La leggenda di King Kong
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La leggenda di King Kong - Stefano Falotico
braccia...
1.
Il risveglio a New York
Luglio del 2017, mi trovo qui, mentre il primo Sole brandisce le soffici, enigmatiche atmosfere crepuscolari di New York, steso sulla branda, al fiorir del giorno che si preannuncia raggiante. Sì, oggi il Sole irradierà la sua luce maestosa lungo i grattacieli torpidi di questa città che, decadente, si sta trasformando nell’incarnazione stessa dell’opalescenza. Le vecchie guglie delle chiese protestanti sono così innalzate, qui nella Grande Mela, a vetta insormontabile, quasi come se personificassero la mia vecchiaia che al(a)ta si sta schiantando con le debolezze corporee mie sopravvenute. Ma non è ancor tempo di morire perché mai come oggi, in questo dì che appunto profetizzo squillante, mi sento in vena di ricordare. E metto mano al mio diario per vergare, con le mie dita rattrappite, il lungo viaggio che ancor tormenta i miei incubi notturni, quando la Luna ispida di questa terra d’America fa il paio coi sogni più feroci e così cristallini che la mia anima ancor legge nel buio spaventoso di questa mia solitudine avanzante verso l’imperterrita morte certa. Siamo creature di Dio, di un Dio bestiale che al mio destino riservò King Kong, sì, ancor pronunciare il suo nome m’atterrisce, e qui sto ora completando questo diario di memorie, quasi fosse ancor vivo e vibrasse nel cielo di New York così come quando sparì via, ammazzato, nel petto irsuto divelto da quei colpi martellanti e letali.
Queste pagine, allo scoccar del suo nome da me vergato, tremano e paiono animarsi di una sovrannaturale forza al di là della vita che conosciamo. Io di quel terrore ne son oggi più che mai conscio, e la mia debolezza non s’affievolisce nella dolce melanconia, bensì s’asse(s)ta nella reminiscenza di quell’isola maledetta, cagionatrice di tal avventura mirabolante, o sventura, se così preferite chiamarla.
Sono ancora in pigiama, questo pigiama corroso dalle zanzare che qui a New York pullulano festaiole
quando meno te l’aspetti, quando l’afa sposa il caldo africano di questa zona non boreale ma prosciugata da piogge torrenziali come serpi e sanguisughe.
Vado in bagno e mi lavo il viso. Dov’è finito il ragazzo di un tempo, eclissatosi, pare, in questa mia odierna fisionomia così altera, impettita per orgoglio, ribadisco tristemente, per far fronte a una vecchiaia che nella bara mi sta facendo sprofondare?
Poi, svengo, ed è un sogno eterno d’imperturbabile luccichio onirico.
2.
La mia casa, la solitudine e i miei giovani anni
Mi specchio. Il mio viso giovane si lustra in questo cangiante riflesso soffice come mani di donna cingenti un gigante. E rammemoro, mentre l’acqua del lavandino scorre nitida, le mie giornate tempestose di questi miei trascorsi venticinque anni. Sì, tale è la mia età, io, Tom Nikel, che per emanciparmi da un passato turbolento ho deciso d’intraprendere questa strada da esploratore. Per congiungermi alla natura e far sì che essa, linda e magniloquente, si sposasse alla mia anima adesso acchetatasi dopo vigorosi turbinii emozionali e tante piogge nel mio cuor madido di tanto soffrire. No, non che abbia patito molti dolori, anzi, posso considerarmi un giovane di spensierata vita, ma certo l’età acerba della mia adolescenza spesso nottambula ha incrinato forse quegli slanci che sino a poco tempo fa mi parevan fatica leggera. E, in questo fortificarmi, esperendo forse più in fretta dei miei coetanei le emozioni della vita, mi sento per paradosso pronto ad avventure di rinomato splendore, per girovagare baldanzoso in un mondo che a molti, per le sue tremende complicatezze, è ostile nel suo testardo picchiar tosto sulle speranze e far sì che affievoliscano nella pigra, indolente malinconia.
Ma so combattere questo stato angosciante con la calma risoluzione del mio io ritrovato, specchiandomi ancora e trovando, negli ansiti
del riflesso, la pace che laggiù, come vi dirò, non avrei trovato...
Forse, in questi attimi superbamente malinconici, mi rinviene sempre quel pezzo magico del Moby Dick di Melville, un incipit colossale che mi rende fiero di possedere questo strano sentimento...
Quando il narratore della storia, sommerso dalla malinconia, decide di mettersi in viaggio per mare e vuole esplorar la parte acquea del mondo, navigando nel suo umore solitario, in cerca di emozioni brade che lo svelino nell’intimità della sua lindezza, e sognante vagherà in una storia ai confini di ciò che credeva possibile.
Anch’io, lupo, ma forse non di mare, navigatore però di tanto malessere. Ma non è tempo per crogiolarsi in questa cheta e trasognante disillusione, è tempo per ferirsi con un’avventura prodigiosa. E narrarvela prima che la morte sopraggiunga e questi ricordi portentosi svaniscano nelle mie viscere e, al rintoccar sopravvenente della morte oscurante, spentesi per sempre, le mie iridi vitali giacciano remote dal mondo. Memori dell’immane, per chi ricorderà...
Oh, squilla il telefono, e forse ho profetizzato quel qualcosa di grande e rivelatorio che m’aspettavo.
3.
Cecil Miles
Così, in tal dì che mi pare tremendamente malinconico, mentre lotto col mio passato, che riemerge cutaneo a indolenzire anche gli attimi, lo ammetto, flebili di gioie estemporanee, mi giunge questa telefonata. E il telefono, squillando ringhiante, mi pare maledettamente umano, perché dall’altra parte odo appunto una voce amica, quella di Cecil Miles.
Ah ah, ora vi domanderete: chi è Miles? Miles è un regista, mio vecchio compagno di scuola, che non sentivo da anni. E adesso la sua voce inconfondibile fa breccia nel mio cuore indebolito e arrochito, annunciandomi il viaggio meraviglioso che sto per raccontarvi.
- Ciao Tom, come stai, figlio di puttana?
- Ah, sempre in vena di scherzare. Come te la passi, Cecil?
- Ah, solite cose. Ma ho una notizia clamorosa da darti. Sei pronto?
- Sì, pronto, pronto chi parla? C’è nessuno?
- Dai, su, non far lo scemo. Sempre voglia di scherzare, tu.
- Dimmi tutto. Stavo rimestando nei miei pensieri e ti garantisco che sono foschi.
- Foschi come la nebbia sulle scogliere di Dover. Ah, la solita malinconia, Tom. Guarda, da un po’ voglio realizzare un progetto. Insomma, parliamo di Cinema, di grande Cinema.
- Di che si tratta?
- Di qualcosa in cui potresti c’entrare anche tu...
- Io? Io con la celluloide?
- Sì. Stiamo cercando le location per il film, e sentimi... abbiamo trovato una location spettacolare che farà proprio al caso nostro. Si chiama l’Isola del Teschio. Sperduta, magnifica, al centro del Pacifico.
- Bene, anzi, ottimo. Ma io che c’entro?
- Be’, guarda. Stasera sei libero?
- Come un uccellino in volo. Perché?
- Ci staresti a cenare assieme, solo io e te, da Nick l’italiano?
- Sì, nella sessantaseiesima strada. Bel locale, puzza di pizza. Ah ah.
- Ok, amico. Allora alle 8:00, ci becchiamo là.
- Ma tu sei a New York, adesso?
- Sì, ti spiego stasera.
- Ok.
- Ciao, a dopo.
Cecil Miles, questo tipo tracagnotto che non smette mai di stupirmi. Chissà perché tanta ilare fretta. Cos’avrà da dirmi? Penso al peggio, conoscendolo. Sempre in mezzo a questa cianfrusaglia
che lui chiama Cinema. Ora, lui è solo un operatore con vene artistiche che ha firmato da fantomatico autore, la nomea elegante per cui si spaccia come artista, una serie impressionante di lungometraggi. Balzani, diciamo