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L'Epopea di Gigalmesh
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L'Epopea di Gigalmesh

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L'Epopea di Gilgameš è un ciclo epico di ambientazione sumerica, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla, che risale a circa 4500 anni fa tra il 2600 a.C. e il 2500 a.C. Esistono sei versioni conosciute di poemi che narrano le gesta di Gilgameš, re sumero di Uruk, nipote di Enmerkar e figlio di Lugalbanda. Nella versione più conosciuta, la cosiddetta Epopea di Gilgameš è babilonese.
L'Epopea di Gilgameš raccoglie tutti quegli scritti che hanno come oggetto le imprese del mitico re di Uruk ed è da considerarsi il più importante dei testi mitologici babilonesi e assiri pervenuti fino a noi.
Di quest'opera noi possediamo, oltre all'edizione principale allestita per la biblioteca del re Assurbanipal e ora conservata nel British Museum di Londra, altre versioni più antiche e frammentarie. Tutti i popoli che sono venuti a contatto con il mondo sumerico hanno avvertito la grandezza dell'ispirazione, tanto è vero che tavolette cuneiformi con il testo di Gilgameš sono state trovate in Anatolia, scritte in lingua ittita e lingua hurrita, e in Siria-Israele. I testi più antichi che trattano le avventure dell'eroe appartengono alla letteratura sumerica e scene dell'epopea si ritrovano, oltre che su vari bassorilievi, su sigilli cilindrici del III millennio a.C.
 
LanguageItaliano
Release dateJan 7, 2018
ISBN9788885519503
L'Epopea di Gigalmesh

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    L'Epopea di Gigalmesh - Sunleqiunnini

    Sunleqiunnini

    L’EPOPEA DI GIGALMESH

    Edizione a cura

    di

    Leonardo Paolo Lovari

    INTRODUZIONE

    L’Epopea di Gilgameš è un ciclo epico di ambientazione sumerica, scritto in caratteri cuneiformi¹ su tavolette d’argilla, che risale a circa 4500 anni fa tra il 2600 a.C. e il 2500 a.C. Esistono sei versioni conosciute di poemi che narrano le gesta di Gilgameš, re sumero di Uruk, nipote di Enmerkar e figlio di Lugalbanda. Nella versione più conosciuta, la cosiddetta Epopea di Gilgameš è babilonese.

    L’Epopea di Gilgameš raccoglie tutti quegli scritti che hanno come oggetto le imprese del mitico re di Uruk ed è da considerarsi il più importante dei testi mitologici babilonesi e assiri pervenuti fino a noi.

    Di quest’opera noi possediamo, oltre all’edizione principale allestita per la biblioteca del re Assurbanipal e ora conservata nel British Museum di Londra, altre versioni più antiche e frammentarie. Tutti i popoli che sono venuti a contatto con il mondo sumerico hanno avvertito la grandezza dell’ispirazione, tanto è vero che tavolette cuneiformi con il testo di Gilgameš sono state trovate in Anatolia, scritte in lingua ittita e lingua hurrita, e in Siria-Israele. I testi più antichi che trattano le avventure dell’eroe appartengono alla letteratura sumerica e scene dell’epopea si ritrovano, oltre che su vari bassorilievi, su sigilli cilindrici del III millennio a.C.

    Di quest’opera noi possediamo, oltre all’edizione principale allestita per la biblioteca del re Assurbanipal² e ora conservata nel British Museum di Londra, altre versioni più antiche e frammentarie. Tutti i popoli che sono venuti a contatto con il mondo sumerico hanno avvertito la grandezza dell’ispirazione, tanto è vero che tavolette cuneiformi con il testo di Gilgameš sono state trovate in Anatolia, scritte in lingua ittita e lingua hurrita, e in Siria-Israele. I testi più antichi che trattano le avventure dell’eroe appartengono alla letteratura sumerica e scene dell’epopea si ritrovano, oltre che su vari bassorilievi, su sigilli cilindrici del III millennio a.C.

    Le fonti dell’epopea sono varie e coprono un lasso di tempo di circa duemila anni. Gli originali poemi in lingua sumera e la successiva versione in lingua accadica sono le principali fonti delle traduzioni moderne; la più antica versione sumera viene utilizzata soprattutto per riempire le lacune della versione accadica. Nonostante recenti integrazioni, l’epica rimane ancora incompleta.

    Il nucleo più antico dei poemi sumeri viene modernamente considerato come una raccolta di storie separate, piuttosto che una singola epica unitaria. L’origine risale alla terza dinastia di Ur (2150-2000 a.C.), mentre le più antiche versioni accadiche vengono datate all’inizio del secondo millennio a.C., probabilmente tra il XVIII e il XVII secolo a.C. quando alcuni autori utilizzarono il materiale letterario esistente per dare forma ad un’epica unificata. La versione standard accadica, che consiste di dodici tavolette di argilla, fu redatta da Sin-liqe-unninni, tra il 1300 e il 1000 a.C. e fu trovata nella biblioteca di Assurbanipal a Ninive.

    L’Epopea di Gilgameš fu scoperta nel 1853 dall’archeologo assiro Hormuzd Rassam. Nel 1870 fu pubblicata una traduzione in inglese da parte dell’assiriologo George Smith, a cui fecero seguito altre traduzioni in varie lingue moderne. La più recente e completa versione critica in inglese è un libro in due volumi pubblicato nel 2004 da Andrew George e che comprende l’esegesi di ogni singola tavoletta con testo originale e traduzione a fronte. La prima versione in arabo direttamente dalle tavolette originali risale al 1960 ad opera dell’archeologo iracheno Taha Baqir.

    La scoperta di alcuni artefatti datati al 2600 a.C. che fanno riferimento a Enmebaragesi re di Kish, menzionato nell’epica come padre di uno degli avversari di Gilgameš, ha rafforzato la credibilità dell’effettiva esistenza storica di Gilgameš, ma l’argomento è controverso.

    L’Epopea di Gilgameš, nella sua versione classica babilonese, narra la storia del re di Uruk, Gilgameš, che coinvolge (o costringe) i giovani maschi della città in attività ludiche (o marziali). I parenti di questi giovani si lamentano con le divinità, le quali rispondono alle loro preghiere creando il guerriero primitivo: Enkidu.

    Enkidu vive da solo nella foresta insieme agli animali e li difende dai cacciatori di Uruk, e questi si lamentano della sua presenza con Gilgameš. Il re di Uruk invia quindi la ierodula Šamḫat a Enkidu. La prostituta sacra inizia al sesso Enkidu e tali attività amorose allontanano dal mondo ferino di animale selvatico il guerriero primitivo e lo avvicinano a quello degli uomini. Šamḫat convince quindi Enkidu a raggiungere Uruk per conoscere il suo re, Gilgameš. L’incontro tra il guerriero primitivo e Gilgameš si risolve in un combattimento tra i due, dove Enkidu ha la meglio, ma riconosce nel re di Uruk la divina capacità di comando.

    Gilgameš convince Enkidu ad accompagnarlo nella spedizione nella Foresta dei Cedri dove vive il terribile guardiano Ḫubaba. Il motivo della spedizione è quello di sconfiggere il divino guardiano e quindi conquistare una fama imperitura. I due si recano nella Foresta e uccidono Ḫubaba, nonostante il guardiano abbia più volte invocato clemenza.

    Gilgameš ed Enkidu rientrano a Uruk, lì la dea Ištar, dea dell’amore fisico, si invaghisce del re proponendosi come sua sposa. Ma Gilgameš la respinge motivando il suo rifiuto con il triste destino occorso a chi aveva precedentemente sposato la dea. Ištar, rifiutata, si infuria e recatasi in Cielo dal dio An gli chiede di inviare sulla terra il Toro Celeste affinché uccida Gilgameš. An risponde negativamente alle pressanti richieste di Ištar, ma si decide a liberare il Toro dopo che la dea minaccia di aprire i cancelli degli Inferi. Il Toro celeste sconvolge la Terra, ma viene affrontato da Gilgameš e da Enkidu che lo uccidono.

    Gli dèi si riuniscono e decidono la morte per Enkidu che, insieme a Gilgameš, ha ucciso due esseri divini: Ḫubaba e il Toro Celeste. Enkidu quindi si ammala e muore. Gilgameš è disperato per la morte dell’amico e spaventato dalla presenza della morte; vagando per la steppa coperto di pelli, va alla ricerca di Utanapištim, l’unico sopravvissuto al Diluvio Universale a cui gli dèi hanno concesso la vita eterna.

    Raggiunto Utanapištim, dopo aver superato la montagna protetta dagli uomini-scorpione e dopo aver attraversato il Mare della Morte, Gilgameš viene a conoscenza del racconto sul Diluvio Universale e diviene consapevole di non poter mai raggiungere l’immortalità. Nonostante questo, Utanapištim confida a Gilgameš l’esistenza della pianta della giovinezza, mangiata la quale si può tornare ad essere giovani. Gilgameš la raggiunge nel profondo degli abissi e la prende allo scopo di portarla ai vecchi della sua città. Ma, mentre il re di Uruk sosta presso una pozza d’acqua per le purificazioni, un serpente mangia la pianta rinnovando in questo modo la sua pelle. Gilgameš è disperato, ma ormai pienamente consapevole dell’inevitabile destino degli uomini.

    L’ultima tavola dell’epopea, la XII, narra di Gilgameš che perde i suoi preziosi strumenti di gioco (o di musica), che cadono negli Inferi. Enkidu si offre per andare a recuperarli, Gilgameš lo raccomanda di rispettare le regole del mondo dei morti affinché non venga trattenuto per sempre lì. Sceso negli Inferi, Enkidu viola le consegne di Gilgameš, quindi non può più tornare tra i vivi. Gilgameš è disperato e alla fine ottiene dagli dèi di poter incontrare l’amico e fedele servitore Enkidu: la tavola termina con il racconto di Enkidu a Gilgameš sul mondo dei morti.

    Nei testi biblici, molto successivi, e nell’epica classica, compaiono svariate affinità con elementi del poema; si pensa che alcuni temi fossero diventati largamente diffusi nel mondo antico e che la

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