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Obscura: 15 racconti dall'Africa nera
Obscura: 15 racconti dall'Africa nera
Obscura: 15 racconti dall'Africa nera
Ebook183 pages2 hours

Obscura: 15 racconti dall'Africa nera

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About this ebook

Il ritratto dell’Africa più profonda. Una terra compenetrata di magia in cui miti e antiche credenze non hanno perduto vitalità.
Una fotografia del folklore nero nella sua quotidianità, delineata in 15 racconti nei quali fanno capolino personaggi inquietanti e bizzarri.
Storie improbabili ma suggestive, a tratti divertenti, raccolte da un’autrice che nell’Africa nera vive vari mesi l’anno. Se alcune di queste non mancheranno di suscitare ilarità, altre costituiranno uno spunto per riflettere.
LanguageItaliano
Release dateOct 19, 2017
ISBN9788826499000
Obscura: 15 racconti dall'Africa nera

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    Obscura - Lory Cocconcelli

    Note

    OBSCURA

    15 racconti

    dall’Africa nera

    Lory Cocconcelli

    © copyright Tutti i diritti sono riservati.

    È vietata qualsiasi utilizzazione, totale o parziale, dei contenuti, ivi inclusa la memorizzazione, riproduzione, rielaborazione, diffusione o distribuzione dei contenuti stessi mediante qualunque piattaforma tecnologica, supporto o rete telematica, senza previa autorizzazione scritta di Lory Cocconcelli. Lo stesso dicasi per l’opera di copertina, gentilmente concessa da © Ilya Zomb.

    Introduzione

    «La storia ha le sue verità, e così la leggenda. La verità della leggenda ha una natura diversa da quella storica. La verità della leggenda è l’invenzione che diviene realtà.» Victor Hugo

    Miti e leggende hanno fatto la loro comparsa agli albori del mondo entrando nel patrimonio culturale dei popoli di ogni latitudine. Oggi hanno perduto valore e sono quasi scomparsi, ma in alcuni luoghi del pianeta conservano la loro vitalità. Come in Africa, l’Africa animista, un mondo compenetrato di magia in cui risuonano gli echi di antiche credenze.

    L’animismo si esplica nella mediazione tra l’entità umana e quella invisibile. Accanto alla dimensione reale scorre quella intangibile, popolata di spiriti e antenati che ritornano, permeata di energia duale e magia - che, se virata all’esercizio del male, si definisce stregoneria. Quest’ultima, nel continente nero, un fenomeno diffuso e radicato, peraltro oggetto della riflessione antropologica.

    «Nell’Africa moderna la stregoneria non è una forma residuale di resistenza alla modernizzazione, rintanata nei villaggi in fondo alle foreste, ma è un fenomeno radicato persino nella dimensione della politica. […] Lungi dal rappresentare un relitto primitivo, la stregoneria si diffonde e streghe e stregoni non si estinguono.» (Peter Geschiere). [¹]

    La varietà storica, socio-antropologica e culturale del continente è dunque percorsa da un filo, sottile ma resistente, che accomuna i suoi popoli: la credenza nella magia.

    Questo libro ha tratto ispirazione dalle storie suggestive (e improbabili) che ho raccolto nell’Africa nera, dove vivo vari mesi l’anno da molto tempo. Storie che si tramandano oralmente di generazione in generazione, nei villaggi sperduti quanto nelle città, che forse si sono plasmate nel corso del tempo finendo per divergere dalla versione originale, ma che hanno mantenuto intatta la morale che si erano prefissate di trasmettere.

    L’universo di Obscura è regolato da sue proprie leggi e meccanismi. Sortilegi, incantesimi, eventi infausti o miracolosi si susseguono in uno spazio dai confini dimensionali relativi. In ogni storia si dispiega il dualismo bene-male, l’ordine prestabilito delle cose viene sovvertito o ristabilito, e talvolta sancito dalla legge del contrappasso.

    15 racconti impregnati di magia e stregoneria - pratiche onnipresenti nell’animismo africano - nei quali fanno capolino personaggi inquietanti ed entità ultraterrene. I primi sono gli attori mistici: féticheur (figure che utilizzano il feticcio per imbastire i loro riti magici; pratiche che si definiscono positive come quelle di guarigione, ad esempio, oppure negative quando virano di fatto alla stregoneria), marabout (assimilabili ai féticheur ma di fede islamica, che dunque si avvalgono dell’utilizzo del Corano e non del feticcio) e streghe e stregoni (figure votate all’esercizio selettivo del male, con o senza l’impiego del feticcio). Quanto alle entità ultraterrene, si tratta di djinn (spiriti di natura ambivalente) e di antenati defunti, i quali, pur dimorando nell’aldilà, interagiscono con il mondo terreno.

    L’ambientazione è fedele alle testimonianze raccolte e tocca vari paesi dell’area occidentale del continente, per lo più Burkina Faso, Costa d’Avorio e Benin. I nomi dei personaggi e la loro caratterizzazione sono invece frutto della mia fantasia, sebbene essi esprimano il loro punto di vista e non il mio. Mi si perdoneranno, spero, le (poche) espressioni colorite presenti nei dialoghi: il fatto è che gli africani (non solo loro, ovviamente) adottano spesso intercalari vivaci nel contesto colloquiale, contesto che non mi pareva giusto snaturare a beneficio di un linguaggio letterario più formale.

    Poiché queste storie sono state tramandate oralmente, non si conoscono con precisione i momenti storici in cui si sarebbero svolti i fatti. Ho scelto di dar voce a quelle relativamente recenti in modo da riuscire a elaborare scenari coerenti e verosimili.

    Un piccolo glossario in calce al libro aiuterà il lettore con i vocaboli in lingua straniera.

    La scelta di pubblicare 15 racconti non è stata casuale. Benché ne avessi a disposizione molti di più, ho optato per un numero che avesse una valenza simbolica.

    Il numero 15 per le civiltà matriarcali antiche rappresentava la luna (simbolo della notte) e la donna (personaggio che nel contesto magico-stregonico fa la parte del leone).

    1.

    IL TAXI MAGICO

    Costa d’Avorio. Fine anni ‘90.

    Si stordiva di coupé-décalé che la radio sputava a intermittenza nel taxi. Sudava come un dannato in quella scatola di latta. Il sole ivoriano sapeva essere impietoso, l'umidità insopportabile. L'impianto dell'aria condizionata era un lusso per ricchi e lui doveva pensare a sfamare la sua piccola tribù.

    Mantenere al fresco i suoi ottanta chili di muscoli era l'ultimo dei suoi problemi.

    Trent'anni, bei tratti, pelle nerissima, lunghi dreadlock che gli scendevano sulla schiena e un corpo forte e atletico dalla vita sottile. Un bell'ivoriano di un metro e ottanta, prestante quanto bastava per rendere gelosa una moglie innamorata. E la sua, a dispetto di un viso dolce e forme morbide e burrose, era una tigre sempre in guardia con gli artigli ben affilati. Da Assethou aveva avuto quattro figlie, acquisito una suocera e una cognata cui provvedere, e una marea di capricci al femminile da soddisfare.

    Il suo nome era Blaise. Blaise Ouedrago, di professione tassista.

    Da oltre un decennio batteva le strade della piccola città ivoriana nella quale era nato. Ne conosceva ogni angolo, ogni crocevia, ogni dosso. Amava la sua terra, i palmeti rigogliosi, le distese verdi, le piantagioni di banani e caffè, i tramonti sul mare che arrossavano l’orizzonte. Per lui la Costa d’Avorio era sinonimo dell' aloko caldo, del vino di palma, della bellezza procace delle donne, del brulichio agli angoli delle strade dove la gente si ammucchiava a chiacchierare o a vendere pietanze. E anche di quel clima terribilmente umido, ideale per le coltivazioni di cacao, ma assai tedioso per chi era costretto a bollire inscatolato in un taxi.

    Era un giorno come un altro, o forse peggiore degli altri, quello che stava volgendo al termine. A parte il cliente del mattino, al quale aveva offerto la corsa a un prezzo più che stracciato pur di non farselo sfuggire, non ne erano seguiti altri. Non che la concorrenza fosse pressante, al contrario, il fatto era che la gente preferiva prendere i bus collettivi perché, anche se non arrivavano ovunque, erano più economici. Su quelle carrette, colme di panchetti e seggiolini, i passeggeri viaggiavano stipati come sardine, ma le corse avevano il vantaggio di costare pochi centesimi.

    A parte ciò, alcuni giorni, come quello, erano più sfortunati di altri e contro la sfortuna nessuno poteva nulla.

    Il sole del tramonto iniziava ad accarezzare le cime degli alberi e Blaise si apprestava ormai a rientrare, pregustando il sapore del vino di palma che gli avrebbe servito la moglie prima di cena. Certamente Assethou gli avrebbe somministrato anche una ramanzina per non aver battuto chiodo tutto il giorno, oltre al solito elenco di cose di cui aveva necessità. Cose che al momento non poteva comprarle perché nelle sue tasche non c’erano che pochi spicci.

    Il mattino seguente avrebbe dovuto saldare il conto presso il negozio di generi alimentari che la sua famelica tribù saccheggiava quotidianamente e tutto ciò che poteva fare era pregare il proprietario di attendere tempi migliori. La sua vita era così, una corsa perenne appresso ai clienti per racimolare un gruzzolo destinato ai debitori. Ciononostante Blaise era un uomo felice che vedeva positivo e godeva del poco che aveva.

    Quando aveva già imboccato la via del ritorno, scorse un vecchio sul ciglio della strada fargli cenno di fermarsi. Era scalzo e malconcio, e doveva essere esausto a giudicare dall’espressione provata dipinta sul suo volto. L'uomo si accostò al taxi e con un filo di voce gli domandò un passaggio. Blaise gli fece cenno con la testa di salire. Sarebbe stato un cliente da poco, ma poco era pur sempre meglio di niente.

    Di solito il prezzo della corsa lo decideva in base a quanto immaginasse capaci le tasche del passeggero. E quelle del vecchio, ci avrebbe scommesso, erano più vuote che piene.

    Lo guardò dallo specchietto retrovisore mentre si assestava sul sedile. Era malmesso, il corpo ricurvo, avvizzito, le guance prosciugate, persino le labbra erano scarne, cosa insolita per un nero. Di contro i suoi piccoli occhi scuri erano vispi e guizzanti come quelli di un uomo ben più giovane dell'età che pareva dimostrare.

    Il tizio, avvolto in un lurido boubou con un vistoso strappo sul fianco, aveva la pelle sudicia, a tratti lucida di sudore, a tratti incipriata di polvere. In breve un effluvio maleodorante si diffuse nell'abitacolo malgrado i finestrini fossero aperti.

    Era evidente che quel poveraccio non dovesse passarsela troppo bene. Che le sue tasche fossero più vuote che piene non era più una scommessa, bensì una certezza.

    «Figlio mio, ho passato quasi tre ore nell’attesa di un’anima buona. Nessuno ha voluto darmi un passaggio. Devo rientrare a casa, mia moglie mi aspetta. Abito al di là della boscaglia, non ho molti soldi ma li faremo bastare… non è così?»

    Blaise inquadrò la zona. Era un po’ fuori mano, ma ormai il vecchio era a bordo e non poteva più tirarsi indietro. Così fece un cenno affermativo con la testa.

    Spense la radio, ingranò la marcia e inforcò la strada nella direzione opposta guadagnando l'uscita dell'abitato.

    La carreggiata, che serpeggiava tra gli alberi di cocco, si restrinse via via immettendosi in una zona selvaggia, dove spazzatura, bottiglie rotte e pneumatici spaccati languivano abbandonati in ogni angolo. In quel punto, la gettata d'asfalto finiva lasciando il passo a un sentiero battuto che attraversava la boscaglia. L'aria era più fresca all'ombra degli alberi, il percorso sarebbe stato anche piacevole se il terreno non fosse stato così accidentato.

    Le ruote sobbalzarono sullo sterrato per una ventina di minuti, poi il suolo si fece più regolare.

    Dopo che ebbero attraversato una piccola radura, dove una mandria di mucche li costrinse a rallentare, Blaise domandò al vecchio quale direzione avesse dovuto prendere a quel punto. Guardandolo dallo specchietto retrovisore, notò che l'uomo si era appisolato. Una manciata di secondi dopo, dovette ricredersi: no, non dormiva, aveva soltanto gli occhi chiusi.

    «Siamo ancora lontani, figlio mio, prosegui verso Nord, poi ti darò istruzioni», gli rispose con voce flebile.

    Come facesse a sapere dove si trovavano a occhi chiusi, gli sembrò strano, tuttavia Blaise proseguì senza obbiettare.

    La corsa fu più lunga del previsto. Molto di più.

    Il tassista domandò più volte al passeggero se non fossero in procinto di arrivare, e puntualmente si sentì rispondere che erano ancora lontani.

    La distanza pareva allungarsi anziché diminuire. Il villaggio in cui erano diretti era abbastanza vicino all'uscita della boscaglia, eppure continuavano inspiegabilmente a macinare chilometri, con il paesaggio che si ripeteva un'infinità di volte, sempre uguale. Qualcosa non tornava.

    Quando Blaise iniziò a inquietarsi e a temere che la benzina non gli sarebbe bastata per rientrare, il vecchio, finalmente, con un movimento lento e stanco alzò la sua mano ossuta.

    «Ferma qua, ragazzo. Sono arrivato. Farò il resto della strada a piedi. La mia casa è qui vicino.» Così dicendo, non appena il taxi si fermò, si profuse in una sorta di benedizione compiendo strani gesti. Scese dal mezzo e, con passo malfermo, si portò all'altezza del finestrino anteriore mettendo nelle mani del tassista i pochi spicci che aveva, l’equivalente di un sacchettino di arachidi.

    Blaise, incredulo, fissò le monetine. Non coprivano nemmeno un decimo del costo della benzina, ma protestare a che sarebbe servito, se non a infliggere a quel poveraccio un'ulteriore umiliazione?

    E va bene. Ho compiuto una buona azione. Ormai è andata!

    Quando alzò gli occhi per rivolgere al vecchio un ultimo saluto, constatò basito che non c'era più. Lo cercò con lo sguardo, a destra e a sinistra, davanti e dietro di sé, ma non lo vide né vicino al taxi né camminare nei dintorni per allontanarsi. Lo chiamò: «papà, papà!», ma nulla. L'uomo era scomparso, sparito, volatilizzato. Pufff!

    Blaise non stette a porsi troppe domande, era stanco, il buio stava calando e l'unica cosa che voleva era tornarsene a casa. Ora restava da vedere se sarebbe riuscito ad arrivarci, con il serbatoio praticamente vuoto.

    Fece il percorso al contrario, attraversò la radura, passò in mezzo alla boscaglia, a quell’ora avvolta nella nebbiolina umida della sera, e si immise sulla carreggiata che conduceva in città.

    Tirò un sospiro di sollievo quando parcheggiò il taxi nella corte famigliare.

    La casa era silenziosa, immersa nel buio. La sua tribù dormiva da un pezzo, le lampade a olio dovevano essere state spente da un po’ perché l'odore di benzina che emanavano si percepiva appena.

    Per fortuna non avrebbe dovuto giustificare alla moglie, che sapeva essere sospettosa oltre ogni limite, perché si ritrovava senza il becco di un franco dopo aver lavorato fino a tardi. Per non far rumore e non svegliare Assethou, andò a letto senza mangiare, benché fosse affamato.

    All'alba del dì seguente, come d’abitudine, Blaise si infilò nel suo taxi. Passò al negozio di generi alimentari, ottenne dal proprietario di poter posticipare il pagamento di quanto dovuto, e iniziò a lavorare.

    Quel giorno i clienti furono più numerosi del solito e

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