Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

L'inganno dei Vangeli: commenti critici sui Vangeli sinottici, i libri che da 2000 anni programmano la vita umana
L'inganno dei Vangeli: commenti critici sui Vangeli sinottici, i libri che da 2000 anni programmano la vita umana
L'inganno dei Vangeli: commenti critici sui Vangeli sinottici, i libri che da 2000 anni programmano la vita umana
Ebook401 pages5 hours

L'inganno dei Vangeli: commenti critici sui Vangeli sinottici, i libri che da 2000 anni programmano la vita umana

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

L’autore, dopo aver scritto i saggi “Dio, controstoria di un mito” e “Religioni, uno scandalo millenario”, affronta il tema del Cristo, elaborato dagli evangelisti, che avevano fatto impudicamente dell’Antico Testamento la sua rivelazione. Se questo libro sacro è un prodotto della fantasia umana con l’esposizione del Dio, creatore e guerriero, cui si sono adattati i vari personaggi, la narrazione di Gesù, come Suo figlio unigenito e, quindi divino, ne è una ulteriore. Comunque sono notevoli le contraddizioni che rendono incredibile l’avventura di Gesù, avvolto nella sua divinità. Le analisi svolte evidenziano la sua natura umana, mascherando l’anelito del suo regno dell’amore, senza classi, essendo biologicamente uguali gli uomini. Tuttavia un regno impossibile, per cui è stato trasferito nel cielo per le anime. All’ombra di questa credenza sono state commesse atrocità inenarrabili e guerre insensate, favorendo da una parte la crescita abnorme della ricchezza e dall’altra l’indicibile squallore della miseria, lenita soltanto dall’inesistente  premio del Cielo. L’autore si è proposto di demolire questa fittizia religiosità per offrire all’uomo la visione limpida della realtà e quindi responsabilizzarlo.

Ton Milan, nato in ambiente contadino e spartano del Sud, visse sotto la cappa religiosa che anteponeva il radioso e confortante Cielo allo squallore degli ultimi strascichi del feudalesimo medioevale. In verde età gli fu diagnosticata una sordità parziale, che in realtà lo aveva colpito sin quasi dalla nascita. Escluso ed emarginato anche per la sua minorazione, si era chiuso a riccio, coltivando desideri di riscatto nella natura agreste.
A vent’anni un intervento invasivo gli azzerò tutto il mondo sonoro, scaraventandolo nel silenzio assoluto. Fra le sue gravi crisi nichiliste, non ebbe né guida e né conforto, ma solo pietà. La fede cattolica gli fu una delle poche ancore di salvezza di cui si avvalse, non avendo altro.
La sua febbrile voglia di evadere lo spinse lontano dal remoto Sud, verso una metropoli del Nord, dove giunse con la sua valigia di cartone. Visse quindi il ’68 studentesco, soggiornando poi in Messico per alcuni mesi e visitando Praga e Kiev, per vederne l’impronta del comunismo sovietico aldilà delle rispettive cornici turistiche.
Dopo varie crisi religiose e decenni di meditazioni, letture ed esperienze, è approdato a una riconsiderazione razionale delle idee di Dio e della religiosità tradizionale, fondamentalmente illusorie.
LanguageItaliano
Publisherton milan
Release dateFeb 24, 2018
ISBN9788827579305
L'inganno dei Vangeli: commenti critici sui Vangeli sinottici, i libri che da 2000 anni programmano la vita umana

Read more from Ton Milan

Related to L'inganno dei Vangeli

Related ebooks

Religion & Spirituality For You

View More

Related articles

Reviews for L'inganno dei Vangeli

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    L'inganno dei Vangeli - Ton Milan

    ignoranti".

    Introduzione

    Dalla vetta della montagna, alla quale sono pervenuto dopo una sofferta arrampicata lungo le ripide pareti, sono ridisceso per far intendere ai Cristiani, in particolare, e a tutti gli altri credenti del mondo intero le foschie illusorie che li avvolgono: Dio (non come soggetto, ma essenza immaginata) sarebbe emerso lungo la scia del culto dei defunti, dei politeismi e dei monoteismi per il bisogno della spiritualità, com’è stato affermato altrove.

    Sarebbe sufficiente detergere i propri occhi per capire la realtà, convertendo la presuntuosità in rispetto, l’odio in amore, l’ipocrisia in lealtà e la violenza in pace. Per avere giustizia e rettitudine, anziché vivere ignobilmente e penosamente per colpa altrui, occorrerebbe individuare le fonti delle nostre iniquità per poterle risolvere. Sono molte queste e appena si sopportano con i vari diversivi religiosi, televisivi, mondani, turistici eccetera. Sarebbero innanzitutto da ricercarsi nella mancanza della giusta istruzione etica. Questa dovrebbe essere impartita capillarmente a tutti gli uomini sin dall’infanzia. Molto spesso dietro di essa si trovano le religioni, che alterano la visione della realtà, per cui devono esserne escluse. Per risolvere ogni avversità si dovrebbe quindi agire a monte delle relative situazioni, non soffermandosi soltanto a valle.

    Il nemico non dovrebbe essere l’uomo, ma la natura che, pur bella, materna e generosa, sconvolge, se non è governata saggiamente.

    La morte sia un pungolo per conseguire l’armonia sociale tra se stessi e nei confronti della natura. L’insidia fondamentale per gli uomini è la corruzione (non è satanica, come ogni altro male che angustia) che si manifesta in vari modi, alterando anche il pensiero. Che si vorrebbe dire? Che i più nobili intenti dell’intelletto possono essere avvinghiati dal potere costituito, il quale ne fa un paravento per i suoi iniqui affarismi, con briciole di carità e filantropia, noncuranti delle afflizioni. Sfogliando le pagine della storia, si nota che i poteri forti sono stati vinti soltanto da altri analoghi, che vi subentravano, mai dall’amore che qualcuno additava per la fratellanza universale, ricorrendo a Dio o alla Sua corte celeste.

    L’ebreo Gesù (Jehoshua o Jeshua in ebraico, che significa Jahweh salva) si sarebbe opposto al potere sadduceo del Tempio e a quello politico di Roma, lasciando un insegnamento rivoluzionario, che è stato alterato dalla Chiesa. La complessità di questa istituzione ha permesso da una parte le ardite elevazioni spirituali con trascendenze ed eroismi, e dall’altra le manovre riprovevoli di una grande potenza economica-finanziaria. Chi le osava opporsi, pur appellandosi alla parola del Nazareno, subiva emarginazioni, persecuzioni ed eliminazioni. Ha sempre mosso gli uomini, resi religiosamente schiavi, alleandoli oppure opponendoli a quelli dei grandi poteri (aristocrazia e borghesia), ogni qualvolta se ne vedeva ostacolare.

    Chiunque può chiedersi: «Come sia stato possibile tanta degenerazione ignominiosa, spietata e sanguinaria?». Forse tutto sarebbe da collegare a un equivoco colossale (come afferma K. Deschner), quello del nuovo regno di Dio, o regno dei cieli, che ci sarebbe stato sulla terra, come Gesù aveva promesso più volte durante la sua predicazione. L’aveva assicurato anche Paolo nella sua prima Lettera ai Tessalonicesi. Non c’è stato, perché probabilmente Dio non ha ascoltato il Suo Unigenito. Tale regno è stato trasferito pudicamente nel cielo. La divinità, pur onnipotente, non è mai intervenuta sin dall’antichità, pur costantemente invocata, almeno per arrestare il sangue che scorreva copioso (scorre ancora inarrestabile!).

    Per comprendere nel miglior modo possibile i quattro Vangeli, non disponendo degli originali dei relativi autori, occorrerebbe ritradurli nell’Ebraismo, considerandone la specificità, essendo stati de-ebraicizzati dagli autori subentrati decine di anni dopo. Questi, dopo le rivolte antiromane, represse spietatamente, li avrebbero rielaborati e ritoccati, traducendoli con errori, imprecisioni, falsificazioni e aggiunte; insieme ai quattro canonici sono stati scritti altri, ritenuti apocrifi.

    Le specificità della lingua ebraica sono le seguenti:

    1.      anticamente la scrittura ebraica consisteva in una successione continua di consonanti, senza vocali; chiunque ne leggeva gli scritti, li vocalizzava.

    2.      Il vocabolario della originale Bibbia Ebraica, Scritture o Antico Testamento (AT), conterrebbe 7706 parole, ognuna delle quali ha vari significati.

    3.      È facile confondere una consonante per un’altra, essendo alcune molto simili.

    Nonostante questi ostacoli mi sono impegnato ugualmente per capire meglio Gesù, considerandolo uomo con aneliti e frustrazioni, ideali e delusioni, limiti e rassegnazione, pur essendoci a suo carico molti dubbi storici. È stato reso divino per la dominante cultura ellenistica, cui sono stati sospinti a credere miliardi di uomini nel corso di questi due millenni vermigli.

    Pervenuti a questo secolo XXI con il mondo dilaniato da violenze, guerre, sconvolgimenti, smarrimenti, disastri e inquinamenti, occorre rendersi conto che la divinità si è rivelata una statua invisibile, non avendo mai agito; Gesù ne sarebbe il Figlio! Ognuno si è illuso che ascoltasse e soccorresse, invece è rimasta sempre immobile. A essa si sarebbero ispirati (non ne sarebbero stati ispirati!) i profeti, gli ascetici, gli scribi, i rabbi eccetera, restandone così prigionieri e coinvolgendovi i credenti.

    La realtà è stata sempre offuscata dalle religioni, anticamente con il culto dei defunti, poi con i politeismi e infine con i monoteismi, senza che i fedeli se ne avvedessero, come non se ne avvedono nemmeno oggi.

    Ciò che sconcerta, ma non stupisce, è l’intelletto, per il quale l’uomo si rinchiude nelle gabbie religiose, convintissimo dei credi cui perviene, pur essendo privi di fondamenta concrete. È lo stesso intelletto che dovrebbe aiutarlo a far uso della ragione, una conquista preziosa, per comprendere quanto sia stato fuorviante credere in una divinità, ritenuta vera, ma inesistente. Vi si è abbandonato spiritualmente, proiettandosi nei cieli bucolici o consolandosi nella resurrezione finale. Ma spesso si è anche lasciato travolgere dagli istinti perversi con spietatezza, per inseguire le proprie brame di potere, gloria e dominio, nonostante la brevità esistenziale, che tutto vanifica.

    Capitolo 1

    Il contesto giudaico di Gesù

    La verità vi farà liberi è una delle più profonde e stimolanti affermazioni dell’ebreo Gesù che mi ha animato in questo studio. Pertanto mi sono sforzato di attenermi il più possibile alla razionalità, quella che dovrebbe essere considerata anche da tutte le altre fedi del mondo, per interrogarsi e chiarirsi davanti alla realtà.

    I credenti affermano che Dio agisce nella storia in modi diversi, disponendo fra l’altro anche di Gesù, ritenuto Suo figlio per un disegno di salvezza, ma non se ne riscontra alcuna evidenza.

    Per comprendere Gesù è indispensabile conoscere il suo retroterra ebraico, che invero molti studiosi cattolici del passato avevano trascurato, pervenendo a conclusioni fuorvianti. Altrettanto dovrebbero fare i religiosi degli altri credi, al fine di eliminare le molte zone d’ombra e affratellare l’umanità con la spiritualità, intesa in tutta la sua cristallina purezza.

    Si dovrebbe prendere atto che dalla iniziale fiducia in Gesù, gradualmente si è passati alla fede nel Cristo divino e questo passaggio maturò in ambiente ellenistico. La coscienza di questa trasposizione potrebbe richiamare l’umanità dall’esilio delle religioni per una prospettiva escatologica di un sol popolo del pianeta, la cui spiritualità sarà affrancata dalle fuorvianti dottrine, che hanno frammentato la popolazione mondiale.

    Si premette, come riferito nel volume Dio, controstoria di un mito, che l’unicità di una divinità suprema sarebbe stata intesa inizialmente dal faraone Amenofi IV-Akhenaton (XIV a.C.); il quale la chiamava Aton, identificandola nel sole. Quando costui morì, il clero avrebbe ripristinato il politeismo precedente, approfittando del suo figlio successore, che era un fanciullo, cacciando via i suoi seguaci, che si chiamavano yahoudi, i quali avrebbero fondato in Canaan il regno della Giudea. Un’altra ipotesi li vedrebbe rifugiati in Madian, Sinai, dove si sarebbe recato più tardi Mosè, che ricevette la rivelazione divina.

    Ma una influenza avrebbe esercitata anche la divinità persiana Ahura Mazda, considerata dagli arii (l’antico popolo che abitava una zona dell’odierno Iran); intorno a essa c’erano le potenze del bene (angeli) e del male (demoni). Zarathustra, (Zoroastro in greco), forse vissuto nell’anno 1000 a.C., o quattrocento anni dopo, ne sarebbe stato il riformatore. Il suo pensiero fu raccolto nel libro sacro Avesta. Credeva che dovesse esserci un grande evento apocalittico (come credette Gesù), poi optò per la fine dei tempi con il giudizio finale e la comparsa del salvatore del mondo, uno della sua discendenza, che sarebbe nato da una vergine. Gli angeli, i demoni, il paradiso, l’inferno, il purgatorio, l’apocalittica e i sacramenti cristiani della confessione e della comunione sono concetti che si riscontrano anche nella dottrina mazdaica.

    Varie sono le interpretazioni che si danno oggi alle parole evangeliche, espresse inizialmente in un contesto specifico del tempo, e che in seguito avrebbero subito alterazioni marcatamente tendenziose. Il Nuovo Testamento (NT), che è composto di 27 libri, è il prodotto del Cristianesimo primitivo, che emerse insieme al fariseismo-rabbinismo dopo la distruzione del secondo Tempio nel 70 d.C. Questa nuova corrente divenne ben presto duplice: una, giudaica, che era legata a Giacomo il Minore, un fratello di Gesù; e l’altra che era rivolta ai gentili per la decisione di Saulo Paolo, che infine prese il sopravvento. Furono permessi i cibi impuri, ritenendo sufficiente la fede, senza che fossero necessarie le opere. Inoltre fu abolita la circoncisione.

    La religione cristiana fu speculativa e mistica, risultante dalla confluenza della religione ebraica, della filosofia greca e della cosmogonia astrale degli iranici-babilonesi, per cui sarebbe stata decisa la divinità di Gesù, facendo derivare la salvezza dell’umanità (celestiale) dalla sua morte sacrificale.

    Oltre ai Vangeli canonici esistono gli apocrifi che la Chiesa non riconosce, ma non si possono trascurare perché contengono episodi illuminanti. Abbiamo le Didaché o Dottrina dei dodici apostoli, che è l’ultimo documento giudeo-cristiano (fine I secolo d.C.), apocrifo, rinvenuto nel 1873 a Costantinopoli (Istanbul). Non vi è alcun concetto paolino riguardante la redenzione di Gesù e il Logos giovanneo. Gesù non vi è mai chiamato il Figlio di Dio, ma servo.

    Poi c’è la Lettera di Barnaba, apocrifa, erroneamente attribuita a Barnaba (cugino dell’evangelista Marco), sarebbe invece di un autore anonimo, forse di Alessandria, scritta nel 120 d.C. Contiene critiche antigiudaiche ed è espressione del Cristianesimo gentile. Gesù vi è considerato come Figlio di Dio, sempre esistito, perché alla creazione Dio si sarebbe rivolto a lui, essendosi espresso al plurale: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Genesi 1,26). Al riguardo il termine plurale Elhoim di El era un modo di esprimersi anticamente, facendo riferimento soltanto a un solo soggetto, come chiarisce la relativa nota della Bibbia Dehoniane CEI (Conferenza Episcopale Italiana) 1998.

    Il rabbinismo attuale, di cui furono impostate le basi da Giovanni (Johanan) Ben Zaccai, non fu la continuazione del preesistente giudaismo, ma una sua rielaborazione, come avvenne per il Cristianesimo per altra via. Si può affermare che entrambi ebbero una comune radice in quel complesso processo di revisione-riflessione che si verificò nella fase post-esilica, dopo la cattività babilonese (durata mezzo secolo), che avvenne nel 538 a.C. Nel periodo intercorso, meno di mezzo millennio, prima dell’attuale era, gli Ebrei, mentre continuavano a subire il dominio straniero, prima dei persiani dal 538 a.C. al 332 a.C. e poi dei Tolomei-Seleucidi dal 332 a.C. al 63 a.C., e infine dei Romani, fissarono gran parte dell’Antico Testamento (AT); inoltre, molti capitoli avrebbero subito ritocchi alla luce delle idee dominanti allora.

    Il NT che si legge oggi è quello della Volgata, un’opera latina scritta nel 383-385 da Girolamo: non è esente da errori e modifiche qua e là nel testo. Come si può intuire, la ricerca della verità è ardua, ma occorre perseguirla per averne esiti positivi, non tanto per conoscere con esattezza l’evento storico di Gesù, invero impossibile, quanto per capire il suo insegnamento finalizzato alla redenzione dell’umanità; bisognerebbe privarsi delle rigide concezioni dogmatiche accumulate nel corso dei secoli.

    I Vangeli canonici, ossia quelli riconosciuti dalla Chiesa, sarebbero stati scritti dai quattro evangelisti, ma tutti ormai lo dubitano, come aveva già affermato l’ineccepibile eretico Marcione (85-160 d.C.).

    Prima di utilizzare la Bibbia Dehoniane, che ha considerato il documento Istruzione sulla verità storica dei Vangeli (Sancta Mater Ecclesia) del 1964, e che fu recepito dalla costituzione dogmatica Dei Verbum dell’anno successivo, avevo considerato il testo biblico delle Edizioni Paoline, 1968. In seguito, per questo studio, l’ho scartato perché conteneva molti commenti antiebraici, nonostante la dichiarazione conciliare Nostra Aetate, 1965, che chiariva definitivamente i rapporti fra Ebrei e Cristiani, dopo le millenarie assurde incomprensioni, venate di odio.

    Nel documento specificato era stata formulata la teoria delle tre fasi per la stesura dei Vangeli: alla predicazione di Gesù era seguita quella degli apostoli, dopo la quale si ebbe la redazione, i cui autori ebbero finalità diverse per le proprie comunità, alle quali si rivolgevano, ma conformi allo spirito paolino.

    Secondo la tradizione attestata fino al II secolo Matteo, uno dei tre sinottici (si caratterizzano per le reciproche somiglianze, tali da coglierle in contemporanea), sarebbe stato il primo evangelista, scrivendo in lingua aramaica per i Cristiani convertiti dal giudaismo; in seguito sarebbe stato tradotto in greco. Il secondo sarebbe stato Marco, un discepolo di Gerusalemme, che, dopo aver seguito Paolo insieme al suo cugino Barnaba e poi soltanto questi, affiancò Pietro, di cui fu l’interprete; scrisse a Roma in greco. Il terzo fu Luca di Antiochia, ritenuto un medico di origine pagana, che aveva seguito Paolo nei suoi due ultimi viaggi apostolici e gli era stato vicino nelle sue prigionie romane; scrisse anche gli Atti degli Apostoli. L’ultimo evangelista fu Giovanni, che si distingue per uno stile molto diverso.

    La critica moderna ritiene che Matteo e Luca abbiano attinto sia da Marco, che quindi sarebbe stato il primo, sia da un’altra fonte, Q (in tedesco Quelle, da cui Q) che è ignota.

    Tra i diversi passaggi redazionali si sarebbe prodotto un groviglio di influssi reciproci che ha portato a somiglianze e divergenze, forse per le finalità che ognuno si proponeva, essendo indirizzati a comunità diverse.

    Inoltre, non mancano coloro, e sono molti, che ritengono Paolo il principale ispiratore della dottrina cristiana, con la sua divinizzazione del Cristo (Gesù trasformato in Signore, Kyrios), anche se non conobbe direttamente il Nazareno se non nella visione che avrebbe avuto sulla strada di Damasco. Era l’unico tra gli apostoli che aveva un’ampia e dotta cultura di formazione farisaica ed ellenista (il suo maestro fu Gamalièle). Sembra che il più antico documento neotestamentario sia la prima lettera che egli scrisse ai Tessalonicesi, databile negli anni 50; i critici suppongono che anche le altre Lettere, che scrisse nella stessa decade e in quella successiva, siano databili prima dei Vangeli.

    Il Vangelo di Marco si collocherebbe intorno all’anno 64, in seguito alla morte di Pietro. Ma secondo molti studiosi sarebbe stato scritto come gli altri dopo l’anno 70, quello della distruzione del Tempio di Gerusalemme.

    I quattro evangelisti:

    1)      Matteo, il pubblicano, che fu chiamato da Gesù come suo apostolo, voleva dimostrare ai Giudei cristiani, che Gesù era il discendente di David, il Messia (deriva dall’ebraico Mashiach, che in greco si dice Christos, donde l’italiano Cristo) promesso nelle profezie bibliche. Si caratterizza per la sua sensibilità giudaica perché scrive, fra l’altro, regno dei cieli, anziché regno di Dio (menzionato soltanto due volte in Matteo 6,33 e Matteo 12,28), riportato dagli altri tre evangelisti (in Giovanni si riscontra due volte, Giovanni 3,3 e Giovanni 3,5).

    2)      Marco, che seguì Barnaba, durante i suoi viaggi apostolici, condivisi per qualche tempo anche da Paolo, il quale poi non lo volle più con sé per motivi personali (si rappacificarono a Roma), volle affermare che Gesù è il Figlio di Dio, soprattutto per i suoi miracoli.

    3)      Luca si era convertito al Cristianesimo nel 40. Fu discepolo di Paolo, Volle dimostrare che Gesù è il salvatore non solo dei Giudei, ma anche di tutti gli altri popoli del mondo. Fu spiccatamente ellenista.

    4)      Giovanni, nativo di Betsàida (Galilea), fu prima discepolo di Giovanni Battista e poi di Gesù (ne divenne l’apostolo prediletto), si distingue dai tre sinottici per una prosa originale, spirituale e ieratica, non priva di cultura ellenistica. Affermò che Gesù è il Verbo incarnato, il Logos (il termine è greco) ed è il salvatore di tutta l’umanità. Molti dubitano che il Vangelo sia veramente suo, affermando che sarebbe stato Ireneo, vissuto nel 170, a diffonderne la notizia. E fanno riferimento a Eusebio (III-IV secolo, vescovo di Cesarea), per il quale il vero autore sarebbe stato un altro Giovanni, un presbitero, discepolo dell’apostolo, che visse fino a tarda età a Efeso. Misteriosi e controversi frammenti di Geropoli confermerebbero questo dubbio, a cui contribuisce anche lo stesso Luca, il quale scrive che lui e Pietro erano illetterati e ordinari (cioè comuni e popolani), Atti 4,13. Negli scritti dei quattro evangelisti si possono riscontrare alcune concezioni che sono state interpretate in modo fuorviante, obbligando i fedeli a credervi, pena la scomunica o la condanna.

    La vera fede non impone di accettare ciecamente anche le assurdità, avvolte nell’alone celeste, troncando così ogni analisi investigativa; al contrario si presta benissimo alle dissertazioni razionali per percepirla in tutta la sua sconvolgente e dirompente forza, che sarebbe salvezza per tutto il mondo. Purtroppo gli uomini l’hanno rapportata a una visione delimitante, ossia avvolta in un’atmosfera distaccata dalla terra e rivolta al cielo illusorio, imbrigliando negativamente la spiritualità.

    Riguardo al concetto della salvezza sembra che per Gesù essa debba essere ricercata nella misericordia di Dio, scindendola dalla giustizia: se noi uomini perdoniamo saremo perdonati, consapevoli di essere peccatori. Per i farisei, invece, essa è concessa obbedendo alla Legge, ossia praticando la giustizia: Mentre Gesù accettava nel suo regno i peccatori e i pubblicani, senza chiedere prima alcun pentimento e la restituzione di quanto preso illecitamente, i Giudei volevano che prima essi si pentissero e cedessero il dovuto per essere perdonati. Non si deve inoltre dimenticare la predicazione di Giovanni Battista, per cui il popolo era invitato a pentirsi; molti ritengono che la setta dei Mandei o Nasorei (definiti nel Corano con il nome di Sabei, che significa battezzatori), discenderebbe da lui; è composta da alcune migliaia di seguaci che si troverebbero attualmente nella Valle dell’Eufrate.

    La norma di Gesù sarebbe utopistica e si intenderebbe al di là delle reali possibilità umane; è probabile che l’abbia predicata considerando prossimo il regno di Dio. È affine a un versetto della Sapienza 11,23 (non presente nel canone ebraico): «Hai compassione di tutti, perché tutto Tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento». Ma ciò che è possibile per Dio non può esserlo per gli uomini!

    I religiosi affermano che Dio è infinitamente buono e misericordioso, invero Egli sarebbe semplicemente disponibile. Si disporrebbe nel cuore d’ogni uomo come un salvagente in modo che il peccatore, se vi si afferrasse, si salverebbe (naturalmente espiando, soffrendo e risarcendo la sua vittima); se lo rifiutasse si perderebbe. Ma questo concetto varrebbe se Lui esistesse veramente, purtroppo approfondite analisi Lo escludono, ritenendoLo virtuale, una immaginazione.

    La Chiesa, che è subentrata al regno prospettato da Gesù, non ha potuto mettere in pratica la sua norma del perdono, secondo cui i reprobi, vedendosi accolti e quindi perdonati, si sentirebbero indotti a pentirsi. Forse qualcuno l’ha fatto, ma la grande maggioranza ne ha approfittato rifiutando la rieducazione conseguente al pentimento, come la realtà dimostra. Occorre che l’ingiusto restituisca il maltolto al giusto, ma Gesù nulla dice. Quando si tratta del povero che ruba al ricco e quindi in molti casi non sarebbe possibile la restituzione, allora subentri l’amore, ma l’offeso, che può essere onesto, non sia frustrato vedendo che l’altro è stato accettato nel regno, precedendolo. Come pronunciarsi per gli assassini, gli empi e i grandi peccatori? Fanno paura costoro per cui si deve convenire che è difficile ammetterli nel proprio ovile, o regno, se non dimostrano con il pentimento e il perdono di essere meritevoli. In questo modo ci allontaniamo da Gesù e ci avviciniamo ai Giudei, alla norma realistica. Non si dimentichi che egli rimase deluso quando si avvide che le città, dove aveva operato la maggior parte dei suoi miracoli (quindi prima l’offerta dell’amore e poi la richiesta implicita del pentimento), non si erano pentite (Matteo 11,20 e Luca 10,12), per cui si abbandonò a invettive contro di esse.

    Quindi, ai fini della razionalità della salvezza, ossia come perseguirla correttamente, si potrebbe compiere una interazione tra le due prassi per avvicinarci maggiormente a quella che la supposta divinità (cioè quella ipotizzata) vorrebbe. L’uomo, essendo peccatore e trovandosi esposto a insidie e lusinghe, dovrebbe sforzarsi costantemente per seguire le sagge indicazioni etiche. Se commette un peccato deve chiedere perdono e cancellarne la macchia, ripromettendosi di non peccare più. Se cadrà ancora agirà allo stesso modo: ciò fa parte della tensione della vita per affrancarsi dal male ed essere degno del regno di Dio, (terreno non celeste!).

    L’importante è sentirsi permeare di amore fraterno per redimere e redimersi, risollevandosi dal fango del peccato. Non deve mancare il risarcimento, specie se il danneggiato non può vivere serenamente come prima. Se questi è ricco gli basterebbe quello morale, se è comprensivo e non esigente.

    È molto probabile che Gesù Cristo sia un mito celestiale e non terreno, un personaggio fantasticato, elaborando forse l’episodio di un giustiziato sul Gòlgota o la storia del Maestro di Virtù, citato nei Rotoli di Qumran (il fondatore del movimento esseno). Certamente qualcosa di vero ci sarebbe nel personaggio evangelico, ma assolutamente non divino e taumaturgo, non un Logos giovanneo generato e non creato, preesistente in cielo, che si sarebbe incarnato nella Vergine per opera dello Spirito Santo.

    Ci sarebbero stati vari movimenti giudaici, tra cui quello degli Esseni, che costituivano il terzo gruppo religioso ed erano chiamati anche Notzri (di cui i seguaci erano i Notzrim, termine che fu dato anche ai Cristiani del I secolo). Gli Esseni vivevano in comunità isolate e cenobitiche; praticavano rigorosamente la comunione dei beni e il celibato, osservavano la legge mosaica e seguivano le norme di purità. Inoltre ritenevano prossimo l’intervento apocalittico di Dio. Molti principi essenici furono assimilati sia dal Battista, sia da Gesù.

    C’è una certa rassomiglianza tra Nazareni e Notzrim. Questi ultimi non avrebbero lasciato alcuno scritto, mentre fra i seguaci di Gesù sarebbe circolato, un Vangelo, chiamato Q, da cui avrebbero attinto Matteo e Luca e forse anche Marco, considerato il primo dagli studiosi, com’è stato riferito.

    Gli Esseni fecero del serpente l’angelo tentatore e intesero come peccato originale quello di Adamo ed Eva, che alterava l’ordine della creazione. Consideravano l’uomo vittima del male, essendo il mondo sotto il dominio di Satana. Pochi si salveranno come giusti e molti cadranno per mano di Dio onnisciente, il giudice supremo, ritenendo prossima la fine dell’umanità.

    Il Battista invitava alla conversione e a confidare nella misericordia di Dio ma, quando diceva che dopo di lui (battezzando con l’acqua del perdono) verrà colui che battezzerà con il fuoco, alludeva alla tradizione essena del giudice supremo, distruttore del mondo. Ma Gesù s’impose spalancando la prospettiva del bene: il Figlio dell’uomo non solo giudicherà ma salverà anche, avendo il potere di rimettere i peccati e perdonare (una rivoluzione dirompente per quei tempi, perché soltanto Dio poteva perdonare).

    Una comunità essena sarebbe vissuta isolata a Qumran, nei pressi del Mar Morto, che si sarebbe estinta nel 68 d.C. Dopo quasi due millenni la località è stata scoperta casualmente negli anni Quaranta del secolo scorso, come è stato riferito nel saggio Dio, controstoria di un mito. Gli adepti si consideravano figli della luce per distinguersi da tutti gli altri, ritenuti figli delle tenebre. Nel II secolo a.C. costoro si erano separati con una regola di stretta osservanza; sarebbero ritenuti un raccordo tra il movimento enochico e il Cristianesimo. Nel movimento enochico, antico e giudaico, si sarebbero formate idee come quella del peccato originale e del messia celeste.

    Trattandosi di uno studio razionale l’autore non ha voluto considerare le vicende di quei personaggi veri o falsi, simili a quella di Gesù.

    I filosofi Celso, greco del II secolo, e Porfirio, fenicio del III secolo, furono molto critici contro la dottrina cristiana, non ritenendola accettabile.

    Nota: è sconcertante la netta opposizione tra gli Ebrei e i Cristiani: i primi affermano che l’AT non riporta nulla di Gesù, negando che sia stato profetizzato; non avrebbero torto, l’aveva notato già Celso. Invece i secondi lo ritengono il Figlio effettivo di Dio e Messia: i miracoli, l’etica eccelsa e l’insegnamento singolare lo confermerebbero.

    Si constata che la fede cristiana si basa sulle contraddizioni che da Gesù, morto e risorto, si estendono alla Santissima Trinità, Dio uno e trino, e alla Madonna, ritenuta Vergine e Madre di Dio, assunta al cielo con il suo corpo.

    Capitolo 2

    Giovanni Battista il maestro di Gesù

    Gli zeloti, facendo riferimento alla vittoriosa rivolta dei Maccabei nel 150 a.C. contro l’ellenista Antioco IV (che si conferì il titolo Theos Epiphanes, ossia il Dio Manifesto), si distinguevano più degli altri gruppi che caratterizzavano gli Ebrei, con uno spirito ribelle: non tolleravano la schiavitù romana perché non ammettevano altra autorità che quella di Dio. Si può immaginare quanto la folle intenzione dell’imperatore Caio Caligola (voleva sistemare una statua di Giove nel Tempio, ma fu assassinato all’età di ventotto anni dalle sue guardie pretoriane) avesse esacerbato i loro animi. Tuttavia la loro insofferenza non si sopì perché l’insensibile governatore Pilato aveva deciso di trasferire le sue truppe con le loro insegne e le loro immagini da Cesarèa a Gerusalemme, la città santa. Questo clima politico, insieme all’imminenza essena di un’apocalisse, avrebbe indotto gli apostoli a intravedere in Gesù il Messia atteso.

    È indubbio che il Nazareno sia stato influenzato sia dagli Esseni di Qumran, sia dai maestri farisei Hillel e Shammaj, vissuti ai tempi di Erode il Grande, 37 a.C. – 4 d.C. Egli tendeva a far penetrare la Legge nell’animo del credente con alcune ardite esposizioni-interpretazioni, facendo dell’amore una forza decisiva e propulsiva. Gli studiosi ipotizzano che anche Giovanni Battista, esseno, (invitava il popolo d’Israele al pentimento, nel fiume Giordano, in preparazione dell’imminente giudizio), sia stato un suo maestro. Alcuni suoi discepoli vollero seguire il presunto Messia che, dopo la sua decapitazione, decisa da Erode Antipa nel carcere di Macheronte, intraprese decisamente la propria azione, parzialmente impostata nel suo solco.

    Gesù si sarebbe distinto con una singolare prassi, essendo sicuro dell’imminente evento, per sferzare gli uomini allontanatisi dalle rette vie della giustizia e dare speranza di riscatto ai miseri e agli ultimi della terra. Fu considerato il Cristo, ossia l’Unto del Signore, ma non sarebbe stato quel Messia profetizzato nelle Scritture per la salvezza del popolo ebraico e conseguentemente dell’intera umanità. Mancava ai suoi tempi il contesto biblico, specifico del Messia atteso, come è sempre mancato nel corso dei due millenni trascorsi, nonostante le terrificanti guerre e le violenze inaudite che si sono verificate! Molti altri secoli occorreranno ancora senza che possa avverarsi tale evento, prescritto nell’AT, ma, come tante altre affermazioni bibliche, è illusorio che possa derivare da Dio.

    Il Messia davidico, che attendevano gli Ebrei, era terreno, non celeste, come fu inteso Gesù, e avrebbe liberato il loro paese. Nel corso della storia d’Israele, prima e dopo Gesù, furono definiti messia anche altri personaggi, per la particolarità del momento, che quindi si esauriva poi con il tempo. Lo stesso Ciro, il re dei persiani, sebbene pagano (ma zoroastriano), fu ritenuto un messia per aver aiutato gli Ebrei, dopo il saccheggio effettuato dal re babilonese Nabucodonosor, a ritornare nella loro terra, dando il permesso di ricostruire il Tempio distrutto.

    Paolo ha ben sfruttato alcune circostanze, tra cui l’influenza ellenica con la sua mitologia, per conferire a Gesù quell’aureola metafisica che lo rendeva accettabile ai gentili, ma lo allontanava dai Giudei, per i quali fu semplicemente un rabbi, maestro. Formatosi alla dottrina dei farisei (gli storici li fanno risalire a Esdra, il riformatore che si impose alla fine dell’esilio babilonese, istituendo la sinagoga, come luogo di preghiera e di studio della Legge, distinto dal Tempio), se ne allontanò dopo. Voleva salvare i gentili, senza obbligarli a sottostare alle disposizioni della Legge, che era contraddittoria per lui, essendo difficile considerarla tutta. Infatti, era diffusa la convinzione che bastasse trasgredire un solo comandamento per sentirsi peccatore come se li avesse trasgrediti tutti. Lo affermava lo stesso Giacomo, il fratello di Gesù. L’importante, per Paolo, era credere in Gesù e averne fede. Invitava gli Ebrei a seguire la sua dottrina per percepire lo spirito salvifico che lo pervadeva.

    Tuttavia, sono molte le affermazioni discutibili che non illuminano, ma innalzano una cortina di interrogativi che rimangono senza risposta. La fede, per essere realistica, non ha bisogno di oscure interpretazioni (e ciò varrebbe anche per tutte le altre dottrine), ma della verità, incontestabile, per permettere a ogni uomo di essere certo della supposta divinità.

    Capitolo 3

    Gli appellativi di Gesù

    L’appellativo evangelico Figlio dell’uomo è poco frequente nell’AT e sarebbe accettabile, perché farebbe intendere la dimensione umana, da non interpretare però come il Messia. Lo riferisce anche il Siracide, Ben Sira (non presente nel canone ebraico), il quale visse nel periodo del medio giudaismo, nella seconda metà del II secolo a.C., in Ecclesiastico 17,24:

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1