Complicati intrecci
By Antropoetico
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Complicati intrecci - Antropoetico
settimo
Capitolo primo
La luna spiccava nel buio lungo il sentiero, faceva freddo.
Mark camminava con la sacca e il suo contenuto, seguito dal passo lento del padre che portava la vanga. Sembrava così surreale, così improbabile essere lì sui monti conosciuti dall'infanzia in quella maledetta notte di gennaio. Non parlavano. Non vi erano parole da dire. Arrivarono, infine, alla radura. Passami la vanga per piacere
chiese al padre infreddolito.Qui? Vuoi scavare proprio qui?
rispose lui. Nella mente di Mark c'era malinconia, c'era rabbia. Prese a scavare con forza per spaccare la terra indurita dal gelo. Lo fece con foga per scaricare il dolore, stava male ma non riusciva a piangere. Malediva il destino; la vita era ingiusta perché ciò che ti dava, pure lo toglieva. Il padre era lì a osservare con le mani in tasca stretto dentro il cappotto, il gelo saliva dai piedi. Credo che vada bene
gli disse. Mark non rispose, s'inginocchiò dove aveva posato la borsa, sfilò la cerniera delicatamente; un tuffo al cuore gli portò lacrime nell'anima, poi prese il piccolo corpicino della sua amata cagnolina, lo strinse a sé per l'ultima volta e lo adagiò con cura nella fredda terra. Addio figlia mia, addio, vita di merda...
. Sentiva qualcosa morirgli dentro, un pezzo della sua storia, della sua stessa esistenza; in un mondo in cui le persone sapevano solo prendere, quella creatura gli aveva dato amore e senso. E non solo a lui. Ciò che Mark non sapeva era che, seppellendo lei, in qualche modo stava mettendo sotto terra anche la sua vita. Prese tre pietre e schiacciò con i piedi la buca ricoperta di terra. Per lui quel posto sarebbe diventato un sepolcro e un simbolo. Non avrebbe mai più dimenticato quel giorno. Tornando indietro Mark ripensò alla sua storia. Si era sposato nel 1992 con Francesca dopo anni di convivenza. Il suo fu un matrimonio d'amore con dentro tutta la tenerezza della gioventù ma contrastato fin dall'inizio, fin dalla convivenza, dalla famiglia che non riteneva adatta quella compagna. Iniziò così la genesi del male. Ancor prima, Mark fu costretto ad andarsene di casa, in quell’ambiente l'oppressione e il pessimismo lo stroncavano, modellando in lui una visione fallimentare della vita. Le discussioni erano all'ordine del giorno. Decise quindi di prendere una casa arredata in affitto, volendo combattere e vincere contro tutti, contro un destino che non si rassegnava ad accettare. Francesca, che, a quel tempo, sapeva tutto di questo disagio, il giorno dopo al trasferimento, di mattina presto, si recò presso di lui.Chi è ?
Mark sono io, ti prego aprimi
. Quando la porta si aprì, vide Francesca con in braccio la piccola Carlotta, la sua cagnolina. Il volto era luminoso e il musetto, con la linguetta di fuori, di quel batuffolo bianco gli diede un pochino di serenità. Anch’io ho litigato con i miei, non sopporto più gli atteggiamenti di mio padre, a volte è disgustoso
. Con un po’ d’imbarazzo Mark si affrettò a rispondere: La vita è difficile, lo sai ... non fare come me che, a causa della mia scelta, mi trovo solo e allo sbaraglio
, ma lei di rimando dolcemente, quasi sottovoce: Voglio venire a vivere con te, qualunque cosa accada non m’importa. Sai, a volte, vorrei essere talmente piccola da entrare nel taschino della tua giacca e sentire così il battito del cuore
. Come avrebbe potuto Mark farcela? Non aveva certezze per se stesso, non aveva soldi. Tutto ciò che possedeva era solo una gran voglia di fare e tanta speranza. Tuttavia pensò: Questa donna è speciale mi ama, mi sembra un film, io, lei e Carlotta... in fondo se c'è da mangiare per uno ci sarà anche per due, anzi per tre
. Sorrise dunque con gli occhi, la strinse forte sollevandola da terra e prese a girare in quell’abbraccio dentro la stanza. Carlotta saltellava abbaiando, tanto da benedire l’unione delle loro vite. I tre erano felici. Veramente felici. Era nata una famiglia. Una smorfia si accese sul volto di Mark... che male gli fece rivedere quella scena nella mente: Tutto a puttane... è finito tutto a puttane
. E già, cosa era rimasto di quei giorni, dell'amore quasi infantile, cos’era rimasto dei sogni? La vita, il lavoro e i problemi avevano succhiato il buono e sputato in faccia il veleno. Francesca e Mark non avevano avuto figli. Per scelta. In particolare Mark non si vedeva in quel ruolo. Padre? No, no
. A fatica si dimenava nelle curve della vita, sentendo nel suo profondo di essere solo un piccolo uomo. La tragica fine di Carlotta era stata la goccia capace di far traboccare il vaso. Lungo il tragitto per tornare alla macchina dove vi era ad attenderli la madre, egli non poté fare a meno di rivedere la scena, i momenti e il veterinario di quel giorno di merda. Eppure aveva lasciato scegliere il destino di Carlotta a Francesca.Lo faccio solo se sei d'accordo, lo vedi com’è conciata, sembra un robot, notti e notti a rigirarsi su se stessa, non possiamo nemmeno più salire nella nostra stanza da letto. Da giorni dormiamo sul divano nel soggiorno per paura che lei possa cadere dalle scale. Mi fa male pensarlo ma dobbiamo agire per la piccola, per me e per te, sì, ma solo se tu lo vuoi...
. La donna che avevo scelto come compagna di vita piangeva da giorni ma si rendeva conto che, dopo diciannove anni, anche Carlotta desiderava trovare la sua pace. Con lo strazio di una madre che sacrifica la figlia e con la notte negli occhi, bagnati dalla rugiada del cuore, acconsentì. Allora Mark disse le parole che non avrebbe mai voluto pronunciare: Non posso stamattina, devo lavorare, sento il veterinario se è disponibile per il pomeriggio ma, perdonami, andrò da solo... non voglio che tu veda Carlotta nel suo ultimo istante di vita
. Francesca, sentito tutto ciò, si mise a piangere mentre Mark chiudeva dietro di sé la porta di casa. Pianse tutta la mattina stringendo quel che restava di Carlotta: Piccolo tesorino, piccola mia, perché? Perché proprio tu?
Arrivarono poi le due del pomeriggio, Mark tornò a casa come sempre ma questa volta gli tremavano le gambe e pensò: Devo essere forte, devo farcela per risparmiare a Francesca la tristezza di veder morire la nostra bambina
. Al videocitofono rispose Marika, sorella di Francesca: Ciao sali, ti stiamo aspettando
. Mark capì all'istante manda la sorella
e soffrì ancora di più dentro il suo cuore. Guarda che posso andarci da solo
. Ti prego, mi sento così male, non dirmi nulla
. Rispose Francesca. Lo faccio solo se sei convinta, sai quanto mi sono prodigato per Carlotta, quante punture ho dovuto imparare a fare per salvarla
. Francesca si sedette guardando fissa le sue mani strette in mezzo alle gambe e annuì con la testa. Marika poggiò la mano sulla spalla di Mark: Andiamo ora... se deve essere fatto, facciamolo, questo è il momento
. Prese Carlotta in braccio e le mise il guinzaglio. Poi i due chiusero la porta dietro di sé si avviarono alla macchina. Il veterinario aveva lo studio lontano da lì. Mark era disturbato dall'avere a fianco in un momento così drammatico la sorella di Francesca. Che strano, in quel giorno la strada sembrò più libera del solito, i semafori tutti verdi, la macchina correva veloce verso l'ambulatorio e Carlotta verso la sua fine. Ironia della sorte, Mark era pronto a fermarsi e tornare indietro se Francesca avesse fatto anche un solo tentativo di chiamarlo. Non parlavano lui e Marika. Esisteva solo il silenzio, rotto dal rumore di Carlotta nei suoi movimenti senza senso, nei suoi piccoli guaiti. Il tormento, dentro il cuore, per quello che sarebbe accaduto dilaniava Mark. Il mondo sembrò essersi fermato come se ogni essere vivente attendesse l'evento. Benché l’ambulatorio fosse distante quaranta chilometri, in un attimo Mark si ritrovò davanti all'ingresso. Solo il tempo di parcheggiare e Marika era già sul marciapiede con il piccolo esserino nelle sue mani. L'ambulatorio, in genere era sempre pieno d’altri padroni e animali con i loro acciacchi in cerca di cure e compassione ma quel giorno no. Deserto, completamente vuoto. Tutto ciò era incredibile, forse tutto era già stato definito, scritto, tracciato nei disegni del Divino. Buongiorno Mark venga pure, lei è fortunato, oggi è il primo
. Disse il veterinario mentre lui cominciò a morire dentro. Dottore, sa quanto bene Francesca e io vogliamo a questo cane, per noi è la figlia mai avuta
. Certo, ci conosciamo da almeno dieci anni
. Mark non trovava le parole; per Dio, non riusciva a parlare: Ecco, sono settimane che Carlotta si comporta come un automa, senza senso, senza logica, sembra non capire altro che il muoversi in tondo
. Il dottore, con un tono di voce dolce, lo interruppe: Capisco la situazione, purtroppo per gli animali non esistono farmaci come per noi esseri umani, il cane non è più cosciente di se stesso e ha ormai diciannove anni, troppi
. Che cosa devo fare?
Chiese Mark, Che cosa è giusto fare?
. Il veterinario si alzò andandosi a lavare le mani, quasi fosse Ponzio Pilato, poi si girò verso di lui e gli rispose: Non posso decidere io per lei, ma, certo, Carlotta la sua vita l'ha vissuta appieno, potrebbe morire in qualunque momento, magari soffrendo
. Un buio infinito e profondo iniziò a togliere le ultime forze a Mark: Compia ciò che deve dottore ma non la faccia soffrire
. Nessun dolore, prima la addormento e poi ci lascerà
. Mark voleva piangere ma non davanti alla cognata. Non riusciva più a proferire una parola. Annuì con la testa mentre Marika fece la sua parte vicino al dottore. Quel cavolo di telefonino, stretto nelle mani fino a quel momento, non aveva squillato, Francesca non aveva chiamato. Il dottore fece, in una sequenza velocissima, la prima iniezione. Carlotta cadde su se stessa piegandosi sul fianco, finivano così i suoi pensieri, qualunque fossero stati. Ecco adesso non sentirà più nulla
. Poi gli iniettò la morte. Mark stava male, il cervello impallava, si sentiva un boia, e proprio in quel momento squillò un cellulare. Non il suo ma quello di Marika. Mark, avendo intuito chi si trattasse, si sconvolse ancora di più: Francesca avrebbe voluto fermare tutto ma ormai era troppo tardi. Il ghiaccio nelle vene di Marika nel suo dirle: Tutto a posto, abbiamo fatto, finito
. Un pianto a dirotto, quasi un urlo dell'anima si aprì sul viso di Mark mentre pagava il veterinario per lo sporco lavoro fatto e sentiva le indicazioni sanitarie. Dovete portare il cane all'inceneritore, non posso farlo io, siete di un'altra regione, le procedure non me lo consentono
. Mark non voleva incenerirla ma in quel momento poteva solo versare lacrime. Prese e mise nella borsa il corpicino ancora caldo di Carlotta. Pianse tutto il viaggio di ritorno.Mark senti...
Lo consigliò Marika: Non mi sembra il caso di portare a casa Carlotta, Francesca è a pezzi e ci soffrirebbe in una maniera atroce, non fargliela vedere morta, portiamola da me, la tengo nel box
. Lui non rispose, non riusciva a parlare col pianto rotto dai singhiozzi, ma fece cenno di sì con la testa. Una volta arrivati e sistemata la sacca blu nell'autorimessa, Mark se ne andò: Vengo stasera a prenderla, la porto in montagna, la voglio in un posto in cui possa andarla a trovare...
. Quando vuoi... quando vuoi, non ti preoccupare
. Nella testa di quell'uomo, c'erano un uragano, un mare tempestoso e un'afflizione mai provata. Carlotta non era una bestia qualunque poiché aveva partecipato a tanti riti della famiglia, aveva vissuto in casa, dentro il letto, nelle vacanze. Era sempre stata presente. Si fermò con la macchina in una piazzola di sosta, non voleva tornare a casa, non avrebbe sopportato lo sguardo di sua moglie. Respirò profondamente prendendo chissà dove quella forza che gli mancava, poi telefonò a Francesca: Ciao... sono a pezzi... è finita...
. Piangeva Francesca e singhiozzando chiese: Dimmi, ha sofferto? Ha sofferto?
. No, l'ha addormentata e poi...
Poche parole, troppo dolore nei cuori per aggiungere altro. Senti, io devo lavorare fino a tardo pomeriggio ma stasera la porto a Roccaspaccata... la voglio seppellire nei boschi, ho sentito i miei, sono d'accordo e mi accompagneranno...
Francesca interruppe la comunicazione senza dire altro. Alla sera Mark passò prima da Marika a caricare la sacca blu e la mise nel portabagagli, poi andò a prendere i genitori e partì. Tutto era accaduto così rapidamente e ora a Mark non sembrava vero ritrovarsi sulla piazza di Roccaspaccata, avendo già fatto la sepoltura. Tutto compiuto nell’arco di dodici ore.Come stai, adesso?
La madre seduta in macchina, quando lo vide arrivare, spezzò il groviglio di pensieri dentro la sua testa: Come vuoi che stia? Sono distrutto, non puoi capire cos'era per me e Francesca, nessuno lo può capire
. Ripartirono nel pieno della notte, sotto le stelle, per ritornare a casa. Rientrarono alle tre di mattina, si salutarono e Mark tornò a casa. Da quel momento in poi nulla sarebbe stato come prima. Francesca era sveglia, sul divano, intenta a guardare le foto di Carlotta. Il trucco era sfatto e i rivoli di rimmel tracciavano le sue guance. Aprì la porta con l'immagine di Carlotta tra le mani: Non c'è più
Mark si sentì morire dentro pensando di essere una merda, uno spietato ipocrita. Gli occhi di Francesca erano il verdetto di condanna. Non c'è più, è vero ma ha anche smesso di soffrire
concluse Mark, abbassando lo sguardo. Non dormirono quella notte, l'afflizione fu la loro compagna. Fu così per molti tristissimi giorni. Poi tutto andò sempre peggio. Mark beveva molto, specie di sera, durante la cena, per anestetizzare il grido interiore che non passava; Carlotta era sempre presente nei suoi pensieri, ne parlava con tutti i clienti, piangeva da solo. Una sera, circa un mese dopo, alla fine del pasto, Mark era lì col bicchiere davanti, completamente ubriaco. Francesca sparecchiò con cura la tavola, lavò i piatti e poi gli si sedette proprio davanti: Senti noi dobbiamo parlare, le cose non vanno
. E già...
rispose Mark. "Io sono infelice da molti anni, non sei l'uomo che ho conosciuto