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L'Ultimo Dio
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L'Ultimo Dio

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Sinossi

Anno 3818, sono passati settecento sei anni dalla fuga nell’oscurità, dalla guerra ed in un mondo rinato dalle devastazioni nucleari uno sparuto gruppo di uomini, orribilmente deformati dalle radiazioni, cerca di ridare vita ad un’antica profezia tra i ghiacci sconfinati del polo nord, mentre lontano, nella foresta vergine sorta sulle ceneri delle grandi metropoli del passato il male risorge velocemente.
Ancora una volta il nero pellegrino sarà costretto a cacciare l’uomo, per ridare un futuro alla razza umana ed al pianeta che, suo malgrado, la ospita.


 
LanguageItaliano
PublisherAla Fabrizio
Release dateJan 21, 2018
ISBN9788827555880
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    L'Ultimo Dio - Ala Fabrizio

    18

    Prefazione

    Il valore non si misura con la forza, ma l'uomo spesso perde consapevolezza e dimentica il valore delle cose.

    L'ultimo dio è l'opera che conclude la trilogia di Fabrizo Ala, un'avventura che ha condotto il lettore in un mondo che potrebbe essere un futuro prossimo che ha già iniziato a mettere le sue radici nel nostro presente. Un presente dove la lotta per il predominio sociale o economico pare l'unica ragione di vita dimenticando la nostra natura, la natura che ci lega all'universo che a differenza dell'uomo ha una sola legge; preservare la vita ad ogni costo. La ricerca forsennata della supremazia, la debolezza dell'essere umano incapace di vegliare su se stesso, spinto da un istinto distruttivo che lo porta ad avere bisogno di falsi idoli e dei, altro non è che una lettura attuale dell'antico testamento. Travisato nei secoli da chi, provando a controllare la storia, ha cercato di estinguere il fuoco della verità. Gli uomini divisi dai falsi idoli si combatteranno per scoprire una verità agghiacciante che li porterà per la prima volta a fermarsi, finalmente, e a guardarsi per la prima volta dopo millenni negli occhi. Ma la verità sarà tale che se analizzata chiederà risposte, risposte a domande che è meglio non porsi.

    Terrasia, Terra di conquista e L'ultimo dio formano un opera caleidoscopica che intrappola senza scampo, che affonda, che risucchia senza possibilità di rivalsa alcuna, perché la verità è una, una sola, e l'unico vero giudice imparziale è il tempo.

    Maurizio Bazzano

    Prologo

    Un lampo di luce bianca ed il cielo sembra fondersi per un attimo soltanto con la terra, confondendo l’orizzonte…

    La violenza dell’esplosione sconvolge l’universo mentre miliardi di vite si spengono all’unisono in un unico, silenzioso grido disperato…poi il silenzio, prima di una nuova deflagrazione… e poi un’altra e un’altra ancora...

    Interi continenti scompaiono, mentre altri nascono con fragore... Il pianeta, come impazzito, sconvolge se stesso distruggendo le immense megalopoli costruite dagli uomini, piccoli, insulsi ed ingrati esseri che hanno ferito e sfruttato ogni centimetro di ciò che un tempo era meraviglioso…

    Colonne di fuoco salgono al cielo, incendiandolo, divorando ciò che ancora rimane, lasciando solo cenere e morte… poi il fumo sale nella mesosfera, su, sù fino agli strati più alti oscurando il sole e portando con sé le polveri radioattive, mentre un vento caldo e velenoso spazza lande infinite e desolate dove un tempo l’uomo venerava se stesso all’ombra di enormi grattacieli, illudendosi di poter far proprio l’intero creato.

    Nuvole nere cariche di morte nascondono il sole abbassando la temperatura dell’aria, annientando l’ecosistema. Poi le piogge radioattive feriscono, bruciandola, la flora, decimando ogni erbivoro e cancellando gran parte dell’ossigeno presente nell’atmosfera; le estinzioni di massa si susseguono a ritmo serrato mentre ciò che resta della razza umana si rifugia nel sottosuolo, abbandonando la superficie ormai invivibile.

    Ottocento anni sono passati da allora, la Terra sembra rinascere dalle ceneri del passato, celando ancora dentro di sé la tecnologia dell’uomo che fu’… i discendenti, tornati alla luce, bramano quella scienza, altri la temono…

    ...uno solo sa la verità...

    Capitolo 1

    Sentiva molto caldo. La pelle squamata e coriacea sembrava divampare, ustionandogli la carne. Intorno a lui il fuoco ardeva furiosamente, mentre innumerevoli animali d’ogni specie, conosciuta e non, sciamavano in preda al panico ed al dolore, avvolti com’erano dalle fiamme, che divorando i loro corpi ancora vivi, brillavano con ferocia nel buio della notte. Urla e lamenti strazianti salivano con fragore verso il cielo grigio ed immobile, mentre l’odore dolciastro della carne arsa lo nauseava, costringendolo ad indietreggiare da quell’orribile scena...

    In alto, sopra il caos, la luna pallida e beffarda sembrava osservare quasi divertita ciò che avveniva sotto la sua debole luminescenza. Nascosta dal bagliore delle fiamme che divoravano la foresta, pareva spiare di soppiatto.

    Intanto Baldor si muoveva a disagio sotto di lui; la terra cominciava a divenire calda e difficilmente calpestabile a ridosso dell’incendio, così di tanto in tanto l‘amico sollevava una zampa, cercando refrigerio.

    Il Viandante osservava la scena in silenzio; calde lacrime bagnavano le guance rudi ed aliene, mentre i piccoli occhi neri assistevano impotenti alla nuova follia dell’uomo.

    Sapeva, perché lo aveva sognato tempo addietro, che quella nuova devastazione era opera del lupo grigio, del mostro dal muso ghignante che gli appariva ormai ogni notte. Se solo fosse partito prima, si disse, forse avrebbe potuto scongiurare tutto quel dolore, quella follia..., ma non sarebbe bastato comunque.

    Sapeva che il suo nemico aveva un esercito, lo aveva già incontrato nella Cittadella ormai distrutta ed affrontandolo una prima volta con superficialità, ne era quasi morto. Non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Ma doveva trovarlo ed annientarlo. Gli ci erano voluti due mesi per raggiungere le pendici dell’altopiano mongolo e due giorni ad andatura sostenuta per arrivare in cima alla massicciata. Poi il dolce ma costante declivio, lo aveva condotto fino al limitare della grande foresta nera. Il ghiaccio del polo distava centinaia di chilometri alle sue spalle così come l’antica Tokyo. Sotto le zampe del fido Baldor il fango del disgelo si perdeva nel buio rischiarato dalle fiamme che cominciavano a seccarlo; solo l’umidità dell’inverno appena finito, impediva al fuoco di divorare completamente la foresta, ma l’odore di petrolio che impregnava l’aria riarsa confermava la dolosità di quello scempio. Fino a quando la terra fosse stata imbevuta del combustibile, le fiamme avrebbero continuato a bruciare. Così come stavano le cose, non poteva arrischiarsi a procedere in quell’inferno. Costretto ad indietreggiare al cospetto di tale furia devastatrice, fece arretrare Baldor ancora qualche passo poi, lanciando un’ultima dolorosa occhiata al fuoco che illuminava la notte, fece girare la sua cavalcatura e tornò sui suoi passi. Avrebbe cercato un valico per poter aggirare la foresta in fiamme. Sapeva che il lupo grigio si nascondeva tra gli alberi secolari che egli stesso aveva dato ordine di bruciare.

    Lo avrebbe trovato.

    La cena consisteva in uno stufato di cervo insaporito da una dolce salsa di prugne e miele. Poche, colorate verdure dal sapore indecifrabile, facevano da contorno al piatto che attendeva su di una tavola apparecchiata alla buona, all’interno della grande casa del generale. Rading stava ritto sulla camminata del muro di cinta, proprio sopra ai grandi portali. Osservava apparentemente senza emozione alcuna, i bagliori che, lontani ad est, cominciavano ad illuminare la notte ancora fredda. L’inverno era agli sgoccioli e la neve che ricopriva la strada davanti al villaggio aveva lasciato il posto ad una distesa confusa di fango e acqua sporca. Il vento soffiava ancora forte verso sud e con ogni probabilità sarebbe rimasto sostenuto per diversi giorni; meglio così, si disse, il fuoco si sarebbe fatto strada tra gli alberi, distruggendo ogni possibile rifugio. I tre fuggiaschi non avevano scampo. Una sinistra risata fece vibrare la gola del generale mentre si voltava per raggiungere la cena, nella mano destra il pugnale nero pulsava di energia, attingendola dal male che scorreva nelle vene di Rading..

    Percorse circa dieci chilometri prima di trovare un varco in quel mare di fiamme, poi, come materializzata dal nulla, apparve una larga ferita che tagliava la foresta; non poteva essere altri che l’ antica arteria stradale di una grande città del passato, distrutta e sepolta per sempre dalla vegetazione. La notte ancora giovane, unita ai bagliori intensi delle fiamme, impediva ai suoi occhi acuti di mettere a fuoco gli oggetti posti a grandi distanze nel buio davanti a lui, ma sapeva che ciò che restava dei grandi grattacieli di un tempo, si stagliava ancora verso il cielo, spuntando qua e là come un cancro tra gli alberi. Imboccò la lunga via perfettamente diritta, cosparsa di detriti e cespugli bassi ormai carbonizzati e spronò Baldor a procedere. Il grande animale si lanciò subito nella corsa, aggredendo l’asfalto che riposava sotto la fanghiglia tipica del disgelo invernale. Le zampe artigliate mandavano scintille ogni qual volta si posavano sul manto stradale così ché le due figure sembravano un’unica sola ombra gigantesca ed informe che, volando letteralmente sul terreno, lasciava una scia di fulmini dietro di sé. Man mano che procedevano verso sud ovest l’incendio che divorava la foresta, si indeboliva e la notte tornava ad essere tale, rischiarata solo dalla luna. Poi, dopo circa due chilometri, le fiamme scomparvero del tutto, rimanendo però alle loro spalle, minacciose e violente. L’odore di petrolio permeava la vegetazione, segno evidente del dolo. Poi, a circa trecento metri nel buio davanti a lui, sentiva più che vederli, due cavalli che galoppavano appaiati a velocità sostenuta. Il rumore ed il tonfo degli zoccoli sull’asfalto rivelava la natura domestica degli animali che mantenevano la stessa andatura, procedendo ben diritti ai lati della strada. Quasi sicuramente, pensò, chi aveva dato inizio a quell’inferno si trovava di fronte a lui. Il primo impulso fu quello di raggiungerli e massacrarli, ma così avrebbe finito per uccidere le sue uniche ed involontarie guide non trovando la fortezza del lupo. Doveva attendere, così, con uno sforzo notevole, riuscì a reprimere l’istinto della caccia. Li avrebbe seguiti valutando solo dopo il da farsi, dopotutto, nonostante la sua forza, era solo e male armato. Non ci volle molto a Baldor per raggiungere i due cavalli che ancora procedevano in silenzio nel buio della notte. Aveva ragione, in sella ai due stalloni, due soldati, poco più che ragazzi, sedevano chini in avanti mentre dalle loro selle pendevano alcune piccole taniche maleodoranti contenenti petrolio. Il liquido oleoso fuoriusciva da minuscoli forellini praticati alla base dei recipienti, mentre le taniche sobbalzavano con violenza sui quarti posteriori dei cavalli in corsa. La scia di combustibile avrebbe alimentato le fiamme che di lì a poco sarebbero arrivate a divorare ogni cosa.

    I due non si erano accorti di essere seguiti e mantenevano la direzione senza scartare mai. In una diversa circostanza l’odore forte di Baldor avrebbe messo in allarme i due animali facendoli così fuggire in preda al panico, ma in quel preciso frangente, i miasmi del petrolio nascondevano ogni altro effluvio, mantenendolo di fatto invisibile. Il Viandante poté così seguire da molto vicino le sue prede, procedendo sicuro nella notte. Presto avrebbero raggiunto la loro meta e sentiva vicino il ghigno del lupo.

    Avanzarono nel buio per diverse ore e finalmente, quando l’alba cominciava a colorare l’orizzonte sopra la volta della foresta, in lontananza cominciò ad apparire un’alta sagoma nera stranamente regolare nel mare verde. I due soldati, non avvertendo ancora la presenza del loro inseguitore, proseguivano tranquilli verso la meta. La macchia scura in lontananza divenne più chiara man mano che il trio vi si avvicinava; grandi massi regolari costituivano un’enorme muro di cinta, alto e poderoso. Al centro due solidi portali di legno borchiato rimanevano serrati con fermezza. Da dietro tale protezione alcuni comignoli rudimentali spandevano nell’aria fredda del mattino i loro fumi grigi e bianchi. Doveva essere un villaggio molto grande, sicuramente ben fortificato. Dunque il lupo grigio si nascondeva dietro quel muro! Se poco prima aveva pensato di non attaccare i due cavalieri davanti a lui per non metterli in allarme, ora aveva la sicurezza che non sarebbe riuscito a vincere quella battaglia da solo. Quelle mura non erano certo le stesse della Cittadella, con ogni probabilità il nemico celato aldilà di quel portone aveva imparato bene la lezione e per giunta ora possedeva le sue armi nere. Avrebbe venduto cara la pelle, il Viandante lo sapeva bene. Fece voltare Baldor, lanciando un’ultima, intensa occhiata al villaggio che andava risvegliandosi dal sonno; sentiva la presenza del lupo tra quelle case e come a fugare ogni suo dubbio un lungo lamentoso ululato salì al cielo raggiungendo la luna ormai quasi invisibile. Lontano ad est le fiamme continuavano a divorare gli alberi, avanzando inesorabili.

    Sentiva il calore nella mano! Intenso e doloroso, sembrava bruciargli la carne fino alle ossa! Rading si mosse con violenza nel sonno, finendo al suolo con gran fracasso. Aprì di scatto la mano destra, lasciando andare il pugnale nero che stringeva da giorni e questi cadde senza rumore, conficcandosi nel pavimento di legno ai piedi del grande letto. Il metallo alieno emanava una strana ed inquietante luminescenza che andava aumentando velocemente. Come se avesse preso a vivere di vita propria, le strane incisioni cominciarono a muoversi in maniera ordinata; accoppiandosi le une alle altre, sembrava formassero una figura, divenendo un’unica linea senza soluzione di continuità. La sagoma che si delineò aveva tutte le sembianze di uno strano uomo allungato. Il generale non riusciva a credere ai suoi occhi e dapprima pensò di stare ancora dormendo, di trovarsi in uno strano sogno, ma poi, allungata la mano ancora dolorante e raccolto il pugnale, si rese chiaramente conto che le due estremità dell’arma contenevano ora quell’incisione, come una piccola bara in miniatura, luminosa ed allo stesso tempo oscura! La luminescenza non andava attenuandosi e così la strana vibrazione che ancora si ripercuoteva nei suoi muscoli. Vincendo il dolore, Rading si gettò la pelliccia d’orso sulle spalle ed uscì nel mattino che sorgeva rischiarando la foresta in fiamme. La guardia alla sua porta ebbe un sobbalzo nel vederlo così di buon ora e per giunta nudo, ma poi, riavutosi dalla sorpresa, fece il saluto marziale, cedendogli il passo. Il Generale non rispose, investendo quasi il malcapitato. Scese le scale a capofitto raggiungendo i bastioni delle mura e salita la piccola scala che portava al camminamento, si sporse sugli spalti, aguzzando la vista. Sapeva il perché di quella strana luce, l’aveva già vista anche nel resto delle armi sottratte al viandante; in ogni lama la figura del padrone rimaneva incisa quando questi vi era abbastanza vicino ed il movimento frenetico delle incisioni generava il tremendo calore che ancora gli feriva la mano destra. Era arrivato, forse stazionava già sotto le porte del villaggio! La paura e la smania di vederlo ancora afferrarono il suo cuore, spingendolo a scrutare ansiosamente la lunga strada fangosa che si perdeva nell’est in fiamme. Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a vedere niente. Non poteva essersi sbagliato, il pugnale portava incisa la prova della sua presenza, doveva essere da qualche parte. Forse si nascondeva tra gli alberi, fidando ancora nelle ombre della notte morente..., prese ad osservare la vegetazione ai lati della strada, cercando di penetrare i rami intricati, ma niente, poi il richiamo di una sentinella lo riscosse dai suoi pensieri; lontano ad est apparvero due minuscoli puntini neri che si ingrandirono velocemente; divenne chiaro che alcuni esploratori mandati da lui ad incendiare la foresta stavano rientrando. Infatti i soldati a cavallo divennero presto ben visibili. Procedevano con tranquillità al piccolo trotto, mentre alle loro spalle, a poche centinaia di metri, una figura disumana e terribile avanzava, inseguendoli in silenzio. L’elsa del piccolo pugnale nero divenne ancor più calda ed a stento Rading riuscì a mantenerne la presa. Il palmo della mano gli doleva, ma tanta era la forza con la quale stringeva l’arma che le nocche sbiancarono esangui mentre osservava la scena dal parapetto. I suoi uomini non s’ erano ancora accorti d’esser seguiti, solo così si spiegava la loro assoluta mancanza di paura. Forse l’odore del petrolio che ancora sciacquava nelle piccole taniche assicurate alle selle, nascondeva l’essenza del Viandante e della sua bestia, di fatto i due ragazzi avevano condotto il nemico sotto le mura! Prese in considerazione l’idea di ordinare un attacco massiccio, ma la scartò subito; il suo esercito ancora riposava tra le braccia di Morfeo e, fatta eccezione per le poche guardie che piantonavano le mura, non avrebbe avuto forza sufficiente, ricordava ancora la strage avvenuta alla Cittadella. Più volte aveva visionato i filmati dei laboratori, sapeva cos’era in grado di fare quell’essere se messo alle strette. Chiuse la pelliccia coprendo il corpo che cominciava a raffreddarsi nel freddo del mattino ancora giovane e rimase ad osservare in silenzio. Il Viandante improvvisamente si fermò a circa sei - settecento metri dalle mura, lasciando andare la sua preda ignara; sembrava attenderlo. Rading vide il cappuccio che celava il volto alieno, voltarsi nella sua direzione, quasi a volerlo sfidare! Ebbe un moto d’ira misto a paura e prese a percuotere con forza la pietra scura sotto le mani possenti. Forse che poteva vederlo da quella distanza?! Stava valutando la sua forza? Si erse in tutta la sua statura, scavalcando il parapetto. Sotto di lui le grandi porte del villaggio si aprirono lentamente per lasciare entrare gli esploratori. La figura nera rimaneva immobile mentre il sole appariva alle sue spalle, rendendolo ben visibile. Poi, mentre le guardie cominciavano a rendersi conto dell’intruso, questi si volse per tornare da dove era venuto. Rading rimase in piedi sulle mura fino a quando il Viandante non scomparve all’orizzonte che andava incendiandosi, illuminato dal sole nascente…

    Ormai sapeva, conosceva il suo nascondiglio e sarebbe tornato per lui…, la sfida era lanciata e la resa dei conti sarebbe arrivata molto presto.

    Capitolo 2

    La sala dei sogni era magnifica. Milioni di venature azzurro intenso riflettevano la debole

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