Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Non è di Qua
Non è di Qua
Non è di Qua
Ebook254 pages3 hours

Non è di Qua

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

La scoperta del cadavere di una giovane donna turba la vita di Zungoli, tranquillo borgo dell’Irpinia d’Oriente, luogo di origine della cronista Ida Di Maggio che, giunta sul posto per trascorrere un periodo di vacanza, inizia a seguire le indagini. Mentre il passaparola riempie il lento scorrere delle ore di chi abita quel luogo, Lorenzo Capomazza, comandante della locale stazione dei carabinieri, è costretto a svegliarsi dal torpore delle giornate irpine per ripercorrere le tracce di chi ha commesso il delitto. E così, attraverso la memoria dei luoghi, emerge un quadro di una comunità sbigottita che, sottovoce, è costretta a dialogare con il male e a prendere coscienza che l’impensabile è accaduto.

Libro vincitore nella sezione “Romanzo inedito” del Premio Letterario il Borgo Italiano edizione 2017.
LanguageItaliano
Release dateDec 20, 2017
ISBN9788893372299
Non è di Qua

Related to Non è di Qua

Related ebooks

General Fiction For You

View More

Related articles

Reviews for Non è di Qua

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Non è di Qua - Maria Loreta Chieffo

    tutto.

    CAPITOLO I

    Erano passati mesi dall’ultima volta che l’aveva visto; da quando lui tutto d’un fiato le aveva urlato in faccia che non l’amava più; da quando aveva sputato fuori quelle parole che le rimbombarono nella testa fino a stordirla così tanto da non essere stata neppure capace di desiderare che un’ecatombe si abbattesse su di lui. Le erano rimaste incollate sulla pelle come plastica fusa dal fuoco, corrosive come acido.

    Erano passati mesi da quando lui si era allontanato a grandi passi, liberato forse dal peso di un legame ormai sfrangiato, mentre lei impotente inseguiva le sue spalle curve dentro il giaccone di fustagno.

    Erano passati mesi da quando, dietro la porta che si era chiusa di colpo, le scale buie l’avevano inghiottito.

    E da allora non aveva più smesso di contare i giorni passati senza di lui.

    Come ogni lunedì, che fosse inverno o estate, Ida Di Maggio si recava al mercatino delle pulci di Poggioreale. Alle sette già scendeva di casa. Il sacrificio valeva la pena, continuava a ripetersi per rinfrancarsi del sonno perso. Un sonno che da parecchie notti ormai tardava ad arrivare, come nella notte appena passata, quando vinta dal caldo e dalla paura, quella terribile paura di sentirsi ancora più sola se fosse rimasta in città - e com’è vero che la notte porta sempre consiglio – aveva deciso di riaprire la casa di famiglia, in Irpinia: un paio di settimane di assoluta tranquillità, a pochi chilometri da Napoli, avrebbero restituito sicuro sollievo alla sua situazione personale ormai cambiata. Pensò che non occorrevano scuse per declinare l’invito di Rosi a trascorrere le vacanze nel casale sulle colline del Carmignano, dove l’amica fiorentina si era ritirata a vivere da qualche anno.

    Così convinta, era uscita di casa, con addosso i residui della notte tormentata dall’afa e dai pensieri.

    Poco più di un’ora a confondersi fra cianfrusaglie, pezze e trine vecchie, per poi correre in redazione dove, compiaciuta, avrebbe sistemato sulla sua scrivania tutti gli acquisti, come chi con orgoglio mostra un trofeo di guerra.

    Gli occhi di Ida stavano fissando lo spillo che sfavillava tra il paio di orecchini coperti di lacca bianca e un ninnolo non ben definito, quando il suo cellulare iniziò a squillare: rispondere alla chiamata comportava l’interruzione di uno stato di grazia. Non poteva rischiare di farsi soffiare sotto il naso il ciondolo che la signora dai ricci rossi, a spintoni, tentava di afferrare, esattamente lo stesso che lei più lesta aveva già acciuffato e che avrebbe esaminato meticolosamente, se non fosse stato altro che per la goduria di trovarci una griffe, magari Trifari, di finissima bigiotteria americana. Solo quando l’insistenza dello squillo spinse la vicina avventrice a farle notare irritata che fosse il caso di rispondere, con il ciondolo stretto in una mano, mentre con l’altra frugava nella borsa, le fece intendere che l’amuleto, una civetta dagli occhi di finti rubini, lei non l’avrebbe più mollato.

    Pronto! Zia Rosalia, come mai a quest’ora del mattino?

    Ida, è successo un fatto terribile, assai, assai terribile.

    È successo qualcosa a zia Olga?

    No, no, noi stiamo bene ma qua, hanno trovato...

    Che dici? Come? Pronto zia Rosalia, io sono per strada, non si sente, pronto prontooo, zia Rosalì, ti chiamo appena arrivo in redazione, così mi racconti tutto, prontoooo.

    No, aspetta.

    Ma Ida aveva già chiuso la conversazione con il ciondolo ancora stretto in mano, intanto che già ne aveva adocchiato un altro tra le chincaglierie sparse sul panno azzurro della bancarella.

    Le dispiaceva interrompere la telefonata, ma le lancette dell’orologio avevano preso la rincorsa e, come ogni volta, finì per acquistare in maniera compulsiva quegli oggetti che Pietro, il suo ex compagno, aveva sempre definito terribili schifezze.

    Una volta in ufficio neppure ricordò di chiamare zia Rosalia, fino a quando Ugo Trama, caporedattore de Il Mattino, irruppe nella stanza e, con fare ironico, disse: Zungoli, senti un po’ che è successo?.

    Me lo dici dopo, rispose infastidita. Ho urgenza di finire l’articolo, hai dimenticato che da domani sono in ferie? Come al solito sei in vena di scherzi; non ti abbatte neppure il caldo.

    Non vuoi proprio sapere cos’ è accaduto?, insisteva Ugo Trama con la schiena poggiata alla parete, la camicia sbottonata sul petto umido di sudore, mentre con lo sguardo fissava il climatizzatore che non dava segni di vita.

    Ida alzò la testa di malavoglia, Che stai dicendo? Hai dimenticato cos’è Zungoli? Mille anime, quattro bar e due piazze, un prete a prestito con il paese vicino, cani e gatti senza padrone: cosa vuoi che succeda in un posto così?

    Eppure, è successo qualcosa, intanto premeva spasmodicamente i tasti del telecomando e dopo numerosi tentativi le alette del climatizzatore cominciarono ad oscillare.

    Vorresti farmi credere che hanno stuprato una donna lasciandola morta ai piedi della torre normanna? O forse hanno sequestrato un carico di armi? No, ecco cosa hanno scoperto, che tutta la popolazione, dal sindaco al parroco, sniffa polvere bianca? È questo che è successo?

    Che ti costa verificare? L’uomo alzò le spalle e si avviò fuori dalla stanza.

    Guarda, al massimo potrebbero scoprire un bordello, gli urlò alle spalle Ida che ora scorreva la posta elettronica.

    L’inconfondibile suoneria Wistle la spinse a cercare il cellulare nella borsa, smaniosa di leggere il messaggio, ma la delusione ebbe il sopravvento: La tua ricarica premia la voglia d’estate, cinque euro in regalo per i tuoi acquisti che ti porteranno lontano… Chiama o scrivi premio, si affrettò a leggere, poi sorrise ironica e guardò l’orologio.

    Il primo WhatsApp: buongiorno piccola, lo mandò a Luisa, sua figlia, ventuno anni. Il saperla sola a Parigi le dava un’inquietudine indicibile, la stessa di quando lasciava la bambina in lacrime sulla porta dell’aula, i primi giorni d’asilo. L’avrebbe chiamata in ogni momento della giornata, se non fosse stato per il veto posto dalla stessa ragazza, divenuto dopo lunga trattativa, concessione di un messaggio mattutino e di una telefonata serale. Il secondo WhatsApp rimase in bozza: aveva deciso di scrivere stronzo, ma poi lasciò correre. Al solo pensiero, il destinatario le procurava un malessere diffuso e un peso allo stomaco; chiamò invece zia Rosalia ma il telefono squillò invano.

    Il collega fu presto di ritorno: in mano, un foglio fresco di stampa. Senti qua, lesse a voce alta. Irpinia d’Oriente: ritrovato all’alba, nelle campagne di Zungoli, il corpo senza vita di una giovane donna con il volto orrendamente mutilato. Poi fece cadere sulla scrivania il trafiletto.

    La Di Maggio stupita continuò a leggere: ritrovata nuda e schiacciata da un covone di fieno, in fondo alla scarpata. Ugo sorrideva soddisfatto e scuoteva la testa come per dire: non mi hai creduto!

    Non è possibile! Schiacciata da una balla di fieno?, replicò la Di Maggio.

    "Hanno scritto proprio così. Comunque siamo di fronte a un caso di poco conto, è solo una donna ritrovata in una scarpata. Passeranno un paio di volte la notizia alla tv locale, per un paio di giorni un articoletto su La voce dell’Irpinia, e tra un paio di settimane si scoprirà che si tratta di una prostituta e più nessuno ne parlerà, ci tenevo a dirtelo ma solo perché è accaduto a Zungoli."

    Non è un delitto? O intendi dire che la vittima meritava un luogo più illustre per la fine orribile che le è toccata?, insisté la Di Maggio. In fondo, però, meglio Zungoli che la Domitiana, ammesso che si tratti di una prostituta, sentenziò infine con disappunto. Almeno lì se ne parlerà sempre, sulla Domitiana rimarrebbe una delle tante disperate, una di quelle che trovi lungo la strada già dal mattino, d’inverno o d’estate, insieme alle altre conterranee, tutte uguali. Segni particolari: cosce nude e zizze al vento.

    Meglio morire schiacciata da una balla di fieno che schiacciata da un’auto impazzita, avrebbe voluto rispondere Ida intanto che pensava alla notizia, convinta che si sarebbe diffusa con lo stesso effetto di un sasso lanciato nell’acqua; non solo, nel borgo dove era sempre corsa a rifugiarsi, del ritrovamento di quel corpo se ne sarebbe parlato per sempre, come ancora oggi, a distanza di anni, si tramandava la storia della creatura di cinque anni, trovata morta in fondo a una cisterna senz’acqua, diventata ragione di sogni angosciosi per le notti sue e per quelle di almeno due generazioni di fanciulli.

    Il caporedattore annuì come per dire che in fondo aveva ragione, ma riconobbe nello sguardo della Di Maggio ancora disappunto.

    Cosa c’è? Tutto a posto?, chiese.

    Sarà difficile che ritorni tutto a posto. La donna accennò un sorriso che sapeva tanto di amaro, mentre gli occhi si erano inumiditi. Ugo non perdeva occasione per aiutarla e Ida aveva capito che la notizia di quel delitto di niente, in fondo, voleva solo essere l’ennesima distrazione fornitale dal collega la cui amicizia era nata sui banchi dell’università.

    "Notizie più precise potresti averle da Pina Gesualdo, La voce dell’Irpinia sarà già sul posto."

    Ti sbagli, ho letto su FB che è in giro per nuove perlustrazioni: Capri, altro che Zungoli e sai bene a cosa alludo. Aggiunse infine che avrebbe avuto tutte le informazioni, se solo avesse richiamato zia Rosalia: la telefonata ricevuta di primo mattino non poteva che essere collegata a quel fatto. E poi all’indomani sarebbe partita per Zungoli. Anzi alla Gesualdo, le notizie le avrebbe potute inviare lei.

    CAPITOLO II

    Che il fatto fosse veramente serio Ida Di Maggio lo capì subito, già all’ingresso del paese. Il ponte dalle sette luci era come non mai animato, nonostante la calura della controra, perché sopra al ponte, sotto al ponte, alla punta del ponte, dietro al ponte, per la via del ponte, alla fine del ponte, ovunque, fuori e dentro agli abitacoli delle numerose macchine selvaggiamente parcheggiate, uomini e donne erano intenti a parlare.

    Si respirava appena quando scese dalla macchina nella piazza che invece era deserta, di fronte alla casa delle vecchie zie che immaginò già dietro le persiane immobili, intrigate per l’occasione dal rumore della sua auto appena parcheggiata. Con i capelli raccolti per il caldo, indossava una veste di lino bianco e un paio di sandali bassi, che davano stabilità alla sua andatura sulle pietre lisce del borgo. Alzò lo sguardo verso la casa che dall’esterno sembrava disabitata ma non per questo abbandonata, come le case appena superate. Di quella casa, dove un tempo aveva vissuto sua nonna, ricordava ogni particolare, dalla tappezzeria ai quadri, dai pavimenti ai mobili mai più rinnovati o spostati, così come lei stessa non aveva più cancellato gli intrattieni o dimenticato le storie narrate davanti al camino che ascoltava con gli occhi lucidi di fumo. Fate bellissime e principesse capricciose l’avevano accompagnata per tutta l’infanzia, non avrebbe mai più dimenticato Zoza, la principessa triste, né il re di Starzalonga che diede la figlia in moglie a un serpente.

    Aveva solamente scostato la tendina di metallo, quando il portoncino di noce si aprì. La sorpresa sulla faccia cavallina di Zia Rosalia, le cui braccia magre le ricordarono le zampe di un pollo spennato, passò la mano alla contentezza di zia Olga che avanzava paffuta nel suo camice di fiori tristi, trascinando a fatica una gamba: Corri, corri, guarda chi è arrivata.

    A te stavamo pensando, non rispondi mai al cellulare? Le signorine Pratola, ricamatrici finissime ma anche sarte molto apprezzate sul territorio, ormai avevano riposto gli arnesi del mestiere. Erano le sorellastre di suo padre, figlie di primo letto della nonna, della quale Ida aveva ereditato il nome ma anche la determinazione che la donna aveva invano impegnato nel cercare opportunità per le due figlie; cosicché la serie di matrimoni mai andati a buon fine l’avevano indotta a credere che le due sorelle fossero perseguitate dalla cattiva sorte.

    L’una la spinse verso l’interno, mentre le cingeva le spalle, l’altra le levò di mano la borsa e le disse che stava bene, Ida invece tolse gli occhiali da sole per l’oscurità in cui era immersa la casa.

    Adesso sei arrivata?

    Ti fermi per qualche giorno?, domandarono.

    In un attimo si ritrovarono in cucina, sedute intorno al vecchio tavolo di marmo, che rimandò un fresco sollievo alla pelle.

    "Hai visto che fine ‘e munno è successa, pare proprio na riavuleria!, stringendosi con le mani la testa e abbassando il tono della voce, ormai non stiamo chiù ’n grazia di Dio manco qua", sentenziò preoccupata Olga, dall’alto della pancia turrita.

    Ti pare poco che le hanno combinato a quell’anima di Dio?, incalzò Rosalia.

    È terribile quello che è successo! Spiegatevi meglio, che le hanno fatto?

    Qui ognuno dice la sua, lo sai com’è, attaccò Zia Rosalia. L’hanno lasciata nella cunetta, nuda, completamente sfregiata e irriconoscibile. Si fece il segno della croce e con un leggero schiocco delle labbra baciò la nocca dell’indice ricurvo su se stesso. Nuda, hai capito? Come nu piscilotto. E poi pontificò: Sì, ma la morta non è di qua. Sicuro come la morte, non è di queste parti, puntualizzò zia Olga nel mentre tirava fuori dalla credenza il vassoio sul quale prima distese un centrino di lino bianco, poi dispose tre tazzine e la zuccheriera di porcellana. Infine sistemò la moka sul fornello.

    Capì di essere arrivata al momento giusto perché ristagnava ancora nell’aria l’aroma delicato del lievito vanigliato che invadeva dolcemente le sue narici e segno evidente che un soffice pandispagna era stato appena sfornato. Infatti, nonostante l’affanno, Rosalia la più anziana delle due, sull’antico piatto bianco Ginori Doccia doppio filo d’oro, cui Ida faceva la corte da anni, esibì un magnifico dolce.

    Che meraviglia questa torta! Ida si sentì in dovere di complimentarsi.

    Il panettone, intendi dire? Lo abbiamo farcito con la crema pasticcera e le amarene sciroppate, e intanto la zia alzava il piatto come un trofeo. Il mitico panettone, la torta declinata al maschile, Ida pensò divertita. Anche sua madre lo chiamava ‘panettone’ e, tra cognate, la tenzone sui metodi di preparazione era sempre stata accesa.

    Ci vuole proprio la vostra abilità per questa tripla farcitura!, intanto affondava la forchetta nella crema al cioccolato che le esplodeva nel palato mentre seguiva il ciarlare sussurrato delle due Pratola.

    E così voi dite che non è di qua?

    Senza ombra di dubbio!, puntualizzò zia Olga che versava il caffè nelle tazzine.

    E da dove l’avrebbero portata?

    E perché tu lo sai? Quanto tempo ti trattieni? Sei venuta per il giornale? Le domande seguivano a raffica.

    "Non mi manda il giornale, mi fermerò qui per alcuni giorni perché sono in ferie. A proposito, la mia collega, quella de La voce dell’Irpinia l’avete vista? Avrà di sicuro già fatto un salto in paese?". Pensò che non sarebbe stato facile far parlare gli inquirenti che, come al solito, si trincerano tutti dietro il riserbo totale e in verità un’idea non se l’era ancora fatta, poi esclamò:

    Potrebbe trattarsi di una prostituta?

    Può essere: siamo contorniate da zoccole, fu la risposta.

    Sorseggiando il caffè, Ida sorrise, sapeva bene che il metro di attribuzione dell’appellativo era esclusivamente costruito sulla quantità di contatti con il sesso maschile che alle due sorelle, purtroppo erano stati preclusi e per i quali con rammarico spesso sentenziavano: Perché a noi non c’è toccato ‘e vedé ‘o munno?

    Così tagliò corto e cambiò argomento. Intanto riaprirò casa, manco da almeno un paio di mesi e non sono mai stata lontana da Zungoli per un periodo così lungo. Quest’anno, tutte le ferie le trascorrerò qui, forse mi raggiungerà Luisa con gli amici francesi.

    Stai dicendo che tua figlia non è ancora rientrata? Lei, sola, in Francia e tu, sola sola, a Napoli! E con quel due volte sola, era chiaro che alludessero alla carognata di Pietro. Pietro, il compagno di una vita, l’aveva lasciata. Il loro rapporto di coppia aveva attraversato momenti difficili ma nulla avrebbe fatto presagire la fine del matrimonio e tanto meno la presenza di un’altra. Giovane ma bruttina, le aveva riferito la sua migliore amica che li aveva incontrati felici e contenti, mentre lui sceglieva i mobili d’Ikea per la nuova casa da scapolo. Era successo così, all’improvviso, e il vuoto che aveva preso il suo posto, così profondo, aveva indotto Ida a buttarsi a capofitto nel lavoro e ora immergersi nella quiete del paese e trovare il conforto nelle voci familiari non poteva farle che bene, come il rinvenimento di quel cadavere, a Zungoli, che la intrigava non poco, l’avrebbe aiutata a non pensare a Pietro, sebbene cercasse tuttora in ogni ricordo, in ogni azione, una ragione tollerabile.

    Le donne della nostra famiglia sono abituate a cavarsela, da sole, aveva esordito Olga con piglio superbo, mentre le toglieva di mano la tazzina. Ida conosceva i rischi che avrebbe corso se avesse alimentato, anche con un solo cenno della testa, la loro autocelebrazione; né desiderava essere commiserata, per cui guardò l’orologio e quel cenno di conferma che loro si aspettavano, non lo ottennero, ma le rassicurò che sarebbe tornata all’indomani con notizie più precise sulla donna trovata morta.

    Discussioni, deduzioni e controdeduzioni, esordì Rosalia alzandosi faticosamente dalla sedia.

    Congetture, fantasie, bugie e falsità aggiunse Olga, come se stesse recitando una litania. Ida satolla lasciò l’abitazione con il sapore e la levità del pandispagna e s’incamminò verso la parte alta del borgo, dove la sua casa, all’ombra della torre normanna, chiudeva quel cono di tetti saldamente aggrappati alla collina di tufo giallo.

    Del fatto, certamente, ne parlavano anche da Mariuccia Raffa. Ida immaginò il continuo andirivieni, grazie al quale Mariuccia cuciva e scuciva supposizioni, ipotesi, fatti e misfatti, nello stesso modo che attribuiva colpe, assolveva peccati, su qualsiasi evento e su qualsiasi cosa.

    Mariuccia abitava poco più avanti, i balconi della sua casa affacciavano su Piazza di Basso, dalla quale nascevano scale che s’inerpicavano, e scale che invece scendevano ancora più a valle.

    Sempre informata su tutto, forniva sovrabbondanti particolari, talvolta così minuziosi da sembrare reali, ma che di fatto sistematicamente erano smentiti. Nessuno le sfuggiva, correvano giudizi alle spalle di chiunque, anche di Ida che lo aveva sperimentato sulla sua pelle di ragazza: quando era sicura che nessuno l’avrebbe vista, lei Mariuccia Raffa, anche di notte soffrendo d’insonnia, passava le ore rannicchiata dietro la finestrella, rigorosamente con lo scuro socchiuso e la luce

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1