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Italian Graffiti: 60 recensioni di libri italiani ad uso di librai, bibliotecari e lettori impenitenti
Italian Graffiti: 60 recensioni di libri italiani ad uso di librai, bibliotecari e lettori impenitenti
Italian Graffiti: 60 recensioni di libri italiani ad uso di librai, bibliotecari e lettori impenitenti
Ebook260 pages3 hours

Italian Graffiti: 60 recensioni di libri italiani ad uso di librai, bibliotecari e lettori impenitenti

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Leggendo la recensione di un libro, spesso si ha la sensazione che il recensore s’impegni più a sezionare l’opera solo per il gusto di sfoggiare la propria cultura che non nel provare ad avvicinare il potenziale lettore al testo, oppure, che l’opera segnalata sia frutto di un giornalismo succube di mera informazione pubblicitaria.
In questa raccolta di recensioni italiane sono i libri stessi a raccontarsi, e lo fanno con le sole parole in loro possesso, quelle stampate. Grazie agli estratti dalle loro opere ci si avvicina (o riavvicina) a Italo Calvino, Carlo Cassola, Carlo Collodi, Edmondo De Amicis, Beppe Fenoglio, Primo Levi, Paolo Villaggio, Dino Buzzati, Alessandro Manzoni, Pier Paolo Pasolini, Cesare Pavese, Leonardo Sciascia, Ignazio Silone, Mario Soldati, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e a tanti altri ancora.
Una raccolta adatta a tanti usi, più o meno ortodossi: dar sfoggio di cultura, scegliere che cosa leggere davvero, trovare una mano per i compiti a scuola... ma anche una guida formidabile per librai e bibliotecari.

 
LanguageItaliano
Release dateDec 15, 2017
ISBN9788893371902
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    Italian Graffiti - Marco Sommariva

    Marco Sommariva

    ITALIAN GRAFFITI

    (Sessanta recensioni di libri italiani a uso di librai, bibliotecari e lettori impenitenti)

    ITALIAN GRAFFITI

    (Sessanta recensioni di libri italiani

    a uso di librai, bibliotecari e lettori impenitenti)

    Marco Sommariva

    Collana Officina Marziani

    a cura di

    Michele Marziani

    ISBN 9788893371902

    copyright © 2017 Antonio Tombolini Editore

    digital rights reserved

    Via Villa Costantina, 61,

    60025 Loreto Ancona

    Italy

    email: info@antoniotombolini.com

    www.antoniotombolini.com

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    Twitter

    Immagine di copertina a cura di Marta D’Asaro

    ISBN: 9788893371902

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Presentazione

    Introduzione

    Storia della Colonna Infame di Alessandro Manzoni

    Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

    Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi

    Sull’oceano di Edmondo De Amicis

    La casa dell’uomo di Mario Mariani

    Non piangete la mia morte di Bartolomeo Vanzetti

    Fontamara di Ignazio Silone

    Vino e pane di Ignazio Silone

    Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati

    Il Quartiere di Vasco Pratolini

    Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino

    Se questo è un uomo di Primo Levi

    Il mestiere di vivere di Cesare Pavese

    Le libere donne di Magliano di Mario Tobino

    Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani

    Un amore di Dino Buzzati

    Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio

    Pasolini su Pasolini di Pier Paolo Pasolini e Jon Halliday

    Fantozzi di Paolo Villaggio

    Ritratto in piedi di Gianna Manzini

    Vogliamo tutto di Nanni Balestrini

    Lo smeraldo di Mario Soldati

    Todo modo di Leonardo Sciascia

    Ventotene di Alberto Jacometti

    Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini

    Porci con le ali di Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera

    La lezione della storia di Carlo Cassola

    Un uomo solo di Carlo Cassola

    Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli

    Baol di Stefano Benni

    Insciallah di Oriana Fallaci

    Conversazioni con Marcello Bernardi di Roberto Denti

    Vita agra di un anarchico di Pino Corrias

    In ogni caso nessun rimorso di Pino Cacucci

    Il coraggio del pettirosso di Maurizio Maggiani

    Il pettine di Laura Pariani

    L’autunno della signora Waal di Nico Orengo

    Camminando di Pino Cacucci

    Un caffè molto dolce di Maria Luisa Magagnoli

    Uomini e donne di Fabrizio De André di Romano Giuffrida

    Macario un comico caduto dalla luna di Mauro Macario

    Non è successo niente di Tiziano Sclavi

    Il piccolo diavolo nero di Gianfranco Manfredi

    La villeggiatura di Mussolini di Silverio Corvisieri

    De Andrè: gli occhi della memoria di Romano Giuffri

    Il contrario di uno di Erri De Luca

    Angelicamente anarchico di Don Andrea Gallo

    La Resistenza spiegata a mia figlia di Alberto Cavaglion

    Gomorra di Roberto Saviano

    Il giorno prima della felicità di Erri De Luca

    Dialoghi incivili di Simone Cristicchi

    L’anarchia spiegata a mia figlia di Pippo Gurrieri

    Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda

    One Big Union di Valerio Evangelisti

    Spostare l’orizzonte di Eugenio Finardi e Antonio G. D’Errico

    Incrocio di sguardi di Ascanio Celestini e Alessio Lega

    Un marziano genovese a Roma di Giuliano Montaldo e Caterina Taricano

    Elogio della disobbedienza civile di Goffredo Fofi

    Eravamo come voi di Marco Rovelli

    La Triomphante di Teresa Cremisi

    Presentazione

    La prima volta che ho visto una delle recensioni di Marco Sommariva sono rimasto folgorato: non erano le solite pseudocritiche a uso del recensore e dei suoi amici, ma una vera e propria guida alla lettura.

    Certo, sono una guida di parte, come spiega lo stesso autore nella sua introduzione, ma non per questo meno valida e utile. Adatta a tanti usi, più o meno ortodossi: dar sfoggio di cultura, scegliere che cosa leggere davvero, trovare una mano per i compiti a scuola... ma è soprattutto una guida formidabile per librai e bibliotecari dalla memoria corta o troppo piena in questo tempo dove i libri arrivano uno dietro l'altro come se piovesse.

    Questo secondo volume viaggia nel cuore della letteratura italiana attraverso le letture di Marco Sommariva che è scrittore, ma soprattutto lettore finissimo. All'interno del libro troverete il meglio di queste sue capacità: leggere e scrivere. Una lettura indispensabile per chi ama la letteratura italiana e ha voglia di scoprire scrittori non sempre da antologia.

    Michele Marziani

    Introduzione

    Era l’agosto 1991 quando decisi che era ora d’iniziare a sottolineare i libri che leggevo; intendo, quei passaggi che per svariate ragioni mi avevano colpito, anche per motivi poco edificanti.

    Decisione nata inizialmente dalla discutibile convinzione che – lentamente, ma inesorabilmente – mi stavo perdendo quanto imparato da tutte le mie letture precedenti. Decisione che, in effetti, ho poi scoperto essere utilissima in quanto mi permette di ritrovare molto velocemente quanto voglio rileggere: mi è sufficiente ricordare (almeno) l’autore, pormi di fronte alla sezione a lui dedicata nella libreria di casa, sfogliare le pagine annotate sulla terza di copertina, rileggere i passaggi sottolineati e il gioco è fatto. Gioco ancor più rapido se invece che l’autore, ricordo il titolo esatto; rapidissimo se ho già fissato il lavoro sul mio computer.

    Era il gennaio 2012 quando decisi d’iniziare a dar voce agli oltre 700 libri letti e sottolineati nel frattempo. Decisione presa alla luce delle tante recensioni lette sino a quel giorno, dove troppo spesso avevo la sensazione che il recensore di turno s’impegnasse più a dissezionare l’opera solo per il gusto di sfoggiare la propria cultura che non nel provare ad avvicinare il potenziale lettore al testo in esame, dove troppo spesso avevo la sensazione che le opere segnalate fossero frutto di un giornalismo succube di mera informazione pubblicitaria, per non parlare delle recensioni che impazzano sul web: rete trafficata da gente che pare pensare Dico la mia quindi esisto, senza tener conto che quando tutti dicono la propria non esiste più nessuno.

    Detto questo, per riuscire nel mio intento era fondamentale far fuori il recensore stesso, chiunque esso fosse; in questo caso, il sottoscritto. L’unico modo che mi pareva avvicinarsi a questo originale suicidio era far parlare proprio il libro. Ma come? Semplice! Con le sole parole già in suo possesso, quelle stampate. Era chiaro che non potevo farmi fuori completamente, l’anima del suicida avrebbe comunque aleggiato sul lavoro: qualcuno doveva pur scegliere gli estratti, soprattutto… che genere di estratti andavo cercando? E qui ebbi quella che credetti fosse un’illuminazione tutta mia: dare ampio spazio a quei messaggi contenuti nella cultura mainstream che propagandavano il mio pensiero, quello libertario, o comunque facessero a questo l’occhiolino. E così iniziai.

    Credetti per anni fosse un’illuminazione tutta mia e, invece, tempo fa ho scoperto che, molto prima di me, Pëtr Alekseevič Kropotkin aveva realizzato che la propaganda del pensiero anarchico avrebbe avuto maggior successo se si fosse riusciti a dimostrare che questo messaggio è contenuto anche in quella cultura che piace a tutti – mainstream, appunto.

    Ammetto di non aver approfondito l’argomento, di non aver fatto alcuna ricerca per sapere se Kropotkin abbia poi messo davvero in pratica la sua idea, e questo è successo perché ero troppo impegnato a farlo io.

    Il testo che vi apprestate a leggere, completamente dedicato alla letteratura italiana, è il secondo di una serie cominciata con WRITTEN IN THE USA dedicato alle opere degli scrittori americani.

    Buona lettura!

    Marco Sommariva

    A mia madre,

    a mio padre,

    a mio figlio Andrea.

    Grazie a

    Fabio Zanini.

    Trista gente è quella di un popolo

    che segue lo sbatter di bandiere e stendardi

    piuttosto che le idee ben masticate.

    Cosa da deprecare

    non è il tempo che si consuma nel confronto.

    L’errore che non troverà mai rimedio

    è invece quello di risolvere ogni decisione per applauso.

    Niccolò Machiavelli

    Storia della Colonna Infame

    di Alessandro Manzoni, edito da Feltrinelli

    In Storia della Colonna Infame (1840) il Manzoni mette in primo piano l’enorme dolore degli umili che furono vittime dell’ingiustizia e della cecità di giudici diretti dalla passione; accusati, spinti a cedere anche la personale dignità nel calunniare se stessi e altri dietro vane promesse, due poveracci milanesi del Seicento nell’epoca della peste sono protagonisti e vittime di questa drammatica ricostruzione. L’insieme di questa storia d’iniquità e violenza del potere, di dolore e di vergogna delle vittime, conferisce all’umana amministrazione della giustizia, smarrito ogni senso religioso, ogni riferimento ideale alla giustizia superiore di chi solo sa, un che di orribilmente fragile e precario.

    Potrete leggere passaggi come questi:

    - Ai giudici che, in Milano, nel 1630, condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accusati d’aver propagata la peste con certi ritrovati sciocchi non men che orribili, parve d’aver fatto una cosa talmente degna di memoria, che, nella sentenza medesima, dopo aver decretata, in aggiunta de’ supplizi, la demolizion della casa d’uno di quegli sventurati, decretaron di più, che in quello spazio s’innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un’iscrizione che tramandasse ai posteri la notizia dell’attentato e della pena. E in ciò non s’ingannarono: quel giudizio fu veramente memorabile.

    - (…) l’uomo può ingannarsi, e ingannarsi terribilmente (…) il sospetto e l’esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni. Per citarne un esempio anch’esso non lontano, anteriore di poco al colera; quando gl’incendi eran divenuti così frequenti nella Normandia, cosa ci voleva perché un uomo ne fosse subito subito creduto autore da una moltitudine? L’essere il primo che trovavan lì, o nelle vicinanze; l’essere sconosciuto, e non dar di sé un conto soddisfacente: cosa doppiamente difficile quando chi risponde è spaventato, e furiosi quelli che interrogano; l’essere indicato (…) da un ragazzo che, preso in sospetto esso medesimo per uno strumento della malvagità altrui, e messo alle strette di dire chi l’avesse mandato a dar fuoco, diceva un nome a caso.

    - (…) più d’una volta la moltitudine eseguì da sé la sua propria sentenza; felici que’ giurati, se entrarono nella loro sala ben persuasi che non sapevano ancor nulla, se non rimase loro nella mente rimbombo di quel rumore di fuori, se pensarono, non che essi erano il paese, come si dice spesso con un traslato di quelli che fanno perder di vista il carattere proprio e essenziale della cosa, con un traslato sinistro e crudele nei casi in cui il paese si sia già formato un giudizio senza averne i mezzi; ma ch’eran uomini esclusivamente investiti della sacra, necessaria, terribile autorità di decidere se altri uomini siano colpevoli o innocenti.

    - (…) per quanto le leggi possano essere particolarizzate, non cesseranno forse mai d’aver bisogno d’interpreti (…).

    - (…) nel secolo XIII, Guido da Suzara, trattando della tortura (…) dice esser suo intento d’imporre qualche moderazione ai giudici che incrudeliscono senza misura. Nel secolo seguente, Baldo applica il celebre rescritto di Costantino contro il padrone che uccide il servo, ai giudici che squarcian le carni del reo, perché confessi; e vuol che, se questo muore ne’ tormenti, il giudice sia decapitato, come omicida. Più tardi, Paride dal Pozzo inveisce contro que’ giudici che, assetati di sangue, anelano a scannare, non per fine di riparazione né d’esempio, ma come per un loro vanto (…); e sono per ciò da riguardarsi come omicidi. Badi il giudice di non adoprar tormenti ricercati e inusitati perché chi fa tali cose è degno d’esser chiamato carnefice piuttosto che giudice, scrive Giulio Claro. Bisogna alzar la voce (…) contro que’ giudici severi e crudeli che, per acquistare una gloria vana, e per salire, con questo mezzo, a più alti posti, impongono ai miseri rei nuove specie di tormenti, scrive Antonio Gomez.

    - Un giudice può, avendo in carcere una donna sospetta di delitto, farsela venire nella sua stanza secretamente, ivi accarezzarla, fingere di amarla, prometterle la libertà affine d’indurla ad accusarsi del delitto, e che con un tal mezzo un certo reggente indusse una giovine ad aggravarsi d’un omicidio, e la condusse a perdere la testa.

    - (…) era insegnamento comune, e quasi universale de’ dottori, che la bugia dell’accusato nel rispondere al giudice fosse uno degl’indizi legittimi, come dicevano, alla tortura.

    - Vollero (i giudici, nda) cominciar dalla tortura. Senza entrare in nulla che toccasse circostanze, né sostanziali né accidentali, del presunto delitto, moltiplicarono interrogazioni inconcludenti, per farne uscir de’ pretesti di dire alla vittima destinata: non è verisimile; e, dando insieme a inverisimiglianze asserite la forza di bugie legalmente provate, intimar la tortura. È che non cercavano una verità, ma volevano una confessione: non sapendo quanto vantaggio avrebbero avuto nell’esame del fatto supposto, volevano venir presto al dolore, che dava loro un vantaggio pronto e sicuro: avevan furia.

    - (…) la falsa coscienza trova più facilmente pretesti per operare, che formole per render conto di quello che ha fatto.

    - La confessione fatta nella tortura non valeva, se non era ratificata senza tortura, e in un altro luogo, di dove non si potesse vedere l’orribile strumento, e non nello steso giorno. Eran ritrovati della scienza, per rendere, se fosse stato possibile, spontanea una confessione forzata, e soddisfare insieme al buon senso, il quale diceva troppo chiaro che la parola estorta dal dolore non può meritar fede (…).

    - (…) una legge avviata che sia, può estendersi al di là del suo principio, e sopravvivergli.

    - (…) replico che quello che dissi hieri non è vero niente, et lo dissi per li tormenti. (…) stimolato a confermar la sua confessione, disse: in conscienza mia, non è vero niente. Condotto subito nella stanza della tortura, e legato, con quella crudele aggiunta del canapo, l’infelicissimo disse: V.S. non mi stij a dar più tormenti, che la verità che ho deposto, la voglio mantenere. Slegato e ricondotto nella stanza dell’esame, disse di nuovo: non è vero niente. Di nuovo alla tortura, dove di nuovo disse quello che volevano; e avendogli il dolore consumato fino all’ultimo quel poco resto di coraggio, mantenne il suo detto, si dichiarò pronto a ratificar la sua confessione; non voleva nemmeno che gliela leggessero. A questo non acconsentirono: scrupolosi nell’osservare una formalità ormai inconcludente, mentre violavan le prescrizioni più importanti e più positive. Lettogli l’esame, disse: è la verità tutto.

    Il Gattopardo

    di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, edito da Feltrinelli

    Il Gattopardo, apparso per la prima volta nell’autunno del 1958 a cura di Giorgio Bassani, ruota quasi interamente attorno a un solo personaggio: Fabrizio Salina, il Principe. Ambientato in Sicilia all’epoca del tramonto borbonico, il romanzo racconta di una famiglia della più alta aristocrazia dell’isola, nel momento del trapasso di regime e dell’arrivo di tempi nuovi, dall’anno dell’impresa dei Mille di Giuseppe Garibaldi fino al primo decennio del Novecento; ci offre un’immagine viva della Sicilia, consapevole della problematica storica e politica contemporanea. L'autore ha tratto ispirazione da alcune vicende storiche della sua famiglia, gli aristocratici Tomasi di Lampedusa, e in particolare dalla biografia del bisnonno, il principe Giulio Fabrizio Tomasi – nell'opera, Fabrizio Salina – vissuto durante il Risorgimento.

    Potrete leggere passaggi come questi:

    - Per il Principe (…) il giardino profumato fu causa di cupe associazioni d’idee. Adesso qui c’è buon odore, ma un mese fa… Ricordava il ribrezzo che le zaffate dolciastre avevano diffuso in tutta la villa prima che ne venisse rimossa la causa: il cadavere di un giovane soldato del 5° Battaglione Cacciatori che, ferito nella zuffa di San Lorenzo contro le squadre dei ribelli era venuto a morire, solo, sotto un albero di limone. Lo avevano trovato bocconi nel fitto trifoglio, il viso affondato nel sangue e nel vomito, le unghia confitte nella terra, coperto dai formiconi; e di sotto le bandoliere gl’intestini violacei avevano formato pozzanghera. Era stato Russo, il soprastante, a rinvenire quella cosa spezzata, a rivoltarla, a nascondere il volto col suo fazzolettone rosso, a ricacciare con un rametto le viscere dentro lo squarcio del ventre, a coprire poi la ferita con le falde verdi del cappottone; sputando continuamente per lo schifo, non proprio addosso ma assai vicino alla salma. Il tutto con preoccupante perizia. Il fetore di queste carogne non cessa neppure quando sono morte diceva. Era stato tutto quanto avesse commemorato quella morte derelitta. (maggio 1860)

    - Del morto non si era parlato più (…); ed, alla fin dei conti, i soldati sono soldati appunto per morire in difesa del Re. (maggio 1860)

    - (…) è morto per il Re (…). Per il Re, che rappresenta l’ordine, la continuità, la decenza, il diritto, l’onore; per il Re che solo difende la Chiesa, che solo impedisce il disfacimento della proprietà, mèta ultima della ‘setta’. (maggio 1860)

    - Gran bella cosa la scienza quando non le passa p’a capa di attaccare la religione! (maggio 1860)

    - (…) andava chiedendosi chi fosse destinato a succedere a questa monarchia che aveva i segni della morte sul volto. Il Piemontese, il cosiddetto Galantuomo che faceva tanto chiasso nella sua piccola capitale fuor di mano? Non sarebbe stato lo stesso? Dialetto piemontese invece che napoletano; e basta. (maggio 1860)

    - Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. (maggio 1860)

    - (…) non se ne può più: perquisizioni, interrogatori, scartoffie per ogni cosa, uno sbirro a ogni cantone; un galantuomo non è libero di badare ai fatti propri. Dopo, invece, avremo la libertà, la sicurezza, tasse più leggere, la facilità, il commercio. Tutti staremo meglio: i preti soli ci perderanno. Il Signore protegge i poveretti come me, non loro. (…) Tutto sarà meglio, mi creda, Eccellenza. Gli uomini onesti e abili potranno farsi avanti. Il resto sarà come prima. (maggio 1860)

    - Il Gesuita (…) ridiventò pungente. "In poche parole voi signori vi mettete d’accordo coi liberali, che dico con i liberali! con i massoni addirittura a nostre spese, a spese della Chiesa. Perché è chiaro che i nostri beni, quei beni che sono il patrimonio dei poveri, saranno arraffati e malamente divisi fra i caporioni più impudenti (…). (maggio 1860)

    - Per rassicurare la figlia (il Principe, nda) si mise a spiegare la scarsa efficacia dei fucili dell’esercito regio: parlò della mancanza di rigatura delle canne di quegli enormi schioppi e di quanta scarsa forza di penetrazione fossero dotati i proiettili che da essi uscivano; spiegazioni tecniche in mala fede per giunta, che pochi capirono e dalle quali nessuno fu convinto ma che consolarono tutti perché erano riuscite a trasformare la guerra in un pulito diagramma di forze da quel caos estremamente concreto e sudicio che essa in realtà è. (maggio 1860)

    - Tancredi (…) aveva dinanzi a sé un grande avvenire; egli avrebbe potuto essere l’alfiere di un contrattacco che la nobiltà, sotto mutate uniformi, poteva portare contro il nuovo ordine politico. Per far questo gli mancava soltanto una cosa: i soldi; di questi Tancredi non ne aveva, niente. E per farsi avanti in politica, adesso che il nome avrebbe contato di meno, di soldi ne occorrevano tanti: soldi per comperare i voti, soldi per far favori agli elettori (…). (agosto 1860)

    - (…) che cosa se ne farebbe il Senato di me, di un legislatore inesperto cui manca la facoltà d’ingannare sé stesso, questo requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri?

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