Rewind
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Book preview
Rewind - Bernard Yabre
633/1941.
Dedicato a mio padre.
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[Premessa]
Quand'ero bambino, il mio babbo portava a casa tutte le settimane La Settimana Enigmistica. Lui faceva i cruciverba, quelli nelle ultime pagine, quelli difficili. La mia mamma, invece, faceva quelli di mezzo, quelli un po’ più facili, però lei li faceva guardando la televisione, perché era multitasking, come sono quasi tutte le mamme. I miei fratelli facevano altri giochi, i rebus, gli enigmi polizieschi, Scopri le differenze
... Io chiedevo che mi lasciassero fare quello dei puntini, quello spettava a me. Loro potevano fare tutto, tranne quello. Era una sicurezza. Ogni settimana facevo il mio gioco. Poteva uscire una giraffa, o altre figure. Ricordo ancora, una volta, un surfista sulle onde, un'altra volta venne fuori una coppia che ballava il tango. E intanto la vita scorreva, passavano le settimane, passavano gli anni. Io ero un bambino, a Roma. Erano gli anni ‘70, quelli che chiamarono poi anni di piombo
. Ma io univo i puntini, e a me appariva un razzo stratosferico lanciato verso gli anni '80. E gli anni '80 erano anni allegri, perché l'Italia vinse la Coppa del Mondo in Spagna, poi cominciò ad arrivare un sacco di musica, io m'innamorai proprio della musica, venni a Milano a lavorare alla televisione, alla radio, Radio DJ, poi feci il mio primo disco, cadde il muro di Berlino, la vita scorreva, scorreva, e io intanto avevo smesso di unire puntini dall'1 al 67, ma avevo inventato una mia regola, che non era una regola: partivo da un numero a caso, non so, il 33, poi andavo al 7, al 21 e vedevo che cosa riuscivo a tirar fuori. Venivano fuori dei fiori, qualcosa di semplice. Cominciai ad accettare il fatto che per comporre delle figure sensate, qualche puntino dovesse rimanere fuori dal disegno. Peccato, pensavo. Guardavo questi puntini da soli: eh… guarda il 49, dicevo, peccato. E intanto, però, la vita andava avanti, il tempo passava, arrivarono gli anni '90 e inventarono internet. Io ero pazzo di internet, e un giorno, proprio su internet, ho sentito un discorso di Steve Jobs agli studenti dell'Università. Diceva: Volete un consiglio da me? Unite i puntini, connect the dots
. Ma pensa te, Steve, dissi io, proprio il gioco che piaceva fare a me quand'ero bambino. Quindi mi sentii, in qualche modo, contento di questa coincidenza, e riflettevo sul fatto che le generazioni precedenti alla nostra, in realtà, avevano più facilità ad unire i puntini, perché ognuno, più o meno, sapeva cosa doveva fare nella vita. I puntini erano allineati, delle strade di lampioni, dritte, al massimo con qualche curva. Ora non più. Ora noi abbiamo a che fare con costellazioni infinite di innumerevoli puntini e non c'è nessuno che ci dica dove sta l'1, dove sta il 2, dove sta il 3, dove sta il 67. Dobbiamo cavarcela da soli.
Perché vi ho raccontato questa storia? Perché, in una sera come questa, io smetto di voler unire i puntini e guardo la costellazione così com'è, e guardo tutte le figure possibili. Potrebbe essere una donna nuda, una sirena, un granchio, un cavallo, una moto da cross, un'annunciazione, un passeggino, un giradischi. Le figure sono infinite e possibili. Ebbene, quando noi abbiamo a disposizione una costellazione come questa, a volte può anche bastare restare lì, a guardarla, semplicemente, così com'è, una notte piena di stelle, a Milano. Ogni stella una vita che non rimarrà fuori da nessun disegno, perché non c'è nessun disegno, ma ci sono tutti i disegni possibili. E se, unendo i puntini, viene fuori un disegno che non vi piace, che non va bene, non vi preoccupate, perché le stelle rimarranno lì per sempre. E possiamo anche cambiare idea, cominciare un disegno nuovo. Lo possiamo fare ogni giorno, lo possiamo fare ogni notte. Lo possiamo fare sempre. [Lorenzo Jovanotti]
1
Ho capito che sto scappando
in un labirinto dove
il mostro che vuole uccidermi
in realtà sono io.
(Serena Marsella)
Era una domenica sera. Stavamo camminando verso casa dopo aver passato la serata insieme. Nne si era rivelata una tipa a posto.
Passeggiavamo tranquilli nel bel mezzo della strada perché in quel vicolo non passava quasi mai nessuna macchina.
All'improvviso Jane mi fece una domanda: «Se potessi tornare indietro nel tempo rifaresti le stesse cose che hai fatto? O cambieresti qualcosa?»
La notte rendeva quella domanda più profonda e filosofica di quanto non fosse. Ma non era solo quello. Era la stessa domanda che avevo posto alla prima donna con cui ero uscito la settimana precedente. Rimasi sorpreso di questa coincidenza.
Le avevo domandato più o meno così: «Cosa cambieresti della tua vita? Se cambieresti qualcosa ovviamente. Cambieresti qualcosa della tua vita?»
Lei disse di no. Decisa.
Quell'istantanea riaffiorò vivida nella mia mente. Quella donna era seduta di fronte a me, i capelli rossi colorati male da un pessimo parrucchiere, il rossetto purpureo troppo stravagante sulle labbra carnose, il trucco, le ciglia finte, la coppa del reggiseno riempita con non si sa cosa e la scollatura eccessivamente ampia... Si chiamava Meredith. Mi rispose così: «No, assolutamente no.»
«Quindi mi vuoi dire che rifaresti tutte le azioni e le cose che hai fatto fino ad ora, se dovessi rifarle? Ti posso dare del tu, vero?»
Mi rispose che potevo. «Sì, certo, rifarei assolutamente le stesse cose.»
Lo disse prontamente, il petto in fuori e il volto sereno e convinto; quasi più a voler convincere se stessa che me.
Riprese così: «Tutte le