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Nuda proprietà
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About this ebook

Lea è la protagonista di questa storia che racchiude in sè romanzo di formazione e saga familiare. Attraverso cinque stagioni di altrettanti anni della sua vita, Lea disegna un percorso di eventi, incontri e legami d'amore e d'amicizia che abbraccia un arco di tempo dal 1966 al 2016: cinquant'anni raccontati da Lea in prima persona e intervallati da una voce in terza persona che presenta il punto di vista degli altri  personaggi del romanzo. Intorno a Lea, infatti, si sviluppa l'intreccio delle vicende legate alla famiglia d'origine, che è la fonte iniziale dei suoi dubbi e delle sue curiosità, a partire da quella caratteristica anagrafica che accomuna le coppie da due generazioni: uomini già adulti sposano sempre donne molto più giovani. Alla ricerca delle risposte che non riceve dalla madre e dalla nonna, nel primo capitolo Lea, undicenne, comincia a fare indagini per conto suo, ponendo le basi per nuove domande e per quell'attitudine ad investigare su di sè e sugli altri che l'accompagnerà fino al termine del romanzo e che troverà anche uno sviluppo imprevisto e denso di rischi.
LanguageItaliano
PublisherNicole Piani
Release dateFeb 12, 2018
ISBN9788827566589
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    Nuda proprietà - Nicole Piani

    Nicole Piani

    Nuda proprietà

    UUID: 82a0272a-0597-11e8-8dc2-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    ESTATE 1966

    AUTUNNO 1977

    PRIMAVERA 1980

    INVERNO 1992

    PRIMAVERA 2016

    Corro.

    Devo correre, guardare avanti, imbucarmi nei vicoli, dribblare i passanti.

    Millesimi di secondo per evitare gli ostacoli, ansimo come un mantice, ma nessuno ci fa caso, mi vendico con smorfie orrende e imprecando sottovoce. Devo risparmiare fiato.

    Corro.

    Non distinguo più i contorni delle case, solo un muretto di sassi a lato della strada, il mormorio della folla si è sbriciolato in un silenzio che mi disturba.

    Cambio passo, aumento ancora la velocità e spremo l’aria dai polmoni per succhiare ossigeno, i muscoli lo invocano, cominciano a gemere.

    Dietro la curva di colpo la strada s’impenna, rimpicciolisce, è un sentiero che si arrampica nella penombra, da dove diavolo è sbucato questo bosco di querce?

    Non capisco, sbando, rallento.

    La fatica mi appanna gli occhi, il tronco degli alberi assorbe la luce del giorno e avanzo a tentoni, le foglie umide si appiccicano sotto alle scarpe, pattini di piombo che sfuggono al mio controllo. Quando mi sembra di intravedere un viottolo sulla destra mi ci fiondo, come se fosse l’unica via di fuga da questa oscurità.

    Sbagliato.

    La terra scompare da sotto i miei piedi, la pendenza si inverte, rimane solo uno scivolo di roccia.

    Nessun appiglio.

    Cado nel vuoto.

    Quando riapro gli occhi non avverto alcun dolore.

    Ho freddo.

    Buio, ancora.

    Resto in ascolto, se capto un suono familiare magari rallenta il mio battito impazzito.

    Un lieve ronzio sulla sinistra.

    Con cautela sposto la mano in quella direzione, il terreno è liscio, soffice e le dita trovano quasi subito un rigonfiamento. Insisto nell’esplorazione, il tatto è l’unica bussola.

    Hai gridato, Lea biascica una voce nota.

    Sebastiano.

    Mi copre con il piumino, il freddo se ne va.

    Rimango immobile ancora un secondo, poi mi riapproprio della mia libertà: mi giro sul fianco, sposto il cuscino, mi accuccio.

    Lo stesso sogno che ritorna e mi cattura come se il tempo non fosse passato, come se fossi ancora in trappola; la paura ristagna nelle pieghe della memoria, si acquatta in attesa e si getta riconoscente su pezzi di vita che la riportino a galla. Mi aggrappo al mio corpo cambiato, non ho più l’età che l’incubo ristampa ogni volta uguale, l’età in cui non ci si preoccupa del domani e si può avere tutto.

    E’ solo un sogno e io sono ancora viva.

    Lo specchio rimanda gli effetti della notte interrotta, ci sono sentieri sul mio viso che percorro con la punta delle dita, li sfioro, li spiano, si ricompongono. Oggi, ci andrò giù pesante con il trucco.

    Ho sessantun’ anni, più o meno gli stessi di mia nonna Luisa quando io, in quinta elementare, studiavo le sue rughe ed elaboravo la mia teoria sulla vecchiaia, niente che potesse riguardare anche me, un giorno, piuttosto una caratteristica con cui i nonni nascono. Adesso, sospetto che anche mia nonna fosse convinta di essere invecchiata bene.

    Sebastiano sta bussando alla porta del bagno: Vado, buona giornata

    Di già?

    Voglio leggere il giornale prima di andare in università

    Va bene, a stasera. Prendi tu il latte? Torno tardi e ho il treno per Roma domattina presto…

    Mi piace restare sola in casa.

    Anche per pochi minuti, padrona del tempo e dello spazio.

    Da bambina, era una prova di coraggio e d’indipendenza che capitava per caso: un disguido tra i miei genitori, un ritardo.

    Sono cresciuta in un ambiente affettuoso e un po’ ottuso, avvolta dalla sensazione che nulla avrebbe potuto alterare il mondo felice in cui vivevo. Il lato ottuso della situazione era soprattutto legato a mia nonna Luisa, che era riuscita a crescere in campagna, figlia unica in una famiglia di agiati agricoltori, senza trarre molto vantaggio dalla saggezza della natura. Così, a diciannove anni, la nonna era arrivata al matrimonio in una pressoché totale ignoranza culturale e sentimentale; era sì stata alfabetizzata in una decorosa scuola per fanciulle, ma tutto era scivolato su di lei e, senza mettere radici, le sue conoscenze si erano avvizzite senza rimedio.

    Aveva trattenuto solo quello che le era sembrato adatto ad alimentare i suoi sogni ad occhi aperti e ciò che provava le sue virtù: nel cucito, in cucina e nella cura della casa.

    Adoravo la nonna, era allegra e bella, con i lunghi capelli raccolti sulla nuca e l’ovale delicato del viso acceso dal rossetto. Guardavo le fotografie che teneva in una vecchia cappelliera di cartone e immaginavo che il nonno fosse stato folgorato dalla sua bellezza. Non so più quante volte le ho chiesto di raccontare l’inizio della loro storia. 

    ESTATE 1966

    Come hai conosciuto il nonno? chiedo a bruciapelo, sul viottolo sconnesso che ci riporta verso casa.

    Il sole del pomeriggio filtra tra le foglie degli alberi, caldo sulla pelle e pieno di promesse per l’estate che sta arrivando, ma io tra pochi giorni dovrò affrontare gli esami di quinta e non ci voglio pensare.

    La nonna esita e, mentre cerca le parole, scosta una ciocca di capelli dalla fronte.

    Era di maggio, alla processione del Santo. Camminava alcuni metri dietro di me e mi osservava, forse pensava che non me ne accorgessi s’interrompe per un sospiro. Invece, io sentivo uno sguardo addosso… non saprei dirti perché. Mi girai a guardare e fu così che osò un gesto di saluto, in pubblico La nonna pronuncia queste ultime parole quasi strillando, come se fosse ancora quella ragazzina con le trecce e tutto stesse accadendo di nuovo.

    Si toccò leggermente il cappello con la mano, un panama color panna, da allora ho sempre amato quei cappelli estivi… Che tuffo al cuore. Ci pensi, tesoro mio, compromettersi così davanti a tutto il paese la voce della nonna vibra nell’enfasi dei ricordi.

    In verità, non ci vedo niente di straordinario, però annuisco e le sorrido, perché so per esperienza che la nonna è impermeabile a tutto ciò che non si conforma alle sue credenze e alle sue opinioni.

    E lui era più grande di te, vero nonna? vado dritta al punto che mi interessa.

    Certo, più grande e più bello, era lo scapolo più ambito della zona e tutte le donne se lo mangiavano con gli occhi. Invece scelse me, una ragazzina che non sapeva niente del mondo cinguetta.

    Ma tu eri bellissima non capisco proprio questa modestia. Chissà quanto ti invidiavano quelle donne e come avrebbero voluto essere giovani come te le pianto gli occhi addosso e la nonna arrossisce.

    Come ti vengono certe idee, Lea? mi scompiglia i capelli.

    Quanti anni aveva il nonno? E tu? insisto, pur sapendo che non mi risponderà.

    Allunghiamo il passo, gli altri sono già avanti il suo tono è cambiato.

    Ogni volta che faccio domande su questo argomento la nonna diventa reticente e cerca un modo per svincolarsi, ma più lei si nega, più la mia curiosità cresce.

    Che nella mia famiglia uomini già adulti abbiano sempre sposato donne molto più giovani è evidente, mio padre e mia madre sono la replica dei nonni nella generazione successiva, e io non dovrei interrogarmi sul mio destino? Fin da piccola, mi sono sempre confrontata con questa differenza d’età tra i due sessi, anzi ne ho fatto una specie di norma e nelle prove di vita futura con le bambole o nelle fantasticherie maschi e femmine giocano a conquistarsi sulla base di questo decisivo fattore anagrafico.

    Adesso voglio saperne di più.

    La nonna si protegge dalle mie domande con la scusa che non si deve mai chiedere l’età ad una signora, io sospetto che ci sia dell’altro, spero in qualche segreto e mi preparo a smascherarlo, prima o poi.

    Se la nonna non parla di questo argomento, la mamma non parla del tutto. Ho avuto in sorte la madre più silenziosa del pianeta.

    Mi abbraccia, mi ascolta, mi copre di attenzioni e ha una pazienza infinita, però usa le parole con il contagocce, e non ho utilizzato questo termine a caso: è infermiera ed è proprio in ospedale che ha conosciuto il papà, che è dottore e primario, due cose che ho capito non vanno sempre insieme, ma fanno molta impressione sulla gente.

    Eccoli, li abbiamo quasi raggiunti, ci sentono arrivare e si voltano verso di noi.

    Volete tornare a casa o andiamo a prendere un gelato in paese? chiede il papà.

    Ovvio che si vada in paese.

    Fa caldo si lamenta la nonna. Non potremmo fare merenda in giardino?

    Sorriso compiaciuto della mamma, che inclina la testa verso di me.

    Nessuna delle due vuole spiegarmi perché, ma la nonna e la mamma non vanno d’accordo e, anche se so che non dovrei, a volte ne approfitto. In fondo, ho solo undici anni.

    Hai finito i compiti per domani? una voce alle mie spalle mi fa rimpiangere di non aver preferito il giardino. Io li faccio sempre di sabato, così la domenica sono libera

    Mi volto controvoglia e affronto le conseguenze della mia scelta con una risposta laconica, poi mi giro e torno a dedicarmi al gelato.

    Che gusti hai preso? Io fiordilatte e crema

    Non commento neppure una tale banalità, ma quella non desiste e viene di persona ad accertarsi delle mie preferenze.

    Fragola e cioccolato. Hai una macchia sulla camicetta si affretta a precisare.

    Gliene farei volentieri una anche sulla sua, invece continuo a leccare il cono, riempendomi la bocca per non parlare: questa bambina è uno dei motivi per cui sono contenta di lasciare la scuola elementare.

    Per fortuna, mia madre si avvicina e mi prende per mano, ci scambiamo uno sguardo d’intesa e usciamo dalla latteria.

    Perché non giochi un po’ in piazza con la tua amichetta? chiede la nonna, stupita.

    Non c’è speranza, sono proprio diverse le donne più importanti della mia vita.

    Nonna Luisa incarna il fascino, e il pericolo, di un passato rassicurante su cui adagiarsi, lasciando che gli eventi e il caso decidano del futuro. La vita della nonna è trascorsa all’insegna della cieca obbedienza ad una legge non scritta, che impone di non domandarsi quasi nulla e di desiderare solo quello che è già a portata di mano. Il risultato di tale osservanza non è del tutto disprezzabile, almeno a giudicare dai trofei che la nonna esibisce a dimostrazione della bontà del metodo: matrimonio e figli.

    Fine.

    In fondo, cos’altro c’è per una donna?

    Non lo so ancora, ma ho smesso di sorridere quando mi propone questa domanda per reclamare il mio assenso.

    E’ una piccola strega bisbiglio, mentre tento di stare al passo delle lunghe gambe di mia madre.

    Rallenta e le sue dita giocherellano con le mie.

    Ho fatto uno sbaglio lacrime di rabbia che ricaccio in gola. Le ho parlato di una cosa e…

    La mamma si volta appena per indicare che la nonna è già accanto a noi: Volete restare anche a cena? domanda, speranzosa.

    Lo sguardo di mia madre si sposta sul papà, che conosce il codice e si incarica di deludere le aspettative.

    La prossima volta si consola la nonna e si china su di me.

    Mi lascio abbracciare e baciare a più riprese, prometto di tornare presto e, mentre la saluto con la mano, ho un’illuminazione che mi dà un motivo in più per desiderare di rivederla: devo trovare le prove di quel segreto di famiglia.

    Se ha conservato le fotografie nella cappelliera, avrà certo un altro contenitore per le lettere e le cartoline, magari ha tenuto un diario, forse anche più di uno.

    Solaio, cantina e ripostiglio.

    Giocare d’astuzia e trovare un modo per restare a dormire dai nonni, ma non devo proporlo, la mamma non me lo perdonerebbe.

    I suoi turni di notte.

    Esami ed investigazioni, sarà una lunga estate.

    Non è della mia classe, sta in quarta le parole escono dalla mia bocca piene di pane, devo deglutire prima di continuare.

    Mia madre mi allontana con una mano e con l’altra toglie il coperchio dalla pentola, il vapore è libero di condensarsi sulle piastrelle, ne avverto il tepore, quando lo sguardo mi riaggancia torno vicino a lei.

    Stiamo insieme a Edy in cortile durante la ricreazione, è brava a giocare a campana e ride quando racconto le barzellette, anche Edy ride, ma lei si piega in due, così le ho fatto una confidenza…

    Cerco i suoi occhi, non li trovo.

    … Edy non c’era e ci siamo messe a parlare

    Mangio un altro pezzetto di pane, papà è andato in ospedale per controllare un paziente e passeranno almeno due ore prima che torni, ho fame e urgenza di parlare.

    Vorrei non averle detto che mi piace il supplente della seconda le lacrime si riaffacciano e non ho più motivo per trattenerle. L’ha detto a tutti… Prima, mi ha giurato che lo avrebbe tenuto per sé e, poco dopo, era lì che lo spifferava ai quattro venti. La odio, quella strega

    Prende il mio viso tra le mani, asciuga le lacrime con la punta delle dita, scuote la testa e inizia a dondolare.

    Scivolo via dalle sue braccia.

    -Tanto carino non è- aveva detto, con l’aria di chi se ne intende. Avrei dovuto capirlo che non c’era da fidarsi, è carino eccome… Adesso non giochiamo più insieme e Edy dice di non darle importanza, ma non c’è solo lei… tutti quei bambini che hanno riso di me… Sono stata stupida, stupida, stupida ricomincio a piangere, ma sono dall’altra parte del tavolo e mi guarda.

    Quando è successo? domanda.

    Dopo le vacanze di Pasqua singhiozzo.

    Un sacco di tempo, per una bambina

    Sono dentro il suo calore, la stringo, sento il suo profumo, ci affondo finché mi manca il fiato. Mi prepara un panino con il prosciutto, poi un altro appena finisco il primo, ho gli occhi gonfi che implorano di chiudersi, mi sdraio sul divano, ho freddo, mi tiro le ginocchia sul mento.

    E’ buio, quando mi sento sollevare.

    Il Milan? chiedo.

    Ha stravinto, ma non serve più… la voce di papà tradisce la sua delusione.

    Peccato gli circondo il collo con le braccia, per reggermi e per consolarlo. Ho la colpa segreta di aver cambiato maglia durante il campionato, mi sono innamorata anche dell’Inter quest’anno e mio padre non lo sa. L’Inter ha vinto il campionato con una giornata d’anticipo e ha staccato il Milan già da un pezzo.

    Ho trionfato da sola.

    Non capisco tutto di calcio, ma lo seguo ogni domenica, mi interessa più della messa e mi dà l’occasione di parlare con i maschi della classe. Davanti alla TV, a gambe incrociate sul tappeto, aspetto i goal e mi lascio coinvolgere nelle azioni di gioco che cambiano in fretta e non mi danno il tempo di fare previsioni, rimango sempre con lo stupore di cosa riescano a farci con la palla quelli che la sanno domare.

    Da quando non gioco più a campana con la strega, mi metto a guardare i compagni che tirano calci ad una palla di carta tenuta insieme con il nastro adesivo. Un paio di volte, ho sostituito i bambini che si fanno male e vengono medicati dalla maestra.

    Ho cambiato squadra sul letto, a occhi chiusi, decido di uscire allo scoperto con mio padre.

    La conosco?

    Rido.

    Molto bene… E’ un indizio preciso.

    Esita.

    Mi rigiro sotto il lenzuolo, ho sonno e se non risolve l’enigma lo farò io tra un secondo.

    Inter

    E’ la musica allegra della sua voce.

    Il bambino con i capelli biondo spento mi passa la palla e scatta in avanti, superando gli altri giocatori. Avanzo verso la porta e alzo lo sguardo, mi fa un segno e calcio la palla nella sua direzione, nessun ostacolo in mezzo, la prende e la spedisce in rete. In realtà, non ci sono né rete né porta, solo due cartelle che delimitano il vuoto, il goal è valido comunque e ci abbracciamo. Non era mai successo.

    Il bidello arriva di corsa, urlando che la scuola è finita e non possiamo giocare in cortile, raccogliamo in fretta le cartelle e ce lo lasciamo alle spalle.

    Ultimo giorno per tutti, tranne per noi

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