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Italia 1940-1945: Le storie di ieri e i ragazzi di oggi
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Italia 1940-1945: Le storie di ieri e i ragazzi di oggi
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Italia 1940-1945: Le storie di ieri e i ragazzi di oggi

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Un saggio che ricostruisce 5 anni di storia per conoscere il nostro passato e capire il presente. Gli anni dal 1940 al 1945 sono tra i più importanti della nostra storia. Dopo l'entrata in guerra (10 giugno 1940) giunge a compimento la crisi del fascismo (25 luglio 1943), resa ormai evidente dalle continue sconfitte militari. Tuttavia, non c'è il cambiamento che molti attendono. Prevale, infatti, la volontà di gestire il trapasso dei poteri attraverso una continuità con il "passato regime", prima della fuga del re (8 settembre). In una nazione ormai allo sbando, sono contrastanti le scelte individuali e collettive: quella dell'attesa, della "zona grigia", della "casa in collina", di chi aspetta che la guerra si concluda e nel frattempo si muove tra sotterfugi, convenienze, indifferenza; quella della patria e dell'onore, di un fascismo (Salò) che vuole vendicare il doppio tradimento del 25 luglio e dell'8 settembre, ma è asservito ai nazisti con i quali condivide le pratiche di sterminio della popolazione; quella della libertà (e di un'altra idea di patria e di onore), compiuta da uomini e donne che formano le bande partigiane e danno vita al complesso fenomeno della resistenza. Età di lettura: 14 anni.
LanguageItaliano
Release dateJan 15, 2018
ISBN9788899735432
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    Book preview

    Italia 1940-1945 - Antonio Gioia

    Sbubut

    La Storia, le storie

    Nel 1975, Francesco De Gregori canta Le storie di ieri¹. Sono le storie che hanno segnato profondamente la vita degli Italiani (Mio padre ha una storia comune, condivisa dalla sua generazione) durante gli anni del Fascismo (la mascella al cortile parlava), della guerra, della Resistenza, della Liberazione (troppi morti lo hanno smentito, tutta gente che aveva capito). Adesso, una nuova generazione, forse ancora inconsapevole, sta crescendo. (E il bambino nel cortile sta giocando: tira sassi nel cielo e nel mare. Ogni volta che colpisce una stella chiude gli occhi e comincia a sognare, chiude gli occhi e comincia a volare). Dopo trent’anni dalla fine di quella tragica illusione (E i cavalli a Salò sono morti di noia: a giocare col nero perdi sempre. Mussolini ha scritto anche poesie: i poeti che brutte creature, ogni volta che parlano è una truffa), il tempo ha mitigato molte cose (Ma mio padre è un ragazzo tranquillo, la mattina legge molte giornali: è convinto di avere delle idee e suo figlio è una nave pirata). Tuttavia, nonostante la sconfitta subita, il Fascismo continua ad essere ancora presente, sotto altre forme (E anche adesso è rimasta una scritta nera, sopra il muro davanti casa mia: dice che il movimento vincerà: i nuovi capi hanno facce serene e cravatte intonate alla camicia). Spetta ai giovani prendere coscienza (Ma il bambino nel cortile si è fermato: si è stancato di seguire aquiloni), comprendere il rapporto tra presente e passato (Si è seduto tra i ricordi vicini e i rumori lontani) e riaffermare il valore dell’antifascismo, come principio costitutivo, attraverso l’impegno e la partecipazione (guarda il muro e si guarda le mani).

    Dal 1975 molto è cambiato. L’Italia è uscita con affanno, paura e sofferenza dal clima cupo della stagione delle stragi; il neofascismo non incombe più minaccioso come allora e i nuovi capi, con le loro facce serene e con le cravatte intonate alla camicia, non ci sono più. I loro eredi sono ormai dispersi.

    Dalla fine della guerra sono passati addirittura oltre settant’anni e temi come il Fascismo e l’Antifascismo sembrano ormai superati, inattuali. La distanza è enorme ed è resa ancora più marcata dalla presenza di nuove generazioni che hanno aumentato il distacco da quegli avvenimenti e dal loro ricordo. Su quelle storie, però, si è innescato un particolare meccanismo, politico e culturale, di rimozione del passato e di guerra della memoria.

    Già a partire dal 25 luglio 1943 si afferma la volontà di separare le responsabilità: quelle del Regime da Mussolini e quelle della Monarchia dal Fascismo. La soluzione politica è il governo del Maresciallo Badoglio, personaggio di primo piano del lungo ventennio fascista. La soluzione in campo militare è il capolavoro di ambiguità e viltà dell’armistizio e dell’8 settembre. Il processo di rimozione prosegue attraverso la mancata epurazione del personale fascista dai ruoli, anche di rilievo, dell’amministrazione statale (prefetture, ministeri, magistratura, forze dell’ordine) alla quale si aggiunge la mancata Norimberga italiana. Paradossalmente, saranno liberati dal carcere i fascisti, grazie all’amnistia Togliatti, e saranno processati e condannati molti ex partigiani.

    Da questo rapporto difficile e complesso degli Italiani con il proprio passato prende forma la memoria collettiva nelle sue molteplici articolazioni, a partire dalla memoria divisa: quella celebrativa e istituzionale dei vincitori (con altre memorie al proprio interno) e quella rancorosa di un neofascismo che, se da una parte costituisce il polo escluso, dall’altra può continuare ad agire su più livelli (legali e illegali) grazie alle complicità, alle collusioni, alle coperture nazionali e internazionali che mantengono saldamente uniti passato e presente; atteggiamento nostalgico e attività eversive. La memoria divisa è locale e nazionale. É la memoria delle piccole comunità dove, in alcuni casi, nella stessa città, si ricorda lo stesso evento con due targhe diverse, come a San Miniato. Ed è la memoria di una nazione che ha istituito due giorni diversi per ricordare: il Giorno della memoria (27 gennaio) in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti (Legge 20 luglio 2000, n.211) e il Giorno del ricordo (10 febbraio) in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale (Legge 30 marzo 2004, n.92). La memoria collettiva è anche una memoria autoassolutoria che tende a distinguere il cattivo tedesco e il bravo italiano e a rimuovere, in questo modo, il peso della colpa per i crimini di guerra commessi in Africa, nei Balcani, in Unione Sovietica. Ed è, infine, una memoria indulgente, nei confronti di Mussolini e di una dittatura considerata non priva di aspetti positivi, anche in tempi più recenti.

    Storia e politica

    Subito dopo la vittoria elettorale del 27-28 marzo 1994, grazie alla quale gli eredi del Fascismo sono al potere, il Segretario del Movimento Sociale Italiano Gianfranco Fini ribadisce, in un’intervista a La Stampa, il proprio giudizio su Mussolini. Alla domanda: Se le chiedessero oggi un giudizio su Mussolini?, risponde: Direi ancora che è stato il più grande statista del secolo². Qualche giorno dopo, Irene Pivetti (Lega Nord), neo presidente della Camera, nel corso di un’intervista a L’Italia settimanale, dichiara: Le cose migliori per le donne e la famiglia le ha fatte Mussolini, dopo non è stato fatto più nulla³. Il 28 maggio, infine, lo stesso Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in un’intervista al Washington Post, afferma che Mussolini ha realizzato per qualche tempo cose buone in Italia […] Più tardi ci privò della libertà e portò il Paese alla guerra. Pertanto il giudizio complessivo è di condanna. Ma per qualche tempo realizzò cose buone, un fatto confermato dalla storia […] Il vero pericolo in Italia sono gli ex comunisti, ed è la ragione per cui sono entrato in politica⁴.

    Dalle dichiarazioni di tre autorevoli esponenti politici (tra i quali il Presidente del Consiglio e il Presidente della Camera), emerge una visione alquanto benevola di Mussolini. Ma è soprattutto il giudizio sul Fascismo, espresso da Fini nel corso di una nuova intervista, che suscita polemiche e preoccupazioni: Fino al 1938, cioè fino a un minuto prima delle leggi razziali, credo sia molto difficile giudicare il fascismo in modo complessivamente negativo. Nonostante la soppressione della libertà? Dipende da quale valore si assume nel formulare il giudizio. Se assumi il valore della libertà d’associazione è chiaro che il giudizio è negativo perché il fascismo l’ha soppressa. Se assumi il valore del progresso sociale sfido chiunque a dire che l’Italia del 1938 fosse in condizioni sociali peggiori dell’Italia del 1922⁵.

    C’è, dunque, un fascismo buono, almeno fino al 1938, e c’è un fascismo che ha negato le libertà ma ha svolto una funzione di progresso sociale. La dichiarazione di Fini non tende, però, a una rivalutazione-riproposizione ma a un superamento: La destra è al di là della polemica fascismo-antifascismo. Non siamo né fascisti né antifascisti, semplicemente postfascisti.

    Il messaggio è apparentemente conciliante; in realtà, è molto insidioso da un punto di vista storico e politico⁷.

    Il superamento del Fascismo e dell’Antifascismo è alla base della svolta politica della nuova destra italiana. É quanto emerge dalle Tesi politiche approvate al XVII Congresso del MSI-AN (25-29 gennaio 1995): Da essa, dalla libertà, discende la nostra concezione dello Stato, della società, dei rapporti economici. Ad essa si ispira l’azione politica, tesa all’affermazione della persona umana, della destra italiana. Per questo non si può identificare la destra politica con il fascismo e nemmeno istituire una discendenza diretta da questo. La Destra politica non è figlia del fascismo. I valori della destra preesistono al fascismo, lo hanno attraversato e ad esso sono sopravvissuti. Le radici culturali della Destra affondano nella storia italiana, prima, durante e dopo il Ventennio. […] Oggi i post-comunisti italiani – se hanno i consensi sufficienti – possono governare. La logica di Yalta non c’è più: oggi la Destra politica fa propri i valori democratici che il fascismo aveva negato. Perché mai dovrebbe sopravvivere l’antifascismo? L’antifascismo è sopravvissuto 50 anni alla morte del fascismo per ragioni internazionali e interne oggi non più presenti. […] Con la fine del socialismo reale e del dopoguerra si impone quindi la definitiva storicizzazione anche dell’antifascismo. É tempo che anch’esso raggiunga il fascismo perché entrambi affrontino il giudizio della storia⁸.

    Alle Tesi di Fiuggi sembra fare eco il discorso di insediamento di Luciano Violante alla Presidenza della Camera, il 9 maggio 1996: "Mi chiedo se l’Italia di oggi – e quindi noi tutti – non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà (Applausi)"⁹.

    Il riferimento alla Repubblica Sociale Italiana e ai ragazzi di Salò suscita, a sinistra, reazioni contrastanti. Per la destra nostalgica costituisce, invece, una sorta di legittimazione pubblica che rende l’onore delle armi ai vinti di ieri, molti dei quali, in realtà, non si sono mai considerati tali.

    L’operazione avviata da Gianfranco Fini con la svolta di Fiuggi va però ben oltre. Il Presidente di AN, infatti, al Congresso di Verona nel 1998 dichiara che se avesse avuto vent’anni nel 1943 non avrebbe aderito alla RSI. L’anno successivo, inoltre, visita il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau da dove pronuncia parole di condanna nei confronti della Shoah: Qui l’uomo si sente infinitamente piccolo, perché nessuna tragedia può essere più grande dello sterminio e dell’Olocausto. Non è nella possibilità dell’uomo creare paradisi in terra, ma certo qui costruì l’inferno. Ogni uomo lo ricordi, lo sappiano i più giovani, per sempre se ne rinnovi la memoria¹⁰.

    Trascorrono altri due anni e Fini visita un altro campo di concentramento. Questa volta in Italia. É la Risiera di San Sabba. Poi, all’inizio del 2002, ritratta la sua controversa definizione di Mussolini: Oggi non lo direi più che è stato il più grande statista del secolo¹¹ e il 12 settembre dello stesso anno, intervistato dal quotidiano israeliano Haaretz, chiede scusa per le leggi razziali¹².

    All’evoluzione politica di Fini, su Mussolini, Fascismo e leggi razziali, non corrisponde la stessa evoluzione all’interno del Centro-destra. A cominciare dal Presidente del Consiglio. Berlusconi, infatti, nell’estate del 2003, alla domanda di un giornalista inglese a proposito del dopo Saddam in Iraq, risponde: Mussolini non ha mai ammazzato nessuno. Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino¹³. Ancora più sconcertante è il gesto compiuto dal deputato di AN Antonio Serena che invia ai parlamentari una videocassetta in cui Erich Priebke rivendica di non essersi mai arreso alle menzogne dei suoi persecutori¹⁴.

    La svolta politica avviata da Fini è ancora più netta in occasione della sua visita in Israele. É qui, allo Yad Vashem, che il Presidente di AN invita a non dimenticare l’orrore della Shoah: Dobbiamo farlo per capire la ragione per la quale ignavia, indifferenza, complicità fecero si che tantissimi italiani nel 1938 nulla facessero per reagire alle infami leggi razziali volute dal fascismo¹⁵. Il giudizio di condanna è netto, anche sul Fascismo e sull’esperienza della Repubblica sociale italiana, così come testimoniato nel corso di un’intervista: "Presidente Fini, lei poche ore fa ha parlato di «pagine vergognose nella storia del nostro passato». In quelle pagine, a suo avviso, rientra la Repubblica Sociale Italiana? «Rientra dal millenovecento... Rientrano certamente tutte quelle pagine relative alla discriminazione e, ancora di più, alla persecuzione nei confronti degli ebrei e, più in generale, delle minoranze. Certamente, vi rientra anche quella pagina»¹⁶.

    Ma Salò è il passato che non passa. Il passato nel quale le destra italiana ancora si riconosce¹⁷. Anche la destra istituzionale e di governo. Il Ministro Ignazio La Russa, durante la commemorazione del 65° anniversario della difesa di Roma (8 settembre 1943), dichiara: Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell’esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d’Italia¹⁸.

    Subito dopo arriva la risposta di Fini: A Salò c’è stata buona fede, riconoscerla è in molti casi doveroso ma è altrettanto doveroso dire che non si può equiparare chi stava da una parte e dall’altra. Onestà storica e compito di una destra che vuole fare i conti con il passato è dire che non è equivalente chi combatteva per una parte giusta e chi, fatta salva la buona fede, combatteva dalla parte sbagliata. La destra deve ribadirlo in ogni circostanza non per archiviarlo ma per costruire una memoria che consenta al nostro popolo di andare avanti¹⁹.

    La difficoltà di andare avanti, nel progetto politico elaborato con la svolta di Fiuggi, appare però sempre più evidente. Anche da un punto di vista personale. Nell’estate del 2010 si consuma la rottura politica con Berlusconi e con Alleanza Nazionale. Fini viene sfiduciato dalla maggioranza dell’Ufficio di Presidenza del PDL, poi esce di scena mentre, come in una sorta di gioco dell’oca, si ritorna alla casella di partenza.

    All’inizio del 2013, Roberta Lombardi, capogruppo alla Camera del Movimento 5 Stelle, scrive nel suo blog che il Fascismo, prima che degenerasse aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello Stato e la tutela della famiglia²⁰. Nello stesso periodo, in occasione del Giorno della Memoria, Silvio Berlusconi dichiara che Il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi invece aveva fatto bene²¹. Ancora una volta, il dibattito sembra oscillare tra uso politico della storia e banalizzazione.

    Storia e televisione

    Che cosa accade, invece, in termini di uso pubblico della storia?

    Sono tanti i programmi e i documentari trasmessi dalla televisione. Dai primi dedicati alla Resistenza, nella fase della difficile legittimazione degli anni Sessanta, a quelli dei controversi anni Settanta²². Ma è soprattutto negli anni Ottanta che si assiste ad una dissoluzione del senso storico e ad una banalizzazione del privato²³. Ne è testimonianza Immagini del fascismo. Tutti gli uomini del duce, di Nicola Caracciolo. Cinque puntate a partire dal 17 novembre 1982. Seguono altri programmi, come C’ero anch’io, andato in onda l’8 settembre 1983, e La mia guerra, in sei puntate, dal 10 aprile 1990. Adesso, accanto alla scoperta del privato e alla umanizzazione del duce e della classe dirigente fascista vi è contemporaneamente – sempre negli anni Ottanta – la scoperta di un privato di massa altrettanto spogliato di senso storico, mentre viene allontanata sullo sfondo la dimensione drammatica, collettiva e pubblica, della grande tragedia che attraversa l’Italia e l’Europa²⁴. Nello stesso tempo, si assiste anche a una sorta di riappacificazione col passato fascista, come nel caso de Il coraggio e la pietà, trasmesso in due puntate, il 9 e il 16 novembre 1986. Il programma affronta il tema della persecuzione antiebraica con una sottolineatura totalmente unilaterale e fortemente enfatizzata della solidarietà nei confronti degli ebrei (attribuita anche alle più alte gerarchie militari e politiche del regime) e con una sostanziale rimozione delle responsabilità italiane²⁵. La stessa rimozione viene attuata nei confronti dei crimini italiani in Etiopia e in Jugoslavia. La Rai non trasmetterà la versione italiana, realizzata nel 1992, di Fascist Legacy, un documentario del 1989, di Ken Kirby della Bbc.

    Nel 1994 va in onda la prima puntata di Combat film, "un programma che utilizzava nella maniera peggiore un materiale documentario di grande interesse […]. Un mostro che rivelava due realtà convergenti: la smemoratezza dei giovani, simboleggiata dalla studentessa di Scienze politiche ignara di Badoglio, e altre

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