Manzoniana: 11 capolavori poetici
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Manzoniana - Alessandro Manzoni
EDIZIONI
Intro
Dal celeberrimo napoleonico
Il 5 maggio a In morte di Carlo Imbonati, dai cinque Inni Sacri completati (il sesto rimase incompiuto): La Risurrezione, Il Nome di Maria, Il Natale, la Passione, La Pentecoste al poemetto Del trionfo della Libertà (quattro canti). E ancora: Urania, Adda. Idillio a Vincenzo Monti, A Partenide. Una antologia poetica del padre
della lingua italiana Alessandro Manzoni: 11 capolavori scelti.
IL CINQUE MAGGIO
[17-19 luglio 1821]
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore,
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Né sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio, e tacque;
Quando con vece assidua
Cadde, risorse, e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio;
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza; nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armati,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar sé stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh! quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò; ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desideri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.
Bella immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Ché più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.
IN MORTE DI CARLO IMBONATI
VERSI DI ALESSANDRO MANZONI A GIULIA BECCARIA SUA MADRE. Ch’ambo i vestigi tuoi cerchiam piangendo. [Gennaio 1806]
Se mai più che d’Euterpe il furor santo
E d’Erato il sospiro, o dolce madre,
L’amaro ghigno di Talia mi piacque
Non è consiglio di maligno petto.
Né del mio secol sozzo io già vorrei
Rimescolar la fetida belletta,
Se un raggio in terra di virtù vedessi,
Cui sacrar la mia rima. A te sovente
Così diss’io: ma poi che sospirando,
Come si fa di cosa amata e tolta,
Narrar t’udia di che virtù fu tempio
Il casto petto di colui che piangi;
Sarà, dicea, che di tal merto pera
Ogni memoria? E da cotanto esemplo
Nullo conforto il giusto tragga, e nulla
Vergogna il tristo? Era la notte; e questo
Pensiero i sensi m’avea presi; quando,
Le ciglia aprendo, mi parea vederlo
Dentro limpida luce a me venire,
A tacit’orma. Qual mentita in tela,
Per far con gli occhi a l’egra mente inganno,
Quasi a culto, la miri, era la faccia.
Come d’infermo, cui feroce e lungo
Malor discarna, se dal sonno è vinto,
Che sotto i solchi del dolor, nel volto
Mostra la calma, era l’aspetto. Aperta
La fronte, e quale anco gl’ignoti affida:
Ma ricetto parea d’alti pensieri.
Sereno il ciglio e mite, ed al sorriso
Non difficile il labbro. A me dappresso
Poi ch’e’