Luce su di noi
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Book preview
Luce su di noi - Luana Carlini
dell’oblio.
PRIMA PARTE -LA MIA VITA
Quando nasciamo, non sappiamo cosa ci aspetta, anche se sono convinta che il libro della nostra vita sia già tutto scritto ma noi lo leggeremo giorno per giorno.
Sono nata in una famiglia normale, composta di quattro persone: mio padre, mia madre e la mia amatissima nonna materna. Sono nata una quindicina d’anni dopo la seconda guerra mondiale, pertanto ancora il benessere vero e proprio non c’era, in casa lavorava solo il mio papà e con l’aiuto della pensione della nonnina si andava avanti, non avevo molto, ma quanto bastava. Mia madre era una donna con un carattere da generale
, se si voleva stare tranquilli, bisognava fare come diceva lei, quindi niente capricci e ubbidienza assoluta, e inoltre non era certo una donna di tante smancerie, tipo carezze, baci e coccole mancavano. A sopperire un po’ a queste mancanze ci pensava la nonna, anche se fondamentalmente era molto simile alla mamma, ma comunque almeno ci provava.La nonna era la mia compagna di vita e di giochi, infatti, spessissimo i miei genitori, uscivano ed io rimanevo a casa con lei, giocavamo a carte, guardavamo la Tv e quando ero stanca, andavamo a dormire insieme, dormivamo nella stessa camera. La nonnina mi parlava mi raccontava tante cose, mi raccontava della sua vita, della guerra, di suo marito morto giovane per un arresto cardiaco quando mia madre aveva solo nove anni. Una vita difficile, molto dura, fatta di tanti sacrifici, tanta miseria, ha allevato otto figli in pratica da sola, tanto dolore per la morte di due figli giovani, ma sempre con tanto coraggio. Mia nonna comunque era una donna che non aveva studiato, aveva frequentato la scuola fino alla seconda elementare, poi è dovuta andare nei campi a lavorare, ma mi ha insegnato tante cose. Mi ha insegnato come ci si siede composti a tavola, come si apparecchia una tavola da galateo; come una signorina deve camminare dritta e composta. Mi sono sempre chiesta come faceva a sapere tutte queste cose, ora che sono adulta, mi pento di non averglielo chiesto. Nella mia vita c’era anche il mio caro nonno paterno. Per me lui era la mia distrazione domenicale, non possedeva la macchina e abitava distante, circa otto chilometri da noi, ma lui la domenica mattina inforcava la sua bicicletta e veniva a prendermi, fin che ero piccolina, mi caricava sul seggiolino della bici e mi portava in centro a Bologna, dovendo percorrere altri dieci chilometri. In centro in piazza, allora c’era una nonnina con una piccola.
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Bancarella che vendeva varie leccornie e il mais per i piccioni, per me era una grande felicità vedere questi piccoli animalettiche venivano senza paura a mangiare direttamente dalle mie mani. Per lui era una gioia vedermi e farmi felice. Una volta più grandicella mi ci portava in autobus, difficilmente mancava di venire, a volte succedeva per il forte maltempo o per il suo stato di salute, era malato di reni, ma non si lamentava mai. Ho un ricordo ancora vivo di lui, della sua dolcezza, dei suoi occhiazzurri limpidi, dove leggevo tutto il suo amore per me. Un giorno avrò avuto sette o otto anni credo, mi fece il regalo più bello che mi potesse fare: la biciclettina adatta a me. Tutti i miei amichetti del rione avevano la bici, io no, non c’erano i soldi per comprarla ed io ero spesso rimanevo sola e abbandonata, tutti andavano via in bicicletta. Alloramio nonno andò da un ferrovecchio ne prese una e me la rimise un po’ in sesto, l’aveva dipinta di un grigio metallizzato, i freni non erano il massimo, ma per me fu una felicità da non poter descrivere. Finalmente potevo anch’io scorazzare con i miei amici! Insomma un’infanzia senza fama e gloria, ma crescevo con un’ottima educazione più che altro impartita dalla nonna materna e con l’amore datomi dal nonno paterno. Poi un giorno il nonno si ammalò ancora più gravemente e fu ricoverato in ospedale. Allora avevo dieci anni e ancora tanti aspetti della vita non potevo conoscerli, chiedevo solo quando sarebbe venuto il nonno a trovarmi. Non avevo la consapevolezza che nella vita c’era qualcosa di diverso, la morte ancora non sapevo cosa fosse. Nessuno mi diceva però che il nonno stava malissimo e che sicuramente non l’avrebbe fatta. Nemmeno la nonna mi disse niente di tutto ciò, forse per preservarmi da preoccupazioni oppure per non dover spiegare certe cose. Una sera arrivò una telefonata e i miei genitori uscirono, non sapevo, dove andavano, mi fu detto dopo al mattino da mia nonna, la situazione del nonno si era ulteriormente aggravata. Il mattino presto ero ancora addormentata, ed è successa una cosa strana. Nel sonno io vedevo me stessa stesa nel letto, come se fossi sopra aleggiante, sapevo che stavo dormendo, a un certo punto ai piedi del letto ho visto il nonno che mi guardava, sorrideva, sentivo freddo, molto freddo, un freddo gelido e ho visto il nonno che mi tirava su le coperte. Nello stesso istante mi sono svegliata da questo sogno
e mi sono resa conto che stava squillando il telefono di casa e sentii mia nonna che rispondeva. Nel frattempo ero rimasta ferma immobile nel letto, impaurita dalla sensazione strana che avevo appena vissuto, ero come paralizzata. Dopo poco entrò in camera la nonna per dirmi che il nonno se ne era andato in cielo. Vedendomi strana mi domandò cosa avevo; gli raccontai per filo e per segno ciò che avevo visto dicendole che ero sicura, che non era un sogno ma che avevo visto veramente il nonno. Con un sorriso sulle labbra dolcemente la nonna mi disse semplicemente che il nonno mi era venuto a salutare prima di andare via e che non dovevo avere paura ma dovevo esserne felice. Forse consapevole nel mio profondo che non avrei mai più rivisto il nonno, non feci successive domande, ma questo episodio è ancora molto vivo dentro di me. Forse chissà è stato sempre qualcosa dentro di me, come se avessi sempre saputo che la morte fa parte della vita.E in ogni caso non può essere stato un condizionamento mentale,infatti, tengo a precisare che in casa mia erano tutti cattolici ma non praticanti diciamo più per conformismo che altro, e l’argomento prevalente era di credere in Dio ma non nella chiesa. Altri argomenti sul tema morte o anima non erano mai toccati, ho avuto i sacramenti prestabiliti come il conformismo vuole ed ho frequentato la chiesa fino a poco dopo la morte del nonno. La fase più mistica che ho vissuto è stato il giorno dellacresima.
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e comunione, mi sentivo come una sposa con il mio vestito bianco lungo, ma non ho mai avuto forte attrazione per la chiesa. Diciamo che sono cresciuta con una forte consapevolezza di qualcosa di più grande al di sopra degli esseri umani, ma mi annoiavano i discorsi fatti in chiesa.E inoltre onestamente i ritratti di Dio che vedevo nelle chiese non rappresentavano la figura dell’essere supremo, che dal mio punto di vista è sempre stato qualcosa di astratto e ancora oggi non lo saprei definire. Da allora in poi non ho più frequentato ambienti cattolici se non per la prassi normale, matrimoni, cresime, battesimi e funerali, ma finiva lì.Passarono tanti anni ancora, crescendo non ripensai più tanto al fatto accadutomi, ogni tanto mi assaliva solo la nostalgia del nonno ma sapendo che non c’era, il mio era solo un pensiero che andava e veniva. Passarono gli anni e nel frattempo successe un fatto che mi mise a dura prova, la morte di un mio caroamico d’infanzia, aveva solo diciannove anni, lì mi riavvicinai per esigenza alla preghiera. Erano preghiere mie interne e alternavo le preghiere a un dialogo con il mio amico che non c’era più. Ovviamente il dialogo era solo mio e unito alle preghiere mi sentivo meglio. Parlavo con il mio amico con il cuore, al momento non avevo tempo per riflettere ma mi dava pace, fare questo era come se sapessi che lui mi stesse ascoltando, ne ero sicura. La vita continuava, ho finito gli studi, mi sono innamorata, mi sono sposata prestissimo, ho avuto due figlie splendide. L’infanzia era finita e