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Cosa ho visto in te
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Cosa ho visto in te

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About this ebook

Arya O’Connell arriva a Bloudefalls, nel North Carolina, per insegnare al liceo locale e ricominciare a vivere dopo la perdita del suo bambino. Lì, incontra Alex, studente appassionato di basket e scrittura, con il quale instaura un legame speciale. Tuttavia, qualcosa in lui sembra non andare: perché i compagni lo evitano? Perché piange così spesso? E cosa ha a che fare, quel ragazzo all’apparenza fragile e indifeso, con gli atti di vandalismo e le minacce che turbano la Bloudefalls High?
Arya tenterà di scoprirlo, ignorando le preoccupazioni della collega Betty, e accettare la verità che  andrà svelandosi davanti ai suoi occhi sarà per lei davvero difficile.
Quattro anni dopo, insieme a nuove e spaventose minacce alla scuola, fanno capolino le figure di Erin, bella capitana delle cheerleader che dovrà fare i conti con la sua superficialità; Matt, scalatore francese che rappresenterà una grande sfida per Arya; Samuel, giovane musicista schiavo di troppe dipendenze e Thomas, miste-rioso professore che costringerà Arya a farsi domande sul suo passato: c’è qualcosa che ha cancellato? Perché? Questa volta, Arya è affiancata nelle sue indagini da Christine, insegnante di storia, e si troverà più che mai vicino alla morte, arrivando così a capire di avere già smesso di vivere da tanto, troppo tempo.
LanguageItaliano
Publisherlfapublisher
Release dateJan 12, 2018
ISBN9788833430027
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    Cosa ho visto in te - FEDERICA MARCHICA

    FEDERICA MARCHICA

    Cosa ho visto in te

    Federica Marchica

    Cosa ho visto in te

    Prima Edizione 2017

    Isbn 978-88-3343-002-7

    Lello Lucignano Editore

    Tutti i diritti sono riservati. © Copyright LFA Publisher

    Via A. Diaz n°17 80023 Caivano - Napoli – Italy

    Tel. e Fax 08119244562

    www.lfaeditorenapoli.it - www.lfapublisher.com - info@lfapublisher.com

    Partita IVA 06298711216

    Facebook, Twitter, Instagram & Youtube: LFA Publisher

    A mia nonna, per avermi sempre incoraggiata a scrivere.

    PROLOGO

    Infilai la felpa nera, tirai su il cappuccio e mi coprii il volto per metà con una sciarpa. Nessuno avrebbe potuto riconoscermi. Presi l’accendino e la tanica di benzina: era ora di farla finita.

    - Tutta quella carta brucerà così velocemente dissi, in preda all’eccitazione.

    Una pistola avrebbe sbrigato il tutto troppo in fretta, mi avrebbe privato del piacere di guardarli urlare, soffrire, avere paura.

    Paura di me.

    Ma avevo scelto il fuoco. Finalmente mi avrebbero visto.

    Prima Parte

    Bloudefalls, North Carolina

    Sembra una mattina come tante altre, in un paesino degli Stati Uniti come tanti altri, in una scuola come tante altre, ma niente di tutto questo è vero.

    Questa mattina, come non mai, viaggio nel viale dei ricordi. Sono arrivata al lavoro con quaranta minuti di anticipo, ho percorso il corridoio che porta al mio ufficio, e mi sono seduta sulla poltrona nera in pelle dietro alla mia scrivania. Le altre due scrivanie e le altre due poltrone in pelle nera resteranno vuote ancora per circa venticinque minuti, e poi comincerà un’altra giornata senza sosta e senza noia, in una scuola che, di ordinario, non ha davvero nulla. Una scuola che ha dovuto lottare e resistere a pericolose minacce, e dove ancora oggi una parte di me vive nella paura che ciò che è successo anni or sono possa ripetersi. Una scuola dove ho rischiato la morte più volte, dove ho salvato la vita di qualcuno e dove qualcuno ha salvato la mia. Ne ho passate così tante, qui dentro, che talvolta mi trovo a chiedermi cosa mi abbia fatta arrivare fino a qui; cosa mi abbia trattenuta da mollare tutto e cercare un altro lavoro, in una scuola normale.

    - Arya, sono arrivati questi per voi dice Mandy, la segretaria della scuola, entrando in ufficio tre pacchetti uguali, stesso mittente.

    - Ti ringrazio, Mandy.

    E scartando il mio pacchetto, trovo la risposta che cercavo.

    Ecco cosa mi ha portata fino a qui.

    Nove anni prima

    Capitolo 1

    Durante il mio primo anno di insegnamento al liceo di Bloudefalls, un tranquillo paesino della Carolina del Nord, dovetti scontrarmi con una classe estremamente difficile.

    Ogni volta che quei venti ragazzi varcavano la soglia della mia aula, non sapevo davvero che cosa aspettarmi.

    Sarei riuscita ad affrontare degnamente il resto della mia giornata?

    Avrei dovuto di nuovo riprendere Michael per la sua eccessiva arroganza?

    Avrei trovato ancora una volta Daniel sotto un banco?

    Sarei riuscita ad insegnare qualcosa ad almeno uno di loro?

    Queste erano solo alcune delle innumerevoli domande che mi tormentavano in continuazione. La situazione peggiorava di settimana in settimana, e qualsiasi provvedimento disciplinare preso da me e dai miei colleghi, che condividevano il mio grande disagio, sembrava non sortire alcun effetto.

    Improvvisamente tutto cambiò, per me perlomeno, la mattina in cui insieme a quei ragazzi, nella mia aula, entrò Alex.

    Aveva sedici anni, era alto un metro e novanta, aveva un sorriso perfetto, i capelli già spruzzati di bianco, ed uno sguardo estremamente brillante. Era completamente diverso dai suoi compagni, e lo capii fin dalla prima volta in cui mi rivolse la parola, quando gli chiesi di presentarsi alla classe:

    -Buongiorno a tutti, il mio nome è Alex Stevens, e nella vita amo due cose: i libri e il basket. Spero di passare un bel periodo con voi.

    -I libri e il basket, ma davvero? chiese con tono sarcastico Daniel non illuderti damerino, se entri nella squadra di basket della scuola non importa a nessuno che tu ami la carta. E nella squadra di basket ci sono io, per cui la tua vita non sarà facile.

    -Daniel, un’altra parola e fai l’ennesima visita al preside Stewart. E sai che questa è l’ultima possibilità che ti ha dato, e che al prossimo sgarro ti espellerà replicai fermamente.

    Poi guardai Alex:

    -Grazie mi disse, muovendo solo le labbra.

    Gli feci un cenno impercettibile con la testa e proseguii la mia lezione.

    In breve, Alex divenne il bersaglio preferito degli scherzi dei suoi compagni, perché se Daniel non lo gradiva, allora nessuno avrebbe dovuto avvicinarsi a lui. Era una regola implicita. Subì ogni genere di dispetto e lo vidi incupirsi ogni giorno di più. Non fece mai amicizia con i suoi compagni. Nelle mie lezioni prendeva sempre posto in prima fila, e comunicava solamente con me.

    - Non riesco a stare qui dentro mi sussurrava talvolta vorrei tanto cambiare corsi.

    Ma nelle mie ore, tre volte alla settimana, era sempre presente. Era solo e fragile, ma presente.

    Fatta eccezione per un giorno, in cui la sua assenza mi insospettì:

    - Ragazzi, dov’è Alex? chiesi ai suoi compagni. L’avevo visto entrare a scuola, quella mattina!

    - Dopo l’ora di ginnastica, non lo abbiamo più visto rispose Michael. Qualcun altro rise.

    - E lo avete detto alla professoressa? O al preside? O al consulente scolastico?.

    Venti teste si mossero per dissentire.

    - E va bene, andrò io ad informare il preside. Alex è sotto la nostra responsabilità.

    Uscii dalla classe, diretta all’ufficio del preside Stewart, e sentii delle urla concitate provenire proprio da lì:

    - Si aspetta forse che io le creda? Stia attento, Stevens! E adesso vada immediatamente in classe!.

    Alex uscì, mortificato, e Stewart sbatté la porta dietro di lui.

    - Alex dissi, timorosa che cos’hai addosso?.

    Indossava vestiti vecchi e logori, che gli stavano stretti. Una canottiera sbiadita, con sopra il nome della nostra scuola, e la scritta 1998, dei pantaloncini corti, dove si intravedeva il segno di un numero undici, che si era probabilmente scollato da tempo e delle scarpe da basket con due buchi sulle punte.

    - Miss O’Connell, io....

    Non riusciva a parlare, né a guardarmi.

    - Mi...Mi hanno rubato i v-vestiti...D-dopo l’ora di g-ginnastica. Il preside... Non mi crede.

    Ero allibita. Come poteva non credergli?

    - Dove hai preso quelli che indossi?.

    - Nel magazzino, in palestra. Sono così a disagio, qui... Può immaginare quanto sia terribile, per me?.

    Mi avvicinai a lui. - Mi dispiace così tanto, Alex! Per qualsiasi cosa, ricordati che io ci sono.

    - Grazie... Grazie davvero. Ma io non posso rientrare in classe così.

    - Oh, certo che puoi. Non permetterò a nessuno di prenderti in giro.

    E così feci.

    Col passare del tempo, il sorriso di Alex scomparve per lasciare posto all’ansia che vedevo ogni giorno sul suo volto a scuola e che si ripercuoteva inevitabilmente sui suoi voti, e alle lacrime. Vedere quel ragazzo, a cui mi ero affezionata fin da subito, piangere così spesso, mi spezzava il cuore.

    Confrontandomi con i miei colleghi, emerse che dopo il primo trimestre, Alex superava la C solo nella mia materia, la letteratura inglese, dove la sua valutazione era A. Per me, leggere i suoi saggi era un piacere: scriveva di Shakespeare, Milton e Defoe come poche altre persone avrebbero saputo fare a sedici anni.

    Un giorno, quando Alex e i suoi compagni arrivarono alla mia lezione, non potei fare a meno di notare che qualcosa non andava.

    -Ragazzi dissi senza nemmeno salutare questo è odore di vino. Io non voglio né posso permettermi di assumermi la responsabilità di minorenni che si presentano a scuola ubriachi.

    -Miss O’Connell, indovini da chi viene questo odore?mi sfidò Valery, la ragazza più insolente della classe.

    Scrutai le loro venti facce ad una ad una, e in quel momento, Alex si alzò e uscì di corsa dalla classe. Rimasi a bocca aperta, senza proferire parola.

    - Stevens, vecchia spugna... commentò Daniel, suscitando l’ilarità dei suoi compagni.

    Sbottai.

    - Dal preside Stewart, Daniel. Vai! Sei sospeso dal mio corso!.

    -Com’è suscettibile, miss O’Connell ribatté, irritandomi ancora di più ci vado subito, ma lei non gridi; le fa male.

    Prese il suo zaino, se lo caricò in spalla e uscì, diretto verso l’ufficio del preside Stewart. Fui incredibilmente contenta di vederlo andare via.

    Continuai la mia lezione in un inusuale silenzio, ma Alex non ritornò. Andai a cercarlo all’ora di pranzo e lo trovai seduto su un muretto, da solo.

    -Alex, come stai?.

    -Miss O’Connell, la prego, mi lasci stare rispose, guardandomi con occhi rossissimi e incredibilmente gonfi.

    - Alex, che ti è successo? Sei ubriaco? Vai a casa, chiama i tuoi genitori, prima che la situazione degeneri.

    -Sono una nullità, Miss O’Connell. Non valgo niente disse, nascondendo la faccia tra le mani, e poi passandosi una mano tra i capelli.

    -Che ti hanno fatto? Puoi dirmelo domandai con fare materno, mettendogli una mano su una spalla.

    Da lontano vidi che il preside Stewart stava osservando la scena, così ritrassi immediatamente la mano.

    -Alex...

    -Miss O’Connell, loro hanno ragione. Mi sento male, può lasciarmi solo? Per favore.

    Si passò di nuovo una mano tra i capelli, e fissò un punto dietro di me.

    -Non posso parlarne adesso mi disse, muovendo solamente le labbra.

    Quell’abitudine che aveva preso, di comunicare con me tramite il labiale, mi spiazzava e mi lusingava allo stesso tempo. Tuttavia, non ebbi che qualche secondo, per cercare di capire quale dei due sentimenti prevalesse in me in quel momento, perché una voce dietro di me catturò tutta la mia attenzione:

    -Professoressa O’Connell, ha un minuto?.

    Il preside Stewart era un uomo basso, dalla folta chioma bianca e dai baffetti arricciati. Non conoscevo nessuno che non si sentisse anche solo vagamente terrorizzato da lui.

    -Oh, Stevens, c’è anche lei... La stavo cercando aggiunse poi mi domando cosa trovi in lei la qui presente insegnante, sa? Il suo compagno di classe, Daniel Adams, mi ha informato che questa mattina si è presentato a scuola ubriaco. Mi segua, andiamo a verificare.

    -Signor preside, le garantisco che non ha nulla di cui preoccuparsi. In caso contrario, sarei stata io stessa a segnalarglielo.

    Il mio istinto mi suggeriva di fidarmi di Alex: come poteva il più brillante tra i miei alunni, la vittima preferita degli scherzi dei suoi compagni, quel ragazzo depresso che poco prima mi aveva detto di sentirsi una nullità, essere veramente arrivato ubriaco a scuola?

    -Lo spero bene, Arya. La prego, venga con noi.

    Alex mi guardò a lungo, mentre camminavamo verso l’infermeria, preceduti dal preside Stewart,

    -Ha un bel nome mi sussurrò, quando incrociai il suo sguardo.

    Rimasi impassibile. Avevo l’impressione di essere più preoccupata di lui.

    -Si sieda pure, Stevens disse il preside una volta arrivati e anche lei, Arya. Ritorno subito, con l’etilometro.

    Uscì sbattendo rumorosamente la porta dietro di sé, e per qualche secondo calò il silenzio. Alex rivolse lo sguardo verso di me, e vidi che era sul punto di piangere.

    -Lei non deve fare questo esordì non merito che lei si preoccupi per me

    -Se ti stanno facendo qualcosa, Alex, ora è il momento migliore per dirlo .

    -Non posso crederci! tuonò il preside Stewart, rientrando in infermeria è incredibile!A che punto siamo arrivati in questa scuola? Punirò tutti quanti, alunni e professori!.

    Alex ed io balzammo entrambi sulla sedia per lo spavento, poi restammo in silenzio.

    -Si rende conto, professoressa O’ Connell? C’è stato un furto! Hanno rubato l’etilometro e tutte le siringhe!

    Sentii tutti i miei muscoli rilassarsi, ma feci attenzione a non darlo a vedere.

    -Sparite dalla mia vista entrambi, troverò il colpevole di questa assurdità!.

    -Arrivederci, s-signor preside balbettai, alzandomi per andarmene.

    -Arrivederci fece eco Alex.

    Una volta fuori dall’infermeria, mi lasciai andare ad un lungo sospiro di sollievo. Probabilmente quella vicenda non sarebbe terminata lì, ma perlomeno, avevo tempo per scoprire cosa stesse succedendo ad Alex, e anche per cercare di ottenere qualche informazione sul furto dell’etilometro... che mi pareva alquanto sospetto.

    -Professoressa mi chiamò Alex con un filo di voce.

    -Dimmi, Alex.

    -Le chiedo scusa. Le sto solo creando problemi.

    Mi avvicinai a lui, e tentai di comunicare a modo suo, sussurrando:

    -In te c’è qualcosa di davvero bello, Alex, e io sono qui per vedere quanto, di questa bellezza, tu sia disposto a tirare fuori. A presto.

    Mentre mi allontanavo, mi parve di sentirlo piangere sommessamente.

    Decisi che avrei fatto di tutto per salvarlo da se stesso, prima ancora che dagli altri, perché in fondo era proprio quello il compito di noi insegnanti: portare alla luce il buono in ognuno dei nostri studenti.

    Capitolo 2

    Qualche giorno dopo, nell’esatto momento in cui entrai a scuola, sussultai quando gli altoparlanti sparsi in ogni dove fecero echeggiare la voce che speravo di non risentire così presto:

    Comunicato del preside: tutti i professori sono caldamente invitati a recarsi nella sala dei congressi per una riunione urgente. Grazie

    Un incessante brusio si diffuse per il corridoio. Nessuno sapeva cosa aspettarsi. In breve, i miei colleghi ed io ci riunimmo nella sala dei congressi, e il preside fece il suo ingresso. Si posizionò davanti a noi, con un microfono in mano, si schiarì la voce, e fece una pausa ad effetto prima di cominciare a parlare:

    -Questa notte, le telecamere di sorveglianza della scuola hanno ripreso dei fatti veramente incresciosi, di cui è mio dovere mettervi al corrente. Un vandalo si è introdotto nel mio ufficio rompendo la finestra, e l’ha ridotto in questo stato.

    Schiacciò il tasto di accensione del proiettore e immediatamente sul muro comparve una gigantografia del suo ufficio... O di quel che ne restava. La finestra era rotta, alla scrivania mancavano due gambe, la poltrona era completamente distrutta, e pareva che il vandalo se la fosse presa con ogni singolo oggetto. Non c’era più nulla di intatto, perfino il quadro contenente la laurea del preside era stato fatto in mille pezzi.

    In tutta la sala echeggiarono esclamazioni di stupore. Non si erano mai verificati episodi del genere, al liceo di Bloudefalls.

    -Ma non è tutto continuò il preside Stewart cari professori, direttamente dalla telecamera di sorveglianza del mio ufficio, il video dell’azione del nostro teppista.

    Riaccese il proiettore, e il filmato partì. Si vide una figura vestita di nero, irriconoscibile, ma innegabilmente giovane e maschile, entrare nell’ufficio del preside rompendo la finestra, armata di una mazza da baseball.

    Cercando di riconoscere quel ragazzo, sudai freddo: e se fosse stato Alex? L’ultima cosa che volevo era dubitare di lui, ma non potevo non ricollegare quel fatto al nostro colloquio

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