Il calderone dei desideri
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Il calderone dei desideri - Linda Fantoni
Coelho)
Capitolo 1
Angelo si voltò all'improvviso, avvertendo un soffio di aria gelida nella schiena seguito dal rumore secco del portone, richiuso impetuosamente dal vento.
La nuova venuta si voltò imbarazzata.
«Scusami, non sono riuscita a trattenerlo», disse, giustificandosi timidamente mentre si toglieva l'impermeabile e tentava di riordinare la lunga chioma ramata, irrimediabilmente scompigliata dalla burrasca. Il sorriso bonario di Angelo le annunciò il suo perdono ancor prima che lo facessero le sue parole.
Rinunciando definitivamente all'intento di pettinarsi, la giovane si allontanò dal grande specchio posto all'ingresso e si diresse verso il guardaroba. Mentre si stringeva accuratamente un grembiule pulito alla vita, commentò: «Questo temporale non sembra avere alcuna intenzione di smettere.»
Ancor prima che terminasse la frase un tuono echeggiò, quasi come se le forze della natura avessero voluto confermare la sua affermazione. Angelo sospirò.
«Già, e questo non è affatto di buon auspicio per la serata. Tempo da lupi vuol dire tavoli vuoti.»
Dopo una breve pausa, riprese: «Ma mi pare che il cielo non sia l'unico a essere rabbioso stasera.»
Mentre pronunciava queste ultime parole, ogni traccia di preoccupazione era scomparsa dalla sua voce, lasciando il posto alla dolcezza e al calore. La ragazza si avvicinò, posando la sua mano candida su quella di lui, logorata dagli anni di lavoro in cucina.
«È vero», confessò, «ma non mi va di parlarne, scusa.»
«Non sarà mica ancora per quello scansafatiche del figlio dell'avvocato Scilla, Laura?», incalzò l'uomo.
Gli occhioni verdi di lei si fissarono nei suoi, velandosi di lacrime per un attimo; poi la ragazza riprese il controllo delle proprie emozioni e abbassò lo sguardo.
«E invece sì. Qualche giorno fa ci siamo visti per un caffè. Voleva raccontarmi che ha iniziato a uscire con una nuova fiamma. E da allora è sparito, non si è più fatto sentire.»
«E ovviamente era indispensabile per lui venire a dirlo proprio a te», sottolineò lui sarcastico.
Laura tentò una disperata ma poco credibile difesa sussurrando: «Beh, siamo amici…», ma lo sguardo torvo di Angelo fu sufficiente a farla desistere. Con tono fermo ma dolce la rimproverò: «Il giorno in cui imparerai a volerti bene sarà sempre troppo tardi piccola mia. Non riesco a capire per quale motivo ti ostini a perdere il tuo tempo rincorrendo una persona che non è in grado di apprezzare il tuo valore e, proprio per questo, non merita le tue attenzioni. Ora, però, non ci pensare più, vai ad apparecchiare i tavoli. Non si sa mai, magari qualcuno deciderà di sfidare le intemperie e venire a realizzare un desiderio.»
L'uomo osservò la ragazza inspirare e poi espirare profondamente prima di sgambettare rapida verso la dispensa, tornando carica di piatti e posate; rimase a guardarla per qualche minuto, poi si voltò di spalle perché lei non potesse vedere il suo viso e tornò a tormentarsi per le sorti del suo locale.
Il Calderone dei Desideri era una piccola locanda situata nei pressi del Chiesa della SS. Trinità di Roccaforzata, piccolo comune situato nelle Murge tarantine. Apparteneva alla famiglia di Angelo Lamanna da generazioni e da quasi venticinque anni lui ne aveva ereditato la gestione dal padre, dopo che un male terribile se lo era prematuramente portato via.
Derivava il suo nome da un enorme pentolone di rame posto vicino all'entrata e vigilato da un folletto di gesso appollaiato su un ceppo di legno. La leggenda narrava che il piccolo ometto barbuto con il cappello a punta e il grosso paiolo fossero stati donati da un marinaio irlandese a uno degli antenati di Angelo, dopo che egli lo aveva sottratto all'aggressione di un capannello di malviventi nei vicoli della città vecchia di Taranto. Lo straniero, profondamente grato al suo benefattore per avergli salvato la vita, si sdebitò regalandogli quella buffa statua dal valore inestimabile, proveniente dai selvaggi monti Wicklow, e raccontandogliene la singolare storia.
In un tempo remoto una strega buona, esasperata dalle continue e sempre più gravi mascalzonate del folletto, aveva deciso di impartirgli una lezione allo scopo di fargli scontare le proprie malefatte: per ristabilire una sorta di equilibrio cosmico, avrebbe dovuto rendere agli altri tanto bene quanto male aveva fatto loro in passato. A tal fine lo aveva costretto a girare per i villaggi vicini portando con sé un calderone, nel quale avrebbe dovuto raccogliere tutti i desideri degli abitanti; una volta colmo, avrebbe dovuto riportarglielo con il suo carico di sogni e speranze affinché lei, attraverso un rito magico da svolgere nelle notti di luna piena, potesse esaudirli. Un giorno, mentre raccoglieva delle erbe nel bosco per le sue pozioni, aveva visto il folletto gettare per strada a manciate il contenuto del suo bagaglio, incapace di reggere il peso delle molte aspirazioni di quella gente povera e disperata. Infuriatasi a dismisura, in preda a un'ira inenarrabile, lo aveva trasformato in una statua di gesso; con un incantesimo, lo aveva condannato a custodire in eterno il calderone e collezionare i desideri esaudendoli egli stesso, non solo nelle notti di luna piena, ma ogni notte fino alla fine dei tempi. Pertanto, concluse il marinaio al termine della sua lunga narrazione, la statua conservava ancora il magico potere di esaudire i desideri, purché fossero affidati al calderone con sincera fiducia.
L'antenato di Angelo, bisognoso e con una famiglia numerosa da mantenere, aveva accettato di buon grado il dono, sperando di poter almeno realizzare qualche soldo vendendolo a un rigattiere. Sua moglie, però, che aveva sentito la storia del calderone dalla viva voce del marinaio, ne era rimasta ammaliata; al calar delle tenebre, approfittando di un momento di solitudine, aveva inciso un cuore su un pezzetto di carbone e lo aveva gettato nel calderone, affidando ad esso il suo desiderio di pace e prosperità per la propria famiglia. Poi era andata a coricarsi con il marito, come di consueto. Al risveglio, il mattino successivo, la coppia era ammutolita per la sorpresa: la loro umile casetta era stata trasformata in una locanda; la dispensa, solitamente povera di cibarie, era stata riempita di ogni tipo di leccornia; la cucina era colma di tegami e pentole di ogni forma e tipo, alcune delle quali già bollivano sul fuoco emanando profumi deliziosi. Prima che potessero realizzare quanto era accaduto, dei tocchi ravvicinati alla porta annunciarono già l'arrivo i primi avventori, richiamati dalla novità e dagli effluvi provenienti dalla cucina.
Da allora, e fino a pochi anni prima, Il Calderone dei Desideri aveva sempre garantito alla famiglia di Angelo, seppur tra alti e bassi, una vita serena e decorosa; la fama di quella speciale locanda si era diffusa al di fuori di Roccaforzata e la gente affluiva anche dai paesi vicini per godersi le prelibatezze proposte dalla cucina e affidare le proprie speranze al folletto.
Negli ultimi tempi, però, la forza della crisi economica aveva superato quella della magia della strega e molti habitué si erano visti costretti a ridurre drasticamente la propria frequentazione della locanda. Con i soli introiti derivanti dai clienti occasionali, Angelo non aveva più potuto permettersi di mantenere l'intero staff del locale, vedendosi costretto a licenziare l'aiuto cuoco e due cameriere. E così, da tre anni a quella parte, al Calderone dei Desideri erano rimasti soltanto lui e Laura, uno ai fornelli e l'altra in sala. Questo taglio ai costi di gestione non gli consentiva certo grandi guadagni; tolte le spese, gli restava soltanto lo stretto indispensabile per un'esistenza dignitosa.
Laura era la figlia di uno dei più cari amici di infanzia di Angelo, unita a lui nella stessa tragica sorte di aver perso il padre in modo prematuro: Antonio Rizzo era stato stroncato da un infarto del tutto inaspettato quando la figlia era appena adolescente. Angelo, che l'aveva vista crescere, l'aveva presa sotto la sua ala protettrice; si era sostituito alla figura paterna sostenendola, anche economicamente, fino al completamento degli studi superiori. Successivamente, una volta diplomata, l'aveva assunta alle proprie dipendenze come cameriera per consentirle di contribuire al bilancio della sua famiglia, gravemente compromesso dalla