Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'Italia europea: Dall'Unificazione all'Unione
L'Italia europea: Dall'Unificazione all'Unione
L'Italia europea: Dall'Unificazione all'Unione
Ebook611 pages7 hours

L'Italia europea: Dall'Unificazione all'Unione

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Obiettivo di questa ricerca collettiva, promossa dalla Lumsa, è indagare come l'Italia dall'Unificazione sia un attore necessario per il progressivo definirsi dello spazio politico, istituzionale, culturale e sociale europeo, come essa sia influenzata nel suo divenire da questo dato e come a sua volta contribuisca a caratterizzarlo. Il percorso, che implica ma non tematizza il termine ad quem - un termine peraltro mobile e indefinito - dell'Unione europea, è scandito in due periodi. Il primo ha due inizi, il 1848 e il 1861 e arriva al 1912, data di una guerra italiana ed europea, quella di Libia. Il secondo, attraverso due guerre mondiali, arriva fino al 1946, con l'approdo della Repubblica e della Costituente. Al di là di uno stantìo confronto di "modelli", il percorso che si propone in queste pagine vuole offrire elementi per disegnare, a partire da uno specifico percorso, una trama transnazionale. A misura di un'Europa in cui i diversi percorsi nazionali interagiscono in profondità, con modalità ed esiti che è ormai tempo di ricostruire nelle molteplici loro sedimentazioni e dimensioni problematiche e dunque nelle loro prospettive.
LanguageItaliano
Release dateJan 15, 2018
ISBN9788838246449
L'Italia europea: Dall'Unificazione all'Unione

Related to L'Italia europea

Related ebooks

History For You

View More

Related articles

Reviews for L'Italia europea

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'Italia europea - Giuseppe Tognon

    Francesco Bonini, Tiziana Di Maio, Giuseppe Tognon (edd.)

    L'ITALIA EUROPEA

    Dall'unificazione all'Unione

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Volume pubblicato grazie al contributo della

    Libera Università Maria SS. Assunta

    Copyright © 2017 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 978-88-382-4644-9

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838246449

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Premessa

    I. Gli italiani e le italie (1848-1870)

    II. Risorgimento: parola italiana, parola europea''

    III. L’alfabetizzazione nel processo di unificazione italiana

    IV. La diplomazia, le alleanze

    V. L’unificazione monetaria

    VI. L’unificazione economica tra costi e benefici

    VII. Dinamiche del sistema politico italiano: il partito della maggioranza

    VIII. Classi dirigenti italiane nel circuito delle élites europee. Una rappresentanza nazionale nei congressi della cooperazione internazionale

    IX. I partiti politici nell’Europa fra le due guerre

    X. Autoritarismo e totalitarismo: in un garbuglio europeo

    XI. Le culture giuridiche nel fascismo

    XII. L’originalità dell’intervento pubblico italiano in economia

    XIII. L’Italia fascista nel secolo del corporativismo

    XIV. Alleanze e guerre (1933-1945)

    XV. Una riforma «costituente». La riforma Gentile e l’ideologia dell’identità nazionale

    XVI. Le minoranze e la nuova scuola dello Stato

    XVII. Un’arte di Stato

    XVIII. Quale repubblica

    Gli autori

    Indice dei nomi

    CULTURA

    Studium

    111.

    Storia / 15.

    Francesco Bonini, Tiziana Di Maio,

    Giuseppe Tognon (edd.)

    L’ITALIA EUROPEA

    Dall’Unificazione all’unione

    Premessa

    Sesta in una pentarchia, o, corrispettivamente, «la pentarchia diventa un’esarchia»: questa espressione desueta, molto ottocentesca, a proposito della conferenza di Londra del 1867, ben definisce l’autopercezione italiana nel concerto delle grandi potenze e la valutazione che le Cancellerie europee facevano del nuovo Regno d’Italia [1] . Considerazioni (anche nei numeri) non dissimili venivano fatte, sia pure in un contesto ormai mondiale, un secolo più tardi, in vista del vertice di Rambouillet, il 15-16 novembre 1975, il cosiddetto primo G6, cui l’Italia fu aggregata in extremis.

    È il quadro in cui si colloca la ricerca Lumsa [2] di cui presentiamo in questo volume i risultati: l’Italia è unificata in un contesto europeo e con questo (e i successivi suoi allargamenti) si misura necessariamente e costitutivamente in un rapporto biunivoco. L’obiettivo che si è posto il gruppo che ha promosso e realizzato la ricerca, chiamando a discutere colleghi di diverse Università italiane [3] , è così misurare, sul lungo periodo dal Risorgimento all’Unione europea, quanto di Europa ci sia nell’Italia e quanto di Italia nell’Europa. Ovvero come l’Italia, dall’Unificazione, sia un attore necessario per il progressivo definirsi dello spazio politico, istituzionale, culturale e sociale europeo, come sia influenzata nel suo divenire da questo dato e a sua volta contribuisca a caratterizzarlo.

    Studiare l’Italia europea impone di problematizzare i contenitori e dunque di recuperare i fatti, valorizzare la pluralità. Ovvero implica l’idea di un’Europa, che, a dispetto del fuorviante utopismo federale, a questo approdo può arrivare solo conoscendo e valorizzando gli incroci, i rapporti biunivoci, le polarizzazioni che determina e le retroazioni che genera appunto sui diversi contesti statali e nazionali.

    Il percorso, che appunto implica, ma non tematizza, il termine ad quem – un termine peraltro mobile e indefinito – dell’Unione europea, è scandito in due periodi. Il primo ha due inizi, il 1848 e il 1861 e arriva fino al 1912, data di una guerra italiana ed europea, quella di Libia. Il secondo, attraverso due guerre mondiali, arriva fino al 1946, con l’approdo della Repubblica e della Costituente.

    Al di là del banale e ormai superato confronto di modelli, che ha a lungo affannato la ricerca storico-politica, il percorso che si propone in queste pagine vuole offrire elementi per disegnare a partire da uno specifico percorso una trama transnazionale. A misura di un’Europa in cui diversi percorsi nazionali interagiscono in profondità, con modalità ed esiti che è ormai tempo di ricostruire nelle molteplici loro sedimentazioni e dimensioni problematiche e dunque nelle loro prospettive. Per l’Italia in concreto significa anche confrontarsi con la divisiva definizione di Italia europea proposta da Giuseppe Prezzolini giusto un secolo fa [4] , a sottolineare le persistenti fratture interne. Risalta così la collocazione di questa ricerca tra due lunghi, complessi, articolati e plurali processi di unificazione appunto. Ricostruire la dinamica del prima, che qui si presenta come un caso che risulta di successo, implica infatti necessariamente riflettere e impegnarsi sulle prospettive, ancora del tutto aperte, della seconda.

    Un sentito ringraziamento a tutti gli studiosi che nel corso degli anni, oltre a coloro che hanno contribuito a questo volume, hanno accolto l’invito a prender parte ai convegni, ai seminari e ai workshop prima citati, rendendo così possibile un serio e proficuo approfondimento del tema della ricerca:

    Paolo Acanfora, Antonio Agosta, Piero Aimo, Rosario Altieri, Jacobo García Álvarez, Annamaria Amato, Livio Antonielli, Giuseppe Astuto, Pier Luigi Ballini, Brigitte Basdevant-Gaudemet, Patrizia Battilani, Martin Baumesteir, Mario Belardinelli, Stefano Biancu, Franz-Xaver Bischof, Luigi Blanco, Alessandro Breccia, Domenico Maria Bruni, Calogero Caltagirone, Fulvio Cammarano, Renato Camurri, Flavio Carbone, Mariarosa Cardia, Ion Carja, Joseph Carola, Paola Carucci, Paolo Carusi, Santiago Casas, Silvana Casmirri, Sabino Cassese, Valerio Castronovo, Alessandro Celi, Antonio Chiavistelli, Antonio Ciaschi, Fulvio Conti, Maria Sofia Corciulo, Ivan Costanza, Marco De Nicolò, Anna Lucia Denitto, Mario di Napoli François Dumasy, Lorenzo Durazzo, Olivier Échappé, Fabio Fabbri, Carlo Fantappiè, Luigi Vittorio Ferraris, Roberto Ferretti, Matthew Fforde, Carlo Maria Fiorentino, Tito Forcellese, Gian Luca Fruci, Floriana Galluccio, Maurizio Gardini, Pauline Green, Oscar Gaspari, Umberto Gentiloni Silveri, Paolo Gheda, Andrea Giorgi, Johannes Grohe, Peter Heyrman. Giuseppe Ignesti, Fiorella Imprenti, Marek Inglot, François Jankowiak, Thomas Kroll, Nicola Labanca, Francesco Sylos Labini, Fulco Lanchester, Filippo Lovison, Mauro Lusetti, Francesco Malgeri, Giampaolo Malgeri, Anna Gianna Manca, Luca Mannori, Angelo Mari, Guido Melis, Alberto Melloni, Antonella Meniconi, Tito Menzani, Marco Meriggi, Niccolò Mignemi, Leonardo Mineo, Mauro Moretti, Simona Mori, Carlo Mosca, Stefano Musso, Alessandro Natalini, Marco Olivetti, Giovanni Orsina, Matteo Pizzigallo, Enza Pelleriti, Marco Pignotti, Alessandro Polsi, Paolo Prodi, Roberto Regoli, Enrico Rendina, Maurizio Ridolfi, Adriano Roccucci, Raffaele Romanelli, Ettore Rotelli, Generoso Rosati, Fabrizio Rossi, Simona Salustri, Daniele Sanna, Jorge Torre Santos, Klaus Schatz, Giovanni Schininà, Antonio Scornajenghi, Gianni Silei, Francesco Soddu, Francesca Sofia, Maria Luisa Sturani, Norman Tanner, Alexandra von Teuffenbach, Rita Tolomeo, Giovanna Tosatti, Francesco Traniello, Carmen Trimarchi, Alessandro Vagnini, Dries Vanysacker, Carlo Vivoli.

    Infine, un ringraziamento per la collaborazione alla redazione del volume a Silvia Bruno , giovane studiosa, coordinatrice e responsabile del Gruppo di lavoro permanente dell’Osservatorio Germania Italia Europa, istituito dalla Lumsa e dalla Rappresentanza in Italia della Fondazione Konrad Adenauer.


    [ Hanno fatto parte dell’unità di ricerca: Francesco Bonini, Andrea Ciampani, Andrea Dessardo, Tiziana Di Maio, Giampaolo Malgeri, Rocco Pezzimenti, Vincenzo Schirripa, Giuseppe Tognon.

    [1] F. Mazzonis, L’Italia nel concerto europeo, in Divertimento italiano, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 314, orig. L’Italia alla conferenza di Londra del 1867 nella memoria confidenziale di Albert Blanc, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1969, p. 24.

    [2]

    [3] Nel quadro della ricerca, preceduti da due giornate di discussione seminariale Lo stato italiano: una questione europea/a european affair (16 dicembre 2013) e Gli incontri delle élites europee: i congressi dell’International co-operative alliance. 1895-1913 (18 ottobre 2013), si sono svolti i seguenti convegni: Lo Stato italiano: una questione europea (6-7 novembre 2014) e L’Italia europea. Nel processo di crisi e trasformazione dello Stato (19-20 novembre 2015) e una serie di seminari e workshop organizzati dai partecipanti al gruppo e collegati al tema della ricerca: Il Concilio Vaticano I e la modernità ( Workshop internazionale, 7 febbraio 2014); Orizzonti di cittadinanza. Per una storia delle circoscrizioni amministrative in Italia (seminario, 19-20 giugno 2014 ); Alle origini dell’Alleanza cooperativa: i gruppi dirigenti europei e l’International co-operative alliance. 1895-1913 (convegno internazionale, 24-25 febbraio 2015); L’Università per un nuovo umanesimo . Riflessioni di storia e di politica sull’università in Italia (seminario , 13 marzo 2015); L’Iri come amministrazione. 1933-1945 (seminario, 26 maggio 2015); Il partito della maggioranza. Ipotesi di ricerca su una questione storico-politica (Workshop , 9 giugno 2015); Impegno nel rinnovo delle burocrazie pubbliche e nella riforma della Costituzione (seminario, 18 aprile 2016); Il partito della maggioranza. Una ricognizione problematica (seminario, 9 giugno 2016); Promozione della persona umana e paradigmi educativi (seminario, 6 aprile 2017). Si vedano i programmi in www.lumsa.it.

    [4] G. Prezzolini, Codice della vita italiana, Robin, Roma 2013 [ed. origin. «La Voce», 1921], n. 33, p. 27.

    PARTE PRIMA

    GLI ITALIANI E LE ITALIE (1848-1870)

    I. Gli italiani e le italie (1848-1870)

    Rocco Pezzimenti

    Il 1848 è un anno cruciale non solo per le vicende politiche che segnarono l’Europa, ma anche per il dibattito politico, che attraversò il nostro Paese, sul modo di concepire la futura unità. Si immaginarono diverse possibilità, a volte anche ingenue, ma sempre espressione di un fermento civile che mostra una partecipazione convinta alle vicende risorgimentali. Fra le varie proposte, quella federalista sembrò, a un certo momento, davvero vicina alla realizzazione.

    Il recondito significato del termine latino ci dice che la parola « Foedus deriva da fido (mi fido) come da fides (fiducia). La federazione avviene tra persone, associazioni, istituzioni che hanno fiducia le une delle altre, pronte a rispettare il patto» [1] . Ora, vista la diversa impostazione istituzionale degli Stati italiani, la Federazione appariva davvero improponibile. Si tratta di una considerazione fondamentale in quanto il federalismo «comporta un atteggiamento autonomo verso i valori, la società, la storia» [2] dai quali, però, è impossibile prescindere. A ciò si aggiunga che personalità di spicco e decisive del nostro Risorgimento, pur nelle diversità, tendevano a inquadrare il nostro sforzo unitario in una dimensione europea. Basti l’esempio di Mazzini, convinto che la democrazia italiana si dovesse inquadrare in una europea di più ampio respiro [3] .

    Per capire il ruolo del federalismo cattolico occorre rifarsi «al timore del centralismo giacobino», che era stato l’anima della «mistica rivoluzionaria». A questa veniva contrapposta una visione risorgimentale che sapeva coniugare aspirazioni presenti e future con la tradizione, ma soprattutto sapeva valorizzare quanto effettivamente univa il territorio italiano, la lingua e la sua cultura nazionale, con quanto lo differenziava e restava legato a ristretti limiti territoriali, come i dialetti o le usanze locali.

    Ciò spiega il successo avuto, ad esempio, almeno nell’opinione pubblica, dall’idea di «una Lega presieduta dal Papa» che «affonda le sue radici in tutta la tradizione medievale» e, forse, anche alla storia antica. In più il romanticismo, con la sua idealizzazione delle lotte comunali contro l’Impero, formava le coscienze a quella che si poteva ritenere «la soluzione del minimo sforzo», arrivare alla «conquista della libertà senza la rivoluzione, dell’indipendenza senza la guerra, dell’unione senza l’Unità». Per tale motivo, Balbo, nelle Speranze d’Italia, riteneva importante «fuggire le rivoluzioni, e [...] contemperare il principato tradizionale con la partecipazione del popolo al governo» [4] . Per molti, tutto ciò, presupponeva anche una purificazione interiore e spontanea della Chiesa.

    Ciò spiega perché, le critiche al nuovo Stato italiano, non vennero solo da «La Civiltà cattolica», ma anche da quel neoguelfismo popolare, definito da alcuni di sinistra, che era lontano dai compromessi giobertiani. Si tratta di quelle correnti che influenzeranno, in seguito, soprattutto le primissime espressioni della democrazia cristiana poco propense a «concepire la politica al di fuori della morale, lo Stato senza la Chiesa, la democrazia senza la religione» [5] . È questo che spiega perché, in futuro, i cattolici non si sarebbero potuti riconoscere negli ideali gentiliani [6] dello Stato etico.

    Tutto ciò chiarisce, una volta di più, perché le correnti cattoliche del pensiero risorgimentale miravano con favore alla logica del federalismo, guardando al cattolicesimo come «al fulcro della rinnovata unione italiana». Più che una rivoluzione, si cercava, quindi, «un ammodernamento delle istituzioni politiche» [7] . A ben vedere, il successo Del Primato morale e civile degli italiani si spiega anche tenendo presente che, per i cattolici, esso costituiva una risposta esauriente ad alcune anomalie create dal protestantesimo. Gioberti vedeva nella «tradizione cattolica italiana un motivo positivo da contrapporre all’inquietudine rivoluzionaria dell’Europa» [8] .

    Lo stesso Rosmini era convinto che tutti i popoli italiani si aspettavano dai principi il compiersi «saviamente dell’opera incominciata, restituendo all’Italia la dignità e la forza della nazione» [9] . Dal che era facile arrivare a formulare un semplice programma: «doversi cioè redimere l’Italia colle riforme non colle rivoluzioni». Lo strumento federalista – ricordando che anche Gioberti non distingue tra federazione e confederazione – si presentava, quindi, come il passaggio più realistico per realizzare l’Unità, anche perché tale progetto non dimenticava le diverse particolarità della Penisola [10] . Per Gioberti, ci ricorda Jemolo, dopo tanti secoli di disunione, pensare di «ridursi sotto il potere d’un solo, è demenza; il desiderare che ciò si faccia per vie violente è delitto». L’unica via pacifica è possibile solo sotto un’autorità morale riconosciuta come tale da tutti. Per questo si può ben dire che Gioberti, al pari di altri, «guardava alla Chiesa come alla titolare della missione redentrice dell’Italia» che avrebbe potuto opporsi al dispotismo [11] . Queste idee facevano del Gioberti uno che «aveva irreversibilmente preso le distanze dall’ Ancien Régime e dalle anacronistiche teorie legittimistiche». Lo stesso tradizionalismo della Chiesa era rinnovato al servizio delle nuove esigenze che non erano solo quelle di una «pura funzione civilizzatrice» [12] . Lo Stato federale permetteva di superare anche quella concezione di «pervasiva ingerenza sociale dello Stato centralizzato e burocratico; la sola creatura napoleonica uscita integralmente vincitrice dal congresso di Vienna» [13] .

    Lo stesso «Giuseppe Mazzini si trova in accordo con Vincenzo Gioberti: la rinascita dell’Italia è una premessa necessaria per una nuova era del genere umano» [14] . Questa rinascita del mondo civile sotto una Dieta degli Stati, capace di coagulare l’idea federativa dell’Italia, è vista da Gioberti, e non solo, come una premessa della possibile federazione europea, come aveva ipotizzato anche Mazzini. Sempre a quest’unità europea, frutto di un rinnovamento cristiano, guarda anche Rosmini perché voleva rispondere a quel tentativo di «nazionalizzare il cattolicesimo», nuova tendenza del rinato assolutismo e «riapparsa nella Restaurazione», che minacciava la cattolicità [15] . Questo spiega perché la Santa Alleanza, mai sostenuta dalla Chiesa cattolica, sia stata avversata pure dal liberalismo cattolico e in genere dal neoguelfismo.

    Se la prima guerra d’indipendenza segnò la fine dei sogni neoguelfi, ciò è forse anche dovuto al fatto che i principi italiani, «nella campagna di primavera, avevano l’impressione che i loro soldati [...] avessero lottato non già per l’Italia ma per Carlo Alberto». Per questo, dopo il 1848, si comincia a fare strada l’idea di un federalismo europeo, visto come logico «corollario dell’universalismo cattolico». L’idea nazionale, troppo ristretta, sembrava appartenere «al particolarismo luterano e protestantico; alieno, quindi, da ogni aspirazione universalistica e cattolica» [16] . Da qui, consegue il ritorno all’ideale dell’unità morale del vecchio continente. In fondo Mazzini voleva la stessa cosa [17] . L’idea di una terza Roma, dopo quella classica e papale, capace di assicurare progresso all’umanità grazie a un risveglio morale e all’attuazione di una missione affidata ai popoli da Dio stesso. Se si vuole, anche mito della terza Roma che avrà grande importanza in non poche riflessioni politiche nel XX secolo.

    Anche il fronte laico che aspirava al federalismo, quello di Cattaneo o Ferrari, voleva una federazione di repubbliche a impianto regionale. Costoro, Cattaneo in primis, «sentivano la regione prima dell’Italia, il problema della libertà prima di quello dell’indipendenza». Si dividevano, perciò, sullo stesso concetto di nazione che per i federalisti repubblicani era «una nuova creazione della civiltà europea e mondiale», che finiva per far apparire la visione neoguelfa come «passatista» [18] . Insomma, più che la questione politica e morale, che stava tanto a cuore anche a Mazzini, ponevano in primo piano la questione economica e amministrativa.

    Come ben evidenziato ne Le speranze d’Italia di Balbo, non si poteva, però, perdere di vista un dato di fatto cruciale: la presenza austriaca sul territorio nazionale. A ciò si aggiunga un altro problema di non secondaria importanza: quello di una possibile futura Costituzione italiana. Rosmini, sull’esempio della classicità latina e dell’esperienza veneta e inglese, riteneva la Costituzione un fatto graduale da opporre a quella che egli reputava «Costituzione dottrinaria» frutto della Rivoluzione francese [19] . È da qui che nascono tutte le utopie perfettiste del mondo contemporaneo.

    Rosmini puntualizza uno dei difetti cruciali del costituzionalismo di derivazione rivoluzionaria il cui accentramento deriva da una precisa impostazione ideologica. «Il potere legislativo si suppone infallibile, e perciò gli si dà l’onnipotenza: all’incontro la giustizia verso le minorità può esser violata anche nella formazione delle leggi» [20] . Ricorda giustamente Nicoletti: «Le dottrine della sovranità popolare, invece di mettere in questione l’assolutezza del governo [...], vogliono sostituire alla sovranità assoluta del monarca quella del popolo. Con ciò non si fuoriesce dal dispotismo, ma ci si limita a cambiare il titolare di una sovranità concepita come assoluta». Ciò significa che, per Rosmini, il problema del dispotismo non dipende tanto dalla forma di governo quanto dall’ordinamento costituzionale che ne costituisce la garanzia fondamentale per il suo rifiuto. La forma di governo gli appare, pur nella sua importanza, una questione tecnica, mentre quella costituzionale è l’autentica questione di princìpio. Ecco perché, contro una Lega dei prìncipi, Rosmini propone una confederazione in cui ci sia una armonica rappresentanza di prìncipi e popoli [21] . Il problema del federalismo, visto anche in questa luce, ha prospettive più ampie di quelle esclusivamente politiche.

    Tutto ciò rimanda a una convinzione che Rosmini ripete più volte, e particolarmente ne La costituzione secondo la giustizia sociale, l’esistenza cioè di multiformi facce del dispotismo. C’è, infatti, un dispotismo delle maggioranze, ma ve ne può essere uno delle stesse Camere, o meglio dello stesso potere legislativo. Non si deve poi dimenticare quello della stessa società civile che può diventare «il più radicale e il più fatale di tutti», quando pretende di annientare «tutte le individualità e le località, che debba esistere ella sola» [22] . Qui, si arriva a pretendere di possedere la stessa verità.

    La posizione di Rosmini, come si evince anche dalla Filosofia del diritto, era quella che, più che rifarsi «alle volontà dei sovrani o delle masse popolari esaltate dai modelli delle costituzioni rivoluzionarie», ricercava invece il primato nei «valori etici e religiosi» del Risorgimento italiano [23] . In questo, Gioberti e Rosmini la pensavano allo stesso modo, sia pur con sfumature diverse. Dissentiva dalle posizioni federaliste di costoro il Manzoni, a riprova che la sua riflessione politica è tutt’altro che supina rispetto alle riflessioni del Roveretano. Nel suo saggio Dell’indipendenza d’Italia, riteneva l’eredità del federalismo italiano «infruttuosa», «qualunque ne fosse la forma, cattolica o laica».

    Nel dibattito sul federalismo il rapporto tra storia e politica è cruciale. Balbo ci ricorda nei Pensieri sulla storia d’Italia che dal passato si doveva venire a parlare del presente per proiettarlo, poi, nell’avvenire [24] . Il rapporto tra l’Italia e la sua storia si faceva strettissimo tanto che proprio su quella memoria si doveva costruire l’italianità. Riteneva che «una delle mancanze dell’educazione politica degli italiani, sia appunto quella delle cognizioni storiche». Queste «si fanno volgarissime in tutte le nazioni libere che ne sentono l’utilità» [25] . È proprio la storia a mostrare che l’Italia è «naturalmente» nazione, «sebbene non ancora politicamente realizzata in una corrispondente forma-Stato» [26] . Qui si basa la convinzione federale di Balbo.

    Da qui parte anche quella che, in un dato momento, fu la difesa «delle dinastie esistenti». Uno Stato post-feudale avrebbe avuto tutto il tempo per modellarsi con «miglioramenti successivi e leggi buone». Certo, dopo il 1848, la prospettiva sarà diversa. Balbo diventerà fautore di una «monarchia rappresentativa», pur riconoscendo ancora alla religione e alla tradizione una notevole importanza. Le sue considerazioni sulla nobiltà sono, al riguardo, chiarissime. Va detto però che anche questi concetti basati sulla tradizione si aprono al futuro [27] , proprio come la nobiltà che tende a trasformarsi in élite e in classe dirigente.

    Nel 1846 uscirono i Pensieri sull’Italia di un anonimo lombardo di Luigi Torelli. L’autore parte da un interrogativo allora usuale per chiunque pensasse al futuro unitario della Penisola: È possibile pensare a un’Italia diversa? La risposta era quanto mai realista: «Ogni idea d’indipendenza nazionale si collega così strettamente a una lotta inevitabile con l’Austria, che [...] dispone di soldati e di eserciti» [28] . Non c’era perciò altra strada per fronteggiarla che quella di avere un «esercito ordinato e disciplinato», cosa impossibile senza l’impegno di «coloro che comandano e dispongono degli eserciti, ossia i sovrani» [29] . Si trattava perciò di uscire dalla logica entusiastica del primo romanticismo individualista e capace solo di improvvisare.

    Il richiamo ai sovrani permetteva di formulare una precisa ipotesi. Si parla esplicitamente di «tre Stati indipendenti, i quali presentano elementi di vera forza [...] il Piemonte, la Toscana e il Regno di Napoli». Tutti gli altri erano esclusi, compreso lo Stato pontificio la cui «esistenza come Stato o Governo è incompatibile coll’indipendenza d’Italia». Restano «tre Regni costituzionali indipendenti». Ogni altra ipotesi appariva, allora, irreale dato che, oltre alle «fattorie austriache» [30] , tali dovevano dirsi Modena e Parma, non sussisteva altro nella nostra Penisola. Ecco, quindi, i reali termini di fattibilità: un Regno dell’alta Italia, con Torino capitale e residenza della corte e Milano residenza del Congresso nazionale; un Regno dell’Italia centrale, con Firenze sede della corte e Bologna residenza del Congresso nazionale; infine un Regno della bassa Italia, con Napoli sede della corte e Palermo residenza del Congresso nazionale [31] .

    Questi tre Regni devono procedere a una «reciproca alleanza offensiva e difensiva; la loro Costituzione deve essere uniforme, e tutta Italia deve poi essere unita in un solo sistema doganale» e con politica estera comune. Tutto ciò non basta: «Roma abbiamo detto doversi costituire in città libera», cosa questa possibile solo quando il Papa capirà che «deve cessare di essere Prìncipe temporale» [32] . Per tranquillizzare i cattolici si affermava che con questo disegno «non si vuole né si crede attentare menomamente a nessuna credenza religiosa [...] sarà rispettata in tutta la sua integrità, e conservata la gerarchia ecclesiastica col Sommo Pontefice qual capo supremo» [33] . Non v’è altra strada se si vuole l’indipendenza della Penisola. «L’Austria non abbandonerà mai l’Italia se non costretta dalla forza». Un certo scetticismo, evidente in Delle speranze d’Italia, accompagnava la proposta di Balbo, il quale riteneva che Vienna avrebbe potuto compensare il suo ritiro dalle nostre terre espandendosi, ai danni dell’Impero ottomano, verso la Turchia [34] .

    Dello stesso anno è pure Degli ultimi casi di Romagna di Massimo d’Azeglio che partiva dalla realistica considerazione che fosse assolutamente insensato «spingere la propria nazione nella sanguinosa via delle sommosse» [35] . C’era bisogno di un nuovo disegno politico.

    Singolare è, anche qui, la convinzione che la situazione italiana, per trovare soluzioni, debba essere inserita in una prospettiva internazionale. L’autore è chiarissimo nel dire «quello che non può il Governo dell’Inghilterra, non creda poterlo nessun altro» [36] . Altrettanta lucidità, l’autore mostra nell’analizzare la questione romana. Parte da un assunto proprio della posizione anticlericale: «Si deve dunque riconoscere che l’idea sulla quale posava la legittimità del principato ecclesiastico, come di tant’altri, più non esiste» [37] .

    A conclusioni simili sembra arrivare lo stesso Gioberti che, durante le vicende nefaste della guerra d’indipendenza, elaborerà Del rinnovamento civile d’Italia, diviso in due parti Degli errori e delle sventure e Dei rimedi e delle speranze. Realisticamente riconoscerà che in Italia regnano due grandi istituzioni: cattolicesimo e principato che nessuno può immaginare di distruggere o mutare. Tolti i loro difetti accidentali, bisogna trovare il modo per farli convivere. Il Papa potrà non «avere sovranità di Stato né di territorio», ma avrà «inviolabili i suoi palagi, le ville, le chiese, come quelle degli ambasciatori» [38] . Le due istituzioni dovranno quindi convivere senza confondersi.

    Ancora più rispondente, almeno in un certo momento, sembrava il personalismo federalista di Rosmini, esposto nello scritto Sull’unità d’Italia, che faceva derivare la sua posizione da altre opere politiche precedenti come la Filosofia della politica o la Filosofia del diritto. In queste, infatti, aveva esaminato la natura originaria dell’uomo che univa individualità e socialità. Questa unione si evidenziava nella società civile costituita per la difesa dei diritti personali e il raggiungimento del bene comune. Questo equilibrio, difficile da ottenersi e da mantenersi – perché continuamente insidiato – spiega perché, in nome della giustizia sociale, si possono esigere sacrifici fino a che non si vengono a intaccare alcuni diritti fondamentali dell’individuo [39] . C’è sempre latente, infatti, il pericolo che lo Stato vada oltre i suoi giusti compiti.

    In Sull’unità d’Italia Rosmini evidenziava come «invece di distruggere per far tutto nuovo», occorresse trovare un modo «giusto e onesto» per fare l’Italia, «gli italiani non ne possono volere un altro». Per questo metteva subito in guardia da tanti sogni utopistici che avrebbero creato più problemi che soluzioni. Era questa una convinzione di fondo del pensiero rosminiano: «Ogni qualvolta il politico [...] vuol fabbricare con materiali creati da sé, fa un’utopia». A fronte di quanti pretendono un’unità perfetta, ce ne sono altri che «sarebbero contenti di trovare un modo possibile qualunque, scorgendo in tutti gravi difficoltà» [40] . In questa prospettiva muove alcune critiche al generale entusiasmo che aveva suscitato la dichiarazione di uno dei Governi italiani che voleva istituire un’Assemblea temporanea a Roma per conseguire l’Unità.

    Rosmini ricorda il buon senso del popolo romano che scrisse su Palazzo Venezia: Palazzo della Dieta italiana. Ciò dimostra in modo «evidente che per via di un’assemblea temporanea non si può conseguire l’italica Unità». Non si tratta quindi di un congresso passeggero e neppure una riunione temporanea di principi o di ministri. Si pensa, invece, all’esempio della Federazione svizzera o degli Stati Uniti d’America la cui unificazione ha dato «luogo a nuova unità e sovranità» [41] . Un’unità che non sia illusoria presuppone un’azione continua e «un centro attivo onde ella mova». I problemi sono così complessi che non possono essere affrontati in modo estemporaneo. Anche perché si sono già viste «più repubbliche in una confederazione» [42] , occorre rimuoverne i difetti e portare alcuni correttivi.

    A parere del Roveretano l’esempio francese è per noi improponibile. Noi non possiamo livellare tutti i municipi e tutte le province: «Pare a me che dimentichino quale l’Italia l’hanno fatta i suoi quattordici secoli [...]. Non trattasi di organizzare un’Italia immaginaria, ma l’Italia reale» con le sue varietà, con le sue differenze, con le sue consuetudini, «fedeli rappresentanti della sociale nostra condizione». Queste varietà «alcune si andranno diminuendo, fors’anco annullando col tempo. Le strade ferrate renderanno l’Italia più corta», matrimoni e il diffondersi delle diverse opinioni faranno il resto. Non si può però pretendere che le «tante varietà fisiche, intellettuali e morali spariscano d’un tratto quasi per incanto» [43] . Tutto ciò non deve però frenare il disegno unitario, sostenendo che non si può far nulla finché tali diversità non siano annullate.

    Con un tema tipico della sua riflessione, Rosmini ritratteggia il criterio di unità organica, caro a tutta la tradizione cattolica. Ci ricorda che, nelle diversità, ce ne sono alcune «che non impediscono propriamente all’Italia l’esser una: di quelle, che può esser anco, abbelliscano e rinforzino la stessa sua Unità. Sarebbe improvvido voler a queste far guerra. L’unità nella varietà è la definizione della bellezza». Ugualmente bisogna stare attenti alla centralizzazione: sarebbe un controsenso pensare che «un corpo abbia una testa sterminata e tutte le altre membra estenuate o uniformi [...] non dee cercarsi l’unità semplice, ma sì bene l’unità organata», solo questa si può ritenere «ricca e perfetta». Si rafforzino i municipi, le province e i diversi Stati [44] , solo questo consentirà di fare una reale unità.

    Le grandi nazioni si sono formate un po’ alla volta. Prescindendo dalle conquiste – qui Rosmini sembra un profeta – gli italiani debbono considerare un modo naturale e spontaneo, capace di evitare rancori e problemi per alcune città o Stati. Stati piccoli o città, come Parma e Modena, possono rinunciare ad alcune prerogative subito, ma che dire della Lombardia o della Venezia o del Napoletano? Ci sono Stati che «non si possono fare scomparire senza violenza o senza ingiustizia». L’Unità deve essere tale «che non pregiudichi alla vita individuale delle membra» [45] . Rosmini su questo punto è veramente concreto ed esce dalla genericità di tanti altri polemisti del tempo.

    La sua idea è in linea, proprio nel 1848, con quanto affermava il Ventura ne La questione sicula del 1848 svolta nel vero interesse della Sicilia, di Napoli e dell’Italia. In questo scritto si appoggiava la «costituenda federazione italiana» e nel contempo si ripetevano fondamentali le autonomie nelle «quali la nazione si era storicamente articolata». Nel coalizzarsi in federazione non si doveva pensare a una fusione che avrebbe avvilito le differenze, ma a un’alleanza che avrebbe dovuto esaltarle [46] . Queste idee di Ventura erano in linea con quanto affermato nel famoso Discorso funebre pei Morti di Vienna. In questo scritto, il teatino siciliano ribadiva il legame strettissimo tra religione e politica evidenziando come a causa dell’espandersi dell’incredulità tra molti intellettuali «l’amore della giustizia e dell’ordine vanno a rifugiarsi nel popolo» [47] . Quando s’imbocca la strada dell’irreligiosità, si segue solo la strada «di disprezzo e di oppressione dell’uomo» [48] .

    Prima di tutto occorre un governo uniforme «a cui si devono ridurre i particolari Stati italiani». Un eguale Statuto costituzionale, quindi. «Uguali leggi civili, commerciali, penali e di procedura. Uguale sistema monetario». Niente vieta, e qui Rosmini anticipa i tempi della moneta europea, «che le monete di forma e di valore uguale portino l’effige de’ sovrani che le hanno fatte coniare». Poi, uguali pesi, misure uniformi e diritti di cittadinanza. Tutti gli Stati, quindi, si devono accordare per adottare un medesimo Statuto costituzionale. Questo significa che, la prima condizione dell’Unità d’Italia «è che gli Stati particolari siano solidamente costituiti» [49] .

    Davvero notevole è poi il fatto che Rosmini consideri possibile la forma di governo repubblicana per l’Italia al pari di quella monarchica, anche se la seconda, già pronta, finisce per evitare tanti altri problemi e, dato che in politica non si devono considerare i problemi in astratto, quella monarchica si presenta sicuramente come la più fattibile. La repubblica costituirebbe «un salto enorme» che potrebbe anche compromettere l’Unità. Essendo poi l’Italia di per sé divisa in tante province e Stati, è giusta la preoccupazione di Gioberti di vedere nella repubblica un’istituzione che rischierebbe di accrescere tale divisione. Del resto, se gli stessi francesi abbiano fatto bene o no a istituire la repubblica, «lo farà vedere il tempo». Rimane, in ogni modo, il fatto che, o principato o repubblica, la medesima forma costituzionale deve essere adottata da tutti gli Stati italiani [50] . Libertà e unità sono maggiori dove sono più sicure. Rosmini ci ricorda, infine, il compito fondamentale della Dieta nazionale che deve risiedere nella capitale. Essa rappresenta non gli interessi privati e opposti dei singoli Stati, che per questo hanno le loro camere legislative, ma gli interessi dell’Italia come nazione [51] .

    Da ricordare, poi, che col federalismo l’azione dello Stato ha dei limiti precisi e non invade altre istituzioni sociali come, ad esempio, la famiglia e la Chiesa. Su questo aspetto punta in modo particolare Cattaneo che vede nel federalismo realizzarsi quella competizione capitalistica, per lui, «garanzia di crescente benessere, libertà e pluralismo». Il centralismo, al contrario, annulla progresso e intelligenza morale. Senza contare che l’Italia, storicamente e geograficamente, non è mai stata un Regno. Per questo è adatta al federalismo repubblicano «che è non il risultato di un’annessione ma di un consenso» [52] . Queste idee, nonostante le difficoltà derivanti dall’organizzazione dello Stato unitario, continuarono ad animare la discussione politica italiana anche dopo il 1861. Basterebbe ricordare i vari disegni di legge per l’istituzione delle regioni il più fortunato dei quali fu, forse, quello di Marco Minghetti che diceva di essere in linea con le stesse prospettive di Cavour [53] .


    [1] P. Armellini, Elementi di storia del pensiero politico federalista, in Introduzione al pensiero federalista, a cura di P. Armellini, Aracne, Roma 2003, p. 25.

    [2] Ibid., p. 29.

    [3] Cfr. Ibid., p. 18.

    [4] Cfr. G. Spadolini, Le due Rome. Chiesa e Stato fra ’800 e ’900, Felice Le Monnier, Firenze 1975, pp. 26 e 25.

    [5] Ibid., pp. 30-31.

    [6] A questa luce la «polemica del 1855 con Bertrando Spaventa e il gruppo dei neo-hegeliani di Napoli (condotta dalla Compagnia di Gesù) – primi cultori di quell’idea di Stato che sarà poi accettata dalla destra storica – non è che l’anticipazione di quell’insanabile antitesi ideale, che dividerà lo Stato italiano e la Chiesa». Ibid., pp. 35-36, lo scritto tra parentesi è mio.

    [7] Cfr. Ibid., p. 33.

    [8] P. Armellini, Elementi di storia del pensiero politico federalista, in Introduzione al pensiero federalista, cit., p. 63.

    [9] Cfr. G. de Rosa, Stato unitario e federativo nel pensiero cattolico italiano, in Aa. Vv., Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, Atti del XXVII Corso della Cattedra Rosmini, 1993, a cura di G. Pellegrino, Soliditas – Spes, Stresa-Milazzo 1994, p. 21. Le parole di Rosmini della seconda citazione sono riprese, dagli stessi atti appena citati, da M. d’Addio, Rosmini e la Confederazione italiana, p. 99.

    [10] Citazioni riportate da C. Vasale, Il significato del federalismo giobertiano nella storia d’Italia, in Aa. Vv., Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, cit., p. 225. Cfr. pure p. 229.

    [11] Cfr. G. Negri, Il federalismo nel Risorgimento. Da Gioberti a Montanelli, in Aa. Vv., Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, cit., p. 201 ss.

    [12] Cfr. C. Vasale, Il significato del federalismo giobertiano nella storia d’Italia, cit., pp. 233 e 239.

    [13] G. Aliberti, Nazione e Stato nei federalisti cattolici del Risorgimento: Balbo, Taparelli, D’Ondes Reggio, in Aa. Vv., Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, cit., p. 278.

    [14] F. Alessandrini, Il federalismo dei cattolici, in I cattolici e il federalismo, Atti del IV Convegno di studi del C. A. E., Icas, Roma 1961, p. 25.

    [15] Cfr. Ibid., pp. 25-26.

    [16] Ibid..

    [17] Cfr. E.A. Albertoni, Statualità e centralismo in Italia, in Aa. Vv., Stati e Federazioni. Interpretazioni del federalismo, a cura di E.A. Albertoni, Eured, Milano 1998, p. 173.

    [18] Cfr. G. Negri, Il federalismo nel Risorgimento. Da Gioberti a Montanelli, cit., pp. 206 e 208.

    [19] Cfr. Ibid., pp. 30 e 32.

    [20] A. Rosmini, La Costituzione secondo la giustizia sociale, in Scritti politici, Seconda edizione accresciuta, a cura di U. Muratore, Edizioni Rosminiane, Stresa 2010, p. 46.

    [21] Cfr. M. Nicoletti, Federalismo e costituzionalismo nel pensiero di Antonio Rosmini, in Aa. Vv., Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, cit., pp. 71, 79 e 82.

    [22] Cfr. M. d’Addio, Rosmini e la Confederazione italiana, cit., p. 136, nota 76.

    [23] Cfr. P. Prini, Manzoni, Rosmini e il problema dell’unità d’Italia, in Aa. Vv., Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, cit., p. 49.

    [24] Cfr. G. Aliberti, Nazione e Stato nei federalisti cattolici del Risorgimento: Balbo, Taparelli, D’Ondes Reggio, cit., p. 282.

    [25] C. Balbo, Della monarchia rappresentativa in Italia. Della politica nella presente civiltà. Abbozzi del medesimo autore, Le Monnier, Firenze 1857, p. 35.

    [26] G. Aliberti, Nazione e Stato nei federalisti cattolici del Risorgimento: Balbo, Taparelli, D’Ondes Reggio, cit., p. 284.

    [27] Cfr. Ibid., pp. 285 ss.

    [28] Pensieri di un anonimo lombardo, L.R. Delay, Parigi 1846, p. 57.

    [29] Ibid.

    [30] Ibid., pp. 58-59.

    [31] Cfr. Ibid., pp. 59-60.

    [32] Ibid., pp. 60, 66 e 69.

    [33] Ibid., pp. 70-71.

    [34] Cfr. Ibid., p. 93 e nota 1.

    [35] Cfr. M. d’Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna, Italia 1846, pp. 12-13 e 27. Davvero singolare il richiamo alla località di stampa. Si tratta di un’Italia che ancora non c’è, come per lo scritto Pensieri di un anonimo lombardo che, stampato a Parigi, evidenzia pure i sacrifici di tanti intellettuali disposti a pagare di persona per inseguire un ideale.

    [36] Ibid., p. 85.

    [37] Ibid., p. 92.

    [38] Cfr. A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1948, p. 123 ss.

    [39] Cfr. P. Armellini, Elementi di storia del pensiero politico federalista, in Introduzione al pensiero federalista, cit., pp. 64-65.

    [40] A. Rosmini, Sull’unità d’Italia, in Scritti politici, cit., p. 249.

    [41] Cfr. P. Prini, Manzoni, Rosmini e il problema dell’unità d’Italia, cit., pp. 50 e 52.

    [42] Cfr. A. Rosmini, Sull’unità d’Italia, in Scritti politici, cit., p. 250.

    [43] Cfr. Ibid., p. 251.

    [44] Cfr. Ibid., p. 252.

    [45] Cfr. Ibid., pp. 253-254.

    [46] Cfr. M. d’Addio, Rosmini e la Confederazione italiana, cit., p. 102. Sempre D’Addio ci ricorda, a p. 98, che, negli scritti di Rosmini, «il termine confederazione è sinonimo di federazione».

    [47] G. Ventura, Discorso funebre pei Morti di Vienna, Genova 1849, p. 36.

    [48] Ibid., p. 40.

    [49] Cfr. A. Rosmini, Sull’unità d’Italia, in Scritti politici, cit., pp. 254-255.

    [50] Cfr. Ibid., pp. 256-257.

    [51] Cfr. Ibid., p. 259.

    [52] Cfr. Ibid., pp. 69-70.

    [53] Cfr. P.G. Grasso, Proposte di autonomia regionale agli inizi dell’unità d’Italia, in Aa.Vv., Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, cit., p. 165 ss. Su alcuni aspetti di questo problema vedi pure M. Minghetti, I partiti politici e la loro ingerenza nella giustizia e nell’amministrazione, Società Aperta, Milano 1997.

    II. Risorgimento: parola italiana, parola europea''

    Federigo Bambi

    1872: una data.

    Una data che forse dirà poco agli storici dell’Ottocento. Qualcuno farà mente locale, aggrottando le ciglia: quale battaglia, oppure quale avvenimento istituzionale, che sarebbe da ricordare, invece ora sembra svanire dalla mente? Insomma, non suona come un 1861, o un 1865, o un 1870; o addirittura tonante come un Quarantotto!

    Eppure è una data che ha un suo valore specifico: in un certo senso, segna la fine di un percorso. Il testimone è un dizionario, tra i più recenti e accreditati, il Grande dizionario italiano dell’uso di Tullio De Mauro, che segna sotto quel 1872 la nascita di un significato. Eccolo: «Storico, solo singolare, specialmente con iniziale maiuscola, movimento per l’indipendenza e l’unità nazionale, sviluppatosi in Italia tra gli inizi dell’800 e il 1870»; e poi anche «periodo storico in cui tale movimento si sviluppò». È la voce Risorgimento [1] .

    1872: un infante nato vecchio, si direbbe, quando cioè il percorso per la costruzione dello Stato italiano si era pressoché concluso. Il fatto è che quel dizionario gioca di sponda, e con quell’anno vuol rimandare a un altro vocabolario che fornisce (parrebbe il primo nell’Ottocento) la definizione politica di risorgimento. È il Tommaseo, che nel quarto volume del suo Dizionario – che esce appunto nel 1872 – scrive con la propria penna, come si capisce dall’iniziale T. tra le parentesi quadre [2] :

    [T.] Risorgimento, Atto del risorgere. Detto della risurrezione da’ morti nel verso può suonare meglio di quest’altra voce [...].

    II. In altri sensi di Risorgere, cade più pr. che Risurrezione. [T.] Risorgimento della nazione a vita civile migliore. Risorgimento di Grecia. L’ora del risorgimento. – Il Risorgimento, tit. d’un giornale.

    A processo storico ormai compiuto, Risorgimento nella versione politica viene così acquisito definitivamente, o quasi, anche dalla lessicografia: è un cammino dunque che si chiude non solo tra le pagine della storia, ma anche in quelle dei dizionari. Anche se non emerge ancora a pieno il valore antonomastico della parola: negli esempi del Tommaseo si ha il risorgimento di: della nazione, di Grecia, non è scolpito a tutto tondo il Risorgimento con l’iniziale maiuscola e senza alcuna specificazione, per indicare – così, da solo – ‘l’insieme di quelle vicende che portarono all’indipendenza e all’unificazione d’Italia’. Come attestazione d’un uso assoluto c’è solo il rimando al titolo d’un giornale famoso sul quale torneremo.

    Altri, ancora nell’Ottocento, meglio preciseranno, proprio anche sotto quest’ultimo profilo, come Policarpo Petrocchi (1891) [3] :

    Risorgimento, s.m. Il risorgere. – della civiltà, delle arti, delle lettere [...]. § E della indipendenza italiana. I martiri che prepararono il Risorgimento. Museo del Risorgimento a Torino. Storia del Risorgimento italiano.

    Comunque, gli elementi essenziali della definizione erano già tutti nella

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1