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L'amico gentile
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L'amico gentile

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Città Intelligente, prossimo futuro. A ogni bambino fin dalla nascita viene assegnato un Amico Gentile, un angelo custode elettronico presente in ogni istante della vita. Quando serve, gli Amici Gentili escono in 3D dagli orologi portati al polso e sono in grado di cambiare aspetto nel tempo. Ai bambini appaiono come angeli o fate, per gli adolescenti si trasformano in ragazzini spavaldi che si comportano da amici complici, gli adulti li vedono come indispensabili assistenti. Come tutti i suoi coetanei Evan vive spensierato nei mirabolanti scenari e giochi elettronici della Città Intelligente fino a che, alla Scuola Speciale, i suoi compagni Sarah e Mark gli rivelano un terribile segreto. Inizia così un’avventura in un mondo che Evan non aveva mai conosciuto e una battaglia per sconfiggere la deriva di una tecnologia che sa tutto di ogni cittadino, che può manipolare le persone e coprire la meraviglia della realtà, della natura e dell’amicizia vera.
LanguageItaliano
Release dateJan 18, 2018
ISBN9788865377574
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    L'amico gentile - Viviana Lupi

    Gentile

    I

    Evan guardò verso l’alto e controllò i palloncini azzurri sul soffitto . Ce n’era uno per ogni bambino che aveva invitato. Anche la tavola era pronta, apparecchiata per dodici, con piatti colorati. Al momento era seduto lì da solo , composto, ad aspettare. Dopo sarebbero arrivati tutti gli altri, con il pulmino noleggiato per la festa.

    L’Amico Gentile gli sorrise e gli strizzò l’occhio dalla parete di fronte. Evan si rilassò. Voleva dire che tutto era sotto controllo. Sorrise anch’egli e poi abbassò lo sguardo. Sapeva che l’Amico Gentile in quei giorni aveva rilevato la sua ansia perché tutto fosse perfetto alla festa del suo settimo compleanno.

    – Mamma chi invito alla festa? – aveva domandato circa un mese prima.

    – Chiedilo tu stesso all’Amico Gentile. Ormai sei grande – aveva risposto con dolcezza Sandra.

    Evan un po’ riluttante era entrato in bagno e aveva guardato verso lo specchio.

    – Amico Gentile? – aveva sussurrato. Nemmeno un secondo dopo, il suo Amico Gentile era già lì che gli sorrideva.

    – Chi invito alla festa?

    – La tua dimora – aveva risposto lui con voce rassicurante, come se raccontasse una favola – può ospitare in modo organizzato undici invitati. Perciò ora li sceglieremo.

    La classe di Evan era formata da cinquanta alunni, non sarebbe stato possibile invitare tutti, ma l’Amico Gentile aveva già calcolato ogni cosa. Nello specchio erano apparse le immagini dei suoi compagni. Quelle dei prescelti erano grandi e a colori, le altre erano grigie, minuscole ed evanescenti. In quelle a colori i bambini sorridevano verso Evan, nelle altre immagini guardavano altrove con espressione un po’ scostante. A Evan era sembrato naturale scegliere gli undici bambini delle foto colorate, tanto più che queste erano le uniche rimaste impresse nello specchio, mentre le altre erano diventate una massa indistinta ed erano rapidamente sparite. L’Amico Gentile aveva detto Ottima scelta! ed Evan aveva sorriso.

    Sandra lo aveva accolto con un abbraccio quando era uscito dal bagno dicendole i nomi dei compagni che desiderava invitare. Aveva finto di non vedere che l’Amico Gentile li aveva fatti apparire sulla parete di fronte perché Evan li leggesse senza dimenticarne nessuno. Sapeva che l’Amico Gentile di Evan si era già consultato con gli Amici Gentili di tutti i suoi compagni e con quelli dei rispettivi genitori. Che aveva sicuramente incrociato i dati di tutti e calcolato disponibilità e compatibilità, fino ad arrivare alla selezione definitiva degli invitati. Era orgogliosa di come Evan si era affidato al proprio Amico Gentile e aveva collaborato positivamente con lui.

    Sette anni aveva pensato Sandra, il suo bambino stava già per compiere sette anni.

    Lo aveva guardato con commozione, i capelli biondi, gli occhi grandi a mandorla, proprio un bel bambino. Tutto quel tempo era passato come in un soffio. Si era ricordata di quando l’Amico Gentile di suo figlio era apparso per la prima volta nella loro vita. Lo aveva visto suo marito Eric, una sera, nel piccolo appartamento in cui vivevano all’inizio del loro matrimonio. Lei era entrata nel salotto ed Eric aveva guardato la parete alle sue spalle. Subito dopo si era illuminato in un sorriso commosso. Allora Sandra si era girata e sulla parete-schermo, accanto al proprio Amico Gentile, ne aveva visto un altro, minuscolo, con il tipico aspetto tenero che hanno gli Amici Gentili appena rilasciati dal Centro Digitale Centrale. Era caduta in ginocchio per l’emozione ed Eric le era subito corso incontro abbracciandola e piangendo insieme a lei: avrebbero avuto un bambino.

    Dopo i primi esami medici del feto, l’aspetto standard dell’Amico Gentile di Evan aveva iniziato a personalizzarsi. Sandra ed Eric avevano passato ore ogni giorno a scrutarlo per cercare di sapere in anticipo qualcosa in più sul figlio che avrebbero avuto. L’Amico Gentile assumeva le sembianze più adatte alla psicologia del nascituro, quelle più rassicuranti per lui. Così loro non avevano potuto fare a meno di continuare a guardarlo per cercare di dedurre qualcosa. Si erano sentiti sciocchi, perché sapevano che all’inizio le trasformazioni erano quasi impercettibili, ma non avevano potuto farci niente. Al momento del parto, l’Amico Gentile di Evan si era ingrandito ed era apparso sul soffitto e sulle pareti per il primo abbraccio ideale al bambino. E da quel momento era diventato il suo angelo custode.

    II

    La luce blu lampeggiò sul grande tavolo touchscreen del salotto ed Evan scattò in piedi. Era il segnale che avevano concordato con l’agenzia di noleggio: il pulmino stava arrivando. L’Amico Gentile di Evan aveva calcolato il percorso migliore per andare a prendere tutti i bambini e aveva trasmesso i dati al pilota automatico dell’automezzo. Poi aveva segnalato l’appuntamento agli Amici Gentili degli invitati, con l’orario preciso in cui il pulmino sarebbe arrivato davanti a lla casa di ognuno di loro.

    – Mamma! Papà! Arrivano! – urlò Evan verso la porta aperta del soggiorno.

    Subito dopo si risedette. Avevano stabilito una precisa procedura per questa festa: suo padre sarebbe uscito ad accogliere i bambini, sua madre li avrebbe aspettati sulla porta e lui in salotto. Eric uscì e fece un cenno al pulmino autoguidato per indicargli dove parcheggiare.

    – Apri le porte – disse Eric al veicolo, e gli undici bambini iniziarono a scendere di fronte a lui.

    Tre o quattro invitati portavano gli occhiali, ma li tolsero subito con un gesto veloce. Stavano ancora finendo di giocare fra mostri, principi e castelli, ma sapevano che non era indice di buona educazione entrare in una casa e rimanere nella propria realtà virtuale individuale. Eric strinse a tutti la mano dando il benvenuto, quindi Sandra li chiamò dalla porta spalancata. Il pulmino ripartì da solo per tornare alla sede dell’agenzia di noleggio. Evan sentì le voci dei suoi compagni che entravano nell’atrio. Era il momento che aspettava da più di un mese.

    Con sua madre aveva preparato la festa nei minimi dettagli due settimane prima. Si erano seduti sul divano con i loro Amici Gentili alle spalle e in coro avevano detto: – Festa dei sette anni!

    Era partita subito una musica molto forte, una fanfara quasi assordante, e dalla parete di fronte era saltato fuori un personaggio. Era basso, col viso tondo e gli occhi a mandorla. Vestiva con una ridicola tutina aderente color fucsia che aveva un grande colletto bianco tutto di pizzo. Sandra ed Evan lo avevano osservato attraverso gli occhiali, poi si erano guardati tra loro e non erano riusciti a trattenersi dal ridere. All’improvviso la musica si era fermata e il personaggio aveva fatto una tripla capriola in aria per ricadere in ginocchio a pochi centimetri da Sandra ed Evan. Loro avevano per un attimo trattenuto il fiato. Lui li aveva guardati sorridendo e aveva fatto un’altra capriola in aria ricadendo di nuovo sul posto. La fanfara era subito ricominciata mentre gli Amici Gentili avevano fatto partire un applauso. Allora anche Sandra ed Eric avevano applaudito. Il personaggio aveva quindi iniziato una serie di smorfie irresistibili e un balletto forsennato e tutti erano scoppiati in una grandissima risata.

    – Eric! – lo aveva chiamato Sandra – Vieni anche tu! Stiamo organizzando la festa di Evan. È bellissimo!

    Eric era arrivato in salotto e si era seduto con loro infilandosi gli occhiali. Subito il personaggio aveva fatto evolvere il proprio aspetto per piacere anche a lui. Era rimasto con le sembianze asiatiche di prima ma era diventato un po’ più grassottello. Anche Eric aveva riso nel vederlo.

    – Per prima cosa, signora e signori, sceglieremo la torta! – aveva urlato il personaggio.

    La fanfara era ripartita e i tre spettatori avevano applaudito.

    – Perché la torta è la regina della festa, è la parte più importante, deve essere bellissima e buonissima, essere sana e nutriente e piacere a tutti gli invitati!

    I tre sul divano avevano annuito, completamente rapiti.

    – Ma colui che potrà veramente scegliere, sarà il festeggiato: il piccolo, grande Evan!

    Sandra ed Eric si erano voltati verso i propri Amici Gentili con aria interrogativa, ma loro con tono premuroso avevano spiegato di stare tranquilli: avevano già calcolato il budget in modo che rientrasse perfettamente nelle loro possibilità e, soprattutto, avevano incrociato le preferenze di tutti i bambini invitati e dei loro genitori. Qualunque scelta sarebbe stata gradita a tutti, ed erano già stati esclusi gli alimenti che avrebbero potuto causare disturbo a qualcuno. Non restava che lasciare Evan libero di decidere come sarebbe stata la sua festa.

    – Scegli pure, Evan – aveva dunque detto Sandra – tutto quello che vuoi per la tua festa.

    Evan era stato sul punto di commuoversi, ma il personaggio aveva subito esclamato: – Scelta A: torta di panna e cioccolato – poi aveva roteato gli occhi e proseguito – scelta B: torta di panna e nocciola, oppure… – e a questo punto aveva ammiccato a Evan – scelta C: torta di fragola e cioccolato?

    – Fragola e cioccolato! C! C! C! – aveva urlato Evan.

    – A forma di drago, di spada o di stella? – aveva incalzato il personaggio.

    – Di stella, di stella!

    – Con le candeline gialle, rosse o azzurre?

    – Azzurre!

    E così Evan aveva scelto anche i pasticcini, le caramelle e le bibite colorate per la sua festa. Poi era arrivato il turno dei piatti. Per la loro scelta il personaggio aveva organizzato un gioco. Evan doveva saltare e afferrare al volo quelli che preferiva. Una serie di piatti era partita dalla parete di fronte. I piatti avevano volato e girato su loro stessi come dei dischi volanti. Ogni tanto avevano ondeggiato in su e in giù per mostrare le decorazioni e i colori. Evan era corso in mezzo al salotto, li aveva guardati tutti e poi aveva fatto un salto con le braccia tese per afferrare il tipo di piatto che gli era piaciuto di più. Era quello più in basso, quello più raggiungibile, ed Evan era riuscito subito a prenderlo. Non appena lo aveva afferrato, la stampante 3D del salotto si era messa in funzione. Sandra ed Eric l’avevano controllata togliendosi gli occhiali e avevano visto che dal macchinario stavano uscendo a uno a uno proprio i piatti che aveva scelto Evan. Quindi si erano seduti di nuovo sul divano per non perdersi il resto dello spettacolo. Dopo i tovaglioli e i bicchieri era arrivato il momento di scegliere i giochi da proporre ai bambini invitati e il premio finale da consegnare come ricordo a tutti i partecipanti. Evan aveva scelto dei bellissimi palloncini azzurri.

    III

    Sarah si svegliò e vide il soffitto di stelle.

    Era l’applicazione che teneva sempre attiva in camera sua, ma qualcosa le disse che non era a casa. Le stelline di tutti i colori brillavano come sempre, ma c’era qualcosa di diverso. Forse era la mancanza di profumo nell’aria. Non c’era l’aroma di vaniglia che aleggiava sempre in casa sua. E poi i suoni. Si sentivano dei rumori leggeri che di per sé non suggerivano nulla, ma che facevano intuire le dimensioni della stanza. Quella doveva essere grande almeno il doppio della sua. D’istinto non si agitò e finse di essere ancora semi-addormentata. Guardò con cautela intorno a sé, senza sollevare di molto la testa. Vide agli angoli della grande stanza altri tre lettini, uguali al suo, su cui c’erano altre tre bambine. Trasalì, ma subito cercò di restare calma. Le bambine erano vestite con una camicetta da notte bianca e avevano più o meno la sua età, comunque non più di sette anni, pensò. Si guardò le braccia e vide che anche lei indossava la stessa camicetta bianca. Si spaventò: forse era in ospedale! In ospedale ci andava chi aveva una malattia grave, tutto il resto si curava a casa, con i consigli dell’Amico Gentile e le medicine assegnate dal Centro Digitale Centrale. Stava forse per morire? Eppure si sentiva bene, anzi benissimo, se non si considerava lo spavento che aveva appena preso. Sempre da sdraiata cercò di capire se tutti i suoi arti funzionassero a dovere. Mosse piano le dita dei piedi e, sì, le gambe erano a posto. Poi le dita delle mani; anche queste rispondevano bene. Respirò a fondo, non sentiva male da nessuna parte. Tutto sembrava funzionare. Anche le altre bambine non apparivano ammalate gravemente, erano solo un bel po’ pallide. Si chiese se anche lei avesse quel viso così bianco. Forse avevano tutte e quattro la stessa malattia: nessun sintomo particolare ma pelle molto bianca. Ma, no, lei non era malata e forse neanche le altre bambine, ma allora dove si trovavano? Guardò meglio la bambina nel letto di fronte al suo: dormiva serenamente. I capelli molto scuri e lunghi ricadevano sul cuscino. Il colore della sua pelle non era tanto diverso dal bianco delle lenzuola. Provò tenerezza per lei. Poi guardò il letto all’altro angolo, quello opposto al proprio. La bambina era castana chiara e portava gli occhiali. Era sdraiata ma agitava con energia le braccia. Ogni tanto sembrava afferrare qualcosa, altre volte le sue mani spingevano l’aria, come se volesse scacciare qualcosa. Sarah era quasi sicura che stesse facendo il gioco della frutta, quello rilasciato da poco dal Centro Digitale Centrale per i bambini di sette anni. Bisognava volare in mezzo agli alberi e afferrare la frutta matura, senza farsi fermare dagli insetti giganti che comparivano fra le foglie, ma che si potevano facilmente allontanare con le mani. Sì, era indubbiamente quel gioco. Poi guardò alla sua destra e trattenne un urlo. La terza bambina la stava fissando con occhi stralunati. Con la mano sembrava accarezzare un gattino accucciato sul suo letto, ma la cosa strana era che nessun gatto era proiettato da nessuna parte e la bambina non portava gli occhiali della realtà aumentata. Allora, dove lo vedeva un gattino?

    Sarah si fece coraggio e le chiese a voce bassa: – Hai un gattino?

    La bambina allargò la bocca in un enorme sorriso, sempre con l’espressione stralunata negli occhi e le disse: – Sì! Lo vedi?

    – A dire il vero no – ammise Sarah in un sussurro. – Ma mi sembra che tu stia accarezzando un gattino. Come è possibile però che ci sia, se tu non porti gli occhiali?

    – Perché, se portassi gli occhiali ci sarebbe? – chiese la bambina spalancando gli occhi azzurri e scuotendo la testa piena di riccioli biondi.

    A Sarah sembrò un discorso più che logico e annuì.

    – Giusto.

    La bambina con i riccioli sorrise. I suoi occhi sembravano un po’ meno vitrei e con più espressione.

    – Come ti chiami? – le chiese.

    – Sarah, e tu?

    – Jane – sorrise.

    Sarah si sentì un po’ meglio, almeno aveva qualcuno con cui parlare.

    – Ma dove siamo?

    La bambina accennò a una risposta, ma in quel momento, fra le stelline sul soffitto, apparve una fata con i capelli azzurri.

    – Fata Azzurra! – esclamò Jane, tanto forte da svegliare anche

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