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Il significato dell'onore: Cronache dell’Ordine della Guardia 1
Il significato dell'onore: Cronache dell’Ordine della Guardia 1
Il significato dell'onore: Cronache dell’Ordine della Guardia 1
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Il significato dell'onore: Cronache dell’Ordine della Guardia 1

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Fantasy - romanzo breve (80 pagine) - Nulla è perduto, quando resta l’onore!


Sul mondo di Itrìemoleth le guerre delle razze sono finite da pochi anni, portando a una pace precaria garantita dall’Ordine della Guardia. Tuttavia, l’odio brucia nei cuori di chi ha combattuto nemici con cui ora divide i pasti. Il sospetto divide le cinque razze superiori, i vincitori e i vinti, i popolani e chi ha nobile estrazione.

Mentre sembra che l’armonia sia un lontano miraggio, nell’accademia dove si allenano i futuri Guardiani, vengono uccisi degli ufficiali umani. Immediatamente dal Comando arriva un ispettore a verificare cosa stia accadendo.

Sarà il Cadetto Lukkar Montego, con un passato proveniente da un mondo tecnologico chiamato Terra, che sbroglierà la matassa. Fra intolleranze razziali, rivolte e vecchi segreti nascosti, il cadetto Montego, con intelligenza e intuito, risalirà la scala degli indizi fino al colpevole.


Umberto Maggesi è nato a Bologna l’11 novembre 1970. Vive a Milano dove svolge la professione di formatore e mental coach. Insegna e pratica Qwan Ki Do – arte marziale sino vietnamita. Appassionato di lettura e scrittura fin da bambino ha pubblicato vari romanzi con case editrici quali Stampa Alternativa, Delos Books, Ugo Mursia, GDS edizioni.

Redattore del periodico dell’Unione Italiana Qwan Ki Do, ha collaborato per molti anni alla rivista di settore marziale Samurai.

Ha pubblicato numerosi racconti in riviste di settore come: Tam Tam, Inchiostro, Writers Magazine Italia, in tutte le storiche 365 Racconti di Delos Books e in appendice al Giallo Mondadori.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateJan 16, 2018
ISBN9788825404579
Il significato dell'onore: Cronache dell’Ordine della Guardia 1

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    Il significato dell'onore - Umberto Maggesi

    9788825403961

    1

    348 d. (dalla fondazione di Città)

    La cacofonia di ringhi, gracchi, gnaulii e grida in lingue aliene, spezzò il sogno. Immagini dalla sua vita precedente, che si sparpagliarono aprendo la realtà su un mondo inverosimile.

    Era finito il tempo in cui Lukkar Montego si svegliava pensando che il suo ultimo anno di vita fosse solo un incubo. Finite le illusioni e le speranze. Ora apriva gli occhi contestualizzando immediatamente la sua situazione: Mondo di Itrìemoleth, territori del Nhear Emìon, accademia dell’Ordine della Guardia, terza camerata, quinto letto.

    Era ancora notte, ma la tranquillità del dormitorio, fatta di sommesso russare umano, del raspare del fiato goblin o dell’affrettato ansimare degli orchetti, era stata interrotta da grida, ringhi, secchi comandi, strusciare di piedi, raspare di artigli. Il cadetto Montego schizzò dal letto temendo un incendio. L’addestramento e la disciplina ebbero la meglio: infilò la casacca e gli stivali d’ordinanza. Il pugno destro si chiuse sulla fibbia del cinturone, mentre si dirigeva verso l’origine del chiasso. Non c’era odore di fumo, non c’erano bagliori di fiamma. La mente gli diede queste prime informazioni emergendo dalla foschia del sonno. Non sembrava un’esercitazione: non c’erano sottoufficiali urlanti, che prendevano a calci nel sedere i cadetti per farli muovere. Nel corridoio due graduati, un umano e un goblin, ceravano di frenare il curioso impeto dei cadetti. Il gruppo davanti a Lukkar doveva essere stato buttato giù dalle brande allo stesso suo modo. Ogni cadetto si era infilato casacca, stivali e cinturone con pugnale di ordinanza al suo posto. Nonostante la situazione Lukkar non seppe trattenere un sorriso. L’istruttore Yemantiin sarebbe stato fiero di loro. Forse dopotutto era un’esercitazione, però non capiva perché, i due sottoufficiali, si ostinavano a sbarrare il passo e invitare alla calma.

    – Omicidio…

    La parola attraversò le sue orecchie, illuminando la mente come un fulmine. Per mesi aveva lottato con quella che gli autoctoni chiamavano Lingua Prima, ora riusciva a carpire facilmente le conversazioni fra umani, ed era certo di non aver capito male. Un omicidio? E chi era stato ucciso all’interno dell’accademia delle forze dell’ordine?

    Dalle scale emerse un’ombra, inequivocabilmente appartenente a un umano. Ancora prima che iniziasse a parlare il cadetto Lukkar aveva capito chi fosse.

    – Alle brande marmaglia! – L’istruttore Perér scostò i graduati con una spallata. I cadetti retrocedettero di tre passi. – Avete capito spazzatura? Vi voglio sulle brande in tre microserie.

    Il lume rischiarava il viso da sotto in su, allungando i lineamenti in ombre demoniache. Tutti sapevano che Perér Roin non apriva bocca per niente. Proprio il giorno prima aveva fatto frustare due goblin per imprecisate insubordinazioni. L’ufficiale possedeva una frusta fabbricata dai nani, fatta di tredici sottili fili di metallo, terminanti in uncini. La chiamava scavascaglie e non si tratteneva dall’usarla al posto delle fruste tradizionali che, sui corpi dei goblin, avevano un minimo effetto. Del resto non si tratteneva neanche dall’usarla sugli uomini, scavando carne e muscoli.

    L’istruttore Roin Perér non aveva bisogno di giustificazioni, lui era l’ufficiale, lui era giudice e boia.

    Tutti furono sulla loro branda in nemmeno due microserie.

    – Cosa è successo? – domandò Lukkar al suo vicino, dopo un ragionevole tempo di attesa. I bisbigli e le richieste di notizie si rincorrevano nel buio su tutto il piano, neppure la minaccia della frusta avrebbe contenuto la curiosità dei cadetti.

    – Hanno ucciso Yemantiin – sibilò l’ombra sdraiata vicino. Lukkar stava per replicare, quando il piantone, un goblin dalle massicce spalle, irruppe nella camerata.

    – Silenzio! Altrimenti domani marcerete fino a consumarvi i piedi! Silenzio!

    Il sottoufficiale Merrvan Volt Perranok percorse la corsia di destra e poi quella di sinistra, controllando che tutti fossero ai loro posti. Niente lume per il goblin. Il chiarore delle lune bastava e avanzava.

    – Non voglio sentire il minimo suono fino all’alba e se vi scappa da pisciare… tenetevela. I piantoni hanno l’ordine di arrestare chiunque cerchi di uscire dalla camerata! Sono stato chiaro ammasso di sterco?

    – Sissignore! – Il coro fu pronto ed energico. Avevano già provato a ripetere quelle sillabe fino a sputare le tonsille, un’esperienza che nessun cadetto aveva voglia di ripetere.

    Nessuno osò più fiatare ma, dal rigirarsi dei corpi sulle brande, dallo strusciare di coperte e scatarrare di gole, Lukkar capì che nessuno poteva dormire, esattamente come lui.

    – Tutti in branda signore! – Merrvan salutò il superiore, senza incrociare lo sguardo, come voleva l’etichetta.

    L’istruttore Perér non ricambiò il saluto, congedando con un gesto irritato il sottoposto, uscì dal dormitorio pestando lunghi e nervosi passi. Non aveva paura, questo no. Anni di guerra in prima linea avevano addomesticato quel sentimento estraniandolo dal suo corpo, dandogli quasi consistenza fisica e un’individualità: il Soldato Ombra.

    L’ombra della paura era diventata un compagno d’arme, un commilitone con cui passare le lunghe serie di attesa nelle tenebre. Un amico con cui dividere i sussulti per il più piccolo suono, scricchiolio, sospiro o raspare di artiglio, che le lunghe notti di guerra regalavano ai fieri eserciti dell’alleanza.

    No.

    L’istruttore Roin Perér non aveva paura, ma era furioso per quello che era successo. Furioso per non avere un colpevole da stritolare con le proprie mani. Furioso con i piantoni che non avevano visto nulla, con gli ufficiali tutti e con se stesso, che aveva permesso che accadesse una cosa del genere.

    Come era possibile che uno schifoso rettile fosse riuscito ad arrivare a Yemantii? Domandava il Soldato Ombra, alitandogli nell’orecchio. I goblin erano subdoli, infidi e bugiardi, questo lo sapevano bene entrambi, ma avevano sottovalutato, si erano fatti ingannare e questo macinava rabbia dentro l’ufficiale, più della morte di un vecchio compagno d’arme.

    Entrò nella palazzina di comando a passo di marcia, incrociando lo sguardo del suo comandante.

    – I cadetti erano tutti nelle loro brande. Ho messo solo sottoufficiali come piantoni. – Non si esibì in formalità come il saluto o la rigida postura dell’attenti. Lui e il comandante Gineaat erano stati in guerra insieme, fianco a fianco davanti alla morte, certe cose prevaricano etichetta e gerarchia.

    – Ho mandato un dispaccio al Comando – informò il superiore, qualcuno avrebbe potuto notare una sfumatura di giustificazione nella sua voce.

    – Di già? – scattò Perér visibilmente alterato. Non potevi aspettare?

    – Aspettare? – La calma del superiore si alterò velocemente. – Aspettare cosa?

    – Che io abbia interrogato i rettili! Stai certo che dopo un paio di fustigazioni come si deve, ci porteranno il colpevole su un vassoio!

    – Non sempre le cose si possono risolvere in questa maniera.

    – Davvero? – Perér mischiò un bel po’ d’ironia nel tono. E da quando sei diventato così comprensivo?

    – La faccenda è delicata, non possiamo fare passi falsi.

    – Appunto! – alzò la voce l’altro. – Manderanno una commissione, intorbideranno le acque.

    – Non siamo più in guerra Roin! Dobbiamo gestirla bene, altrimenti rischiamo il posto.

    – Sai che me ne frega! Sarà mica vita questa. – Allargò le braccia a comprendere tutta la sala delle assemblee, l’accademia intera e quel

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