Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Alla scoperta dell'eremo perduto: Scheletri e misteri scomodi nella Cagliari sotterranea. Le avventure di Paul Satrì
Alla scoperta dell'eremo perduto: Scheletri e misteri scomodi nella Cagliari sotterranea. Le avventure di Paul Satrì
Alla scoperta dell'eremo perduto: Scheletri e misteri scomodi nella Cagliari sotterranea. Le avventure di Paul Satrì
Ebook200 pages2 hours

Alla scoperta dell'eremo perduto: Scheletri e misteri scomodi nella Cagliari sotterranea. Le avventure di Paul Satrì

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Accadono cose strane a Cagliari, dove non tutto è quel che sembra e dove al di sotto del manto stradale si cela un mondo sconosciuto e misterioso. Una Cagliari sotterranea intrisa di storie ormai dimenticate: omicidi e suicidi, medium e tesori nascosti, passaggi segreti e vicende di guerra. In molti vogliono che l’oblio copra tutto, che il tempo sgretoli la roccia fino a farla diventare polvere, che il sole non splenda mai su verità scomode. C’è invece qualcuno che vuole opporsi a tutto questo per comporre il mosaico delle storie dimenticate della città di sotto: è Paul Satrí, giornalista e investigatore di professione, speleologo e ficcanaso per passione. E quando un’inattesa telefonata gli preannuncerà un nuovo lavoro, non avrà esitazioni perché finalmente potrà esplorare le grotte di San Guglielmo, nel centro di Cagliari, alla ricerca di una fonte dotata di poteri magici.
Questo primo viaggio ci presenterà Paul Satrì, la sua infanzia, la sua adolescenza, i suoi ricordi e le sue prime esplorazioni quando, con ancora i pantaloni corti, si calava furtivo nelle grotte di Tuvixeddu in compagnia della sua Laura. Ci condurrà poi all’interno della fossa di San Guglielmo alla ricerca della leggendaria fonte in un viaggio per chiese scomparse e sotterranei umidi per fare luce anche sulle tradizioni cagliaritane più spaventose. E cercando la fonte dalle acque miracolose, le profondità della terra riveleranno dell’altro, un’enigma, un giallo che lo condurrà all’affannosa ricerca di risposte. Lo speleologo lascerà spazio all’investigatore che scaverà nella Storia in un’avventura al tempo stesso affascinante e misteriosa, dove passato e presente convivono e dove, infine, anche l’uomo Satrì troverà se stesso.
LanguageItaliano
Release dateJan 8, 2018
ISBN9788885586093
Alla scoperta dell'eremo perduto: Scheletri e misteri scomodi nella Cagliari sotterranea. Le avventure di Paul Satrì

Related to Alla scoperta dell'eremo perduto

Related ebooks

Performing Arts For You

View More

Related articles

Reviews for Alla scoperta dell'eremo perduto

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Alla scoperta dell'eremo perduto - Marcello Polastri

    sull'Autore

    La città magica

    Cagliari è una città magica fatta di pietre bionde parlanti, ma troppo spesso inascoltate.

    È stata costruita sulla roccia con la roccia; pietre su pietre modellate dalle mani antiche ed esperte degli schiavi manovrati, come marionette, dai dominatori di turno.

    Nel secolo scorso, per la sua luminosità, venne definita la città del sole ma a guardarla bene, e per bene intendo dal basso, appare anche buia e misteriosa, perché zeppa di vie sotterranee scavate in varie epoche: grotte, cunicoli, cisterne e prigioni. E poi cannoniere medievali, passaggi segreti, acquedotti vecchi di millenni. E ancora cavità, immense o molto piccole, nate come tombe e divenute all’occorrenza qualcos’altro da capire, vicende da decodificare.

    Nelle viscere di Cagliari scorre da secoli la linfa che ha formato le sue radici storiche. Talvolta mentre passeggiamo per strada calpestiamo innumerevoli vie segrete create dall’uomo per far fronte alle esigenze quotidiane, come le cisterne sotterranee e i pozzi di raccolta dell’acqua, oppure per prelevare la roccia e costruire la città di sopra. Ma anche per nascondersi o per cercare rifugio in tempo di guerra.

    Storie diverse, anonime o speciali, ma delle quali pochi sono al corrente.

    Di tanto in tanto, il cedimento di una strada svela una cavità sotterranea ed è come se i crolli e gli smottamenti rappresentassero l’unico segno di vita che la Cagliari di sotto è capace di sprigionare. Come a volerci dire: io esisto, sono qui. Cedimenti dell’asfalto o delle case, com’è accaduto spesso, rappresentano i borbottii d’una dimensione sotterranea costantemente ignorata, dimenticata.

    E la parte nascosta di Cagliari, fatta di monumenti sotterranei, di vecchie vie e piazze sepolte, è anche lo specchio di una società che va sempre di fretta, che non si ferma sull’essenziale o predilige l’apparire. Però, grazie ai piccoli o ai grandi spaccati di questa città capovolta, possiamo osservare, come se fossero rughe incise nella pietra, le orme della storia lasciate dal passaggio dei nostri antenati.

    Le costruzioni moderne hanno sepolto tombe preistoriche, antichi acquedotti, infinità di pozzi, come tante ciminiere ribaltate che si perdono nell’oscurità del sottosuolo e risuonano di echi lontanissimi. Provengono dai nostri antenati che in quei luoghi remoti consumarono i propri sforzi, riposero le proprie speranze allargando e riusando le cavità sotterranee che si rivelarono di estrema importanza.

    Hanno accolto pellegrini e santi, dato linfa vitale e spirituale a intere popolazioni, hanno ospitato, nelle loro varianti sepolcrali, tanti corpi affidati alle divinità del buio, al regno dei morti dove realtà e superstizione si fondono in un unico amalgama.

    Oggi, nell’era moderna, svaniti i suoni, le processioni delle chiese rupestri e il viavai delle genti che usarono le caverne, la polvere e il silenzio sono così spessi da costituire una figura onnipresente che veglia su questi spazi magici: sotto Cagliari, abbandonata la città del sole e i suoi panorami, c’è un mondo da raccontare, ma ancor prima da vivere.

    Questo è il mio mondo.

    Ecco perché da anni scandaglio nell’intimità della terra, entrando e uscendo come un’anima irrequieta in un corpo che non è il mio, quello delle caverne cittadine dove il tempo è scandito dal nostro respiro, dal rumore dei nostri passi che si mescolano con l’anelito del sottosuolo fatto di vapori quasi impercettibili, e di umori e gemiti inafferrabili di assestamento.

    Paul, l'avventuriero

    Corpo esile e nerboruto, forgiato e al tempo stesso martoriato da trentacinque anni di vita, di cui almeno venti trascorsi ad esplorar misteri. Se è vero che le mani dicono tutto di una persona, le mie, piene di cicatrici, vi ingannerebbero perché assomigliano a quelle di un minatore, segnate come sono a furia di arrampicarmi o di calarmi sottoterra. Pur sempre appartenenti ad uno che ama scrivere e all’occorrenza sporcarsele.

    Mi chiamo Paul, Paul Satrì.

    È un nome particolare il mio, soprattutto per un sardo.

    I miei genitori hanno deciso di chiamarmi così in ricordo di mio nonno Paul, un marinaio tatuato da testa a piedi, di madre australiana e che parlava uno strano sardo infarcito di parole inglesi.

    Sulle prime poteva sembrar ridicolo ma il suo modo di fare, quasi snob, lo rendeva importante agli occhi dei cagliaritani che sono soliti affibbiare allumingius, dei nomignoli a tutti. Il suo soprannome era s’Inglesu, cioè l’inglese, per il suo aplomb e per quelle parole straniere che ogni tanto coloravano le sue frasi. Io invece lo chiamavo semplicemente Nonnoppol.

    Porto il suo nome anche perché, in Sardegna, per tradizione, il nome dei capifamiglia spetta ai primogeniti maschi. È un rito che si rinnova di generazione in generazione e anche i miei genitori non si sono voluti sottrarre.

    Era un bel tipo nonnopol: pericoloso quando s’infuriava ma estremamente amorevole se gli andavi a genio. Un po' come me.

    Non seu razzista deu, ma cun totu su coru odiu is americanus.

    Quel che diceva nonnopol era paradossale: Non sono razzista, ma odio con tutto il cuore gli Americani e poi via, a farfugliare parolacce e a mimare gesti sconci tutte le volte in cui, davanti alla tivù, sentiva arrivare dagli USA notizie di guerre ed armamenti. A volte invece restava zitto, immobile, seduto nella savonarola che aveva realizzato con le sue mani. Si bloccava per qualche istante, poi prendeva a grattarsi il polso e sbottava.

    Si lamentava di continuo de is americanarasa, le americanate, come le pronunciava lui.

    Il suo rancore verso l’America perdurava da decenni perché durante la seconda guerra mondiale, quando da soldato prestava servizio nelle batterie contraeree di Cagliari, vide il demonio precipitare dal cielo con le sembianze infuocate delle bombe sganciate degli aerei alleati.

    Quel che mi ha raccontato del 17 febbraio 1943 non l’ho mai scordato.

    " Cussa dì, sa sirena hiat sonau tradu…".

    Si riferiva alla sirena della contraerea montata sulla torre di San Pancrazio, il punto più alto del centro abitato. Ma era stata suonata in ritardo, quando l’ombra degli aerei nemici stava già oscurando la città e la gente si riversava nelle strade per raggiungere l’altra Cagliari, quella sotterranea, quella che avrebbe potuto garantire la salvezza.

    Nonnoppol ed i suoi commilitoni, da addetti della milizia marittima di artiglieria, si stavano recando nella batteria del colle Sant’Elia, la cosiddetta antinave Prunas quando, attraversando il quartiere Stampace, avevano udito il sibilo delle bombe. Erano corsi come dei matti verso il rifugio più vicino e avevano spintonato tutti quelli che incontravano per la strada, spronandoli: " ajò, fate alla svelta".

    Nonno aveva visto due bambini che tremavano come foglie; le manine sul viso per tapparsi gli occhi, ingenui e smarriti.

    "Erano soli, terrorizzati davanti alla bocca del rifugio antiaereo, accanto alla chiesa di Sant’Anna e la folla, che non si era accorta di loro, cercava di scendere sottoterra in sa grutt’e Santa Restituta. Mi sono gettato su di loro e li ho abbracciati per proteggerli. Poi arrivò su tiaulu, sì, il finimondo, con il sangue odoroso che fluiva fin dentro il sotterraneo. I morti furono più di cento, duecentoventi i feriti tra uomini, donne e bambini, e quelli che poco prima si strattonavano per scendere nei sotterranei, si ritrovarono senza un braccio o una gamba, molti con la testa spaccata. Mi levai di dosso i loro pezzi di carne, ne ricordo ancora l’odore. Ho visto sbattere la testa di una signora proprio come se fosse un grande uovo scagliato dal davanzale d’una finestra. Il suo cervello era dappertutto…".

    E i bambini che avevi abbracciato? gli chiesi.

    Sono sopravvissuti. Ma lo disse con la tristezza che gli segnava gli occhi. Come se volesse nascondere più atroci verità.

    Tra quei resti simili a pezza mazziara, a carne maciullata, si persero, da qualche parte oltre il selciato, anche il pollice e il dito indice di nonno Paul, tranciati di netto da una scheggia.

    O nonno, ma perché non ti hanno riattaccato le dita?, gli domandavo spesso quand’ero bambino per sentire la solita risposta che mi affascinava.

    Perché quel giorno sono svenuto dal dolore, probabilmente le mie dita mancanti le gettarono via assieme ad altri resti umani, caricati su una camionetta e buttati in una fossa comune. O forse sono rimaste in mezzo alle macerie. Di sicuro – aggiungeva severo – non mi sono ricresciute. E comunque in quei momenti non importava a nessuno delle dita d’un uomo in divisa, di un soldato ferito rispetto a gente squarciata.

    Chi aveva assistito a quelle scene ebbe gli incubi per anni. Altri rimasero traumatizzati per tutta la vita. Altri ancora, che persero i propri cari, si illusero di poterli riabbracciare.

    Ecco perché Nonnoppol odiava gli americani: " Anti lassau medas pippius senz’e babbu e babbus senza de fillus, malarittus bùrdusu, che tradotto significa hanno lasciato molti bambini senza genitori, e viceversa, maledetti bastardi".

    Ribadiva, in ogni occasione, che gli americani seminavano la morte sempre e comunque fuori di casa loro.

    Se un cancro non se lo fosse divorato, quel nonno temerario avrebbe scoperto che dall’11 settembre 2001 le cose sono notevolmente cambiate anche per gli Stati Uniti.

    Quando sono diventato un giornalista d’inchiesta ho amato sempre più i suoi racconti scovati nella mia memoria e quelli degli anziani. Is contus de forredda. Con questo nome i nostri antenati chiamavano i racconti dispensati dai vecchi nel dopocena o nelle lunghe sere d’inverno, accanto al crepitio del caminetto.

    In Sardegna c’è tanta gente che è cresciuta così, a pane e racconti, in case dove ancora ci si parlava e ci si ascoltava. E se si taceva, quei silenzi facevano rumore. Lo sguardo severo, gli occhi languidi che solo a guardarli parlano, spesso internamente feriti da storie che è meglio non raccontare mai.

    Di molti anziani d’oggi trovo meraviglioso il loro modo di rapportarsi alla vita. Adoro le loro storie di gioventù. Resterei ore ad ascoltare quel che erano, anche per vedere quel che sono diventati attraverso un cammino irto di ostacoli e difficoltà.

    Soprattutto adesso che gestisco anche una società di investigazioni, sapere dei nostri antenati mi è stato di grande ausilio per capire i comportamenti della gente.

    A prescindere dalla propria professione, tutti hanno una missione nella vita e la mia è una missione esistenziale. Consiste nell’indagare e nello svelare cose occulte: vicende e luoghi importanti sconosciuti ai più. Partendo da un barlume di speranza, da un briciolo di verità.

    È per questa ragione che a furia di arrampicarmi o di calarmi in posti insidiosi, assieme al mio bagaglio di esperienze, anche il mio sguardo è cambiato e le mie mani si sono rafforzate. Cicatrici a parte.

    Quell'indimenticabile infanzia

    La ricerca, a volte ossessiva dell’avventura, mi ha portato fin da piccolo in posti sempre più insidiosi. Dapprima scovando e poi svelando storie e luoghi di cui neanche ipotizzavo l’esistenza.

    Avevo ancora i calzoncini corti quando mi addentrai per la prima volta nei meandri labirintici degli ambienti vuoti di Cagliari. Accadde qualcosa di magico quando in un immenso colle urbano andai a prendere dagli alberi di fronte a una casa abbandonata, delle melegrane mature.

    Le rubai davanti ad una madonnina di gesso che sopravviveva, oscillando come impiccata, all’ombra della pianta alla quale era stata legata con uno spago.

    Notai, su un banco di candida roccia, una bocca oscura che si spalancava sull’ignoto. Era un’ampia caverna; mi addentrai al suo interno. Non vi trovai nulla di interessante, solo un tappeto di rifiuti e una carcassa putrescente di un cane. Eppure qualcosa mi si accese dentro. Qualcosa che mi diceva che il buio delle caverne e non la luce dell’esterno riusciva a illuminarmi, a farmi sentire d’essere veramente me stesso.

    È come se l’irresistibile attrazione per il mistero si fosse impossessata di me per indurmi a varcare oscure porte, dapprima visitando i terreni situati a due passi dalla casa dei miei nonni per esplorare, più avanti negli anni, quel colle ricco di caverne che ospita i segreti di un’intera città.

    La speleologia urbana è a tutti gli effetti quel modo perfetto che mi ha consentito di vivere pienamente il tempo libero. Di conciliare la mente con lo spirito, il sudore con l’attività cerebrale. Mi ha consentito di evadere dalla realtà, di isolarmi dal mondo esterno come se vivessi in un’altra dimensione; bella, alternativa, suggestiva e rinfrancante.

    Quando percorro i passaggi segreti la mia testa, per via di meccanismi che non saprei spiegare, si libera dei pensieri più incombenti. Mi rilasso mentalmente mentre il fisico continua a lavorare, a camminare, e divento più sensibile sino a riuscire a percepire sensazioni che prima erano come assopite.

    Esplorando il sottosuolo ho però sperimentato, sulle mie spalle, che nella vita tutto ha un costo, anche svelare i segreti. Mia nonna mi aveva avvertito: "Oh Paul, ma lassa perdi che andando per sotterranei ti ficcherai in qualche grosso guaio. Lassa perdi. E io, cocciuto, sbuffavo ogni volta che ripeteva quella cantilena: Lassa perdi…", lascia perdere.

    Però nonna Ida andava matta

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1