Fuori da ogni morale
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Reviews for Fuori da ogni morale
6 ratings3 reviews
- Rating: 5 out of 5 stars5/5Bella storia, l'ho letto in fretta, perché mi ha colpita fin dalle pagine.
- Rating: 5 out of 5 stars5/5bel thriller psicologico e sentimentale! Ne consiglio la lettura caldamente!
3 people found this helpful
- Rating: 5 out of 5 stars5/5Da leggere d'un fiato! La cosa che mi è piaciuta di più è l'aspetto sentimentale anche se è un thriller psicologico!
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Fuori da ogni morale - Carmelo Panatteri
Indice
Indice
Prologo
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
Epilogo
Carmelo Panatteri
Fuori da ogni morale
Thriller
Youcanprint Self-Publishing
Titolo | Fuori da ogni morale
Autore | Carmelo Panatteri
ISBN | 978-88-27814-80-2
© 2021. Tutti i diritti riservati all'Autore
Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.
Youcanprint
Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce
www.youcanprint.it
info@youcanprint.it
"La bellezza esteriore senza alcune qualità,
dura quanto un granello di sabbia
scosso dal vento."
Il male non è mai giustificato!
Prologo
Gli alberi rinsecchiti e spogli e l’aria gelida donavano a quella visione un tocco da quadro invernale. Nell’aria satura di odori qualche scoiattolo si attardava a cercare noci e ghiande, saltellando incerto sul prato gelido. Celate nella parte retrostante i sempreverdi si affastellavano tra le foglie morte. I rami torreggianti di una quercia imponente fuggivano nella nebbiolina e, in lontananza, gli olmi e le betulle si assottigliavano come spettri.
Erano passate da poco le sette di sera.
Due occhi chiari ferivano l’oscurità che si infittiva lentamente: quelli di una ragazza alta, prosperosa, ma all’apparenza delicata. La ragazza scostò i lunghi capelli dal viso e si sfregò le mani, colta da un improvviso brivido di freddo. Molti credevano che lei il freddo se lo portasse dentro. Quel freddo calcolatore della sua mente, che troppe volte le aveva fatto prediligere il denaro ai sentimenti. Osservò le sue mani coperte da lividi. Poco prima era inciampata e si era ferita.
Si guardò intorno alla ricerca di un po’ d’acqua limpida. Il passo flessuoso e le gambe magre ma forti, fasciate da collant colorati, le donavano femminilità e grazia. Non trovando acqua pulita, palpò le tasche del giubbotto e si accorse d’avere con sé delle salviettine imbevute. Ne prese qualcuna e iniziò a levare via le macchie di sangue. Si pulì con cura le mani, in modo che, tornando a casa, sua madre non potesse rinfacciarle l’ennesima anormalità. Come se lei e quell’ipocrita, che si era portata in casa sua, si fossero potuti definire normali. Quella sera faceva piuttosto freddo. Patricia sentì ululare il vento. Ebbe un brivido, le sembrò l’ululato dei lupi che volevano divorarla nei suoi incubi. Un’altra raffica mulinò tra i suoi capelli scompigliandoglieli, ma durò solo un istante. Patricia tirò un sospiro di sollievo, ma percepì una sorta di spazio vuoto fra un’impercettibile quantità di alberi sempreverdi. Stava per andar via, quando sentì un rumore di passi, ed ebbe un tremito. Cos’era? Un lupo?
Si girò e scorse un’enorme sagoma qualche metro davanti a sé. Nell’oscurità non riusciva a distinguere chi fosse. La sagoma si avvicinò sempre di più e la ragazza sbarrò gli occhi ed emise un mugugno terrorizzato.
Perché le sembrava familiare? Era sicura di aver già visto quell’energumeno, anche se portava una maschera che gli copriva gli occhi.
«Patricia, devo salvarti dai tuoi peccati!» le disse con voce dura.
La ragazza sbarrò gli occhi appena lo intravide. Percepiva quasi il suo respiro. Così ambiguo, minaccioso. Una nuova ondata di terrore l’attraversò nuovamente.
«Vieni via con me!» disse con un tono rabbioso.
«Non voglio!» rispose, scuotendo il capo e facendo ondeggiare i capelli biondi. La mano dell’uomo fece uno scatto in avanti e le afferrò la mandibola, stringendola.
«Sì, invece.» Il timbro della sua voce era più alto adesso e aveva un suono metallico, incolore. Con l’altra mano le tirò uno schiaffo contro l’orecchio, così forte da farla barcollare. «Devi espiare i tuoi peccati da meretrice!»
Quelle parole piombarono su di lei come un ordigno esplosivo, ma non si arrese. Voleva scappare, anche se il timore di essere uccisa da quell’uomo era grande.
La ragazza tremava. «Non voglio venire», disse singhiozzando.
Lui sghignazzò. «Invece sì! Tutti abbiamo bisogno di espiare i nostri peccati. A maggior ragione tu!»
L’afferrò per un braccio, lei iniziò a sudare freddo. Non aveva scelta. La stava trascinando via con lui, ma appena si accorse che la presa si allentò per un istante, riuscì a liberarsi con uno strattone. Si diede alla fuga. Le scarpe di certo non le davano una mano, tutte le gare di corsa che aveva vinto a scuola, in quell’attimo, parvero inutili.
Lui, invece, con passi pesanti, la rincorreva goffamente, sembrava lontano da lei. Così lontano da farle pensare che non l’avrebbe mai raggiunta. Un fiotto inebriante di sangue le pulsò nelle vene e iniziò a sentire il sapore della vittoria. Si girò di nuovo indietro, per accertarsi di essere lontana da lui, non accorgendosi di un ramo che la colpì sulla fronte e la scaraventò a terra, mettendola knockout. Un ramo ribelle le ferì il viso. Restò immobile, tendendo ogni muscolo del corpo.
Lui la raggiunse, dopo qualche secondo, afferrandola per i capelli. Lei cercò di urlare, di liberarsi, ma ogni movimento pareva eccitare di più il suo assalitore che con violenza le strappò la camicia di raso e il reggiseno ricamato, scoprendo il seno niveo e i capezzoli scuri.
D’un tratto sentì la sua voce robusta in un orecchio: «Non mi sfuggire, altrimenti ti ammazzo!»
Estrasse un coltello e l’avvicinò al viso di lei.
«Ma tu chi ti credi di essere che vuoi farmi espiare i miei peccati?» strillò Patricia, dolorante, con le lacrime agli occhi.
L’uomo si tolse la maschera e disse eccitato: «Sono il giustiziere di Dio!»
1.
Una biondina stava fissando le pareti della sua stanza di color salmone, affliggendosi per la perdita del suo Marc. Tutti i discorsi imparati in chiesa sulla comprensione, la sincerità, la generosità non le interessavano più. Desiderava essere la stella del suo cammino. Ripensava a lui. Le lacrime scendevano piano dai suoi occhi azzurri, gonfi e arrossati, perdendosi nel soffice cuscino. Si stava ponendo alcune domande, che molti avrebbero trovato assurde, Perché l’uomo nasce e poi muore? Ha senso vivere e poi andare via da questo mondo?
Erica fino a qualche tempo prima aveva fede. Andava regolarmente in chiesa, pregava e faceva offerte per i poveri; ma da qualche mese il suo ragazzo, Marc, era venuto a mancare. Una simile disgrazia le aveva fatto perdere un po’ la fede. Le aveva frantumato il cuore in mille pezzi. Erica aveva ventiquattro anni, fisico snello, capelli biondo miele, ondulati, abbastanza alta. Aveva iniziato a frequentare ragazzi all’età di quattordici anni. Raramente aveva allacciato relazioni serie. Una ragione era perché amava i ragazzi sensibili e romantici. Il più delle volte era stata lei a troncare diverse relazioni, perché non sopportava che la considerassero troppo sognatrice. Lei lasciava perdere ragionamenti simili e rimaneva delle sue idee. Fino a ventidue anni aveva sempre conosciuto ragazzi svogliati e con poca sensibilità, ma poi aveva incontrato Marc.
Chiudi gli occhi Erica! Chiudili!
Era sfinita. Trasognante, pensava al suo Marc. Stringeva il cuscino a sé, abbandonandosi sempre a sonni brevi e densi di incubi.
Iniziò tutto in una giornata particolarmente afosa. Lei, tra l’altro, aveva corso un po’, anche se avrebbe voluto farlo per più tempo, almeno per un’ora. Il caldo però era insopportabile, quindi non gliel’aveva permesso. Negli ultimi due mesi si era accorta di aver preso qualche chilo di troppo, tra lo stress della scuola e altri pensieri.
Faceva jogging da qualche settimana e i risultati lentamente si stavano vedendo; forse perché correva ogni giorno, cercando di non mangiare schifezze. Aveva cercato di convincere qualche sua amica a correre con lei, ogni mattina. Peccato, però, che nessuna avesse preso in considerazione la sua proposta.
Era poi andata a casa e aveva fatto una doccia veloce.
Ora era intenta a sorseggiare un’aranciata al tavolino di un bar, guardando curiosa il cellulare. Mentre aspettava che il suo ammiratore misterioso si facesse sentire, una voce interruppe i suoi pensieri.
«Ciao Erica…»
Alto, moro, occhi verdi, fisico atletico, indossava una maglietta bianca casual e jeans neri. Bel ragazzo, ma chi era?
«Ci conosciamo?» disse rabbrividendo, sentendo una raffica di emozioni che le pulsavano nelle vene. D’un tratto sentì un bambino piangere e la madre che lo sgridò ad alta voce, facendo girare tutte le persone che si trovavano lì.
«Posso sedermi?»
Erica annuì, forse perché quel giovane le sembrava un bravo ragazzo. Meglio, non avrebbe voluto attorno ancora parassiti.
«Tu non mi conosci, ma io sì. So alcune cose di te. Ad esempio che studi pedagogia.»
Erica annuì, guardando il ragazzo con grande interesse. «È vero, ma tu chi sei?» La sua voce dolce tradiva un leggero imbarazzo.
«Mi chiamo Marc e mi sono iscritto all’università di questa città da poco. Ho fatto i primi tre anni da un’altra parte, ma i miei ritengono che questa sia migliore, anche se l’hanno solo aperta nel 2004, non credo abbiano torto.»
Lei, sorridente, gli fece segno di sedersi e lui ordinò una birra. Gli chiese cosa studiasse, con un’ombra di timidezza, e lui le ripose Giornalismo
. La guardò negli occhi, lei abbassò lo sguardo. Sembrava essere un ragazzo interessante, per di più visibilmente interessato a lei.
Calò il silenzio per qualche secondo. I loro sguardi si incrociarono velocemente, suscitando un grande interesse palpabile. «Allora, Marc, come fai a conoscermi?»
«Ho torturato Holly per sapere qualcosa di te. Lei è un’amica di mia cugina.»
Lo guardò con un’aria gradevolmente sorpresa. Il suo cuore batteva forte, più di quanto avesse immaginato. «Ma lei non mi ha mai parlato di te.»
Nel frattempo il cameriere portò la birra che aveva ordinato Marc. La sistemò in fretta e andò verso un altro cliente. Aleggiava una certa tranquillità ed Erica si sentiva quasi cullare.
Lui sorrise e continuò: «Le ho detto io di non farlo.»
Cercò di assumere un’espressione serena. Lei cominciò a respirare invece affannosamente. Marc alzò lo sguardo, si inumidì la bocca e le disse: «Volevo corteggiarti in segreto… e penso di esserci riuscito.»
«Vuoi dire che tu sei…» Lei era scossa da singhiozzi. Sorseggiò lentamente la bevanda che aveva sul tavolo. Poi si asciugò con un tovagliolino. Incontri simili di solito li facevano le sue amiche, ecco perché l’imbarazzo era piuttosto evidente.
Calò il silenzio intorno al tavolo. Lui dopo un po’ annuì, «Sì, sono io, quello della chat. Ti ricordi il mio nickname? Il cavaliere misterioso
»
Erica, felice di avere scoperto finalmente il volto del suo misterioso corteggiatore, gli strinse la mano. Si erano conosciuti così. E per due anni non si erano lasciati un attimo, anche se il corteggiamento misterioso era durato abbastanza, prima di quell’incontro. Fiori, lettere romantiche, dediche, tutto in segreto.
La sera, quando tornava a casa, Marc riempiva pagine di poesie per la sua Erica. E quando gliele fece trovare, rilegate con cura, per lei fu una vera sorpresa. Gliele portò la sera in cui le fece conoscere i suoi genitori.
La differenza tra i loro caratteri si scorgeva subito: lui perfezionista e accomodante, lei piena di statistiche e motivazioni. Quando litigavano, Marc iniziava a farle il solletico, finché non riusciva a vedere sulle guance di lei, la fossetta che amava tanto. Il loro punto di forza era la lealtà. Erica sosteneva che la lealtà esistesse in natura. Appassionata, spiegava a Marc che le cicogne e i cigni, quando sceglievano un compagno lo facevano per tutta la vita.
Si commosse quando sentì la storia di una povera cicogna finita fra i cavi dell’alta tensione e del suo compagno che per tre giorni covò nel nido. Lealtà una bella parola, lontana dai giorni nostri.
Marc poggiava sempre il naso su quello di Erica. La baciava fuggevolmente e le giurava che non l’avrebbe mai tradita per nessun motivo al mondo.
Poi la tragedia veloce e distruttiva come un fulmine. La febbre, le analisi, l’ospedale e le emorragie. Tutto finito in un mese.
Si svegliò di soprassalto per un timido bussare alla porta.
«Erica, tesoro, hai bisogno di qualcosa?» chiese sua madre.
«No, mamma!» rispose alzando il tono della voce.
«Non vuoi mangiare un pochino, tesoro? Ha chiamato Holly e ha detto che i tirocini sono disponibili, ma devi andare a iscriverti.»
«Non mi sento bene per ora, mamma...» disse flebilmente.
Ad un tratto sentì il rumore di una porta che si apriva.
Era il padre di Erica, appena rincasato.
«Ma tesoro, chiama ogni giorno per te! Vieni a mangiare un boccone!» La voce della madre tradiva una forte sofferenza.
«Non mi va, mamma!» rispose lei con un tono acuto.
La sera la madre le lasciava un vassoio con la cena vicino alla porta della camera. La mattina dopo lo ritrovava con il cibo appena sbocconcellato. Cercava di preparare le pietanze più prelibate per la figlia, ma sembrava inutile. Anche qualche tutor si era fatto sentire per avere sue notizie, perché lei era sempre andata alle lezioni, anche quando Marc stava molto male. Lui, infatti, voleva che lei non perdesse nemmeno un giorno per costruire il suo futuro.
Ora, però, non ci andava più da alcune settimane. Lei non voleva vivere più. Il sole avrebbe scaldato lei e non Marc. L’acqua avrebbe dissetato lei e non Marc. Vi sarebbe mai stato un uomo dolce, sensibile e forte come lui? Anche se stava soffrendo troppo, non si era mai pentita di averlo conosciuto. Perché il destino era stato così ingiusto? Non riusciva a darsi una risposta. Marc prima di morire le aveva scritto una lettera. Lei l’aveva letta almeno un centinaio di volte.
Mia dolce Erica,
questi due anni passati con te sono stati meravigliosi. Sono stati anni di intensa passione e di grande complicità. Ringrazio sempre Dio per avermi fatto conoscere una ragazza meravigliosa come te, non potevo trovare di meglio. Abbiamo fatto così tante cose insieme... In questi due anni abbiamo avuto alti e bassi, come tutte le coppie, ma ci siamo sempre sostenuti a vicenda. Tu mi hai detto sempre che il più forte fra noi due sono io, ma non credo sia così: sei tu! Me l’hai dimostrato in tante circostanze. Quando mi scoraggiavo per qualche difficoltà, eri sempre tu a darmi la forza di affrontare la vita, sostenendomi col tuo grande amore. Tra tutte le ragazze che ho conosciuto sei stata la più forte e sensibile, con una grande profondità d’animo. Mi addolora molto lasciarti, ma purtroppo una malattia come la leucemia può essere molto malvagia, ti distrugge lentamente. So quanto soffrirai per la mia morte, perché capisco quanto mi ami, ma spero che il mio spirito veglierà sempre su di te e non ti lascerà mai in qualche modo. Non ti verrà facile pensare che un giorno troverai un uomo, anche migliore di me, ma arriverà. Del resto te lo meriti, perché sei una ragazza con un cuore d’oro. Penso che qualunque uomo vorrebbe al suo fianco una ragazza meravigliosa come te. Tu mi hai sempre detto che prima di me avevi incontrato ragazzi vuoti. Ragazzi che non avevano saputo apprezzarti, ma senza dubbio sarà successo perché erano molto immaturi e privi di sensibilità. Vorrei scriverti ancora per dimostrarti il mio grande amore, ma non posso, mi sento troppo affaticato. I dolori all’addome mi stanno quasi uccidendo. Ricordati non smettere mai di essere così, qualsiasi cosa possa accaderti, perché ai giorni nostri non si trova facilmente una ragazza come te e soprattutto non smettere mai di sognare. Perché se lo facciamo, la nostra vita diventa vuota, sempre di più. Vedrai che un giorno qualcuno apprezzerà le tue bellissime qualità.
Ti amo e ti amerò per sempre,
Marc
Ogni volta che la rileggeva non poteva fare a meno di scoppiare in lacrime. Era sempre distesa sul letto, che stringeva la lettera al petto insieme al cuscino. Marc sperava che un giorno, lei, trovasse un uomo migliore di lui, ma le sembrava impossibile dimenticare il suo più grande amore. L’unica persona con cui parlava era Patricia, la sua migliore amica, che la chiamava abitualmente per sapere come stava. Pensandoci bene Patricia ancora non si era fatta sentire. Le era forse capitato qualcosa? Il pensiero divenne così insistente da farla alzare dal letto. Andò prima a lavarsi la faccia, si spazzolò i capelli, sentendosi meglio, ma quando andò per telefonarle, il telefono iniziò a squillare come se qualcuno l’avesse preceduta.
«Pronto?»
«Ciao Erica, sono la madre di Patricia. Scusa se ti disturbo…Come stai, cara? Un po’ meglio?» La voce premurosa tradiva una forte preoccupazione.
«Buongiorno, signora Whitman, mah, così…ehm…mi sembra un po’ strana. È successo qualcosa?»
Erica capiva subito quando c’era qualcosa che non andava. Le bastava conoscere una persona per riuscire quasi a leggerle dentro.
«Volevo sapere… Patricia è lì con te? Sai, è da due giorni che non la vedo e sono preoccupata.»
Erica rifletté sull’ultima telefonata di Patricia, che la obbligava quasi a uscire. Fu un lampo, però, che le attraversò la mente. Si perse nel fragore dei pensieri. Adesso lei dov’era?
Un silenzio seguito da un sospiro. «No, non è qui, signora.»
«Erica, sono molto preoccupata, non le sarà successo qualcosa?»
Bella domanda. Madre ansiosa, figlia dal carattere difficile, un uomo che aveva preso il posto del padre. Con la famiglia della sua migliore amica non si sapeva mai come muoversi. Patricia era sempre imprevedibile e combinava un sacco di casini; eppure lei le voleva bene, anche se a volte non riusciva a capire i suoi comportamenti. Per esempio quando prediligeva il denaro ai sentimenti. La zia, infatti, le aveva messo in testa di sposare un uomo ricco. Ma nonostante tutto non aveva raggiunto mai la felicità.
Erica chiuse gli occhi.
«Patricia, hai visto che pelliccia mi ha comprato mio marito? Tu devi sposarti uno che ti compra sempre un sacco di cose. Non come il morto di fame del mio ex marito, un vero fallito!» disse la zia che si trovava in casa di Patricia. Era passata da lì, dopo qualche settimana che non andava a trovarla. I genitori di Patricia però non erano in casa, ma fuori città. Erica era anche lì, e ascoltava in silenzio. Anche se Erica aveva quindici anni non avrebbe mai pensato a cose simili e seppur viveva in una famiglia agiata, sua nonna le aveva insegnato che avrebbe dovuto sposarsi solo per amore, un giorno. Sposando anche un semplice impiegato. I genitori di Erica invece preferivano non affrontare l’argomento.
Patricia assunse un’aria compiaciuta. «Sì, è vero zia. Ti compra tante cose belle. Come Lucas il ragazzo che sto frequentando. Guarda che mi ha regalato.» Le mostrò un bracciale di brillanti.
«Lucas? Che lavoro fa suo padre?»
«È primario di dermatologia. Poi è docente universitario» disse Patricia con aria soddisfatta.
La zia sgranò gli occhi, «Brava, hai fatto centro, non lasciartelo scappare!» le disse compiaciuta.
«Tu che ne pensi, Erica?» chiese la zia di Patricia con un’aria altezzosa.
«Non saprei…» rispose Erica con una voce imbarazzata.
«Che vuoi dire?» chiese la zia di Patricia.
Erica per un attimo fu presa dall’imbarazzo e non riuscì ad aprire bocca, ma poi partì alla carica: «Mia nonna mi diceva sempre che basta solo l’amore, non importano le ricchezze.»
La zia di Patricia rise aspramente. «Dai, Erica, come fai a comprarti le cose più belle se non hai tanti soldi? Una macchina lussuosa. Vestiti firmati, una villa. Una piscina. Non sono meravigliose queste cose?»
Erica cercò di rimanere calma, nonostante non fosse per niente facile con una donna simile. Era la persona più antipatica che avesse mai conosciuto.
«Sono stupende queste cose, lo ammetto, ma che servono se poi non ho pace, né amore? Non sarei felice lo stesso.»
La zia di Patricia non fiatò. Non poteva di certo rispondere. Forse si sentiva offesa da quelle parole. Probabilmente Erica, anche se inconsapevolmente, aveva toccato un tasto dolente. Si capiva dalla sua espressione, anche se non l’avrebbe mai ammesso. D’altronde, la zia di Patricia, non amava il suo attuale marito, anche se era ricco.
«Erica, dai, a tutti fa piacere una vita lussuosa. Tanto il matrimonio se deve finire... e, secondo me, finisce ancora prima se mancano i soldi!» disse Patricia per levare la zia dall’imbarazzo.
«Può darsi, ma un uomo molto ricco, che pensa tanto ai suoi interessi, difficilmente avrà cura della moglie e dei figli. Li metterà sempre in secondo piano. Forse regalerà alla moglie abiti di lusso e altre cose. Giocattoli costosi ai figli, ma di sicuro lo farà per colmare la sua assenza. Il senso di vuoto che lascia alla sua famiglia.»
La zia di Patricia continuava a non fiatare, evidentemente perché Erica stava parlando di qualcosa che per lei era molto familiare.
«E poi i figli cresceranno bene con la figura di un padre assente? L’affetto non si compra con i regali costosi.»
«Dai, Erica, come sei complessata. Vivi e lascia vivere!» tuonò Patricia, guardandola con aria severa.
«D’accordo» si arrese Erica, anche se non avrebbe cambiato mai idea. D’altronde non avrebbe dimenticato mai i saggi insegnamenti della nonna, tenendoli sempre nel suo cuore, come il ricordo di lei. Non avrebbe mai dimenticato il suo affetto, anche se fossero passati altri cinquant’anni. Avrebbe tramandato quei saggi discorsi ai suoi figli, se ne avesse mai avuti. Erica ci rimase un po’ male per la risposta di Patricia, che pur di difendere la zia era andata contro di lei. La donna, infatti, l’aveva guardata con aria soddisfatta, ma d’altronde non era facile trovare una come Erica: Una ragazza d’altri tempi
.
«Erica, sei ancora lì?»
«Sì, mi scusi», disse lei.
La madre di Patricia continuò: «Non so che pensare, cara. Ho chiamato la polizia, ma devono passare quarantotto ore dalla scomparsa prima di iniziare a cercarla. Per ora non possono fare nulla.»
«L’ha chiamata sul cellulare?» chiese lei con una voce quasi impercettibile.
«Ho provato un sacco di volte, ma è sempre irraggiungibile.»
«Se so qualcosa la chiamo, non si preoccupi, non sarà successo niente» concluse lei, come se non potesse fare altrimenti.
Erica cercò di tranquillizzare la signora Whitman con quelle parole, anche se sapeva bene che con Patricia non era mai facile stare tranquilli.
«Grazie, cara» rispose la madre di Patricia con una voce sottile.
Che cosa poteva fare? Lei chiusa lì, in casa da diverso tempo, cosa poteva offrire? E soprattutto, Patricia era scappata di casa?
2.
Erano le undici di lunedì mattina e il detective Patrick Wall, del primo distretto di Calgary Police Service, 26 Avenue S.E. nell’Alberta centro-settentrionale, affondava ancora la testa fra i cuscini a righe, avvolto in un piumone blu. Per lui era stata una settimana pesante. Jessica l’aveva piantato per un omuncolo pieno di boria e soldi. Lei, aspirante fotomodella, aveva preferito un ragazzo vanitoso a lui. In genere, però, le donne lo preferivano agli altri uomini, perché era un gentiluomo e sapeva ascoltare i loro problemi, infondendo fiducia a chi gli stava accanto. Solitamente le donne, però, lo preferivano solo come amico.
Aveva perso i genitori a sette anni, dopodiché era stato affidato ai suoi zii. La zia Margaret, che era sorella della madre, aveva sempre amato Patrick come un figlio. Ecco perché non era stato un problema prendersene cura insieme al marito. Si era affezionata tanto a lui, anche perché, in dieci anni di matrimonio, non aveva avuto figli. Patrick amava i suoi genitori, ma si trovava bene di più con i suoi zii. La madre sapeva di questa preferenza, ma non si ingelosiva mai, a differenza del padre. Si trovava meglio con la zia per la sua forte sensibilità. Nessuno riusciva a capirlo come lei.
L’ultimo caso di cui si era occupato riguardava l’omicidio di una ragazza. Non era stato facile smascherare l’assassino, ma alla fine ce l’aveva fatta. Naturalmente il suo lavoro era stato poco premiato. Il merito di tutto se l’era preso il suo capo. Poco male, almeno aveva tolto un pericolo in più per i cittadini di Calgary. Il suo capo l’aveva premiato in qualche modo, però, concedendogli una settimana di ferie. Gli aveva consigliato di lasciare tutto e distrarsi, magari lasciando la città per qualche giorno. Lui invece rimase là. Aveva deciso di trascorrere le ferie in città, rilassandosi e dormendo, possibilmente tutto il giorno.
Si fecero le dodici del mattino e dormiva ancora. Ad un tratto suonò il cellulare che lo svegliò solo dopo ripetuti squilli. Aveva il sonno pesante, molte volte non sentiva nemmeno i tuoni. Gli scocciava rispondere, ma guardò il display: era il suo capo. Tossì per schiarirsi la voce. La luce del sole baluginava nella stanza, quasi accecandolo. Aveva dimenticato di chiudere la persiana, di solito dormiva al buio.
«Pronto, Mike» disse, con noncuranza.
«Patrick, ma che fai, non rispondi? È mezzora che ti chiamo!»
Sbadigliò. «Ma io veramente…»
«Ehi, non mi dire che a quest’ora dormivi!»
Patrick fece uno sbadiglio che fu tanto forte da sembrare una presa in giro verso il suo capo. «Ma come avrai fatto a indovinare?»
Mike, chiaramente, non intendeva farlo riposare. Lo voleva nel suo ufficio e Patrick sapeva bene che questo significava solo una cosa: guai in vista. «Dai, sono andato in ferie solo da…»
Mike non si arrese. Quando diceva una cosa si doveva fare a tutti i costi, altrimenti andava su tutte le furie. Ormai Wall lo conosceva bene. Lo considerava da sempre una vera rottura di scatole
, ma purtroppo non si poteva ribellare.
«Eri in ferie… Vieni nel mio ufficio che devo parlarti, c’è un caso per te!» disse senza mezzi termini. Con la sua voce autoritaria aveva deciso tutto. Patrick detestava il suo capo quando era così insistente. Anche perché quando era in ferie pretendeva di non essere disturbato, neanche per il rapimento della figlia del presidente degli Stati Uniti.
«Ma non puoi affidarlo a qualcun altro? Ci sono Bill, Paul, Brandon…perché non chiami uno di loro?» Era scocciato, ma già sapeva che non l’avrebbe mai convinto.
«Dai, non fare l’idiota, lo sai bene che sono impegnati, quindi non posso affidargli un caso particolare come questo. E poi tu sei il migliore. Ti prenderai le ferie dopo questo caso, te lo prometto! Dai, muovi il culo e vieni in ufficio!»
Un caso particolare? Era una battaglia persa. Parole buttate al vento.
«Dammi mezz’ora e sono da te.» Rompiballe
pensò.
«Ti devo un favore», disse Mike con tono soddisfatto.
Patrick aprì l’armadio e si guardò