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Legata a un sentimento
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Legata a un sentimento
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Legata a un sentimento

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About this ebook

Legata a un sentimento è il sesto libro della Saga Infedeltà, romanzi contemporanei con una forte dosi di eros, azione e avventura.

Azzurra aveva scommesso tutto sull’amore, ma aveva perso. Matias, non era l’uomo di cui si era innamorata, aveva distrutto la sua fiducia e la sua autostima. L’aveva ingannata e nulla sarebbe stato più come prima. La cosa migliore da fare era asciugarsi le lacrime e non fidarsi più di uomini come lui.

Matias sapeva che la sua indole infedele sarebbe stata sempre lì, ma non poteva accettare di perderla. Lui sapeva, per esperienza, che amore e sesso non erano la stessa cosa e avrebbe provato a dimostrarglielo giorno dopo giorno.

Azzurra riuscirà a perdonargli un anno di bugie e tradimenti?

L’amore può perdonare tutto?

E se un nuovo amore le offrisse tutto ciò che aveva perduto?

Poiché le apparenze, a volte, sono peggiori, l’autrice ci presenta una grande sfida, molto attuale per tutti quelli che credono nell’amore.

Infedeltà sessuale è sinonimo di infedeltà emotiva? Perdonare o andare avanti? Tu cosa faresti…?

Saga Infedeltà

Libro 1: Dopo di Te (Susana, Oscar e Nico)

Libro 2: È grazie a te (Susana e Nico)

Libro 3: Il custode del tuo cuore (Matias e Azzurra)

Libro 4: Gioco di Passioni (Lucas e Carmen)

Libro 5: Scusa, mi sono innamorato (Carlos e Barby)

Libro 6: Legata a un sentimento (Matias e Azzurra)

LanguageItaliano
PublisherBadPress
Release dateFeb 23, 2018
ISBN9781547519217
Legata a un sentimento

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    Book preview

    Legata a un sentimento - Diana Scott

    Prologo

    Legata a una profonda oscurità

    Legata al tempo

    Legata ai dubbi

    Legata al cambiamento

    Legata all’amicizia

    Legata al futuro

    Legata ale tue parole

    Legata alla mia oscurità

    Legata all’incertezza

    Legata ai tuoi ricordi

    Legata alle false apparenze

    Legata al tuo affetto

    Legata alle tue paure

    Legata al tuo ritorno

    Legata alla fiducia

    Legata a un corrotto

    Legata alla tua disperazione

    Legata alla tua tristezza

    Legata ai tuoi dolori

    Legata al tuo coraggio

    Legata ai tuoi tempi

    Legata al tuo fuoco

    Legata alla tua anima

    Legata alla tua passione

    Legata al tuo passato

    Legata al tuo amore

    Legata a un passato

    Legata a un errore

    Legata a una verità

    Legata al tuo amore

    Epilogo

    PROLOGO

    — Non è lui! Non è il nostro bambino! — gridò Lucas tra il nervoso e il disperato.

    Matias sospirò sollevato mentre si pettinava con la mano. Che Dio lo perdonasse per il suo egoismo, ma non poteva smettere di essere grato al destino.

    La busta di plastica conteneva un corpo, morto da un paio di giorni, ma non era quello del suo piccolo. L’aria iniziava a riempire di nuovo i suoi polmoni e il cuore aveva ripreso a battere, ricordandogli che doveva andare avanti.

    — Tra i sei e i sette anni — Carlos, piegato su un ginocchio, esaminava con cura il cadavere.

    — I segni indicano che il corpo è stato portato qui quando era già morto. E i suoi vestiti... Che strano!

    — Cosa pensi — Lucas si inginocchiò accanto al suo compagno.

    — La stoffa e i colori sembrano...

    — Dell’Africa centrale — disse Lucas sicuro.

    — E come diavolo è arrivato fin qui — Carlos mostrò di essere totalmente perso.

    Matias camminava fuori controllo. Si muoveva da un lato all’altro, esaminando persino le colombe che beccavano incuranti.

    «Cosa mi sto perdendo? Dove devo cercare?».

    I pensieri volavano sconnessi. La logica e la coerenza viaggiavano su rotte molto diverse da quella seguita dalla sua intelligenza. Il duro e controllato combattente era disorientato e spaventato. Le gocce di sudore gli bagnavano la fronte e la nebbia della perplessità gli annebbiava la vista. I nervi lo consumavano e la freddezza per cui era conosciuto, bruciava negli inferi della disperazione.

    — Dov’è... dove?

    I compagni della brigata lo guardarono comprensivi.

    Scoprire che il piccolo corpo non era quello di Alex era una notizia che li riempiva di speranza, ma adesso il problema si concentrava su un altro punto. Dove si trovava il figlio del capitano? Dove si trovava quella maledetta puttana? E soprattutto, perché gli lasciava un indizio così macabro?

    — Lo troveremo — Lucas strinse con forza la spalla del suo amico. Provò a sembrare controllato ma le sue paure per la vita del piccolo erano troppo evidenti e il tono della sua voce non riuscì a nasconderlo.

    Matias non ascoltava, osservava e analizzava.

    Guardò l’orizzonte, assorto nei suoi pensieri. Il mondo si era fermato e gli orologi non segnavano più l’ora.

    «Dov’è? Dov’è? Non può essere andata lontano. Le impronte sono recenti».

    Come un rapace in cerca della sua preda, il capitano passava al setaccio con lo sguardo ogni millimetro di terreno che aveva davanti.

    «Maledetta figlia di puttana, devi essere da queste parti. Lo so. Ti sento».

    Gli occhi scuri del capitano divennero ancor più scuri. I suoi lineamenti duri sembravano fatti di gelido granito. Ciocche dei suoi capelli neri svolazzavano fuori controllo per la delicata brezza estiva, ma nulla lo distraeva dalla sua indagine visiva. I compagni della brigata temevano seriamente per la sua salute mentale.

    — Matias, dobbiamo andare, sicuro che...

    — Maledetta puttana diabolica. Fammi vedere dove! Sei qui... Vuoi vedermi soffrire, vuoi sentire la mia disperazione... Stai osservando... dove? Dimmi dove!

    Lucas e Carlos si guardarono stupiti; provarono a convincerlo di andarsene ma Lucas smise di insistere quando notò che il capitano correva come un’anima portata da migliaia di diavoli.

    Carlos e Lucas si precipitarono provando a stargli dietro.

    — Siamo pazzi no? — gridò Carlos ad alta voce mentre correva a tutta velocità.

    — Così sembra! — vociferò Lucas incattivito, mentre correva dietro al suo capitano, insieme al suo compagno.

    Entrambi non comprendevano la ragione per la quale correvano come anime portate dal vento ma questo non importava, erano una brigata, sempre insieme davanti la pericolo e soprattutto, non lasciavano mai indietro un compagno.

    Matias correva senza frontiere. Provò a schivare la moltitudine meglio che poteva, ma era una missione impossibile. La città era piena di persone allegre e lui si stava addentrando nell’epicentro del tumulto più effervescente.

    Le tracce di Estela li avevano condotti fino alla città di Pamplona, nel pieno della festa di San Fermín. La città brulicava di turisti e di locali che si stavano godendo la festa, fatta di musica e alcol.

    Il capitano volava sui suoi piedi e la sua destinazione non era altro che il primo recinto della festa, nel pieno centro di Pamplona.

    — Matias! Capitano! — Lucas e Carlos gridarono disperati provando a raggiungerlo, ma era impossibile. Il loro capo correva come il diavolo. I suoi capelli nero corvino gli coprivano il viso ma non lo infastidivano. Doveva arrivare a destinazione.

    — Vai dritto verso le bestie. I tori usciranno tra un minuto. Ti schiacceranno! — La voce di Carlos si perdeva nel vento.

    — Cazzo Matias, fermati subito! Vai dritto al macello.

    Matias gli lanciò un’occhiata fredda, quasi mortale e i suoi compagni dubitarono del suo scarso buon senso.

    — Vuole vedermi morire mentre lo salvo! Lì... guardate lì — indicò con la mano in alto — Cento metri, ore tre. Controllate.

    Lucas e Carlos correvano veloci quanto il loro capitano, ma quando alzarono gli occhi, poterono vedere ciò che Matias gli stava indicando e il sangue gli si gelò all’istante.

    Un bambino appeso a testa in giù. Appeso proprio sopra ai portoni di legno da cui sarebbero usciti i tori più selvaggi del luogo.

    La gente era troppo concentrata a divertirsi per guardare oltre il proprio naso. Il bambino sarebbe caduto non appena si fossero aperte le saracinesche. Appeso com’era, non avrebbe avuto scampo. Sarebbe morto schiacciato dagli zoccoli dei tori. Le bestie lo avrebbero dissanguato con numerose cornate per poi dargli il colpo di grazia pestandolo.

    — Lucas! Spara alla corda — gridò Matias mentre si avvicinava sempre di più a suo figlio.

    — Impossibile! C’è molta gente. Se cade... è molto piccolo. La sua testa esploderà come un melone...

    — Cazzo Lucas! Spara!

    — Fottiti! È il mio figlioccio. Non posso.

    — È mio figlio! — Matias gridò con poco fiato mentre si avvicinava sempre di più al suo destino crudele — Fallo subito!

    Lucas si fermò. Avrebbe fatto ciò che il suo amico gli stava chiedendo. Non era il momento di mettersi a pensare. Allungò la mano destra mentre la sinistra fermava i tremori dell’altra. La precisione era tutto. Non poteva sbagliare.

    «Fratello, spero che tu sappia cosa fai». Pensò stressato.

    Lucas aveva le mani bagnate dal sudore nervoso che gli percorreva le dita, ma come un professionista del combattimento, respirò profondamente e con una precisione sovraumana sparò.

    La grossa corda si spezzò in due lasciando cadere il piccolo proprio davanti alle porte di legno, che in quel preciso istante liberarono le bestie. I tori selvaggi avrebbero schiacciato il piccolo senza indugiare. Matias scattò senza farsi scrupoli e senza paura. Alzò le braccia e riuscì a sollevare in aria il piccolo corpo, mentre lo stringeva con le sue forti braccia per ammortizzarne la caduta. Lo avvolse deciso e si lasciò cadere a terra, sulla strada lastricata.

    — Papà!

    — Sono qui. Non muoverti — Furono le ultime parole prima di sopportare il più subdolo dei dolori.

    I tori corsero fuori controllo e lo calpestarono senza indugio. Carlos e Lucas poterono solo vedere come gli animali pestavano ferocemente il loro compagno, che custodiva al suo interno il corpo del piccolo.

    Carlos riuscì a raggiungere, agitato, il suo capitano e con un paio di spari in aria riuscì a spaventare le bestie e a farle allontanare dal corpo del suo compagno.

    Provò ad abbassarsi per vedere le ferite di Matias, quando un suono tagliò l’aria e lo sfiorò, bruciandogli la spalla. Rapidamente alzò lo sguardo e cercò il suo obiettivo.

    — Cazzo, ci sparano! — Una pallottola gli sfiorò la mano quando provò a mirare contro le case antiche.

    Matias gemette per il dolore lancinante ma strinse forte il bambino e riuscì a trascinarsi sotto un palco che gli offrì riparo. Il corpo gli faceva male, ma non gli interessava. Alex era vivo.

    — Figliolo stai bene? Ti fa male qualcosa? — il piccolo fece no con la testa. Era troppo turbato per parlare.

    — Bene — il capitano strinse con forza il piccolo e inalò il suo tenero profumo, mentre lasciò scorrere una lacrima di pura felicità.

    — Papà, ci uccideranno?

    Il capitano strinse ancor di più suo figlio contro il suo forte petto, offrendogli la più sicura delle risposte.

    — Nessuno ti farà del male. Non glielo permetterò.

    Il rumore degli spari si fermò e Matias capì che il pericolo era passato. Lo sperava vivamente, perché l’ultima cosa che desiderava era che suo figlio vedesse la sua capacità di uccidere con le proprie mani qualsiasi maledetto disgraziato avrebbe osato portarlo via.

    — Passami il piccolo — Carlos si abbassò per prendere il piccolo tra le braccia mentre suo padre provava ad uscire da sotto il palco.

    Lucas si affrettò e gli offrì la spalla, ma Matias, sebbene tremasse e sembrava avesse un dito fratturato, non accettò il suo aiuto.

    — Maledetto bastardo! Ti sono passati sopra non so quanti tori. È un miracolo che tu sia ancora vivo e non ti hanno abbiano a pezzettini. Potresti accettare il mio aiuto almeno una volta, senza protestare?

    Il capitano provò a sorridere ma del sangue iniziò ad uscirgli dalla bocca.

    — Carlos, prenditi mio figlio.

    — No! Resto con papà. Resto con te — il bambino allungò le braccia corte e cicciotte. Era ancora spaventato per tutto ciò che aveva subito.

    — Zio Carlos ti porterà a casa.

    — E tu? Hai la bua. Andiamo a casa insieme. Mamma ti curerà.

    — Sì figliolo — Matias sorrise con la luce negli occhi. Pensare a lei era la sua unica luce — Mamma mi cura sempre ma prima devo fare una cosa. Presto sarò da te.

    — Papà! — il bambino non voleva andarsene — Vai a cercare i cattivi?

    — Te lo prometto.

    — Andiamo piccolo chiacchierone. Dimmi, cos’hai... qui? — il piccolo si torceva dal ridere tra le braccia del suo grande sorvegliante — Zio Carlos no, per favore no...

    Entrambi se ne andarono sorridenti e Matias respirò, perdendosi nell’allegria di suo figlio. Erano passati solo alcuni minuti quando l’oscurità iniziò ad annebbiare i suoi pensieri, ancora una volta.

    — Conosco quello sguardo. Non ci pensare, non puoi affrontare Estela. A quest’ora si starà dirigendo chissà dove. È possibile che non tornerà più.

    Matias guardò il suo amico ma non volle rispondere.

    Quella donna non lo avrebbe lasciato in pace finché non avrebbe ucciso quelli che lui più amava e per tutti i santi, lui sarebbe andato all’inferno e l’avrebbe scuoiata viva prima di permetterle di avvicinarsi di nuovo alla sua famiglia. Era il momento di pensare e agire prima che quella maledetta puttana ci provasse di nuovo ed era meglio per lei essere preparata, perché non avrebbe avuto compassione.

    — Forse hai ragione — Matias tossì e sputò una quantità importante di sangue — ma che ne dici se cerchiamo un medico? Quei tori erano grandicelli.

    Lucas lo aiutò a salire in macchina, diretti all’ospedale, ma non riuscì a ridere. C’era in gioco la sua famiglia e lui non si sarebbe fermato finché non l’avrebbe arrestata. In macchina Matias ruggì dal dolore e Lucas, preoccupato, spinse a fondo l’acceleratore verso l’ospedale.

    — Non ci pensare neppure a morire! — Lucas provò a scherzare ma la sua voce era afflitta.

    — Non posso. Ancora non...

    — Ti conosco amico. Non ti batterai solo con lei.

    Matias lo guardò sicuro. I suoi capelli neri aderivano alla fronte insanguinata a causa dei graffi. Il duro corpo era maciullato ma teso, come un orso l’attimo prima di attaccare la sua preda. Lucas vide come il suo sguardo scuro si trasformava. Matias si allontanava dalla figura del tenero padre per lasciare spazio al combattente oscuro e difficile da uccidere.

    — Farò quello che devo fare — La sua voce fredda non lasciò dubbi. Era pronto alla guerra e non gli interessava morire.

    Lucas sospirò furioso e spinse ancor di più l’acceleratore. Il suo presentimento non sbagliava. Si avvicinavo tempi molto oscuri e lo spirito di Matias era la più nera delle notti.

    LEGATA A UNA PROFONDA OSCURITÀ

    ––––––––

    Il colonnello sospirava nervoso mentre camminava con passo agitato. L’ufficio sembrava diventare sempre più piccolo davanti al suo camminare duro.

    Matias, appoggiato alla porta chiusa e con la testa bassa, era concentrato su una formichina dalle zampe lunghe, che portava, lungo il pavimento di rovere scuro, un pezzo di foglia che avrebbe usato come nutrimento.

    La stanchezza, frutto della disperazione per un figlio trovato per caso e un altro strappato all’angelo della morte, avevano fatto breccia su un capitano che si trovava al limite delle forze. Si mise la mano sotto al mento e continuò ad ammirare il piccolo insetto che era vicino al suo enorme scarpone nero da combattimento. Era padre come lui? La piccola formichina stava provando a portare cibo alla sua famiglia? Li avrebbe protetti dagli altri insetti? Stava facendo la cosa giusta?

    Un colpo sulla scrivania, dato col pugno chiuso, lo distrasse dalle sue estenuanti e stupide riflessioni.

    — Non posso permetterlo — negò energico.

    — Sì puoi... — Matias rispose con la debolezza tipica di un uomo sfinito.

    — Non ti azzardare a dare ordini a me! — il colonnello diede un forte calcio alla sedia.

    «Povera sedia. Sarà l’ultimo attacco d’ira che riceverà prima di diventare legna per il caminetto». I suoi pensieri non erano logici, pensò divertito.

    Matias si alzò a stento. Non aveva ossa rotte, ma gli ematomi che aveva sul corpo erano grandi come pomodori maturi. Si avvicinò al suo capo e strinse la spalla destra di quel grande uomo. Il colonnello era il suo colonnello, ma era anche il padre della brigata; loro erano i suoi figli e nessuno gli avrebbe torto un capello senza subire l’ira del colonnello sulla sua carne. Quell’uomo era onestà, valore e saggezza. Tutto in uno. Matias lo ammirava come nessuno e sperava, un giorno, di diventare come lui.

    — Ho bisogno di te. Non c’è altro modo — appoggiò la sua grande mano sulla schiena del capo.

    — Cercherò un’altra soluzione. Dammi il tempo di pensarci.

    — Non ne abbiamo.

    — Me ne frego delle tue idee Matias! Sembra che tu voglia morire — il colonnello si alzò furioso lanciando in aria la sedia.

    «Alla fine vedi che avresti ricevuto un altro attacco prima di essere buttata nel fuoco?». Matias rise dei suoi pensieri incoerenti.

    — Come sta Alex? — chiese il colonnello cambiando argomento.

    — Carlos l’ha portato a casa. A quest’ora starà con sua madre e suo fratello.

    — E David?

    — Sta bene, si è messo a correre spaventato e non sono riusciti a prenderlo — Matias sorrise orgoglioso — prenderli entrambi è una missione impossibile — Il colonnello annuì, con l’orgoglio di un nonno acquisito.

    Matias lo guardò aspettando una risposta. Sapeva perfettamente che il colonnello valutava tutte le opzioni, lo faceva sempre, ancor più davanti a situazioni come quella.

    Erano passati solo pochi minuti quando il colonnello alzò lo sguardo per inchiodare il suo potente sguardo su di lui.

    — Sai che andrai dritto al mattatoio?

    — Sì — rispose Matias sicuro.

    — E anche così...?

    Matias, esausto, cadde sul divano di pelle. Si strinse la testa con forza provando a risvegliarsi da quel maledetto sogno che non aveva fine.

    — Cosa faresti al posto mio?

    Il colonnello pensò alla sua amata sposa e ai suoi due figli e non poté mentire.

    — Quello che fai tu — sospirò stanco — Sono con te.

    Matias alzò la testa e lo guardò grato, ma il colonnello fece no con la testa.

    — Devo essere pazzo. Andrai al mattatoio.

    — Beh, già mi sono passati sopra alcuni tori selvaggi quindi andare al mattatoio non può essere molto peggio.

    Entrambi risero senza voglia finché il colonnello disse con il calore di un padre.

    — Sai che la perderai?

    Matias nascose il dolore che affiorò nel suo sguardo cupo.

    — Lo so.

    Il colonnello annuì con la testa e si sedette accanto a lui, lasciando che il silenzio della notte desse loro la consolazione e le forze di cui avevano bisogno. Uno avrebbe messo a rischio il suo posto di capo di brigata e l’altro la sua vita.

    La partita iniziava e Matias possedeva le carte peggiori.

    LEGATA AL TEMPO

    Aprì la porta di casa sua facendo grandissima attenzione. Era l’alba e non voleva svegliare nessuno. Erano successe troppe cose e tutti avevano bisogno di riposare.

    Lui e Azzurra avevano parlato più volte al telefono e

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