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Quinta Strada: Un Thriller
Quinta Strada: Un Thriller
Quinta Strada: Un Thriller
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Quinta Strada: Un Thriller

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About this ebook

Stephen King: "Annoveratemi come sostenitore entusiasta di Christopher Smith. Smith è un genio artistico"

 

Descrizione:

 

Dietro al potere e la ricchezza rappresentati dalla Quinta Strada di New York, vi è avidità, sangue e vendetta. In "Quinta Strada", thriller bestseller internazionale, ciascuno di questi elementi si mescola all'interno di una società rispettata, che non è preparata a un uomo che ha l'obiettivo di distruggere un altro uomo, responsabile di aver ucciso sua moglie vent'anni prima.

 

Quell'individuo è Louis Ryan: George Redman, sua moglie, le due figlie e i loro amici più intimi sono il suo bersaglio. Entrambi sono miliardari che si sono fatti da sé e rivendicano il loro diritto alla Quinta Strada. Ma quando Louis Ryan ingaggia un assassino di fama internazionale per fare letteralmente a pezzi la famiglia Redman, una serie di eventi inarrestabili catapulta tutti in un thriller frenetico e senza compromessi, in cui nessuno è al sicuro.

 

Si svelano dei segreti. Si mette in mostra la vita sessuale. Si coinvolge la Mafia. E le due figlie di George, Celina e Leana Redman, sono in prima linea. Più di tutti, sono loro a subire le conseguenze del passato del padre, mentre il desiderio cieco di uccidere tutta la famiglia Redman assume dei risvolti inattesi.
 

LanguageItaliano
Release dateNov 18, 2023
ISBN9781386925255
Quinta Strada: Un Thriller
Author

Christopher Smith

Christopher Smith has been the film critic for a major Northeast daily for 14 years. Smith also reviewed eight years for regional NBC outlets and also two years nationally on E! Entertainment Daily. He is a member of the Broadcast Film Critics Association.He has written three best-selling books: "Fifth Avenue," "Bullied" and "Revenge."

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    Book preview

    Quinta Strada - Christopher Smith

    SOMMARIO

    CAPITOLO UNO

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo Sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Ventuno

    Capitolo Ventidue

    Capitolo Ventitré

    Capitolo Ventiquattro

    Capitolo Venticinque

    Capitolo Ventisei

    Capitolo Ventisette

    Capitolo Ventotto

    Capitolo Ventinove

    Capitolo Trenta

    Capitolo Trentuno

    Capitolo Trentadue

    Capitolo Trentatré

    Capitolo Trentaquattro

    Capitolo Trentacinque

    Capitolo Trentasei

    Capitolo Trentasette

    Capitolo Trentotto

    Capitolo Trentanove

    Capitolo Quaranta

    Capitolo Quarantuno

    Capitolo Quarantadue

    Capitolo Quarantatré

    Capitolo Quarantaquattro

    Capitolo Quarantacinque

    Capitolo Quarantasei

    Capitolo Quarantasette

    Capitolo Quarantotto

    Capitolo Quarantanove

    Capitolo Cinquanta

    Capitolo Cinquantuno

    Capitolo Cinquantadue

    Capitolo Cinquantatré

    Capitolo Cinquantaquattro

    Capitolo Cinquantacinque

    EPILOGO

    Per mio padre, Ross Smith, perché ha sempre insistito senza mai mollare.

    Per mia madre, Ann Smith, per il suo entusiastico sostegno.

    E per Constance Hunting, che nel corso di tanti anni ha curato l’editing del libro, ma non è vissuta per vederne la pubblicazione. Questo è il nostro libro. Ti ringrazio e mi manchi.

    COPYRIGHT E AVVISO legale:

    Questa pubblicazione è protetta ai sensi del Copyright Act del 1976 e da tutte le altre leggi federali, statali, locali applicabili e tutti i diritti sono riservati, inclusi i diritti di seguito.

    Tutti i marchi registrati, i marchi di servizio, i nomi dei prodotti e le caratteristiche qui riportate appartengono ai rispettivi proprietari e si intendono usati esclusivamente come riferimento. Non c’è accordo implicito all’uso di tali termini. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcuna forma o per mezzo di apparecchiature elettroniche o meccaniche (compresi fotocopiatura, registrazione o sistemi di archiviazione di informazioni e recupero di dati) senza il permesso scritto da parte dell’autore.

    Prima edizione ebook © 2018

    Contattare l’autore per ottenere i permessi a:

    CristopherSmithBooks@gmail.com

    Dichiarazione liberatoria di responsabilità:

    Questo libro è un’opera di fantasia. Qualsiasi analogia con persone reali, vive o morte, (tranne quelle esplicitamente indicate) è puramente casuale.

    Copyright © 2018 Christopher Smith. All rights reserved worldwide.

    I Edizione Italiana , Luglio 2018

    Editing a cura di Valeria Deiana

    10.9.8.7.6.5.4.3.2.1

    Per averlo aiutato in questo libro, l’autore è particolarmente grato a Erich Kaiser; a Roslyn Targ; a Ted Adams; a Deborah Rogers, e Faith Benedetti; a quelle donne e uomini che lo hanno introdotto nella reale Quinta Strada durante le ricerche del suo libro; a tutti gli amici vecchi e nuovi, i quali lo hanno aiutato sia a dare forma a questo libro sia offrendo il loro supporto durante la stesura.

    LIBRO UNO

    PRIMA SETTIMANA

    CAPITOLO UNO

    Luglio

    New York

    LE BOMBE, COLLOCATE nella zona alta della Quinta Strada, sul tetto del Palazzo Redman International, sarebbero esplose nel giro di cinque minuti.

    Ora, con le sue pareti di vetri a specchio che riflettevano il traffico convulso della tarda mattinata, lo stesso palazzo sembrava animarsi.

    Su un’impalcatura al centro dell’edificio, uomini e donne appendevano l’enorme nastro di velluto rosso che presto avrebbe coperto sedici dei settantanove piani. In cima al tetto, una squadra di elettricisti posizionava dieci riflettori. E all’interno, cinquanta esperti arredatori stavano trasformando l’atrio in un salone per le feste.

    Celina Redman, incaricata di organizzare l’evento, era in piedi davanti al palazzo con le braccia incrociate. Sui marciapiedi, fiumi di gente le passavano accanto; qualcuno lanciava un’occhiata al nastro di velluto, altri, sorpresi, si fermavano a osservarla. Lei cercava di ignorarli, tentando di concentrarsi sul suo lavoro e di confondersi con la folla, ma era difficile. Proprio quella mattina, la sua faccia e quell’edificio erano sulle copertine dei più importanti quotidiani di New York.

    Ammirava la costruzione davanti ai suoi occhi.

    Collocato all’angolo tra la Quinta e la Quarantanovesima Strada, il Palazzo Redman International era il frutto di trentun anni della vita di suo padre. Fondata quando George Redman aveva ventisei anni, la Redman International era tra le multinazionali più importanti al mondo. Annoverava una linea aerea commerciale, complessi condominiali e professionali, fabbriche tessili e di acciaio e, a breve, la WestTex S.p.A., una delle più grosse società di trasporti del paese. Con questo edificio sulla Quinta Strada, tutto ciò che si trovava sul cammino di George Redman era il futuro. E, a giudicare dalle apparenze, brillava quanto il diamante che Celina aveva scelto di indossare quella sera.

    Le luci sono pronte, signorina Redman.

    Celina si voltò e guardò Hal Roberts, un operaio della squadra di elettricisti. In tarda serata i riflettori avrebbero illuminato il nastro rosso. Proviamole.

    Roberts prese il cellulare agganciato alla cintura. Mentre dava il via ai suoi uomini sul tetto, Celina abbassò lo sguardo alla lista nella cartella porta appunti e, ancora una volta, si domandò come sarebbe riuscita a far ultimare tutto in tempo per la festa.

    Ma ce l’avrebbe fatta. Da sempre suo padre l’aveva allenata a lavorare sotto stress. Quel giorno, non era che un’altra sfida.

    Hal le fece un cenno con la testa e disse, Dovrebbero accendersi da un momento all’altro.

    Celina si infilò il porta appunti sotto il braccio e tirò su lo sguardo verso il tetto. Pensava che da questa distanza non avrebbe mai potuto vedere se le luci avrebbero funzionato, quando tre dei dieci riflettori esplosero e presero fuoco.

    Per un attimo, non riuscì a muoversi.

    Migliaia di frammenti di vetro seghettati, brillando al sole, le stavano precipitando addosso.

    Vide una grossa nuvola di fumo nero levarsi dalla sommità del palazzo.

    E fuoco, che crepitava e piroettava verso il cielo.

    Uno dei riflettori, scagliato per aria, stava cadendo verso di lei.

    Una mano la raggiunse e la tirò in salvo proprio mentre la lampada le sibilò accanto sbattendo con forza sul marciapiedi, dove squarciò il cemento ed esplose in una pioggia di scintille rosse infuocate. Per un attimo tutto tacque, poi il vetro si infranse con un’assordante e fragorosa cascata. 

    Appiattita contro il palazzo e paralizzata dalla paura, osservò il traffico della Quinta Strada che convergeva sulla destra e, evitando il punto in cui era caduto il riflettore, si imbottigliava creando un ingorgo. Si udì solo lo stridio del metallo che si accartocciava sul metallo, il suono penetrante dei clacson e le grida terrorizzate dei passanti, alcuni dei quali erano stati feriti dalla pioggia di vetro.

    Hal era in strada che guardava verso il tetto e urlava qualcosa al cellulare. Aveva il viso paonazzo. I tendini gli sporgevano dal collo. C’era così tanto rumore che Celina non riusciva a sentire la conversazione. Azzardò un passo avanti, verso la lampada sbriciolata, e capì esattamente che cosa stesse dicendo Mark: gli uomini sul tetto erano feriti.

    Entrò veloce nell’atrio, superò svelta la cascata e salì sull’ascensore privato di suo padre.

    L’edificio era troppo elevato e l’ascensore troppo lento. Non importa con che rapidità salisse verso l’alto: non era sufficiente.

    Finalmente le porte si aprirono e Celina uscì sul tetto.

    La gente correva, urlava e spingeva. Alcuni erano immobili per la paura e l’incredulità. Quelli che si trovavano vicini all’esplosione dei riflettori, erano ammutoliti per lo shock oppure urlavano per il dolore causato delle ustioni che ne avevano sfigurato i corpi.

    Celina avanzò e fu quasi travolta da una persona che correva in cerca di aiuto. Osservò l’uomo che le passava davanti e rimase a bocca aperta quando si accorse che aveva i capelli inceneriti.

    Cercò di concentrarsi. Aveva ereditato la forza di suo padre ed era a quella che faceva appello in quel momento.

    Attraverso il fumo che vorticava verso di lei in una lurida coltre nera, riuscì a vedere i danni: ai margini del tetto, due dei nove riflettori rimasti erano avvolti dalle fiamme, mentre per terra lì accanto i fili elettrici ondeggiavano come serpenti. Mark Rand, il responsabile dell’illuminazione, era vicino ai riflettori, gridava ordini e cercava di riprendere il controllo. Celina gli andò incontro. Tuttavia non sapeva che cosa fare né come dare una mano. Ma quant’è vero Iddio ci sarebbe riuscita.

    Mentre si avvicinava, Rand indicò una delle luci che bruciavano. Là dietro c’è un uomo intrappolato. Quando i riflettori sono esplosi, è caduto e ha battuto la testa sul cemento. L’ho chiamato, ma non risponde né si muove. È svenuto

    Perché non lo aiuta nessuno?

    Mark indicò la massa intrecciata di fili elettrici che si contorcevano. E aggiunse : Nessuno ha intenzione di avvicinarsi. È troppo pericoloso.

    Allora staccate la corrente.

    Non possiamo, rispose l’uomo e si mosse verso il generatore dalla parte opposta del tetto. Sebbene funzionasse ancora, questo era avvolto dalle fiamme.

    Può esplodere da un momento all’altro.

    La mente di Celina fu veloce. Attraverso il fumo, riuscì a vedere il giovane steso a terra bocconi, con le braccia spalancate, mentre i fili elettrici guizzavano a pochi centimetri da lui. Diede una rapida occhiata in giro alla ricerca di qualcosa per portarlo in salvo. Non c’era niente. E poi la trovò.

    Accompagnò Mark verso la gru alle loro spalle.

    È questa che ha portato le luci quassù?

    Esatto.

    Allora usiamola per liberarcene.

    Mark guardò i riflettori. I telai erano rivestiti da un duro involucro di gomma resistente agli urti. Ed erano isolati elettricamente.

    Saltò all’interno della gru.

    Celina restò indietro e lo guardò mentre accostava l’enorme gancio d’acciaio che oscillava rapido nell’aria densa di fumo e che brillava a malapena sotto un tenue raggio di sole. Per un attimo volteggiò su uno dei fari in fiamme. Fece diversi tentativi prima di agganciare l’estremità dell’involucro. Ma quando alla fine lo sollevò in aria, uno dei fili che sibilava sotto il dispositivo si appoggiò sull’avambraccio del giovane, provocandogli delle convulsioni.

    Celina si portò la mano sulla bocca. Vide che la testa del ragazzo era reclinata in una posizione assurda. Reagendo d’istinto si lanciò in avanti e si inginocchiò al suo fianco, proprio mentre Mark Rand faceva oscillare il proiettore sopra di lei.

    Di scatto, Mark ritirò indietro i comandi, con uno strattone allontanò il riflettore da Celina, facendolo impennare e ondeggiare sul suo gancio. Per qualche attimo terribile, Mark fu sicuro che il riflettore stesse per saltare il gancio cadendo addosso alla donna. La lampada vacillò in aria a non più di tre metri da Celina e, mentre dondolava sul suo filo d’acciaio, sputò del fumo nero. Sotto di essa i fili elettrici schioccavano sfiorando la schiena della giovane. Ma Mark riuscì a controllare il gancio, allontanò il proiettore finché questo non si disconnesse da solo e si spense.

    Un membro della squadra degli elettricisti raggiunse Celina. Insieme, portarono il giovane al sicuro. Celina si chinò su di lui. Il corpo era ricoperto di sudore. La pelle era bianca come un lenzuolo. Lo afferrò per le braccia e lo scosse piano. Vide il nome ricamato sulla tasca dell’uniforme, quindi lo chiamò a gran voce una, due volte, ma senza ottenere alcuna risposta. La sua mente correva. Aveva imparato a praticare il massaggio cardiaco, ma era ai tempi del college e in quel momento stava faticando per ricordarsi come fare. Reclinò la testa del giovane per liberare le vie aeree e quindi gli strappò la camicia scoprendogli il torace. Controllò se ci fosse movimento respiratorio, ma era assente. Ascoltò per capire se stesse respirando, ma niente da fare. Gli appoggiò il dorso della propria mano sulla bocca, tuttavia non percepì nulla. Cercò di sentire il battito sul collo, però non lo trovò. Accostò l’orecchio al torace. Ancora niente.

    Per un attimo pensò che le si fosse fermato il cuore.

    Il ragazzo era morto.

    Immediatamente, gli coprì la bocca con la sua, gli strinse il naso e per due volte gli soffiò con forza nei polmoni. Tastò ancora il polso, ma non sentì il battito. Quindi gli compresse più volte il torace, sperando ardentemente di riuscire a ricordare con precisione quante volte dovesse ripetere la procedura. Si fermò dopo la dodicesima e la rifece daccapo. E poi ancora.

    Ma il ragazzo non dava segni di vita.

    Sforzandosi di restare calma, Celina rivolse lo sguardo in alto in cerca di aiuto, proprio mentre i Vigili del Fuoco di New York, ascia e idrante in mano, si precipitavano sul tetto. Si voltò alla sua destra e vide l’elettricista che usciva dalla gru. L’ultimo riflettore era stato rimosso e in quel momento Mark le veniva incontro. Che cosa le prende? le urlò. Avrebbe potuto restare uccisa ... le parole si interruppero quando vide il ragazzo per terra vicino a lei.

    Cerchi aiuto, in fretta! gli urlò Celina.

    Si chinò di nuovo sul ferito, praticandogli il massaggio cardiaco e soffiandogli con forza nei polmoni.

    Ma ancora nessuna reazione.

    La stava assalendo il panico. Con i capelli biondi e lunghi calati sul viso, ripeté la procedura, consapevole del fatto che per quell’uomo il tempo si stava esaurendo.

    Ma i suoi tentativi sembravano vani. Non importa con quale intensità stesse cercando di rianimarlo: il ragazzo stava disteso lì, immobile.

    E allora ci riprovò ancora.

    Portandosi i pugni sulla testa, li lasciò cadere con forza sul torace facendolo sobbalzare appena. Il ragazzo buttò fuori un soffio d’aria.

    Respira! gridò.

    Con sua grande sorpresa, respirò. Sbatté gli occhi. Le guance ripresero colore e ingoiò, tossì e vomitò. Celina sentì un’ondata di euforia, quindi lo spinse sul fianco perché non soffocasse. Le lacrime scendevano sulle guance del giovane che ansimava e cercava di respirare. Celina lo tenne in quella posizione. Va tutto bene, gli disse. Respira. Adesso sei salvo. Va tutto bene.

    Quando l’infermiera li raggiunse, si chinò accanto a Celina, ripulì il viso del ragazzo dal vomito e gli coprì il naso e la bocca con la maschera d’ossigeno. Saltò fuori un’altra donna che lo avvolse in una coperta. Celina e Mark lo osservarono mentre lo inondava un senso di liberazione. Inalava aria pura a pieni polmoni.

    Per lui l’incubo era finito.

    Dove l’ha imparato? domandò Mark.

    Il viso di Celina era pallido. Al college, la mia compagna di stanza aveva una sorella che era allieva infermiera. Ci insegnava delle cose che non pensavo fossero utili. Una di quelle era come eseguire il massaggio cardiaco.

    Non sono così inutili osservò Mark.

    Insieme guardarono i proiettori che il tecnico aveva rimosso. Anche se non erano più in fiamme, l’aria tutt’intorno era carica di fumo.

    Perché sono esplosi? domandò Celina.

    Prima che Mark potesse replicare, si avvicinò un vigile del fuoco e rispose al suo posto. Glielo faccio vedere.

    Celina e Mark si lanciarono un’occhiata, poi lei andò verso uno dei riflettori che fumava. Là, osservarono l’uomo estrarre due cavi elettrici logori e anneriti dall’attacco della lampada ormai vuota. Vedete questi fili?

    Entrambi annuirono.

    Non dovrebbero stare lì. Il vigile si inginocchiò e chiese a Celina e Mark di fare lo stesso. Sul retro del proiettore, indicò un piccolo foro dove il metallo era contorto e deformato. Anche questo foro non dovrebbe esserci.

    Celina si preparò per ciò che stava per accadere e al trambusto che avrebbe provocato.

    In confidenza? aggiunse l’uomo.

    .

    Non è ufficiale, ma è ovvio. I riflettori sono stati manomessi con dell’esplosivo al plastico. Quando si è accesa la lampada, l’elettricità ha raggiunto questi due fili e ha innescato le bombe.

    Chi ha messo qui le tre bombe? Chiese Celina.

    A voi e alla polizia scoprirlo.

    CAPITOLO DUE

    GEORGE REDMAN SCESE dalla limousine e si avviò verso la facciata del Palazzo Redman International proprio mentre i reporter stavano per assalirlo.

    Si fece largo tra la gente e cercò di ignorare le telecamere e i microfoni che gli stavano sbattendo sulla faccia. La sua salvezza era rappresentata dalle due porte di vetro identiche davanti a lui. Non avrebbe detto niente prima di aver parlato con Celina. Ma questo non fermò la stampa e le loro voci cacofoniche.

    Ci rilascia una dichiarazione?

    Crede che il fatto abbia a che fare con il vostro progetto di acquisire la WestTex? E il recente crollo delle azioni della Redman International?

    Chi è il responsabile, signor Redman?

    George lanciò un’occhiata al reporter che gli aveva posto la domanda e che si stava spingendo sempre più avanti. Pensò che quella fosse la domanda cruciale. Chi è il responsabile?

    Celina lo stava spettando dietro le porte e, mentre George la abbracciava, pensò che non avesse mai visto sua figlia con un aspetto né una forma migliore.

    Stai bene? le domandò.

    Sto bene. Conoscendo suo padre come lo conosceva lei, Celina disse: Davvero. Sto bene.

    Che cosa è accaduto? Le domandò.

    Celina gli spiegò ogni cosa. Quando gli raccontò del ragazzo intrappolato dietro il proiettore, sollevò le mani come a scusarsi. Ho cercato di nascondere alla stampa ciò che gli era successo, ma è stato impossibile. La notizia è trapelata prima che potessi fare qualcosa.

    Non preoccuparti disse George. Non è stata colpa nostra. Semmai, si congratuleranno con te per aver salvato la vita di quell’uomo. È rimasto ferito qualcun altro?

    Le raccontò dei due uomini ustionati.

    Quindi dovremo vedercela con delle cause legali.

    Non necessariamente, disse Celina.

    Ho mandato Kate e Jim, delle relazioni pubbliche, a parlare con le famiglie dei feriti. Se tutto va bene, le mogli guideranno una Lexus entro il fine settimana, i figli avranno gli studi al college pagati, e sui loro conti si ritroveranno dei risparmi; e noi avremo dei documenti firmati in cui ciascuna famiglia rinuncia a intentarci causa.

    Qualcosa attirò l’attenzione della ragazza che si voltò. George seguì il suo sguardo. Lungo l’atrio, tre uomini con delle giacche gialle scolorite e con due grossi cani si stavano dirigendo verso uno degli ascensori. La squadra artificieri, disse Celina. Sono arrivati subito dopo la polizia e i vigili del fuoco.

    Quanto resteranno?

    Celina controllò l’orologio. Qui c’è un’intera squadra. Hanno già ispezionato i primi diciotto piani. Con l’aiuto di quei cani, non mi sorprenderei se terminassero nel giro di poche ore, lasciandoci il tempo per una dichiarazione alla stampa e per gli ultimissimi preparativi per la festa.

    Se verrà qualcuno, rimarcò George.

    Verranno, gli rispose Celina. Verranno, se non altro perché hanno pagato diecimila dollari a coppia. E poi, quando mai una delle feste della mamma è stata un fiasco?

    George sollevò un sopracciglio. Su questo sua figlia non aveva tutti i torti.

    Si spostarono entrambi al bar.

    Allora, chi è stato? domandò Celina.

    Non ne ho idea. Non ho fatto che scervellarmi da quando mi hai chiamato.

    Ho sentito la ditta che ci ha fornito le luci e mi hanno detto che ogni proiettore era stato controllato prima della consegna. Se è vero, e non dico che lo sia, allora questo significa solamente che qualcuno ha messo le bombe.

    La polizia ha interrogato la squadra di elettricisti?

    Lo stanno facendo adesso, ma quello che non riesco a capire e perché non abbiano utilizzato una bomba più potente. Quelli usati erano esplosivi a basso potenziale. Sono stati progettati per causare solo un danno minimo.

    Mi stavo ponendo la stessa domanda.

    Allora, di che cosa si tratta?

    George scrollò le spalle. Chi lo sa! Forse a qualcuno non piace il design del nostro palazzo.

    In un modo o nell’altro suo padre riusciva a conservare il suo sense of humour, persino in situazioni difficili come questa. Che dicono RRK? domandò Celina.

    Se all’inizio erano preoccupati, adesso devono essere terrorizzati.

    Roberts, Richards e Kravis, meglio conosciuti come RRK, erano il gruppo di investitori che George aveva assunto per aiutarlo a finanziare l’acquisizione della WestTex S.p.A. Sebbene George avesse la direzione, senza i tre miliardi e mezzo di fondi di RRK, le competenze e le banche su cui i tre avevano il controllo, lui non sarebbe stato in grado di concludere questo accordo da solo.

    Non ho saputo niente, rispose George. Ma sono sicuro che si faranno sentire entro stasera. Questo è probabilmente il pretesto che Frank Richards stava aspettando. Non è mai stato favorevole a questa acquisizione. Se si convince che qualcuno abbia manomesso quelle luci per dichiarare il crollo delle nostre azioni, o per protestare contro il nostro interessamento a WestTex, non ci penserà due volte a tirarsi fuori. A prescindere da qualsivoglia accordo abbiamo con lui.

    Celina sapeva che era vero. Mentre altre banche e gruppi di investimento avrebbero voluto assumersi il rischio che suo padre prospettava, pochi avevano l’esperienza di RRK quando si arrivava a un LBO.

    Oggi hai visto tua sorella? le domandò. La stava cercando tua madre, prima. Doveva aiutarla con i preparativi per la festa.

    E la mamma ha pensato che si sarebbe fatta viva? Celina inclinò la testa. Probabilmente Leana non sa neppure quello che oggi è successo qui.

    Ho bisogno di telefonare a tua madre, disse lui. Mi ha fatto promettere di chiamarla non appena avessi saputo qualcosa. Se vedi Leana, dille che Elizabeth ha bisogno di lei.

    Malgrado sapesse che non avrebbe visto Leana sino a tarda sera, Celina assentì e seguì suo padre sino alla porta.

    La stampa era lì che aspettava, le telecamere e i microfoni si sollevarono. Puoi usare una delle entrate laterali gli suggerì Celina.

    E perdere il loro appoggio proprio nel momento in cui ne ho più bisogno? Scordatelo.

    Quindi andò via, oltrepassò le porte, assalito dai reporter e finalmente disponibile a rispondere a tutte le domande possibili. Celina lo guardò per un istante, ascoltò la folla che vociava impazzita, ma poi si allontanò e ritornò al suo lavoro. C’era ancora molto da fare prima della festa.

    MENTRE LEANA REDMAN percorreva Washington Square, il sole stava iniziando a tramontare dietro l’orizzonte frastagliato di Manhattan.

    Era stata al parco sin dalla mattina a leggere l’ultima edizione di Vogue, a parlare con la gente che conosceva e a osservare quelli che non conosceva.

    In quel momento, mentre superava la grande fontana vuota e si avvicinava all’arcata bianca, vide tanti bambini che giocavano con i loro genitori; indugiò quando vide un papà che faceva volteggiare la sua bimba in aria, quindi continuò a camminare, inconsapevole dell’uomo che le scattava delle foto.

    La sera iniziò a calare, ma l’aria era mite e lei era contenta di indossare soltanto una maglietta e dei calzoncini. A venticinque anni, Leana Redman portava una lunga e folta coda di capelli neri e ricci che, con suo disappunto, aveva preso da suo padre. Sebbene non fosse considerata bella come sua sorella maggiore, aveva un non so ché che spingeva le persone a guardarla più volte.

    Uscì dal parco e si avviò verso la quinta strada. La gente affollava i marciapiedi. Un gruppo di cinque adolescenti la superò a gran velocità, strillando e urlando sugli skateboard e schizzando tra la folla in una colorata confusione di rosso e bianco con brillanti sfumature di verde.

    Leana rivolse il viso verso la brezza tiepida e cercò di mettere a fuoco i problemi immediati: la festa di quella notte. Aveva deciso di non partecipare quando sua madre, prevedendolo, aveva richiesto la sua presenza. Tuo padre si aspetta il tuo appoggio.

    L’ironia fece quasi ridere Leana. In passato non ne ha mai avuto bisogno!

    Quattro ore prima avrebbe dovuto incontrare Elizabeth alla loro tenuta in Connecticut per aiutarla con gli ultimi preparativi per la festa. Il motivo per cui sua madre volesse il suo aiuto andava ben oltre la sua comprensione, soprattutto perché entrambe sapevano che Celina si sarebbe presa cura di ogni cosa. Come fa sempre.

    Si fermò a un’edicola affollata. Un uomo la affiancò. Leana gli diede un’occhiata torva. Era alto e bruno, con il viso magro e spigoloso. Indossava fuori stagione un giubbotto caldo di pelle nera, che ne metteva in evidenza l’ampio torace, e teneva una macchina fotografica digitale sofisticata appesa al collo.

    Leana ebbe la sensazione di averlo visto prima.

    Arrivò il suo turno. Ignorando i numerosi quotidiani e riviste che mostravano in prima pagina le foto di suo padre, di Celina e della nuova costruzione, domandò al commesso l’ultimo numero di Interview, lo pagò e ficcò la rivista dentro la borsa colorata extra large di Prada che le penzolava sul fianco.

    Diede un’altra occhiata all’uomo con la giacca di pelle nera, e vide che la stava osservando. Iniziò a percorrere la Quinta Strada, consapevole del fatto che all’edicola quel tizio non avesse acquistato niente e che la stesse seguendo. Non si accorse che fotografava se non quando vide il suo riflesso in una vetrina.

    Si voltò, e fu sul punto di domandargli per quale quotidiano lavorasse quando vide, infilato tra le pieghe del suo giubbotto di pelle nera, il calcio di una pistola.

    Sorpresa, lo guardò dritto in faccia mentre quello abbassava la macchina fotografica. Quando l’uomo le sorrise Leana lo riconobbe. Quella mattina, al parco, era seduto nella panchina a fianco alla sua. Allora aveva pensato che la stesse osservando. Ma in quel preciso momento ne ebbe la certezza.

    Stanotte, disse il tizio, quando queste foto saranno sviluppate, le appenderò sulla parete a fianco al mio letto insieme alle altre. Le fece un ampio sorriso, mostrando persino i suoi denti bianchi. E presto, Leana, davvero prima di quanto immagini, ho deciso di portarti a casa con me e io stesso te le mostrerò.

    La ragazza si allontanò da lui con una tale velocità che la rivista le cadde dalla borsa e finì per terra. Le pagine si spalancarono. Davanti a lei, un taxi stava facendo scendere un cliente.

    Leana gli corse incontro. L’uomo la seguì.

    Aspetta! urlò, ma il taxi si allontanò. Un’occhiata veloce alle sue spalle le diede la conferma che l’uomo era ancora lì. Il calcio della pistola ammiccò sotto una striscia di sole. Leana stava quasi per chiedere aiuto, quando un altro taxi si avvicinò al ciglio del marciapiedi. Agitata, con il cuore in gola, gli corse incontro e saltò dentro proprio quando una coppia di anziani scendeva.

    Sbatté lo sportello e lo chiuse a chiave, mentre l’uomo cercava di aprirlo. La faccia del suo inseguitore, a pochi millimetri dal finestrino, era fuori di sé, come se gli avessero soffiato il suo premio. Batté le mani sul vetro e Leana balzò indietro.

    Il taxi non partiva. Leana guardò l’autista, che stava aspettando che si aprisse uno spiraglio nel traffico. Ha una pistola! gridò. Mi porti via di qui!

    Il tassista guardò l’uomo, vide la rabbia dipinta sul suo viso e schiacciò l’acceleratore, provocando quasi un incidente nel tagliare la strada e correre verso Washington Square.

    Leana guardò dal lunotto posteriore. L’uomo era sul marciapiedi, con la macchina fotografica appesa al collo e le braccia lungo i fianchi.

    Non avevo capito che fosse in pericolo, disse il tassista. Sta bene? Vuole che la porti alla polizia?

    Leana ci rifletté, ma pensò che non fosse una buona idea. Appena svolteremo l’angolo, se ne sarà andato. Si appoggiò al logoro sedile di vinile. Mi faccia scendere al Nuovo Palazzo Redman International, tra la Quinta e la Quarantanovesima. La mia macchina è là.

    Non ci conterei.

    Che cosa intende dire?domandò Leana.

    Mi prende in giro? ribatté il tassista.

    Non so di cosa stia parlando.

    Nessuno ascolta più le notizie? quello disse piano. Stamattina, in cima al palazzo sono esplose tre bombe.

    Leana impallidì. Quel giorno suo padre e sua sorella erano là a organizzare la festa. È rimasto ferito qualcuno?

    Poche persone. Un tizio sarebbe morto se non fosse stato per Celina Redman. La donna gli ha salvato la vita.

    Leana serrò i denti. Come?

    Grazie alla sua prontezza di spirito, ha detto il tizio alla radio. È un’eroina.

    In realtà è solo una maledetta stronza.

    Il tassista si fermò al rosso e le lanciò un’occhiata dallo specchietto retrovisore, non troppo sicuro di aver sentito bene. Conosce i Redman, o che altro?

    Leana si domandò ancora una volta perché si fosse preoccupata per l’incolumità della sua famiglia. Dopo tutte le volte che i suoi genitori l’avevano ignorata, dopo tutte le volte che avevano scelto Celina invece di lei, com’era possibile avere dei sentimenti diversi dal disprezzo?

    No, rispose. Non li conosco per niente.

    CAPITOLO TRE

    A NORD DELLA QUINTA Strada, Louis Ryan era seduto nel suo ufficio ad angolo, con la schiena rivolta verso un muro di vetro e il nuovo Palazzo Redman International che svettava a breve distanza.

    Era alla scrivania e fissava le lettere satinate incise sul vetro che la ricopriva: Manhattan Enterprises. L’azienda che aveva fondato trentuno anni prima, al momento era una delle maggiori multinazionali al mondo.

    La superava solo la Redman International.

    Durante la primissima mattinata, era iniziata la sua guerra privata contro George Redman: con le molestie a Leana Redman e l’esplosione dei riflettori secondo i suoi piani. E adesso, l’inaugurazione del palazzo stava quasi per avere inizio.

    Louis sollevò lo sguardo sulla Quinta Strada, verso il fervore che circondava il tappeto rosso all’entrata dell’edificio Redman. A giudicare dalla folla di reporter e dalla fila di limousine che serpeggiavano lungo il viale, si sarebbe pensato che ogni uomo o donna influente nel mondo sarebbe andato a mostrare la sua solidarietà a George Redman. Il fatto che Louis stringesse affari con molti di quegli uomini e quelle donne gli fece distogliere lo sguardo.

    Si concentrò invece sulla foto in bianco e nero di sua moglie sulla scrivania.

    Dentro la pesante cornice d’argento, la foto; dalla morte di Anne, nel tempo si era sbiadita, ma la bellezza di quella donna risplendeva ancora.

    Louis studiò quel viso e ripensò ai pochi anni che avevano trascorso insieme. Lei era stata il suo primo amore, il suo idolo e la sua migliore amica. Gli aveva regalato i ricordi più belli. Gli aveva dato anche un figlio e, nonostante lui e Michael avessero le loro divergenze, ogni volta che lo vedeva, i soli tratti, gli rammentavano la sua amata Anne.

    La moglie che George Redman gli aveva portato via.

    Louis pensò a ciò che stava per frapporsi sul cammino di Redman. Era tempo. Finalmente, George Redman era vulnerabile. Quando Anne era morta, Louis aveva promesso che sia lui che Michael avrebbero fatto pagare a quell’uomo ciò che le aveva fatto. Aveva promesso di distruggere lui, la sua famiglia e il loro l’impero. Avrebbe fatto patire a tutti loro il dolore che aveva provato per anni.

    Abbassò lo sguardo sulla prima pagina del Wall Street Journal. Il titolo d’apertura diceva:

    LE AZIONI DELLA REDMAN CROLLANO DI VENTITRÉ PUNTI

    LA PROPOSTA DI FUSIONE DELLA WESTTEX INNERVOSISCE I MERCATI

    BEH, CHE SFORTUNA, pensò ironicamente Louis.

    Aprì un cassetto della scrivania e prese l’ultimo numero della rivista People. In copertina c’era suo figlio, Michael Archer, star del cinema e scrittore di bestseller. Anche invecchiando, era chiaro che Michael avesse l’aspetto di sua madre, dai capelli scuri agli occhi blu cobalto.

    Mentre osservava il viso di suo figlio, Louis si domandava come avrebbe reagito Micheal quando avesse saputo che George Redman aveva ucciso sua madre. Aveva solo tre anni quando accadde. Per risparmiargli il dolore e la rabbia che lui stesso aveva dovuto sopportare, Louis aveva allevato Michael facendogli credere che la morte di Anne fosse stata un incidente. Malgrado ciò, la tragedia che avrebbe dovuto farli avvicinare li aveva allontanati, perché Louis aveva bisogno di dedicare il suo tempo alla Manhattan Enterprises per assicurare il futuro di entrambi.

    Non erano mai stati vicini. Infatti, sino alla settimana precedente, negli ultimi sedici anni Louis non lo aveva visto, né aveva mai avuto sue notizie.

    E tutto a causa di George Redman, pensò.

    Poggiò la rivista e si voltò per guardare le limousine che avanzavano lentamente lungo il viale. Si domandò su quale si trovasse suo figlio.

    La settimana precedente, quando Michael era arrivato senza preavviso nel suo ufficio, Louis fu sorpreso dal suo cambiamento. Suo figlio gli era sembrato più vecchio di persona che non nei film. Negli anni, gli occhi si erano induriti e avevano perso l’espressione innocente di una volta. Forse lottare a Hollywood gli aveva fatto bene. Forse era finalmente cresciuto.

    Ma, naturalmente, non era così.

    Quando Michael gli aveva spiegato in che situazione si trovava e che la sua vita era in pericolo, Louis aveva ascoltato provando lo stesso senso di rabbia e di vergogna di quando il giovane, all’età di diciotto anni, era andato via di casa per Hollywood. Persino ora, Louis lo sentiva mentre gli chiedeva aiuto. Persino ora, riusciva a vedere l’aria di sorpresa sul suo viso quando aveva scoperto che avrebbe potuto ricevere l’aiuto di cui aveva bisogno a patto che fosse andato all’inaugurazione della Redman International per conoscere Leana Redman.

    NELLA LIMOUSINE LINCOLN nera di suo padre, attraverso i vetri oscurati, Michael Archer guardava lo scintillante profilo di New York e pensò che avrebbe voluto essere da qualunque altra parte tranne lì.

    Non era contento di essere ritornato. Detestava ciò che vedeva. Tempo addietro aveva lasciato quel posto e non si era più voltato indietro, fino a qualche settimana prima, quando ormai non aveva alternative.

    Vedeva suo padre dappertutto, dal torreggiante ufficio di Louis e i complessi residenziali della Quinta Strada, agli hotel sfarzosi che aveva superato poco prima a Park e Madison. Anche se nessuno sapeva che lui fosse il figlio di Louis, l’idea che l’ego di suo padre si fosse diffuso su quella città come una malattia, lo metteva in imbarazzo.

    Era buffo, pensò, che adesso si fosse ricacciato in una vita da cui una volta era fuggito. Ancora più buffo, che suo padre fosse l’unico che lo potesse aiutare.

    Sul sedile a fianco al suo c’era la busta manila che gli aveva dato Louis. Michael la prese, la girò verso la luce sopra di lui e tirò fuori alcune fotografie di Leana Redman.

    Nella maggior parte di esse la si vedeva leggere a Washington Square, altre invece erano state scattate quando faceva la fila all’edicola. In altre ancora correva per prendere un taxi.

    Michael osservò quel viso e si domandò in che cosa lo stesse cacciando suo padre. Perché era così importante che conoscesse Leana Redman? E perché Louis si era rifiutato di dargli i soldi di cui aveva bisogno se non avesse fatto ciò che gli aveva chiesto?

    La limousine incappò in una serie di semafori verdi e volò spedita lungo la Quinta Strada. Più avanti, Michael riuscì a vedere i forti fari che brillavano e volteggiavano sul Palazzo Redman International, illuminando il nastro rosso con improvvisi e abbaglianti movimenti circolari.

    Mise da parte le foto. Per ora, avrebbe fatto come voleva suo padre.

    Dopo l’ultima minaccia di morte, non aveva proprio scelta.

    CAPITOLO QUATTRO

    NELL’ATRIO L’ECCITAZIONE cresceva.

    Dalla sua posizione vicino al debole luccichio della cascata, Vincent Spocatti osservava la febbrile attività da cui era circondato.

    Sotto la direzione di Elizabeth Redman, le cameriere in uniforme controllavano la sistemazione dei posti, lucidavano nell’atrio gli scintillanti mobili di qualità, facevano gli ultimi ritocchi alle enormi installazioni floreali che adornavano ciascuno dei duecento tavoli da otto persone. I baristi in smoking nero si occupavano dell’approvvigionamento dei bicchieri, delle bottiglie e del ghiaccio. Dietro di lui, i membri dell’orchestra di trentaquattro musicisti presero posto nelle loro sedie e si prepararono per l’impegnativa serata che li attendeva.

    Nonostante le bombe esplose in precedenza, Spocatti era impressionato da quanto tutto procedesse senza intoppi. Se non fosse stato per Elizabeth Redman e sua figlia, Celina, sapeva che non sarebbe andata così liscia.

    Osservò Elizabeth che percorreva l’atrio diretta al bar. Elizabeth Redman era alta e snella come sua figlia Celina. I capelli biondi le sfioravano le spalle e incorniciavano un viso ovale che suggeriva intelligenza e sense of humour. I diamanti che aveva al collo, ai polsi e nelle orecchie erano concorrenziali, ma non indiscreti. Conosceva le persone che aveva invitato. Sapeva come occuparsene. Era chiaro.

    Superò Spocatti, che si voltò per dare un’occhiata all’immagine di se stesso riflessa nell’enorme colonna a specchio alla sua destra. Nel punto in cui la pistola premeva contro il taschino sul petto dello smoking, c’era una leggera protuberanza; ma Vincent non gli prestò molta attenzione. Era un membro della sicurezza e quella sera era stato assunto per proteggere da eventuali intrusi George Redman, la sua famiglia e i suoi ospiti.

    Il paradosso lo fece quasi ridere.

    Conosceva il suo ambiente. Sebbene la sicurezza sembrasse molto severa, era tristemente approssimativa. Dopo l’esplosione della mattina, George Redman aveva assunto venticinque uomini a guardia del galà di quella serata. Per quel che lo riguardava, tutti gli altri erano dei dilettanti, cosa che a lui andava bene.

    Perciò, non avrebbe dovuto avere problemi a introdursi in uno degli ascensori e a procurarsi le informazioni di cui Louis Ryan aveva bisogno per l’acquisizione della WestTex S.p.A.

    ELIZABETH REDMAN SI spostò ancora, questa volta diretta verso di lui. Dal suo modo sicuro di comportarsi Spocatti comprese che la donna era ben consapevole del potere che esercitava sulla città, sebbene sembrasse non esserne interessata.

    Si avvicinò con un sorriso porgendogli la mano.

    Sono Elizabeth Redman, disse. La sua stretta era salda.

    Antonio Benedetti.

    Ho sempre amato l’Italia aggiunse lei.

    Be’, questa è bella! Che cosa posso fare per lei Signora Redman?

    Non molto. Soltanto assicurarsi che stasera qui non esploda alcuna bomba, gliene sarei grata. Se ne può occupare?

    Certamente.

    Elizabeth sollevò la testa. Mentre lo studiava, i suoi occhi divennero severi.

    Magari, aggiunse e si avviò verso gli altri membri della sicurezza. Non sono così sicura degli altri.

    Neppure io.

    Lei non crede che siano in grado di proteggerci?

    Francamente, no.

    Sono tutti esperti, disse Elizabeth.

    Davvero? Chi li ha addestrati? È da due ore che continuo a osservarli mentre fanno degli errori. Non sono dei professionisti.

    E lei lo è?

    .

    Alle loro spalle si udì il suono pizzicato e profondo del basso. Elizabeth guardò Spocatti e disse, Signor  Benedetti, stamattina tre bombe sono esplose sul tetto di questo edificio. Diversi uomini sono rimasti feriti, mia figlia ha rischiato di morire. Stasera, credo che tutti sappiamo che può succedere qualcosa, e forse è probabile. Con simili dilettanti nello staff della sicurezza, pare che avrà un lavoro adatto a lei. Spero che vada tutto bene.

    Divertito, Spocatti la osservò mentre si allontanava.

    George e Celina Redman arrivarono dieci minuti prima dei loro ospiti.

    Uscirono dall’ascensore privato e si diressero in due direzioni separate. Spocatti studiò Celina, era stupenda con il suo abito di lustrini rossi. Il passo era lungo e deciso e si muoveva con la stessa sicurezza di sua madre.

    Sotto la tenda a baldacchino dell’ingresso, Elizabeth parlava ai quattro membri della sicurezza che stazionavano lì. Celina poggiò una mano sulle spalle della madre, si avvicinò a una delle guardie, gli levò la sigaretta dalle dita, la spense in un portacenere lì accanto e lo fece sistemare davanti alla vetrata, indicandogli la strada.

    La ragazza era brava. Non solo aveva salvato una vita quella mattina, ma cercava di far sì che gli uomini della sicurezza fossero concentrati, così che quella sera non venisse fatto del male a nessuno.

    Quando fosse arrivato il momento di ucciderla, sarebbe stato un peccato.

    George Redman era in un mondo tutto suo. Girovagava per l’atrio, guardava con orgoglio i tavoli, i fiori, l’apparecchiatura elaborata. Spocatti sapeva da Louis Ryan che possedere questo palazzo sulla Quinta Strada era il sogno di George. Sapeva quanto avesse lavorato sodo per averlo, quanto fosse felice che fosse finalmente suo.

    Spocatti guardò l’orologio. Peccato che non lo rimarrà per molto.

    Dietro di lui, l’orchestra iniziò a suonare My Blue Heaven. Spocatti guardò dall’altra parte dell’atrio e attraverso le finestre vide i primi ospiti scendere dalle loro limousine.

    La festa stava avendo inizio. George, Elizabeth e Celina erano all’ingresso, pronti a salutare, abbracciare e ricevere i complimenti. Soltanto dopo essere scivolato di soppiatto dietro la cascata ed essersi introdotto furtivamente in uno degli ascensori, Spocatti si accorse che la figlia più piccola non era presente.

    Mancava l’emarginata, pensò di sfuggita.

    LE PORTE DELL’ASCENSORE si chiusero in silenzio dietro di lui.

    Dalla tasca della giacca Spocatti prese la carta con il codice computerizzato che Ryan gli aveva dato. La inserì nella fessura illuminata del pannello di controllo, digitò sulla tastiera le otto cifre della combinazione che aveva memorizzato e attese.

    Per un istante non accadde niente. Quindi una voce computerizzata disse Autorizzazione concessa, signor Collins. Prego scelga un piano. Quindi era un tale Collins che si era venduto a Ryan, pensò Spocatti. Premette il tasto luminoso numero 76.

    L’ascensore iniziò la sua salita.

    Spocatti disinserì la carta e tirò fuori la pistola. Mentre l’ascensore rallentava per fermarsi, si spostò di lato. Le porte si aprirono.

    Per capire e valutare, diede un rapido sguardo all’esterno. Non vide nessuno e si rilassò.

    Ora arrivava il bello.

    Nel corridoio lungo e ben ammobiliato, sulle pareti color avorio erano esposti i capolavori dei maestri classici; alla fine dell’ingresso c’era una porta artigianale di mogano e un pavimento di legno che risplendeva come se fosse stato appena lucidato. Su un fragile tavolino, una lampada Tiffany emanava arcobaleni di luce ambrata.

    Spocatti si appoggiò indietreggiando nell’ascensore. A chiunque altro sarebbe sembrato niente più che un corridoio arredato con sfarzo. Per lui era un percorso a ostacoli.

    Mise la pistola nel fodero, dalla

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