Sul ventaglio dell'acqua
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Sul ventaglio dell'acqua - Silvia Cervellati
633/1941.
CAPITOLO I
Non c’era cosa che non piacesse a Enrico di quel luogo, cui non mancava nulla in fatto di servizi, nemmeno un aeroporto da cui partire per qualunque meta. Il territorio, bellissimo, svelava spiagge e cale piene d’incanto, dall’aspetto crudo e selvaggio… oppure luoghi che davano l’accesso a picchi solitari, su un oceano solcato da navi da crociera o imbarcazioni che parevano disperse, nel mezzo di quel mare tempestoso e acceso.
No… non v’era cosa che gli dispiacesse, in una terra che aveva accolto con dolcezza e gioia i suoi tormenti, cancellando gli anni buȋ subiti in patria, snaturatamente.
Eppure, si sentiva vinto. Malgrado il bene colto a piene mani e gratamente, ancora si trovava solo e senza più riuscire a compensare col lavoro il vuoto lasciato dagli affetti ormai lontani, intanto che un crescente senso di inadeguatezza andava ad alimentare queste sue carenze.
La decisione delle figlie di tornare ad abitare giù in Italia, era stata un vero colpo basso… la goccia classica del vaso che trabocca, in chi non può sentirsi che tradito a un passo dal traguardo.
E poiché la vita infatti chiede atto d’ogni azione mostrandoci il valore delle nostre convinzioni, così era stato certo nella morte del figlio Dermot… contro cui amor di padre niente aveva potuto.
- E così ho fallito tutto! – aveva detto a Fred, sfogandosi, un bel giorno – Perfino Sevi e Maire mi han lasciato, mostrando a pieni titoli quanto io come padre faccia schifo.
Ed al suo sguardo stupefatto:
- Perché? Non è una prova che abbian scelto vite separate, dopo l’entusiasmo dimostrato inizialmente, di vivere con me? Eran così felici i miei ragazzi, allora, quando andai a riprendermeli! … e poi, tutto è finito. Ma si capisce: troppi errori ho fatto, Fred, e tutti grandi.
L’amico, che provava in quel momento alla chitarra qualche nuovo accordo fingendo di ascoltare quei discorsi solamente fino a un certo punto, aveva, alle parole, di colpo smesso di suonare.
- Avrei un desiderio – disse – Che un giorno, Enrico, tu la smettessi di ragionar col tuo cervello per adottare il mio: ancora questa storia di tuo figlio, le tue figlie… e del padre degenere, che poi saresti tu!
- Soltanto perché è vero, Fred.
- Panzane! – espresse lui, seccato – Dovresti ormai sapere che da adulti diventiamo tutti responsabili delle nostre azioni. Tutti! … inclusi i figli buoni o cattivi che si hanno che, infatti, quando crescono, cominciano ad agir di testa loro, piaccia o non piaccia al genitore buono o cattivo che si ritrovano.
- Un genitore buono, figli cattivi non ne ha!
- Ah, sì? Allora, sai che dico? Che tu sei proprio un fesso, se la pensi a questo modo: ma guardati un po’ attorno e scendi, finalmente, dal mondo della luna! Un genitore, è come qualunque altro: fa quello che può, sempre che gli vada… ma non è questo il caso. Tu hai fatto esattamente questo: quello che potevi! Al resto, amico mio, ci pensa il Padreterno o il Fato… ma in qualunque modo lo si voglia chiamare, sicuro non è affidato ad un comune mortale!
- Un figlio morto di overdose, non è una colpa del destino, Fred, ma di qualcosa di terreno che alla fine gli è mancato… gli ha impedito poter crescere e reagire in modo conveniente ai problemi della vita! E quel qualcosa sono io, ti piaccia o no: io che non c’ero; io che mi son negato, sebbene per seguire la mia stella.
- Ma caro mio, avevi forse scelta? T’ho ripescato mezzo morto dentro l’acqua gelida di un fiume, in una sera… ti ricordi? Eri allo stremo e solo con la musica, che è la tua passione ma anche il tuo talento, sei riuscito a venirne fuori. Eppure, tu continui ad incolparti, a darti addirittura del fallito! Ma vai a cagare, va… te, e i tuoi rimpianti del cazzo.
C’era stata poi una pausa, che Enrico aveva interpretato come scontenta insofferenza da parte dell’amico ai suoi problemi, quando invece il suo disappunto derivava unicamente dall’ansietà per lui.
- Sembra che tu ci sguazzi, in mezzo ai tuoi fantasmi! – aveva infatti proseguito Fred – Tua moglie, tuo figlio, le tue figlie…! Se Dermot si trova all’altro mondo, la colpa è solo sua: che c’entri tu? Si sono mai drogate o alcolizzate, le ragazze? Eppure, vivevano la stessa condizione. E adesso, sai, riprovati a parlare di tua moglie dicendo che se è morta è colpa tua… già, pure lei! … che ti ci mando. Figuriamoci: se Jen fosse caduta in depressione per ogni mio casino, sarebbe morta cento volte al giorno! Io ti concedo che le donne abbiano avuto percorsi diversi, anche grazie a noi; però gli ostacoli li superi, che cazzo, se hai carattere! Possibile che Blaine tirasse fuori il suo soltanto contro te?
- Era insicura, Fred, e si sentiva sola con tutti i suoi problemi: tu sai che perse tutto e dalla sua famiglia fu cacciata.
- Ma eri tu, la sua famiglia! I vostri figli! E quanto ai problemi, poi, ha mai considerato che anche tu potessi averne, con lei che non perdeva l’occasione di umiliarti? E non venirmi a dire che era giovane e inesperta: tu, lo stesso! … e solo e senza appoggi, dalla morte di tuo padre. Perciò dà retta e svuotati la testa da certe fesserìe! A questo mondo si può dare quel che si può dare: non siamo dèi… non te l’ho già detto?
- Di continuo.
- E allora smetti di farmelo ripetere! C’è chi è debole e chi è forte: fa parte della vita. Si può aiutar qualcuno di continuo e, malgrado questo, che sia inutile. E allora? Destino. Perciò, se vuoi un consiglio, guarda avanti!
Ma avanti, Enrico, non vedeva che incertezze in ogni campo. Allora se ne usciva prendendo quei sentieri che sapeva l’avrebbero portato più o meno in capo al mondo… in cima a quelle rocce da cui si divertiva ad osservare l’orizzonte immaginando la sua terra, oltre quella linea, e i suoi richiami. Il vento di lassù, costante, l’abbracciava mescolandosi al fragore delle onde sulle rocce sottostanti, ammantate di muschio. Un passo o due in avanti… e il baratro, sfociante nel crogiuolo sconfinato cui mani invisibili ponevano tormento rimestando, ribollendo… spargendo voci d’acque senza posa ed avvincenti come un maleficio.
Da lì guardava avanti ormai da tempo, senza veder di fatto altro che solitudine.
- La signora Morandini O’Brien…?
Dara annuì e fu a quel punto che l’uomo le porse il suo biglietto da visita.
- Anthony McKenna… Investigazioni Private? – lesse ad alta voce – Io temo ci sia un errore, signor McKenna, dato che tanto io che mio marito non necessitiamo di simili servizi!
- Infatti, signora O’Brien… ma è proprio lei, che cerco. Se avesse qualche minuto da dedicarmi…
Inquieta e un po’ stupita lei lo fece entrare intanto che anche Llyr, avendo udito, lasciava il suo lavoro per avvicinarsi.
- Buongiorno! – disse infatti poco dopo, tendendogli la mano. Poi lo fece accomodare in uno dei divani della sala, intanto che con la moglie sedeva in quello accanto.
- Prego, ci dica.
McKenna volse a Dara e, in tono affabile, cominciò:
- Ecco, signora O’Brien: io sono qui per informarla di un incarico ricevuto da persone a lei molto vicine. Si tratta dei suoi nonni…
- Chi??
- James e Patricia Doherty, signora… suoi nonni materni, naturalmente.
- Ma sta scherzando? – disse lei – Quei due, non so nemmeno che faccia abbiano!
- Ed è proprio per questo che, dicevo, mi hanno incaricato di mettermi in contatto con lei e le sue sorelle.
- A quale scopo, scusi? E come si permettono…?! – rispose lei