la cosa come un caso qualsiasi, ho studiato il comportamento, il linguaggio del corpo, le parole, niente mi porterebbe a pensare ad un tradimento.

    Alex controllò lo specchietto retrovisore ed attraversò la strada, fermandosi nel piazzale di una concessionaria.

    Tim lo guardò sorpreso.

    Che ci facciamo qui? Chiese.

    Non hai pensato che il problema sia proprio quello? Chiese Alex.

    Non ti seguo.

    Il lavoro. Hai trattato un problema familiare come un caso di lavoro, e se fosse proprio il lavoro il tuo problema?

    Tim lo guardò incerto.

    Continuo a non seguirti disse.

    Conosco Lory da parecchi anni, è una donna vivace, attiva e innamorata. Non hai pensato che, forse, si sente solo trascurata? Non te lo dice per non ferirti, è ben consapevole di quanto tu tenga al tuo lavoro, ma forse vorrebbe qualche attenzione in più.

    Tim ci pensò un attimo.

    Effettivamente stiamo poco tempo insieme, non l’avevo considerata sotto questo punto di vista.

    Ok, forse abbiamo capito la malattia, ora cerchiamo una cura propose Alex.

    Lo sguardo di Tim tradì un certo imbarazzo.

    Non sono mai stato molto bravo in queste cose disse.

    Alex sorrise, batté una mano sulla possente spalla del collega e annuì.

    Tranquillo disse, per quello ci sono io.

    Tim sgranò gli occhi, in bilico fra il compiaciuto ed il sorpreso, ma non disse nulla, voleva vedere fino a dove si sarebbe spinto quel moderno Cyrano d’oltreoceano.

    Punto numero uno, serve un colpo ad effetto per dimostrare quello che provi per lei. Qual è la cosa che preferisci fare con lei?

    Tim arrossì.

    Ok, la seconda precisò Alex.

    Tim ci pensò per un attimo, cambiando risposta mentalmente più volte.

    Mangiare disse alla fine.

    Mangiare ripeté Alex, Sicuro? Chiese, non troppo convinto.

    In realtà, è lei che adora mangiare, io adoro guardarla mentre lo fa.

    Alex alzò un dito, come se volesse dire qualcosa, poi lo abbassò.

    Lasciamo stare disse, ma la strada è quella giusta. La puoi portare in un bel ristorante per una cena romantica, ha sempre un bel ascendente sulle donne.

    Tim annuì.

    Sarebbe un’idea, lei ama la buona cucina, non mangia molto, ma le piace la buona tavola, come dice lei, io non ci capisco molto e non trovo che ci sia nulla di eccezionale nei ristoranti che sceglie lei, di solito sono italiani o francesi, non ne capisco la differenza, ma sono certo che quando esce da quei posti, sembra sempre molto felice.

    Vedi che se ti applichi ci riesci lo rincuorò il collega.

    Grande, purtroppo non avrei idea di dove portarla.

    Uno dei posti che citavi prima potrebbe andar bene disse Alex, sorpreso.

    In verità, non saprei. Io sono molto americano, per me il massimo della cena è un doppio hamburger con tante patatine fritte e un milkshake alla banana, non saprei quale scegliere.

    Alex storse il naso, l’immagine che si era materializzata nella sua mente gli mise un brivido lungo la schiena.

    Non era proprio quello che speravo disse.

    Lo supponevo rispose Tim, nascondendo un certo imbarazzo.

    Facciamo così suggerì Alex, hai detto che spesso i ristoranti dove andate sono italiani, mio cugino ha un ristorante a Chicago, sarebbe fuori badget, ma a quello ci penso io, se sei d’accordo lo chiamo e ti prenoto un tavolo per sabato sera.

    Sabato? E il motivo?

    Se ti serve un motivo per uscire a cena con tua moglie, il problema va oltre le mie possibilità commentò Alex deluso.

    Hai ragione, sono un idiota.

    In questa particolare situazione, sì infierì Alex.

    Tim non ribatté, sapeva di non essere il massimo nei rapporti interpersonali, specialmente con gli affetti, ma tutti i suoi sforzi non avevano reso un granché, almeno sino ad ora, così incassò il colpo ed attese che il collega finisse di spiegargli tutto il programma.

    Io prenoto, tu avvisa Lory che sabato avete un impegno, mai stai sul vago, falla sembrare una cosa noiosa, quasi una scocciatura. Dille che devi presenziare ad un comizio in un grande albergo, falla vestire elegante, ma non dirle della cena. La sorpresa sarà ancora più dirompente.

    Tim iniziò ad inquadrare la cosa nel suo insieme e sorrise.

    E poi? Chiese.

    Alex alzò gli occhi al cielo.

    Se facessi l’agente come fai il marito, saresti morto vent’anni fa commentò.

    L’espressione di Tim era eloquente e Alex non si accanì oltre.

    All’organizzazione della cena penso io, tu cerca di essere romantico e, soprattutto, fai finta di sapere sempre cosa sta succedendo.

    Tim diede il suo ok con la mano, contento di non doversi occupare di quel settore della vita di coppia che gli era sempre stato ostico.

    Alex controllò la strada, attraversò e tornò sulla corsia diretta a Beloit, il primo round era andato a buon fine.

    Superarono la Riverside e Tim notò le superfici commerciali, dotate di grandi parcheggi, che occupavano l’incrocio su tre dei quattro lati, e si rese conto del numero di veicoli presenti.

    Le aree di sosta non erano completamente piene, ovviamente, ma le presenze erano di gran lunga superiori alla media, se si consideravano gli ultimi anni. La crisi economica aveva colpito duramente anche da quelle parti e lui si sentiva fortunato ad avere un lavoro che non risentiva degli alti e bassi del mercato.

    Era davvero fortunato, pensò, e l’immagine di Lory confermò la sua idea.

    Aveva un lavoro sicuro, una moglie che amava, una salute di ferro, insomma, incarnava la base del sogno americano, senza eccessi, senza la necessità di pretendere il lusso o la ricchezza, ma la libertà e quella giusta dose di felicità che chiunque meriterebbe.

    Guardò alla sua sinistra e vide l’immensa distesa di campi di grano, mais ed avena che si allungava per oltre sette miglia, e pensò a che ne sarebbe stato della sua colazione se quelle persone avessero smesso di fare il loro lavoro, si sarebbe dovuto convertire a brioches e cappuccini, come il suo collega.

    Un brivido gli percorse la schiena, tornò a voltarsi verso la strada, proprio mentre la stessa finiva.

    Alex svoltò, imboccando una parallela, il tratto centrale della Main era in fase di ricostruzione, dovevano percorrere circa tre miglia sulla vecchia strada, evitando, se possibile, di mangiare troppa polvere.

    Viaggiarono a velocità ridotta sino alle porte di Rockton, dove la strada tornava nella sua carreggiata originale,

    attraversarono il paese e si diressero verso Beloit.

    Ad un certo punto, Tim notò un grande orologio a quattro facce che s’innalzava dall’aiuola al centro della carreggiata.

    Dovremmo esserci disse.

    Alex rallentò e cercò la strada che portava al fiume.

    Svoltò a sinistra e procedette lentamente.

    Improvvisamente la strada finì.

    La lingua d’asfalto terminava contro la banchina della ferrovia, era impossibile proseguire.

    Alex abbassò il finestrino e chiese ad un uomo che stava armeggiando col motore di un vecchio furgone.

    Mi scusi disse, siamo dell’FBI, dovremmo raggiungere l’isolotto che c’è dietro la ferrovia.

    L’uomo li fissò per un attimo, sputò un grumo di tabacco e si passò una mano unta sulle labbra.

    Dovete tornare indietro disse malvolentieri, proseguire sino al ponte, poi a sinistra, due volte.

    Grazie rispose Alex, accennando un sorriso che, per come la vedeva lui, poteva essere addirittura offensivo.

    Fece inversione e tornò sulla Blackhawk, svoltò a sinistra e cercò il ponte.

    Lo trovò mezzo miglio più avanti, ma non c’era una strada in cui svoltare.

    Questo è il Turtle Creek disse Tim, la strada dev’essere più avanti.

    Proseguirono nella stessa direzione, fino a che videro un enorme cartello blu che faceva bella mostra di sé ad un incrocio, proprio davanti ad un chiosco del McDonald.

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