Il freddo inverno
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Il thriller dell’anno di cui parlano tutti
Il freddo inverno non è arrivato da solo a Boad Hill: con esso sono arrivati gli omicidi. Lo sceriffo Burt non sa cosa fare dinanzi alla prima vittima, che ritrovano sepolta nella neve. Ma presto quella di trovare cadaveri di giovani ragazze del liceo New Academy diventerà un’abitudine. L’assassino riceve subito il soprannome di Jack piedi-di-piuma, dal momento che non lascia una sola impronta. In un paesino dove non è mai successo niente, tutti diventano sospetti. Peter, un uomo di trent’anni che vive ancora con suo padre, lotta per diventare uno scrittore di successo mentre è innamorato di Ann, la sorella del suo migliore amico, Denny. John, il padre di Peter, è preoccupato per il futuro di suo figlio e cerca di togliergli dalla testa quell’amore platonico. Un giorno Peter sfiora la mano di Ann ed entra in una trance fugace che lo immerge nelle tenebre più assolute, dopo di che vede come Ann viene aggredita da suo marito, un uomo sadico e violento dai due volti. Nel frattempo gli omicidi si susseguono e Peter si allontana dalla sua amata Ann e dall’amico Denny. Un giorno, quando il marito di Ann muore dopo essere caduto dalle scale di casa, ubriaco, Peter corre al funerale per vedere Ann, in cui però nota qualcosa di strano. Le tocca le mani, entra dentro di lei e al di là dell’oscurità vede cosa le è successo: qualcosa che ha a che vedere con gli omicidi. Un bel giorno il dono di Peter di saper leggere la mente gli permette di scoprire per caso chi è l’assassino. Tutti lo conoscono. Ma solo Peter sa chi è.
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Il freddo inverno - Claudio Hernández
Il freddo inverno
Claudio Hernández
EBook della prima edizione: luglio 2017.
Titolo: Il freddo inverno.
© 2017 Claudio Hernández.
© 2017 Cover design: DNY59 gettyimages / Arman Zhenikeyev
© 2017 Traduzione: Cinzia Rizzotto
Tutti i diritti riservati.
Nessuna parte di questa pubblicazione, compresa la copertina, può essere riprodotta, archiviata o trasmessa in alcun modo e con qualsiasi mezzo, elettronico, chimico, meccanico, ottico, di registrazione, online o fotocopia, senza previa autorizzazione da parte del editor o l'autore. Tutti i diritti riservati
Dedico questo libro a mia moglie Mary, che sopporta ogni giorno delle bambinate come questa. E spero che non smetta mai di farlo. Stavolta mi sono imbarcato in un’altra avventura, iniziata nella mia infanzia e portata a termine con tenacia e aiuto. Un altro sogno diventato realtà. Lei dice che a volte risplendo... A volte...
Il freddo inverno
Lo chiamavano Jack piedi-di-piuma, perché non lasciava mai una fottuta orma sulla neve. Forse perché la neve copiosa che cadeva su Boad Hill quell’inverno, uno dei più bianchi degli ultimi dieci anni, si era occupata di cancellare tutte le impronte grazie ai fiocchi che precipitavano a terra, mentre il vento finiva di spianarle.
Le ritrovavano tutte con le mutande calate fino alle caviglie e gli occhi aperti e vitrei che rivelavano tutto il dolore e tutta la crudeltà subita, rivolti verso il cielo scuro. I fiocchi di neve le ricoprivano fino a formare delle sculture brillanti che trattenevano in sé tutta la paura.
Era l’inverno del 2017 e Peter si era innamorato per la prima volta del suo amore impossibile, in quel freddo inverno.
––––––––
1
«Signore, cosa facciamo?» Gli occhi di Lloyd Chambers parevano pietrificati e non emettevano alcun bagliore, anzi, al contrario, solo oscurità e incertezza.
Lo sceriffo Burt Duchamp lo guardò di traverso per un attimo e scosse la testa sotto il cappello di feltro, coperto da uno spesso strato di neve che cadeva copiosamente.
Lloyd era uno dei suoi uomini. Era quello nuovo, il borsista. In un paese come Boad Hill si conoscevano tutti e ognuno poteva dire quali fossero i difetti di chiunque e da che famiglia provenisse. Ma Lloyd era venuto dal Michigan, uno stato lontanissimo, e tutto per andare a sbattere contro gli uomini dello sceriffo Burt.
Jack Hodge, il ciccione, uno degli agenti dello sceriffo di Boad Hill, lo tormentava continuamente, facendogli scherzi pesanti e prendendosi gioco di lui. Lo guardava di traverso e poi sputava una scatarrata verde che rimaneva appiccicata per terra come una gomma alla menta. Questo però solo dentro l’ufficio, sempre che così si potesse chiamare la topaia di Burt. Quattro tavoli e uno studio con una portafinestra dal vetro spaccato. Hodge
poteva essere una congettura matematica o una band: che razza di cognome, pensavano tutti.
Lloyd Chambers era un tipo rachitico cui iniziava a spuntare la tipica pancia da birra. In pochi anni sarebbe diventato un essere deforme, con la pancia fin sopra le palle e la schiena curva per il peso. In quel momento, contando la neve in cima al cappello, probabilmente non pesava che una sessantina di chili. Era moro e aveva i capelli un po’ lunghi, cosa che infastidiva Burt oltremodo. Aveva gli occhi verdi e il naso piuttosto appuntito. Le sue labbra serrate tracciavano una linea sottile, come una cerniera chiusa. Quel giorno portava l’uniforme ufficiale, ma quand’era in permesso era solito indossare dei jeans attillati per mettere in mostra il pacco. Un pacco inesistente. Non fumava, né beveva alcool. Non aveva mai messo piede nel bar di Moll. Che nome, pensava con una smorfia sulle labbra. Prostituta, ecco cosa voleva dire. E in effetti te le ritrovavi là dentro a corteggiare i clienti potenziali come zecche sul punto di succhiare loro tutto il sangue. Lloyd calzava un quarantasei e aveva l’uccello più lungo e sottile del mondo, ma ne andava fiero. L’aveva usato solo due volte. Una con Charlize, una ritardata mentale che però aveva le idee ben chiare, e un’altra con Elizabeth; come suonava bene quel nome... Ma non era mai diventata la madre dei suoi figli. Era solo. Era alto un metro e settantacinque e aveva le mani più ossute del mondo. Spesso gli tremavano. Aveva il vizio del caffè.
«È congelata, signore.» Aveva la voce grave e roca. Usava il lungo collo che si ritrovava come fosse uno strumento musicale, che in quel caso gli serviva per modulare la voce. Perché i tipi mingherlini avevano sempre la voce grave? Si chiese Burt.
«E come vuole che stia, sotto la neve?» lo redarguì lo sceriffo Burt mentre si chinava sul cadavere della ragazza, ormai ridotto ad una duna nella neve.
Burt Duchamp era un uomo robusto, sui novanta chili di peso, coi capelli grigi, rasati, e un baffetto dello stesso colore che gli copriva il labbro superiore. Aveva gli occhi scuri e il volto sempre serio. Era come se la vita lo facesse arrabbiare ad ogni secondo che passava. Era alto un metro e ottanta e andava sempre in giro in divisa, perfino nei giorni liberi, che d’altronde erano inesistenti. La sua rivoltella, la Glock 19 da 9 millimetri d’ordinanza, era sempre a portata di mano; ma a Boad Hill, un paese apparentemente tranquillo in cui succedevano cose strane solo di tanto in tanto, era sempre tutto nei limiti della normalità: risse tra ubriachi, violenze sulle mogli che non andavano oltre un occhio nero e qualche atto di vandalismo da parte dei ragazzini coi loro fottuti petardi.
Ma ora si trovavano dinanzi a qualcosa di nuovo. Così nuovo che non avevano nessuna esperienza in quel tipo di caso, anche perché tutto quello che avevano imparato all’accademia era stato buttato nel cesso. Ma Burt era un uomo pieno di risorse e seppe comunque cosa fare.
Sconcertato, nonostante lo celasse abbastanza bene, disse: «Voglio che questa povera ragazza sia dissotterrata e identificata. Voglio delle impronte. Voglio l’assassino». E con ciò rimase tranquillo e beato. La neve cadeva copiosa e lui aveva i baffi bianchi e il naso rosso, che gocciolava di tanto in tanto. A Boad Hill non avevano mai avuto neanche un inverno così freddo.
«Signore, è Rachel Geller, la figlia di Tom.» La voce di uno degli agenti che l’aveva già dissotterrata un attimo prima lo informò turbata di chi si trattava.
«Cavolo, allora non c’è molto altro da cavarne fuori» brontolò Burt, girandosi verso l’agente. «E perché diavolo non me l’avete detto prima?» Tom era un suo amico d’infanzia, che viveva stentatamente della sua libreria stracolma di volumi simili a mattoni, tutte opere di uno scrittore di horror e di un altro di fantasy.
«Vuole sapere qual è la causa della morte?» chiese Martin, l’agente che gli aveva detto il nome della ragazza.
«Presumo di sì» ammise Burt quasi con un sussurro, che il vento si portò via tra gli alberi che li circondavano, alberi così alti e bianchi da sembrare gracili pupazzi di neve che minacciavano di crollare per terra.
Le luci azzurre di due autopattuglie brillavano sulla neve e si riflettevano tra i rami degli alberi e sulle loro facce, come le luci di una giostra. L’ambulanza giunse in silenzio; non avevano neanche acceso la sirena. Rossa e bianca, l’ambulanza spiccava a malapena sul bianco luccicante della neve, che avvolgeva tutto come un’enorme coperta di lana.
«La donna, cioè... la ragazza» si corresse Martin «è morta squarciata...»
«Squarciata?» lo interruppe Burt, mentre due uomini scendevano dall’ambulanza con una barella rossa.
«Sì, squarciata, davanti e dietro» continuò l’agente con un bisbiglio e la faccia alquanto arrossata, nonostante la neve gli si appiccicasse alla pelle come una ventosa.
Il vento inghiottì letteralmente il rumore prodotto dagli uomini col cappello, mentre la neve cadeva con un’intensità tale da costringerli a sbattere continuamente le palpebre per togliersi i fiocchi dalle ciglia.
«E come lo avete scoperto, se è sepolta sotto la neve?» volle sapere Burt, di spalle alla vittima, che col passare dei secondi tornava a coprirsi di fiocchi di neve.
«Stamattina abbiamo proceduto a dissotterrarla perché ci era sembrato di vedere...» L’agente scrollò le spalle e arrossì. La sua barba rada era completamente bianca.
«Cosa? Dai, ragazzo, sputalo o ti andrà di traverso, cazzo.»
«Abbiamo visto parte di quello che era un paio di mutandine rosse...»
«Che era e lo è, giusto?» Burt aveva le labbra